Non pensavo di riuscire a postare, oggi. Ma, dato che una serie di circostanze (
) mi ha impedito di andare al mare oggi, ho deciso di impiegare il tempo passando sul pc la nuova parte.
beh, eccovela:
14.
.........
Buio.
Solo l'oscurità pervadeva la piccola stanza angusta. L'uomo era in piedi, di fronte a lei e le voltava le spalle, di lui riusciva a scorgere solo la sagoma indistinta e longilinea..ma non doveva sforzare molto la fantasia per abbinare un'espressione a quel tono di voce freddo come il ghiaccio.
“Uccidili entrambi” stava dicendo, “non mi servono i traditori.” La donna prese tempo prima di rispondere...sapeva che i suoi ordini erano indiscutibili, lo sapeva ma non poteva neanche accettarli così, senza dire nulla. “E le due ragazze?” chiese con voce atona, riusciva a mascherare bene le sue emozioni. “cosa devo farne?” L'uomo sorrise malvagiamente a quella domanda, ma la donna questo non poteva saperlo. “Lasciale vivere. «I figli espieranno le colpe dei padri», non si dice forse così? Che ci rimangano fedeli”, continuò, “ho altri progetti per loro..”
E poi, di nuovo il buio. E il dolore che le attanagliava il petto, forte, continuo, lacerante.
La scena adesso era cambiata, ora si trovava in piedi di fronte alla coppia..una mano portata all'altezza del cuore, tremava, quasi non si reggeva in piedi.
Non lo aveva previsto. Eppure, nello stesso istante in cui aveva premuto il grilletto qualcosa l'aveva punta...una siringa.
La bambina...era stata lei.
E aveva visto tutto.
La piccola Shiho, la minore delle due sorelle, era lì di fronte a lei. La donna la guardò e, prima di svenire le accarezzò i morbidi capelli ramati...La piccola continuava a fissare la scena, i suoi genitori con i camici sporchi del loro sangue, stesi a terra, scomposti..
Quella donna, l'amica di sua madre con la pistola ancora fumante in una mano e l'altra tesa a farle una carezza. Una carezza, poi? E per quale motivo? E poi c'era la piccola Shiho, con la siringa ancora in mano che scansava la mano della donna e fuggiva veloce nella camera accanto, sperando in un incubo..
La donna svenne. Per pochi secondi o forse per molte ore.. Non era riuscita a capirlo, d'altronde il tempo per lei non esisteva più...e se anche fosse esistito, questo non aveva più alcuna rilevanza.
Una voce squillante e allegra la richiamò dal limbo nel quale stava fluttuando.
“Chris! , Chris!!” La chiamava, “Eccoci, siamo arrivati!” Lei si voltò sorpresa. Come aveva fatto ad arrivare a New York? E perchè sentiva ancora quel dolore così acuto al petto? “Yukiko!” si sentì rispondere rivolta alla donna sorridente di fronte a lei...poi sorrise ai due ragazzi: “Immagino che questo bel ragazzo sia il tuo Shinichi! e...fammi indovinare! Questa signorina deve essere la sua fidanzatina!” aggiunse ammiccando. Yukiko rise forte mentre i due ragazzi contestavano a gran voce, arrossendo violentemente, la sua affermazione.
La scena svanì così come era apparsa, ora la testa le girava forte.
Sentiva il vuoto sotto di se.
Adesso era aggrappata alla mano della ragazza di Shinichi che la sollevava...era ferita, le avevano sparato.
Il ragazzo la guardava serio, le stava parlando...ma lei non capiva...non riusciva più a sentirlo...
Stockhousen.
La sua musica, i suoi silenzi, le sue parole....erano quelle che le riempivano le orecchie, adesso, sentiva solo quelle: “trova orecchie nuove...il nuovo..” ..
Prima flebile, poi via via sempre più forte un suono penetrante e irregolare le penetrava nelle orecchie... l'odore che le pungeva le narici era impersonale e forte, ma non sgradevole...le ricordava qualcosa.
Cercò di sollevarsi, ma scoprì che le era impossibile. Con un enorme sforzo sollevò il braccio sinistro e se lo portò al viso..dei tubi e dei fili la attraversavano..
Aprì gli occhi. La prima cosa che vide fu il candido soffitto sopra la sua testa...ma dove si trovava?
Voltò lentamente il viso prima a destra, poi a sinistra...da una parte c'erano dei macchinari strani, bianche scatole elettroniche che erano l'origine del suono pulsante che le faceva dolere le tempie...avrebbe tanto voluto che smettesse! Perchè non lo facevano smettere? Era insopportabile!
Dall'altra parte, invece, ad un'alta asta c'era appesa una flebo.
Chiuse gli occhi...era stanca.
Beika Hospital h. 18,30
Aì si diresse alla camera di Vermouth con gli occhi asciutti e l'espressione seria dipinta sul viso.
Sembrava fosse passato un secolo..ma era comprensibile.
Quella mattina era stata particolarmente difficile...ma poi, come sempre Shinichi era riuscito a farla stare meglio.
Il pomeriggio, invece, lo aveva passato con Jim.
A pensarci bene, però, Jim le era parso strano, aveva cominciato a parlare di suo padre, della loro lite, della sua infanzia...di quel padre con cui si era sempre confrontato, che aveva sempre considerato un eroe, un uomo da stimare, e poi..le aveva detto della telefonata che questi gli aveva fatto...di quanto lui si fosse sentito piccolo e meschino per non essere riuscito ad abbattere quel muro che si era creato fra loro per primo..
Aì lo aveva ascoltato in silenzio.
Era strano e bello sentirlo parlare così liberamente di se, anche se questo la faceva sentire in colpa per non poter fare altrettanto.
Le aveva detto anche che aveva intenzione di chiamarlo per la vigilia di Natale..
Quello era stato l'unico punto su cui la ragazza era intervenuta: “Perchè aspettare?” gli aveva detto sorridendo dolcemente“ Chiamali stasera! Per la vigilia di Natale vi sentirete di nuovo!”...
A quel punto, però si era fatto tardi e lei era dovuta venire via, riuscendo, però, prima di uscire, a strappargli la promessa che li avrebbe chiamati quella sera stessa.
La ragazza, così immersa in quei pensieri, arrivò senza accorgersene di fronte alla porta della stanza in cui giaceva la donna che odiava.
Aprì piano, senza far rumore, ma vide subito che doveva essere successo qualcosa...il capezzale di Sharon Vineyard era attorniato da una squadra di affaccendati uomini in camice bianco. “Che succede?” chiese perplessa. “Oh, non si preoccupi, signorina...” disse uno degli uomini in bianco...un tipo con l'aria da novellino e un sorriso accattivante. Nel pomeriggio ha avuto un leggero miglioramento...ed ora dobbiamo tenerla sotto un più stretto controllo per evitare che peggiori di nuovo...” continuò il medico, sempre sorridendo. “Ma...ma quindi si è svegliata?” domandò la giovane donna, , indecisa se sentirsi sollevata o se ricominciare a provare rancore..
“Si,” disse il novellino, si è svegliata...ma adesso sta riposando...perchè non torna domattina?” Aì lo scrutò per un momento, poi annuì e uscì dalla stanza.
TOKYO
Jim Herrison era seduto sul comodo divano del suo appartamentino...le braccia poggiate sulle ginocchia divaricate e le mani intrecciate appese sul vuoto, sopra il pavimento, fissava con espressione assorta il telefono poggiato sul tavolino di fronte a lui.
“Si, Aì ha ragione...” si disse, “meglio se chiamo stasera.”
Nei suoi occhi, una volta presa quella risoluzione, si accese un piccolo barlume di orgoglio. Si, sarebbe stato lui a chiamare!
Si alzò facendo leva sulle ginocchia, prese l'apparecchio e compose il numero. Non dovette aspettare molto, 2 o 3 squilli al massimo, che la voce di suo padre invase la cornetta: “Papà..” disse piano, in un sussurro. “Jim!” Sei tu? Ho provato a chiamarti, ma..” le parole gli morirono in gola ed un pesante silenzio, carico di significati intercorse tra i due. “Si, lo so..avevo lasciato il telefono in camera..” Disse il ragazzo. Com'era difficile parlare! E pensare che un tempo parlare con suo padre era la cosa più facile del mondo... “Scusami..” aggiunse, dopo un breve istante di esitazione...L'uomo, all'altro capo del mondo non riuscì a trattenere una lacrima silenziosa e, scuotendo il capo, disse: “No, non importa. E' tutto a posto!” “Papà?” fece il ragazzo, esitante. “Si?” sussurrò l'uomo.. “che ne dici se vengo a trovarti per Natale?” Aveva pronunciato quelle parole senza neanche rendersene contoera stato un pensiero nato sul momento, un desiderio dettato dalla nostalgia...”Ecco...se non disturbo, naturalmente..” aveva aggiunto. Ormai non poteva tornare indietro...
L'uomo all'altro capo era rimasto senza parole..non si era azzardato a sperare in così tanto! Del resto era esattamente quello che lui stesso desiderava! “Ti aspetto!” disse. Il ragazzo assentì con un mezzo mugugno e lo salutò, ponendo fine alla conversazione, ancora shockato per quel che aveva fatto.
Ormai, però era cosa fatta...e la cosa non gli dispiaceva affatto!
Era ora di muoversi, c'erano parecchie cose da fare, prima di partire..e troppo poco tempo per farle!
La più importante, la primaria, però, era dirlo ad Aì..e magari..chissà..lei avrebbe anche potuto accompagnarlo. A quella prospettiva si lasciò sfuggire un sorriso.
piccola note:
la prima parte , probabilmente non risulterà chiarissima. è un effetto voluto (che spero di aver reso bene ^^'') dato che sono una serie di flashback che Vermouth rivive durante l'incoscienza.
fatemi sapere che ve ne pare... ogni commento, critica, annotazione e proposta per migliorare, saranno, come sempre, estremamente graditi!
A voi la parola!