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III - Heart sorrow (II)
Più tardi, ore undici e cinquanta circa. Heiji aprì gli occhi, mettendo a fuoco lentamente l’ambiente attorno a lui. Non gli sembrava di sapere dove fosse, non c’era nulla di familiare. Riuscì soltanto a scorgere una scrivania con un computer e una piccola sagoma seduta alla sedia e chiuse gli occhi. Si sentiva stanchissimo. “Kudo” mormorò con la voce impastata. La piccola figura che aveva notato scese dalla sedia senza fare rumore e si avvicinò al divano dove lui giaceva. “Non sono Kudo kun, sono Haibara.” Le rispose con voce adulta e femminile. Il ragazzo aprì lievemente gli occhi, intravedendo tra le ciglia il volto della finta bambina e i suoi capelli biondi. “Ciao” la salutò allora lui, ghignando con difficoltà dato tutto il dolore che provava“Potresti dirmi dove siamo?” “A casa di Agasa hakase” spiegò Ai con voce piatta “Kudo kun mi ha telefonato raccontandomi tutto e mi ha pregato di venire a prenderti. Lui non poteva muoversi perché Ran san e la sua amica non lo lasciano un attimo. Ma fortunatamente il parco dove Gin ti ha aggredito non è lontano da qui e per me è stato facile.” Heiji strinse i pugni. “Dannata Kazuha, mi ha preso alla lettera…” bofonchiò ricordandosi della raccomandazione che le aveva fatto prima di incominciare l’inseguimento. Poi continuò a chiederle: “Mi hai trasportato qui da sola?” “No, c’era Agasa hakase con me.” “E dov’è, adesso?” “Sta cercando qualche vestito per quando sarai di nuovo… piccolo.” Il detective si morse un labbro, abbassando gli occhi tristemente. La cosa che forse temeva di più stava procedendo a marce forzate verso di lui, sempre più veloce. “Posso chiederti una cosa?” disse, cercando di controllare la voce. Ai annuì in silenzio, incrociando la braccia in un tipico gesto di un adulto. “Fa male?” La bambina annuì ancora con la testa, guardandolo negli occhi. “E c’è qualche possibilità di ritornare nel mio vecchio corpo?” Il silenzio li avvolse, mentre la bambina soppesava le parole da pronunciare. Non voleva illuderlo. “Sarò sincera con te” disse poi piano, catturando la sua attenzione “per ora queste possibilità sono meno di zero. Ma ci sto lavorando.” Heiji si portò le mani al viso, sconvolto. Più il momento si avvicinava, più il dolore aumentava, più sentiva la paura crescere dentro di lui. Sarebbe ritornato bambino, avrebbe avuto di nuovo otto anni. Avrebbe frequentato nuovamente la scuola elementare, avrebbe abbandonato il liceo. Ma cosa avrebbe pensato poi Kazuha? Come avrebbe reagito? L’ultima cosa che desiderava era farla soffrire, ma ciò che stava per accadere quasi certamente le avrebbe causato più dolore che mai. Distrutto, abbandonò la testa sul cuscino. “Credo sia giunto il momento” sussurrò Ai, accompagnando alla perfezione l’atmosfera mistica che si era creata attorno a lui. Heiji annuì, consapevole, e chiuse di nuovo gli occhi. Prima di crollare completamente, pensò che gli restava ancora un cosa da fare prima di ritornare piccolo per sempre: confessare a Kazuha quanto tenesse a lei, prima che fosse troppo tardi. Per il resto, non gli importava più di niente. Ormai la sua vita era finita. Cosa avrebbe potuto fare nei panni di un bambino? Più nulla. “Hakase, è giunto il momento, chiami un’ambulanza” sentì Ai esclamare in direzione dell’uomo che era ancora in un'altra stanza per cercare vestiti. Agasa corse immediatamente nel soggiorno, dove Heiji soggiaceva ormai quasi esanime, alzò la cornetta del telefono e cominciò a comporre il numero del pronto soccorso pigiandone furiosamente i tasti. Qualche minuto dopo, ore undici e cinquantacinque circa. “Cosa? Heiji niichan sta male?” esclamò Conan nel telefono, cercando di simulare una certa sorpresa. Qualcosa dentro di lui gli causò, però, un angoscia insostenibile e digrignò i denti. Si stavano recando a casa del professor Agasa a piedi e Kazuha camminava dietro Ran, la mano stretta in quella di Conan con una presa fortissima, il viso triste e l’animo turbato da un brutto presentimento. Non appena sentì il bambino esclamare il nome di Heiji, si fermò di scatto, stringendo i pugni sconvolta, quasi polverizzando la mano del piccolo. Heij stava male, perciò sentiva male anche lei. Ran le posò una mano sulla spalla. “Sta malissimo” riferì Ai dall’altra parte della cornetta “Abbiamo chiamato un’ambulanza, così tutto sarà più credibile” “Quindi adesso state andando all’ospedale?” “Sì, l’ambulanza è appena arrivata. Ci vediamo lì”lo congedò la bambina e chiuse la conversazione. Conan ripose in tasca il cellulare e si voltò impaurito verso Kazuha. La ragazza aveva lo sguardo perso nel vuoto. “Heiji niichan sta male” sussurrò il bambino con voce mesta “E’ all’ospedale” Avrebbe voluto gridare, confessare tutto quello che stava accadendo, spiegare perché, ma non poteva. Ne andava della vita delle persone che amavano. Non poteva metterle a rischio in quel modo. Heiji sicuramente non sarebbe stato d’accordo. “Mi dispiace” mormorò Ran, abbassando la testa. Altre lacrime cominciarono a rigare il viso di Kazuha, mentre stringeva ancora la mano di Conan. “Vi prego, accompagnatemi all’ospedale” gemette, incapace di pensare altro, combattendo contro i suoi nervi per non crollare a terra “Vi prego” Ran annuì, combattiva, e dichiarò: “Ci arriveremo prestissimo, te lo giuro. Vieni con me.” Afferrò la sua mano e cominciò a trascinarla con Conan lungo la via, procedendo velocemente. Tempo dopo, mezzogiorno e dieci minuti circa. Heiji era svenuto. Conan si morse un labbro, ripensando a ciò che lui aveva passato in quella situazione, quello che il ragazzo doveva ancora patire. Il detective di Osaka era fermo nel letto, il viso disteso e tranquillo, ma il falso bambino comprendeva bene cosa dovesse aver provato quando Gin lo aveva costretto a prendere la pillola, condannandolo ad un futuro incerto e sicuramente dolorosissimo. Era solo la perdita dei sensi che, in quel momento, aveva messo fine al suo turbamento. La disperazione di chi gli stava accanto, però, non era destinata ad avere una fine. Kazuha, ormai da qualche tempo crollata su uno sgabello vicino alla parete, aveva appoggiato ad essa la schiena e fissava inanimata il vuoto davanti a sé. Ran non osava avvicinarsi, temendo che la sua amica scoppiasse a piangere di nuovo: quasi dall’inizio di quella mattinata, ormai, i suoi occhi erano costantemente lucidi. Si limitava a fissare Kazuha con il cuore in mano, soffrendo insieme a lei. Cercava di immedesimarsi in ciò che lei stava provando, ma non ci riusciva: era ben peggio di sapere Shinichi lontano, quel dolore. Era mille volte più intenso. L’atmosfera nella stanza era tesissima, irrespirabile. Ran si sentiva di troppo, più inutile che mai, perciò decise di uscire e aspettare nel corridoio. “Ti dispiace se esco?” sussurrò piano, avvicinandosi a Kazuha. Ella scosse piano la testa, gli occhi sempre vacui. “Se hai bisogno di qualcosa sono qui.” Questa volta Ran non ricevette risposta. Si avvicinò a Conan senza far rumore, gli prese la mano e lo condusse fuori. Prima di richiudersi la porta alle spalle, il bambino riuscì a lanciare un occhiata di sbieco a Kazuha: non aveva fatto neanche un movimento. La porta fu richiusa senza far rumore, rispettando tacitamente l’angoscia delle due persone nella stanza. Solo allora la ragazza si mosse: si alzò a fatica dallo sgabello e, poggiandosi al muro, percorse tutta la stanza per giungere accanto al letto di Heiji. Il ragazzo ancora non accennava a muoversi. “Heiji... sussurrò, mentre gli occhi ritornavano a farsi madidi di lacrime. Posò i palmi delle mani sul suo letto per tenersi in piedi, guardandolo. Sembrava quasi che lui fosse estraneo a quella situazione: dormiva tranquillamente, senza interessarsi di quanto lei stesse soffrendo. “Sei sempre il solito” Il sorriso sul suo volto si stava allargando, nonostante lacrime le bagnassero ancora gli occhi. “Non ti interessa nulla di me” Era quello che pensava da tanto, troppo tempo e finalmente aveva il coraggio di dirglielo. Non le importava che lui non potesse sentirla, perché qualcosa dentro di lei ancora sperava che lui si svegliasse all’improvviso e cominciasse a prenderla in giro per le sue frasi sconnesse, per giunta condite di lacrime. Ma questo non poteva accadere, anche se lei non lo sapeva. “A me, però, interessa tutto di te” continuò, cercando di darsi contegno, nonostante tutto. Non ci riuscì, anzi si ritrovò con le braccia attorno al petto del ragazzo e il viso bagnato posato su di esso. “Io tengo tantissimo a te” disse con voce tremante contro il suo petto, cercando di nascondere i singulti. Sembrava che le sue parole rimbalzassero contro la sua cassa toracica, incapaci di giungere a lui. “Io ti...” Fece un respiro per raccogliere coraggio, ma si sentì all’improvviso atona, debole. Non poteva confessargli tutto quando Heiji non era in grado di udirla, non aveva senso. Doveva attendere che lui si svegliasse. Perché lui si sarebbe svegliato. “... amo. Da sempre.” Sorrise, rassicurata, mentre le lacrime si asciugavano scendendo sul lenzuolo candido. Alla fine qualcosa dentro di sé l’aveva spinta a confessare. Doveva solo aspettare per ripeterlo davanti alle sue iridi verdi. Lentamente, chiuse le palpebre. *** Buonasera a tutti! ^^ Posto in fretta, dato che manco da così tanto tempo, ma purtroppo non trovavo più la fic e non sono potuta andare avanti nella pubblicazione. Per fortuna che ho trovato una copia sepolta nei meandri nel computer! Ringrazio di cuore Teufel, che continua a seguirmi sempre. Sei andata addirittura su Efp? Sono onorata! Mi fa piacere sapere che apprezzi questa storia! Spero che anche questo capitolo ti piaccia. Al prossimo aggiornamento! Ayumi |