| rieccomi..stavolta ci ho messo un po' più di tempo, ma questo periodo è davvero particolare...ma bando alle ciance. spero sinceramente che vi piaccia...al solito, ogni commento e ogni critica o consiglio, per quanto duri, sono estremamente graditi! commentate numerosi!!
8.
L'unico tenue bagliore che squarciava l'oscurità della stanza era quella che rifletteva lo schermo azzurrognolo del computer. Il tè ancora intatto poggiato sulla scrivania, era stato dimenticato...ed era ormai freddo... La ragazza lavorava in quella stanzetta buia da ore, ormai...infaticabile, immersa nei suoi ragionamenti e nei suoi calcoli. Le dita danzavano agili sulla tastiera... per quanto si sforzasse, non riusciva a trovare una soluzione...era in alto mare, decisamente. Il trillo argentino del telefonò irruppe nel silenzio della stanza, facendola sobbalzare.. “Pronto?” disse, passandosi, esausta le dita sulle palpebre, stropicciandosi gli occhi arrossati per il troppo lavoro. “Aì? Sono io...disturbo?” a quella voce profonda e familiare, la ragazza si tese, immobile..era l'ultima persona che avrebbe voluto sentire. “No, Shinichi, dimmi pure...cosa c'è?”Ora l'espressione della ragazza si era fatta attenta, gli occhi ben aperti, la mente tesa...doveva misurare bene le parole, o sarebbero stati guai per tutti.. “No, non per telefono....vorrei che mi aiutassi con alcuni dettagli...hai da fare domattina? “ la ragazza si appoggiò lungo lo schienale, rilassandosi...bene, aveva ancora buona parte del pomeriggio e tutta la notte per lavorare al suo 'piccolo' problema... “domattina? Perchè no...sarò da te per le 11.” “Ehm...Aì?” fece Shinichi, la voce bassa e preoccupata...quasi insicura... “Vorrei che...hem...tutto questo...l'incontro e questa telefonata...ecco, be..vorrei che rimanesse tra noi.” “Intendi Vermouth o Jimmy?” rispose Aì, un sorriso amaro che le increspava le labbra, con un leggero velo di triste ironia malcelata.. “Che simpatica! Tu, comunque, tienili fuori entrambi..” “Come vuoi” fece la ragazza...annoiata da quelle raccomandazioni...tanto da renderle la bella voce atonale. E pose fine alla telefonata con un clic estremamente sonoro, senza dare il tempo al detective di aggiungere una sola parola. Assumendo una posizione un po' più composta stirò le stanche membra un po' indolenzite dallo stare seduta per tante ore di seguito, poggiò il gomito sulla scrivania e il mento sulla mano, osservando lo schermo...qualche secondo dopo sorrise. 'coraggio, vecchio mio' pensò 'entro domani dobbiamo riuscire a combinare qualcosa' e , con un leggero sospiro, impose alle dita la stessa frenetica danza sulla tastiera del computer.
NEW YORK
Eric Harrison era solo, nel suo elegante studio dell'appartamento di New York...l'alta e slanciata figura abbandonata sul divanetto, immerso nella semioscurità e con un bicchiere di brandy in mano. Era quasi arrivata la fine dell'anno...tempo di bilanci, soprattutto per lui. L'anno che stava per finire aveva visto grandi cambiamenti nella sua vita...il più grande, benchè progettato, era stato decisamente più penoso di come si sarebbe mai potuto aspettare..la furibonda lite con Jim subito prima della sua partenza per il Giappone lo aveva scosso profondamente. E poi...beh, poi c'era la società, alla quale dava il nome e della quale era il presidente..non che andasse male, ma aveva una strana sensazione, una sorta di presentimento.. Vuotò il bicchiere che teneva in mano in un unico sorso, come se volesse togliersi il fastidio di bere e, stanco, si passò una mano tra i setosi capelli brizzolati, osservando sovrappensiero il telefono. “Io credo che sia arrivato il momento di seppellire l'ascia di guerra...” la voce proveniva dalla soglia dello studio, appoggiata allo stipite della porta c'era una bella donna, sulla quarantina...alta, elegante ma con un'espressione corrugata che le corrugava l'alta fronte spaziosa...era braca a seguire e insinuarsi nei pensieri del marito, traducendoli in parole...e poi..no, non poteva negarlo, i suoi occhi parlavano chiaro, era molto in ansia per quel loro ragazzo....così giovane, così testardo e , soprattutto...così lontano. “Hum...non è così facile, Helen, lo sai...” “Beh, in fondo non ci vuole poi molto a comporre un numero...il vero problema è che siete troppo testardi entrambi!” L'uomo sorrise a quelle parole...era vero. Erano uno più testardo dell'altro, ma si erano sempre voluti molto bene, erano stati complici...e ora... Guardò la moglie porgendole uno sguardo di intesa...era arrivato il momento che tanto aveva aspettato, finalmente...lei gli sedette accanto, tenendogli teneramente la mano...finalmente avrebbero risentito quel loro ragazzo. L'uomo compose il numero...era strano, nonostante non l'avesse mai usato lo conosceva a memoria..uno, due, tre squilli...contò fino a dieci squilli nella sua mente prima che la linea cadesse per mancata risposta.
Sopra l'entrata di un piccolo e accogliente monolocale di Beika, un telefonino aveva appena smesso di trillare. Quel giorno, Jim Herrison era uscito di fretta e lo aveva lasciato distrattamente a casa...
I due coniugi, soli, nell'appartamento di New York, ancora seduti uno accanto all'altra, le mani ancora intrecciate per darsi forza, rimasero seduti a lungo...gli sguardi che evitavano di incontrarsi...dagli occhi della donna grondavano calde e amare lacrime. Sul petto dell'uomo...del padre, era calato un enorme e inspiegabile peso...aveva la spaventosa sensazione che quella fosse stata la sua ultima possibilità di sentire suo figlio.
Distretto di BEIKA
Seduta al bar del centro, la donna guardava continuamente l'orologio, infastidita. Picchiettando con le lunghe dita affusolate sul tavolino metallico al quale era seduta, beveva per cercare di scaldarsi il caffè che aveva ordinato per ingannare l'attesa, e intanto guardava i passanti che tornavano a casa dopo il lavoro... L'auto scura frenò bruscamente davanti al locale, eseguendo poi un parcheggio magistrale...ne scese un uomo alto e affascinante, con profondi occhi azzurri e ribelli capelli neri...la donna, osservandolo osservandolo entrare sorrise senza darlo a vedere...aveva ben 10 minuti di ritardo. “Scusami, Ran. Sono stato trattenuto in ufficio..”cominciò. La donna poggiò la tazza ormai vuota e accavallò le gambe...l'espressione seria...anche se era estremamente divertita dalla situazione...ultimamente provava un piacere particolare a strapazzare un po' il suo amico d'infanzia.. “Insomma, avresti anche potuto avvertire, Shinichi! Mi hai lasciato mezz'ora ad aspettare!” Il volto dell'uomo si coprì di un leggero rossore....a lui, però non sembrava di essere così in ritardo! Doveva ricordarsi di controllare l'orologio.. Ran sospirò...e poi sorrise.. “beh, allora..vogliamo cominciare?” fece con un tono di voce decisamente più dolce..” io avrei un'altra idea” disse Shinichi, ammiccando “che ne diresti se andassimo a casa mia?” Stavolta toccava a Ran arrossire....da quanto tempo non entrava in quella casa? Tanto, tantissimo.”Da...da te?” fece, un po' incerta..poi, dandosi un po' di quel contegno professionale che aveva dovuto imparare ad autoimporsi in certe occasioni decisamente meno piacevoli, si chinò per prendere la sua piccola 24 ore e, sfoggiando un sorriso luminoso disse “Certo, perchè no?” Salirono ognuno sulla propria auto, ognuno accompagnato dai propri pensieri e dalle proprie preoccupazioni, per raggiungere la villetta dei Kudo. La casa era avvolta nell'oscurità...entrati dentro e accese le luci, lui la fece accomodare sul divano del salotto e le offrì dello sherry..Lo sherry era l'alcolico perfetto da offrire a una donna, con quel sapore dolce e il retrogusto acre... non c'erano dubbi, Shinichi conosceva i gusti delle signore.. Per se, il detective, si era versato del cognac...con quel suo gusto forte e deciso...mascolinamente elegante. Ran lo osservava divertita...lui le sedette accanto, accavallando le gambe e facendo roteare, lentamente il liquore, osservandone e apprezzandone il colore ambrato e il profumo penetrante. “Mi dica,Signorina...cosa vuole sapere di me? Chieda pure..” le disse, osservandola e guardandola maliziosamente. Un sorriso divertito affiorò sul volto della giornalista, che però scomparve lasciando il posto a quella sua aria professionale, che in quel momento facava da maschera per celare sentimenti più profondi...le domande che aveva preparato, ora che era arrivato il momento di porle, le sembravano banali, incomplete. “Ah..hem...”cominciò, schiarendosi la voce...il piccolo registratore vocale era acceso fra loro ed emetteva il tipico ronzio del nastro che si avvolge sulla bobina...era un modello un po' vecchio, ma ci era affezionata..ed era ancora un ottimo supporto alla cara vecchia penna. “Signor Kudo, ci parli un po' di lei...da cosa è scaturita la decisione di fare il detective? Qual'è stata la scintilla che ha innestato questa passione?” Era molto brava nel formulare le domande, sapeva dare la giusta cadenza e inflessione ad ognuna...nell'ultima, poi, ci aveva messo un'enfasi particolare, ponendola tenendo il suo sguardo ardente, fisso negli occhi del detective che si sentì arrossire. “Si, è la mia passione. Credo sia una sorta di fattore ereditario, vede, mio padre è uno scrittore di gialli...ed è anche piuttosto famoso. Tra l'altro, fin da bambino ho amato il personaggio di Sherlock Holmes..è il personaggio che più mi ha ispirato, credo che, sia stato proprio Conan Doyle a far nascere in me la passione per l'investigazione...e poi...beh, poi c'è stato il detective Goro. Dopo un lungo periodo di assenza dalla città mi sono avvicinato molto a lui...era molto famoso qualche anno fa, e aveva un modo tutto particolare di risolvere i casi...lo chiamavano 'Goro il Dormiente'. Ma credo che ora non eserciti più. Un mezzo sorriso attraversava il volto di Shinichi, e Ran lo ricambiò. Che situazione assurda..L'uomo raccontava e raccontava, e Ran, instancabile, prendeva appunti. Le domande scorrevano e nuove risposte venivano ed altre ancora..e, piano piano, ma costantemente, cresceva fra i due la consapevolezza del tempo che era passato e della lontananza subita come un duro colpo da entrambi. Quante esperienze, quante passioni li avevano portati ad essere quello che erano diventati ed ora, seduti l'uno accanto all'altra, denudavano, in un linguaggio fatto di occhiate intraducibili e di parole formali, la loro anima e si raccontavano, l'una nelle domande e l'altro nelle risposte, i quindici anni che li separavano. Alla fine dell'intervista, senza riuscire a guardare negli occhi l'amico d'infanzia, Ran spense il registratore e posò il taccuino. Si erano ritrovati. “Shinichi?” disse, la voce roca, ridotta a un sussurro, gli occhi bassi. Tormentandosi le dita delle mani alzò il volto verso di lui, per guardarlo negli occhi...che altro voleva dirgli? “Ecco...” aveva ripreso...ma l'uomo la zittì e, senza darle il tempo di dire nulla posò le sue labbra socchiuse su quelle rosee di lei, insinuandosi e stabilendosi per sempre nel suo cuore. Non c'era altro da aggiungere. Lunghi istanti immoti si susseguirono in un turbine di sensazioni...il cuore di entrambi galoppava dall'eccitazione.. “ora è tardi...ho un altro appuntamento” disse Ran, staccandosi dolcemente, gustando ancora sulle labbra il sapore di lui... “Devo essere geloso?” chiese Shinichi, un po' corrucciato... Ran rise..”vedremo” rispose maliziosamente e, stampandogli un altro bacio sulle labbra, prese le chiavi della macchina e corse via.
allora? come vi sembra? commentate numerosi!
Edited by insospettabile - 21/4/2008, 23:25
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