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Kokoro no uragiri

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KiarettaScrittrice92
view post Posted on 12/12/2014, 22:28 by: KiarettaScrittrice92     +1   -1
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Parte ventitreesima

Shinichi crollò a terra. La sua gamba destra, all’altezza del suo ginocchio iniziò a sanguinare copiosamente. Ran che era ancora attaccata a lui si chinò attirata dal peso del ragazzo.
Il suo viso ormai stanco, non trasmetteva più una sensazione precisa. Era sconvolta e stravolta, aveva pianto talmente tanto che non aveva più lacrime da versare.
Mentre Ikuto scoppiava a ridere, lei continuava a supplicare Shinichi di rialzarsi, dandogli una mano a rimettersi in piedi. Ma nessuno dei due aveva più le forze per affrontare ciò che avevano di fronte. Shinichi era ferito fisicamente, ma entrambi erano anche feriti emotivamente e sembrava impossibile per loro continuare a lottare.
“Che c’è Kudo? Già ti arrendi? E’ tutta qui la tua forza di volontà nel voler salvare la tua dolce metà?” chiese divertito il biondo continuando a guardarli con quell’aria divertita.
A quella provocazione il ragazzo digrignò i denti, sia per la rabbia che per lo sforzo di rialzarsi.
Dopo vari secondi di atroce dolore al ginocchio, che continuava a sanguinare copiosamente, finalmente fu di nuovo in piedi, anche se Ran lo doveva comunque sostenere visto che non poteva reggersi su una gamba sola.
Il ragazzo era furioso. Ma ora sapeva bene cosa fare. In lontananza vedeva Akai ed altri quattro agenti dell’FBI avvicinarsi furtivamente alle spalle del ragazzo. Lui non doveva far altro che prendere tempo in modo che arrivassero a lui senza che se ne accorgesse. L’avrebbe fatto, anche a costo di morire. Per salvare Ran avrebbe fatto questo ed altro.
“Ti sbagli! Io non mi arrenderò mai!” lo provocò.
Tirò su la pistola, sperando di minacciarlo solo con il gesto.
Il biondo però non fece una piega. Non aveva nessuna paura di morire. Lui non era come quel ragazzo che aveva di fronte. Il suo amore verso la donna che l’aveva conquistato era un’amore passionale e unico, in cui non c’era spazio per sentimenti sciocchi come il sacrificio o la compassione. Conosceva la sua donna e sapeva che anche lei non si sarebbe fatta scrupoli a morire per la soddisfazione di distruggere tutto ciò che intralciava i loro piani. No, il loro non era amore. Era ammirazione, l’uno per l’altra. Nient’altro.
Sparò un’altro colpo. Velocissimo. Talmente veloce che Shinichi di nuovo non poté evitarlo.

“Niente! Non c’è nessuno in casa.” disse sbuffando Genta dopo la quarta volta che suonarono il citofono di villa Kudo.
“Ed ora cosa facciamo?” chiese Mitsuhiko, senza più altre soluzioni.
“Sentite ragazzi… Se andassimo a chiedere al dottor Agasa? Lui deve per forza sapere qualcosa.” propose Ayumi, che già da qualche minuto stava guardando nella direzione della casa del professore.
“E’ vero! Forse lui può aiutarci a capire.” esclamò Genta.
“Bene… Credo che sia l’unica alternativa che abbiamo.”
Così i tre bambini attraversarono la strada, superarono il cancello aperto e suonarono il campanello.
Hiroshi Agasa andò ad aprir loro quasi subito.
“Bambini che ci fate qui? Non dovreste essere a scuola?” chiese stupito nel vederli.
I tre passarono sotto il suo braccio ed entrarono in casa. Fu Mitsuhiko il primo a parlare.
“Ai e Conan sono scomparsi professore.” disse serioso.
“Cosa?”
Sapeva benissimo di Shinichi, ma credeva di aver accompagnato Ai a scuola, perché ora dicevano che era sparita?
“Esatto! - confermò Ayumi - Conan non è mai entrato in classe, mentre Subaru Okiya è venuto a prendere Ai a scuola, ma a casa sua non c’è nessuno.”
“E se Okiya l’avesse rapita?” propose con aria preoccupata Genta.
“Ma no… Okiya è una brava persona… Non potrebbe mai. Vero professore?” chiese Mitsuhiko, come se avesse bisogno di una conferma della sua affermazione.
In realtà neanche il professore sapeva cosa rispondere. Non sapeva davvero se fidarsi di quel ragazzo universitario che Shinichi aveva subito accolto a casa sua. Inoltre ricordava bene come la bambina che viveva insieme a lui reagiva alla sua vista, come se fosse uno di loro. Eppure ricordava che Shinichi si era sempre fidato ciecamente di lui, quindi una ragione ci doveva essere.
“State tranquilli ragazzi. Sono sicuro che torneranno presto.” rispose con un sorriso.
“No. Ai non tornerà.”
Tutti e quattro si voltarono verso la persona che aveva parlato.
Agasa aveva lasciato la porta d’ingresso aperta. Sull’uscio c’era una bellissima ragazza dai capelli corti e ramati, e gli occhi verde-acqua. Era alta e snella, con un corpo da favola, fasciato in un paio di jeans e un maglione giallo.
“Shiho, ma…?” chiese l’uomo sconvolto, ma lei rispose alle bocche spalancate dei tre bambini.
“Ai non può tornare…”
“Perché? - urlò Ayumi - Chi sei tu? Come fai a saperlo?”
“Già… - intervenne Genta - Non è che le hai fatto qualcosa di male?”
Solo il bambino lentigginoso rimase zitto. Continuava a fissare quella ragazza. Il suo modo di incrociare le braccia attorno al petto. Il suo modo di parlare e camminare. La sua aria saccente e il suo tono di voce freddo e serio.
Non poteva negare il pensiero che gli stava affiorando violento nella testa.
“Ai… Sei tu vero?” chiese ad alta voce.
Lei si voltò verso di lui. Ma non ci fu bisogno di parole. Bastò quello sguardo per dargli la conferma di quello che temeva.

La squadra di Camel continuava ad avanzare imperterrita, in lontananza iniziava a vedere gli ultimi membri del gruppo di Akai.
L’agente si stupì. Com’era possibile che fossero ancora così indietro? Capì che probabilmente si erano dovuti fermare per qualche motivo, perciò fece cenno ai suoi uomini di avvicinarsi con passo più veloce, ma sempre di soppiatto. In modo che se ci fosse stato un qualsiasi pericolo sarebbero potuti essere di supporto alla squadra.
Non aveva nessuna intenzione di rifare l’errore di due anni prima. Questa volta sarebbe stato di vero aiuto ad Akai, non avrebbe più intralciato i suoi piani, per questo voleva essere sicuro di quello che faceva.
Appena arrivò agli ultimi due agenti della squadra del suo collega si avvicinò a loro e parlò.
“Cosa succede?” chiese sottovoce.
I due spiegarono la situazione in cui si trovava la squadra, dicendo che era stato lo stesso Akai ad ordinare di rimanere immobili in modo che l’uomo in nero non si accorgesse di nulla.
Così, Andre Camel, fece fermare anche la sua squadra dicendogli di aspettare il suo via libera.

Arrivarono al corridoio dell’ascensore e proprio in quel momento sentirono lo scoppio di un’arma da fuoco. Scoprirono che la situazione era davvero precipitata.
Davanti a loro si stava svolgendo una scena sconvolgente.
Shinichi era ferito al ginocchio sinistro e alla spalla destra, Ran lo reggeva a fatica. Ikuto con sguardo sadico e divertito guardava la scena. Mentre dietro di lui un piccolo gruppo di agenti dell’FBI si stavano avvicinando, probabilmente per bloccarlo.
Vermouth però sapeva che a quella velocità Shinichi si sarebbe trovato come un colabrodo prima che riuscissero ad arrivare. Sapeva, allo stesso modo, che se fossero andati più veloci, sarebbero stati scoperti. Non sapeva assolutamente cosa potesse fare, ma Amuro, sebbene fosse ormai allo stremo delle forze ebbe un’idea ancor prima di lei.
Puntò la pistola verso suo cugino. La donna capì subito le sue intenzioni e mise la sua mano sopra quella del biondo in modo che non tremasse e che prendessero la mira assieme.
Fu un colpo preciso che colpì la mano del ragazzo, facendoli volare lontano la pistola. A quel colpo Ikuto ebbe appena il tempo di portarsi la mano sana a quella sanguinante con un urlo di rabbia e voltarsi verso i suoi aggressori che sbucavano dal corridoio da cui era arrivato lui, per poi sentire dei passi veloci che lo raggiungevano.
In pochissimo tempo gli agenti gli furono addosso e gli bloccarono le mani, ammanettandogliele dietro la schiena.
“Questo e Gin sono pericolosi. Portateli subito ai camion blindati.” ordinò Shuichi Akai con tono serio.
A quelle parole due agenti scortarono Ikuto verso l’ascensore, mentre altri due issarono Gin e lo trascinarono via seguendo i colleghi.
Solo a quel punto Camel si avvicinò al suo collega.
“Andre, come mai ci sei tu?” chiese Shuichi stupito di vedere il collega.
L’agente gli sussurrò qualcosa all’orecchio.
“Capisco! Ascolta… alcuni dei tuoi agenti dovranno scortare i ragazzi fuori di qui, e poi sarà necessario chiamare un’ambulanza.”
“No! - urlò Shinichi cercando di reggersi da solo, senza l’aiuto di Ran. - Non me ne andrò di qui finché non vedrò tutti i membri di questa organizzazione arrestati.” a quelle parole però crollo a terra, colpito da una fitta allucinante al cuore.
“Shinichi che ti succede?” chiese Ran preoccupata vedendolo portarsi la mano al petto.
Proprio in quel momento intervenne finalmente Vermouth, avvicinandosi lentamente e reggendo ancora Amuro sotto braccio.
“Sharon! - esclamò Akai vedendola sbucare dal corridoio, poi si rivolse ai suoi - Aiutatela!”
Subito due agenti si avvicinarono a lei e presero in custodia Amuro.
“Dovete portarli in ospedale tutti e tre, ma non prima di avvertire la scienziata.” disse la bionda con tono serio.
Akai fece un cenno di testa, aveva capito perfettamente il motivo di quella proposta. Probabilmente il ragazzo stava per riprendere il suo aspetto da bambino e non poteva accadere davanti a tutti altrimenti si sarebbe scatenato uno scandalo.
“Quanto tempo abbiamo prima che torni com’era?” chiese.
“Non… Non più di mezz’ora… - fu Shinichi a rispondere, alzando lo sguardo verso l’agente federale - Da quando iniziano i dolori di solito resisto una mezz’ora, forse un po’ di meno visto che ne ho presi due consecutivi.” specificò.
“Maledizione! - imprecò l’uomo - L’ambulanza non arriverà mai in tempo.”
“Possiamo portarli con un’auto. In fondo ce ne sono molte.” propose Camel, anche se non capiva cosa stava succedendo.
“Bene… Credo sia l’unica soluzione. Camel, ci penso io alla tua squadra. Tu porta questi tre in ospedale di corsa!”
Senza obbiettare il robusto agente federale aiutò i suoi colleghi a scortare i tre ragazzi verso l’ascensore.
"Vengo anche io..." disse la bionda, facendo per seguirlo.
"No! - la bloccò Akai - Tu mi servi qui!" concluse mentre prendeva il cellulare in mano e digitava un numero.

“Quindi neanche Conan esiste sul serio?” chiese la piccola Ayumi con le lacrime agli occhi.
Il pensiero che il suo primo amore era in realtà un ragazzo di diciassette anni l’aveva sconvolta. Era come se di punto in bianco Conan Edogawa fosse sparito in uno sbuffo di magia. Invece la verità era che non era mai esistito e questo pensiero le stringeva il cuore di una morsa.
“Mi spiace davvero ragazzi, di avervi mentito, era solo per tenervi al sicuro…” disse la ragazza con tono affranto.
Il bambino grassoccio tirò su col naso, anche lui era rimasto scioccato dalla scoperta, ma forse era quello che l’aveva presa meglio.
“Non è colpa vostra! Dircelo non avrebbe cambiato le cose…” disse.
“Non avrebbe cambiato le cose?? - urlò Mitsuhiko all’amico - Ma non capisci?? Ayumi era innamorata di Conan, ed io…” si bloccò perché non voleva confessare il suo amore verso Ai, visto che ora la ragazza gli era proprio seduta a fianco.
“Lo so benissimo! - rispose a tono Genta - Ma non pensi a quello che ci ha detto lei l’altro giorno? Non pensi che magari non ci abbiano detto delle cose per proteggerci? Forse dovremmo capirli, che ne dite?”
Ci fu qualche minuto di silenzio, poi fu Ayumi a parlare.
“Ha ragione Genta. Dovremmo ringraziarvi per esserci stati amici e allo stesso tempo averci protetti…”
Proprio in quel momento il cellulare di Shiho squillò.
Lei lo prese dalla tasca dei jeans e rispose.

Edited by kiaretta_scrittrice92 - 2/3/2015, 19:07
 
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