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Kokoro no uragiri

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KiarettaScrittrice92
view post Posted on 4/12/2014, 18:01 by: KiarettaScrittrice92     +1   -1
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Parte ventiduesima

La donna era seduta sulla sua sedia bianca, e stava scrivendo qualcosa al computer, quando la solita bambina dai capelli ramati e lo zainetto arancione comparve con la mano tesa per restituirle la tessera magnetica del laboratorio. Lei la prese e solo quando la tessera fu nella sua mano, la bambina parlò.
“Crede sia possibile farmi tornare a casa? So che per motivi di sicurezza dovrei rimanere qui, ma se magari incaricaste qualcuno di farmi da scorta. Ho davvero voglia di riposarmi nel mio letto.”
“Sì piccola, ti capisco. - rispose la donna con un dolce sorriso, probabilmente Akai non aveva raccontato a nessun sottoposto la verità sulla sua età o su chi era veramente - Ora vedo cosa si può fare.” dopodiché prese il telefono e digitò un numero.

“Bene, - disse Jodie - è passata la mezz’ora, è il turno del tuo gruppo Camel.”
L’uomo nerboruto fece un cenno di testa e premette il tasto dell’ascensore, che si aprì subito mostrando il suo interno ampio. Con tono autoritario incitò il suo gruppo di agenti ad entrare.
Il loro compito era di dare manforte alla squadra di Akai. In modo che al massimo nel giro di un paio di ore, avessero immobilizzato tutti, così che la squadra di Jodie potesse poi portarli nei camion blindati. Nel giro di un paio d’ore avrebbero posto la parola fine a quell’organizzazione che aveva fatto il bello e il cattivo tempo su quasi tutta la malavita mondiale per troppo tempo.
Pochissimo tempo dopo erano già fuori dall’ascensore, con le pistole in mano e gli scudi pronti, avanzavano per il corridoio già percorso precedentemente dai loro colleghi.

Kazuha era appena rientrata a casa.
Appena confessati, finalmente, i suoi sentimenti ad Heiji, aveva chiuso la chiamata, imbarazzata. Subito dopo la domestica di casa Hattori arrivò con un bicchiere di aranciata e lei con un leggero grazie lo afferrò e lo bevve tutto d’un sorso, come se quel liquido freddo potesse spegnere quel calore che sentiva alle guance. Dopodiché scappò via da quella casa.
Ora che era arrivata a casa l’imbarazzo era sparito del tutto. Era davvero inutile essere imbarazzati per una cosa del genere, quando non sapeva nemmeno se Heiji sarebbe ritornato.
Lanciò la borsa in un angolo della stanza e si buttò sul letto. Si sentiva inutile.
Avrebbe voluto sapere cosa succedeva a Tokyo, se Ran stava bene, se Shinichi era riuscito a salvarla, se Heiji li avesse raggiunti, se avessero già chiamato la polizia, se qualcuno già sapeva della morte di Kogoro. Più tempo passava, più domande inondavano la sua mente, e la cosa terribile era che non aveva nessuna risposta certa a quelle domande, oltre a nessuna soluzione per sentirsi inutile.
Poteva solo rimanere lì, e pregare. Sperare che in qualche modo si salvassero tutti.
Allungò il braccio al comodino e aprì il cassetto, tirando fuori il suo portafortuna. Aprì il sacchettino viola e rosa e tirò fuori le due foto che vi erano all’interno. Quando era successo quello scambio di portafortuna col ragazzo che aveva scarabocchiato la foto di Heiji, lei l’aveva cambiata, mettendone una nuova, ed aggiungendone una di Ran.
In quel portafortuna c’era tutta la sua vita. Il ragazzo che amava e la sua migliore amica. Guardò con un’intensità profonda quelle due foto, come se volesse cercare di mandare il suo pensiero positivo a loro due in modo che stessero bene.
Era talmente immersa nei suoi pensieri che non si era accorta che uscendo le due foto dal sacchetto di stoffa si era tagliata il pollice con un lato della carta. Se ne rese conto solo qualche secondo dopo, quando il dolore la risvegliò dai suoi pensieri ed una macchia rossa proveniente dal suo dito comparì sulla foto di Heiji, come un oscuro presagio.

Ci furono due spari assordanti, ed Heiji senti improvvisamente un bruciore insopportabile alla guancia.
Il proiettile che per poco non l’aveva colpito si era andato a conficcare nel muro di fronte a lui. Come tutti gli agenti che c’erano in quell’edificio si voltò indietro, per vedere chi avesse sparato.
Davanti a lui c’era un’agente dell’FBI che aveva appena sequestrato pistola e fucile da cecchino ad uomo dell’organizzazione con un berretto calato sul viso. Heiji non l’aveva mai visto, ma non gli ci volle molto per capire che quell’uomo era colui che aveva ucciso il detective Kogoro.
Un odio incondizionato gli salì dallo stomaco. Lo sentiva ribollire da dentro, come se pretendesse vendetta. Una vendetta che ora si sarebbe compiuta.
Vide un’altro agente aiutare il suo collega ad ammanettarlo e portarlo su uno dei furgoni parcheggiati fuori dall’edificio.
Heiji continuava a fissare l’uscio vuoto con odio, quando si sentì sfiorato da una mano gentile.
Si voltò e vide Jodie porgergli un fazzoletto di stoffa.
“Tranquillo, avrà anche lui quello che si merita.”
Il ragazzo prese il fazzoletto e se lo poggiò sulla guancia sanguinante.
“Lo so. Grazie… - disse per poi voltarsi di nuovo verso l’ascensore - Dici che ce la faranno?” chiese.
“Ho fiducia in Akai e Camel, sono due agenti fenomenali, vedrai che troveranno i tuoi amici e li porteranno fuori qui.” lo rassicurò la donna.

La macchina bianca accostò al marciapiede, proprio davanti all’entrata del distretto di polizia. James uscì e dopo averla chiusa mettendo l’antifurto entrò nell’edificio.
Venne subito accolto da una signorina al bancone bianco.
“Mi dica.” disse con tono cordiale.
L’uomo tirò fuori il distintivo e lo mostrò alla donna.
“Agente Federale. Devo parlare con l’ispettore Megure. E’ parecchio urgente.”
Alla vista del distintivo la donna sbarrò gli occhi e alla richiesta dell’uomo fece solo un cenno di testa e afferrò il telefono bianco.
“Ispettore, c’è una persona che le vuole parlare, dice che è urgente… Ma ispettore, è un agente dell’FBI… Bene… - chiuse la chiamata e si rivolse di nuovo a James - Secondo piano in fondo al corridoio.”
“Grazie mille!” rispose lui con un sorriso rassicurante, facendo muovere i suoi baffoni grigi, per poi dirigersi verso l’ascensore.

Si erano fermati per l’ennesima volta.
“Vermouth, te lo ripeto… Dovresti lasciarmi qui… Ti sto solo rallentando…” disse il ragazzo.
La provvisoria fasciatura che gli aveva fatto la donna, stava già iniziando a sporcarsi di sangue e il suo fiato era sempre più corto.
“Mai! E smettila di chiamarmi Vermouth, ormai io e te non siamo più membri di quest’organizzazione. Chiamami Sharon.”
“Sì, ma…” tentò di parlare lui.
“No, stai tranquillo. Tra poco siamo arrivati al corridoio dodici. Da lì ci vogliono solo un paio di minuti per arrivare all’ascensore, sono sicura che arrivati lì troveremo gli agenti federali che ci daranno una mano.” disse la donna incoraggiando il ragazzo e ricominciando a camminare.
Appena finì la frase, un uomo dell’organizzazione sbucò da uno dei corridoi perpendicolari a quello che stavano percorrendo.
Amuro alzò la pistola. La mano ormai gli tremava violentemente. Si sentiva debolissimo ed era davvero difficile riuscire a prendere la mira. Ma sparò comunque due colpi. Il primo colpì a malapena la giacca nera dell’uomo, ma il secondo lo prese in pieno petto.
Il corpo dell’uomo cadde a terra di schianto. E gli occhiali da sole si ruppero, mostrando due profondi occhi castani spalancati e risucchiati dalla morte. Era Vodka.

Shinichi e Ran stavano correndo. Mano nella mano. Shinichi stringeva in modo quasi convulsivo la pistola, nervoso. In cuor suo sperava di non incontrare nessuno in modo che non dovesse usare quell'arma.
Ed effettivamente accadde. I due ragazzi girarono l’angolo e videro gli agenti dell’FBI, sicuramente loro li avrebbero fatti uscire immediatamente da lì.
A neanche dieci metri da loro c’era il primo gruppetto, due di loro stavano tenendo Shuichi Akai dalle braccia, che sembrava stesse guardando un corpo steso a terra. Shinichi lo riconobbe immediatamente, era Gin. I suoi capelli argentei erano sparsi su tutto il pavimento sotto di lui.
“Akai!!” urlò con tutto il fiato che aveva in corpo, mentre lui e Ran continuavano a correre in quella direzione.
Poi però qualcuno si parò avanti a loro. Frapponendosi tra i due diciassettenni e gli agenti federali. E sfumando ogni speranza del ragazzo di portare in salvo Ran.
Davanti a loro c'era quel ragazzo biondo, coi capelli più arruffati del solito, il labbro inferiore gonfio e ormai con con una crosta marrone che sporgeva. Gli occhi castano chiaro erano furiosi e quasi sadici, mentre la mano destra già puntava la pistola alla coppia.
“E’ finita Kudo! Anche se l’organizzazione morirà oggi stesso tu morirai con noi.”
“Sei tu che devi arrenderti!” disse Shinichi irrigidendosi e vedendo Ran fare lo stesso, ma dal terrore.
“E perché? Solo perché i tuoi amichetti dell’FBI sono qui? - disse, poi alzò la voce in modo che potessero sentire pure gli agenti in fondo al corridoio - Che provassero ad avvicinarsi o a sparare. Nel tempo che loro riescono a fare qualcosa io potrei anche uccidere la tua dolce metà.”
Dopo quelle parole cadde il silenzio, come se la minaccia di Ikuto avesse gelato l’aria e tutte le persone che c’erano nel corridoio. Si era creata una tensione palpabile, come se ogni persona, eccetto il biondo, fosse minacciata a morte da quell’aria tagliente come lame di coltelli.
Shinichi però non mostrò la sua agitazione. Sebbene il cuore gli martellava in petto ed ormai aveva perso tutto il suo sangue freddo, sapeva che l’unica priorità che aveva era far uscire da quel luogo Ran salva. Così allungò il braccio sinistro verso di lei a la spostò dietro il suo corpo.
“E’ inutile che cerchi di proteggerla Kudo. Presto morirete entrambi. Devi solo decidere chi dei due vuoi che faccia fuori per primo. Però sarò io a decidere in che modo.”
Il ragazzo, con la mano che non teneva l’amica ancorata a sé, alzò la pistola.
“Spara allora. Io combatterò fino all’ultimo. Non la sfiorerai più neanche con un dito. Le hai già inflitto abbastanza dolore, non permetterò che accada di nuovo.”
Il biondo alzò un’angolo della bocca in un ghigno spaventoso, reso ancora più terrificante dal suo labbro gonfio.
“Bene… Vediamo quanto resisti… Eroe…” disse, dopodiché sparò un colpo.

Edited by kiaretta_scrittrice92 - 2/3/2015, 19:07
 
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