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Kokoro no uragiri

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KiarettaScrittrice92
view post Posted on 22/4/2014, 17:27 by: KiarettaScrittrice92     +1   -1
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Black Lady

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Parte settima

La donna chiuse la chiamata appena ricevuta, con aria alquanto tesa.
Tutto sembrava alquanto assurdo. Il fatto che quell’uomo sapesse più di quanto sapeva lei la stupiva, ma non poteva assolutamente lasciare che delle vittime innocenti morissero per un suo dubbio.
Quei pensieri sfumarono quando il campanello del suo appartamento trillò rumorosamente.
Andò ad aprire.
Davanti a lei si trovò l’uomo biondo con quel paio di occhiali dalle lenti rettangolari.
“Mi dica…” disse stupita la donna.
Lui senza fiatare, la scostò bruscamente ed entrò nell’appartamento.
“Ehi, che modi sono!” protestò, poi si chiuse la porta alle spalle e seguì l’uomo.
Lui era entrato nella camera principale e stava chiudendo tutte le tende, lasciandola nella semi oscurità.
“Mi dice cosa diavolo sta facendo?” chiese.
Stava cominciando davvero ad irritarsi, non aveva tempo da perdere, doveva andare da Black e avvisarlo del pericolo imminente.
Appena fu tutto chiuso, con un gesto veloce si tolse occhiali e parrucca, aprendo finalmente gli occhi.
Jodie senza parole spalancò la bocca. Senza poterle controllare, le lacrime iniziarono a scendere copiose sul suo viso.
L’uomo non aprì bocca e non si mosse.
Persino quando la donna gli si buttò addosso in lacrime, continuando a pronunciare il suo nome. Non fece una piega.
Solo quando la bionda smise di piangere e si ricompose, sedendosi sul divano, lui parlò.
“Era necessario Jodie, se non avessimo fatto credere loro che Kir mi avesse ucciso la sua copertura sarebbe saltata.”
Le fece solo un cenno di testa.
“Hai notizie dell’organizzazione?”
Un’altro cenno di testa. Esitò e poi finalmente riuscì a parlare.
“Ha chiamato un certo Agasa… Dice che hanno rapito Ran Mouri, la figlia del detective Kogoro. A quanto pare cool guy è andato da solo a salvarla.”
“Bene, chiama James. Digli che hai bisogno di lui e Camel, non nominare né me, né la situazione, digli solo di raggiungerti in un luogo pubblico. Solo a quel punto parlerai.”
“Ma scusa in un luogo pubblico c’è più rischio che ci controllino.”
“Tu fai quello che ti dico. Appena hai raccontato tutto a loro, mandami un messaggio al cellulare.”
Dopo quell’ultima raccomandazione, si rimise occhiali e parrucca ed uscì dall’appartamento senza parlare.

La campanella fece l’ultimo suo suono.
Ayumi guardò il posto vuoto vicino alla sua amica.
“Conan alla fine non è arrivato. Non è che gli è successo qualcosa?” chiese preoccupata.
“E’ vero, era proprio dietro di noi. Ci ha detto di andare avanti, ma dovrebbe essere arrivato ormai.” disse dubbioso Genta.
“Forse dovremmo dirlo alla maestra.” commentò Mitsuhiko.
L’unica che rimaneva zitta era la bambina dai capelli ramati. Il suo cuore martellava nervoso. Le mani poggiate sul banco erano immobili e rigide. Nella sua testa vorticavano i pensieri più assurdi e terribili. Anche lei si chiedeva dove fosse.
Ripensava a ciò che era accaduto il giorno prima e il pensiero che l’organizzazione avesse iniziato a fare seriamente la tormentava.
E se l’avesso rapito, minacciato, ricattato, ucciso.
“Ai, stai bene? Sei pallidissima.” disse Mitsuhiko prendendole la mano.
“Sto bene.” disse bruscamente scostando la mano dalla presa del bambino, che ci rimase un po’ male.
Non sapeva cosa fare, ma non poteva far preoccupare i bambini, Shinichi avrebbe fatto la stessa cosa.
Con quel pensiero in testa, tirò un dolce sorriso e si rivolse agli amici.
“Tranquilli per Conan, mi ha mandato un messaggio, ha detto che per via di un impegno improvviso non potrà venire oggi.”
“Ah, meno male… - sospirò Genta - Potevi dircelo prima però.”
“Insomma Genta, è stata male!” lo rimproverò Ayumi.
“Hai ragione, scusa.” disse con tono sommesso il bambino robusto.

La ragazza fu trascinata in malo modo dal biondo dentro quell’edificio diroccato. L’interno era scuro, sporco. Le ragnatele e la polvere regnavano sovrani.
Eppure qualcosa stonava. Nella parete di lato due lastre di metallo lucido e pulito, spezzavano in quello squallido e macabro stanzone.
Il ragazzo la trascinò proprio verso quel punto del magazzino e appena arrivati davanti le due lastre si aprirono mostrando un interno angusto e spartano. Era un ascensore.
Entrarono entrambi.
Ran aveva smesso di parlare e di piangere. Era solo spaesata.
Appena le porte dell’ascensore si richiusero lasciandoli dentro, il ragazzo si tolse gli occhiali a specchio mostrando gli occhi castano chiaro.
“C’è una cosa che non ti ho mai detto Ran… - disse con tono calmo e tranquillo, voltandosi verso di lei - Io non accetto mai una sconfitta e se voglio qualcosa la ottengo sempre!”
A quelle parole l’ascensore suonò, fermandosi.
Successe tutto in breve tempo. Mentre le porte dell’ascensore si riaprirono, Ikuto premette un fazzoletto intriso di cloroformio sul naso e sulla bocca della ragazza.
Ran ebbe appena il tempo di vedere un corridoio illuminato da lampade al neon, prima che l’odoro pungente e irritante del sonnifero facesse effetto e le facesse perdere completamente i sensi.

Il ragazzo staccò il telefono scocciato. Shinichi per la seconda volta gli aveva staccato la telefonata. Pensò che forse era impegnato in qualche caso, ma il fatto che aveva saputo del risvolto inaspettato con Ran da Kazuha lo scocciava. Era passata più di una settimana e lui non l’aveva chiamato neanche una volta per raccontargli quelle novità.
Era irritato da quel comportamento, non si era mai comportato così. Già, non l’aveva mai fatto.
A quel pensiero qualcosa gli balenò in mente. Era vero. Non era un comportamento tipico di Shinichi, non chiamarlo e chiudergli la chiamata. Ciò voleva dire solo una cosa.
C’era qualcosa che lo turbava, o peggio ancora era successo qualcosa.
Senza esitare si alzò dal letto su cui era sdraiato, prese il suo inseparabile cappello firmato “Sax” dalla scrivania e uscì di casa.
Non avrebbe lasciato il suo amico ad affrontare una situazione del genere da solo, l’avrebbe raggiunto, a qualunque costo.

Il cellulare squillava ormai da un paio di minuti.
Il ragazzo entrò nella sua camera con solo i pantaloni addosso e un’asciugamano ancora in testa.
Lo afferrò dal comodino vicino al letto e rispose.
“Sei un idiota!” lo insultò una voce femminile dall’altro capo del telefono.
Lui rimase un po’ interdetto.
“Perché?” chiese sconvolto.
Era un duro colpo sentirsi insultare proprio da lei.
“Tuo cugino è qui… con Angel”
“Cosa?” chiese sconvolto lui.
“Datti una mossa! Io non posso fare niente, sai benissimo che Gin ultimamente mi tiene sotto controllo.”
“Va bene, arrivo.” disse il ragazzo per poi chiudere la chiamata.
S’infilo il cellulare in tasca si mise di corsa la camicia. Si abbottonò, mentre scendeva le scale ed uscì di corsa.
Poi un feroce dubbio lo fece bloccare. Il ragazzo già lo sapeva o no? Come avrebbe reagito?
La risposta arrivò immediata.
Sera Masumi gli si parò davanti. Stava tornando da casa Suzuki, dove aveva lasciato una Sonoko completamente sconvolta.
I due si guardarono per qualche secondo, dubbiosi se chiedersi informazioni a vicenda.
Alla fine il primo a parlare fu Amuro, capendo negli occhi della ragazza che sapeva già tutto.
“Quando è successo?” chiese.
“Un’ora fa, andando a scuola…” rispose lei.
“Chi lo sa oltre a te?”
“Solo Sonoko e Kudo, credo”
Troppo tardi.
Ringraziandola delle informazioni si scostò e ricominciò a correre verso la sua macchina.
La ragazzo lo seguì con lo sguardo, dubbiosa. Forse l’avrebbe dovuto seguire, magari l’avrebbe portata da Ran. Non aveva nessuna voglia di rimanere ferma a fare niente.
Decise in pochissimo tempo, girò l’angolo, raggiungendo la sua moto e, mettendosi il casco color verde acido, mise in moto.
 
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