rieccomi dopo tanto, tanto, tanto tempo!
chiedo umilmente scusa per avervi fatto atteendere tanto, ma impegni personali mi hanno un pò distolta da questa mia storia...
torno oggi con una nuova parte, spero non me ne vogliate per il ritardo e che la mia lunga assenza non vi abbia fatto perdere il filo del discorso!
mi auguro che questa nuova parte sia di vostro gradimento e che, dopo tanto, non abbia perso la mano e non vi siate stancati di me!
beh, a voi la sentenza! eccovi la nuova parte!
13.
BEIKA HOSPITAL.
Stanza 306, h. 9.00
La lunga confessione rivelatrice aveva sfibrato le due persone coscienti all'interno dell'asettica camera dalle pareti candide.
La ragazza aveva parlato per tutto il tempo, a bassa voce, non nascondendo più nulla, le labbra appena appena malferme.. Quella era la sua confessione plenaria e, oltre ad essere una confessione, era la sua espiazione.
L'uomo aveva ascoltato in silenzio...e, più ascoltava, più comprendeva...più il suo sguardo, sempre così fermo, sicuro e risoluto, diventava spaurito e assente. Le rivelazioni che doveva riuscire a metabolizzare erano agghiaccianti. L'unica domanda razionale che la sua mente, investita da quella soffocante verità, era riuscita a formulare era: “Come c'è riuscita? Come è riuscita a tenersi tutto dentro fino ad ora? Come l'ha sopportato?!”. Il suo sguardo che, fino a poco prima era ancora perso e cieco, vagante, si posò fermo sulla figuretta seduta compostamente, con i gomiti appoggiati ai braccioli, di fronte a lui, la bionda testolina china e l'aria stanca, come se l'estirpare quei segreti dai più profondi recessi della sua memoria l'avesse svuotata.
Shinichi non poteva far altro che ammirarla...era fragile, ma aveva dimostrato un coraggio ed una forza di volontà che lui non era certo di possedere. Nella stanza, ora, regnava il silenzio, rotto solo dal respiro artificialmente regolare della donna supina e priva di conoscenza...una calma surreale, la quiete dopo la tempesta emotiva che aveva travolto entrambi, aveva invaso l'atmosfera al suo interno...la consapevolezza.
Il trillo secco del cellulare del detective spezzò la linea d'intesa che si era creata implicitamente tra le tre persone presenti nella stanza.
Lo Sherlock Holmes del terzo millennio si riscosse sobbalzando....prese velocemente il telefonino dalla tasca anteriore dei pantaloni e guardò il display. Sorrise. Quello era il primo sorriso della giornata...un sorriso dolce che, distendendogli i muscoli facciali, gli rinfrancò lo spirito.
“Buongiorno!” disse, rispondendo alla chiamata e continuando a sorridere...
“Buongiorno a te!” rispose la bella voce femminile all'altro capo del telefono “avrei qualcosa da festeggiare...che ne diresti di farmi compagnia?”
“Festeggiare, dici? Uhm...vedremo....devo controllare l'agenda....forse stasera devo vedere Lily...o Jane...” disse il detective con la voce seria, ma un sorriso malizioso sul volto.. “Ah!..si, certo..” disse la donna all'altro capo del filo, odiandosi per non essere riuscita a dissimulare la delusione nella voce. La risata divertita dell'uomo all'altro capo dell'apparecchio la sorprese..”Scherzavo! Va bene se ti passo a prendere per le otto, stasera?” le chiese, “Tsk! Non lo so, devo controllare la mia agenda!" Lo parodiò lei, con una leggera smorfia stizzita che le increspava le labbra..ma poi sorrise: “stasera
daranno una festa, in redazione, per festeggiare il mio arrivo e approfittando anche per dare la festa della vigilia di Natale...speravo che tu potessi accompagnarmi...ma se hai da fare con...come si chiama? Jane?” chiese, pungente. “Ed io che speravo di festeggiare con te in privato..” disse,ignorando la provocazione, tra il serio e lo scherzoso Shinichi che, nel frattempo era uscito dalla camera per avere un po' più d'intimità e parlare più liberamente. Ran, a quelle parole arrossì e sorrise, ma non rispose lasciandole aleggiare.. “Ran?” chiamò l'uomo, sorpreso da quel silenzio..la voce della donna, con un'intonazione leggermente diversa, per rispondere a quell'appello, disse solo: “Beh, allora ci vediamo stasera!” e riattaccò.
Quella telefonata era stata provvidenziale, per il detective. La costernazione che gravava come un macigno sul suo animo alle rivelazioni di quella mattina si era un po' allentata. Adesso stava meglio, riusciva a vedere tutto con più chiarezza, obiettivamente. Ran, come sempre, riusciva a risollevargli il orale...in qualunque caso.. “chissà come fa..” si chiese, sorridendo ancora tra se e se.
Con la prospettiva di vederla quella sera che aleggiava nella sua mente e nel suo cuore come un prezioso talismano, rientrò nella camera. Adesso, Aì era seduta al capezzale di Sharon, lo sguardo triste e asciutto, sembrava meno tesa, però...si era calmata.
La osservò sereno e in silenzio..ora sapeva perchè Vermouth era sempre stata strana, nei suoi confronti...gli aveva inconsciamente trasmesso quella sensazione...quasi materna...come se davvero avesse sempre voluto proteggerlo. Il suo comportamento gli sembrava così naturale, adesso...capiva anche il suo comportamento di 15 anni fa, quelle parole che lo avevano turbato così tanto, che avevano invaso le sue notti.. “Ti ringrazio, Silver Bullet!” gli aveva detto, prima di cadere in acqua..prima di svenire. Quello era stato il suo commiato..ed ora sapeva perchè le aveva pronunciate.
Capiva anche Aì, adesso... l'odio e l'affetto che la ragazza provava verso quella donna avevano la stessa intensità...doveva essere lacerante! E poi..quel senso di colpa che lui non riusciva a spiegarsi..Tutto aveva una spiegazione e un senso logico, adesso. Anche quella citazione, così enigmatica, che Vermouth gli aveva lasciato.
Quella non serviva ad aiutarlo a trovare Gin, quella era la sua firma, la firma di Sharon Vineyard.
“Aì..” disse a bassa voce, “ti accompagno a casa, andiamo..” La ragazza annuì in silenzio e si alzò per seguirlo..prima di uscire dalla camera, però, si avvicinò alla donna, le prese la mano e gliela strinse forte, poi, delicatamente la lasciò andare e uscì silenziosamente e piuttosto in fretta, raggiungendo il detective in auto.
NEW YORK
Distretto di Polizia, h. 9.00
“CHE COSA?!” Urlò l'ispettore Dippet sbattendo la mano destra sulla scrivania e alzandosi di scatto, mandando così a sbattere la sua poltrona contro il muro.
“Non se ne parla neanche!! Sarebbe solo d'intralcio! È solo un ragazzino senza esperienza! Non lo voglio tra i piedi!..e poi..io lavoro da solo.” Concluse, come se quell'ultima frase risolvesse la situazione.
La voce all'altro capo del filo, tagliò corto: “Mi spiace, Jacob, sono gli ordini.” e riattaccò.
L'ispettore guardò con rabbia la cornetta, come se così facendo potesse trasmettere quello sguardo all'interlocutore che, all'altro capo, aveva interrotto la conversazione senza dargli il tempo di replicare..poi la sbattè con violenza sull'apparecchio.
Seduto nella stanzetta accanto c'era il motivo per il quale Jacob Dippet era così furente.
Un ragazzino dall'aria smarrita si era presentato quella mattina come l'Agente Jim Radish', inviato lì come suo 'collaboratore'.
Gli era piombato tra capo e collo....o meglio, sapeva che avrebbero mandato qualcuno, ma sperava che questo “qualcuno” avesse un po' più di esperienza e non fosse un novellino! Sospirò..”Spero almeno che abbia ereditato un po' del talento di suo padre.” disse a se stesso.
Poi lo chiamò..sapeva bene che doveva aver sentito tutto quello che aveva urlato al telefono, ma in quel momento, il suo sadismo lo portava a bearsene.
Il ragazzo entrò...quell'aria smarrita c'era ancora, ma nel suo sguardo c'era una nuova aria di sfida che non sfuggì all'ispettore, che sorrise. “Bene, bene...già che ci siamo, vediamo cosa sa fare..” pensò e, rivolto al ragazzo con un sorriso aperto e la mano tesa a porgergli una cordiale stretta di mano, disse: “Bene, figliuolo. Ben venuto a bordo.”
NEW YORK
Harrison Corp.
Samuel smithera impegnato con gli ultimi preparativi per la festa... aveva confermato il catering e il fioraio, e tutto era stato curato nei minimi particolari. Sarebbe stata la festa perfetta.. Perfetta, se non ci fosse stato quel finale “scoppiettante” che lui aveva progettato. Sorrise, ma sul suo volto quello che apparve fu un ghigno...si chiedeva perchè darsi tanta pena, visto che aveva già scritto la fine... Una cosa, però era certa...quella festa sarebbe passata alla storia! E poi...ci sarebbe stato molto “rosso”, alla fine...Rosso, il colore del Natale e il colore del sangue...che coincidenza.
Rise.
L'attesa era stata lunga, ma finalmente..la sua Elizabeth sarebbe stata vendicata. “Un incidente! Tsk!” Anche quello che aveva architettato lui, sarebbe stato un 'incidente'..un tragico, triste incidente programmato. Rise di nuovo, senza gioia.
fatemi sapere cosa ne pensate, ok? qualunque commento, positivo o negativo, sarà sempre gradito! e mi aiuterà a migliorare!