Grazie a tutti per i vostri splendidi commenti, eccovi il 7 capitolo buona lettura a tutti!!!7 Capitolo: Verso una nuova destinazione
Ecco, erano arrivati.
Il comandante aveva appena dato l'annuncio tramite autoparlanti. L'aereo si stava prepararando all'atterraggio. La piccola scienziatina continuo a guardare oltre i finestrino con un espressione assente e smarrita, man mano che si avvicinavano a terra un nuovo paesaggio si apriva sotto i suoi occhi ma lei non prestò attenzione, solo quando sorvolarono la baia un mormorio di sgomento le sfuggì dalle labbra.
Nell'aereo, il via vai delle infermiere, non era cessato neppure un momento durante tutto il viaggio. Una di loro passandole accanto le strinse il braccio brevemente, una stretta fredda, ma forte che rincuorò la piccola ragazzina dai capelli ramati.
Ai non era affatto contenta di quel viaggio fuori programma. Da quando avevano lasciato Tokyo non aveva proferito parola, si era chiusa in un ostinato mutismo. Si sentiva, offesa, furiosa, inebetita. La decisione di trasferirsi a New York era stata presa da Black in modo repentino e senza neppure consultarla, non le avevano di avvisare il Dr Agasa né i suoi piccoli amici.
Di sicuro dopo aver letto il suo biglietto, la squadra dei Detective Boys si era messa all'opera per tentare di ritrovarla e riportarla indietro, almeno lei, sì, perché c'era qualcuno che loro credevano morto e di cui piangevano la scomparsa… se solo avessero potuto sapere che Conan era ancora vivo, che gioia avrebbero provato!
Il suo sguardo cadde nella tendina poco distante da lei, nella quale era sistemato un lettino d'ospedale, i macchinari a emettere sempre il solito "Bip". Shinici era lì, ignaro di dove si trovasse, e con chi. Chissà quale sarebbe stata la sua reazione appena sveglio e in grado di comprendere cosa stava accadendo: di sicuro avrebbe fatto una scenata, avrebbe subito voluto chiamare Ran, rassicurarla che era vivo, avrebbe voluto tornare in Giappone e non avrebbe tollerato di essere stato messo a forza nel Programma di Protezione Testimoni. Chissà… forse avrebbero potuto allearsi e ribellarsi, così forse avrebbero convinto James e Jodie a farli tornare in Giappone, dove avrebbero ripreso nuovamente a vivere la loro vita esattamente come prima.
Una speranza in cui Ai si aggrappava e lo sperava con tutto il cuore.
L'aereo atterrò, poco dopo comparve un' hostess che accompagnò i passeggeri fino all'uscita. L'ambulanza era già in attesa. La barella fu condotta fuori con delicatezza da un paio di giovani portantini affiancati dai due agenti che avevano rapita Ai da casa di Agasa, seguirono poi la piccola scienziata, Jodie e Camel.
Un' audi nera si fermò davanti l'aeroporto, proprio nel momento in cui l'aereo privato noleggiato dall'Fbi atterrò a terra. Ne discese un uomo in giacca e cravatta, alto, sui cinquant'anni, una folta chioma argentata, la barba tagliata con cura; si avvicinò all'entrata, mostrò uno speciale cartellino a un agente che annuì lasciandolo passare, poi facendosi largo fra la folla raggiunse il bancone informazioni dove parlò con un assistente di terra. L'addetto sollevò il ricevitore, poche parole e un paio di uomini dall'aspetto impassibile comparvero all'improvviso, scortandolo fino alla pista con un piccolo veicolo. Si affiancarono all'ambulanza lui scese e controllò che tutte le sue disposizioni fossero state eseguite alla lettera. Voleva mettersi subito al lavoro, Black si era raccomandato molto, voleva che il ragazzo avesse tutta l'assistenza del caso e senza badare a spese.
"lei deve essere il dottore che si occuperà del ragazzo." Chiese Camel avvicinandosi con la mano tesa.
"Si sono Peter Simpsons, neurologo."
"Andre Camel." I due si strinsero brevemente la mano. "Mi raccomando dottore siamo nelle sue mani." Proseguì l'agente dell'Fbi in tono grave accennando al bambino.
"Purtoppo non faccio miracoli e senza prima averlo visitato non posso dire nulla di certo, la cartella clinica che ho ricevuto non promette niente di buono, tuttavia, vi prometto che farò quanto mi è possibile." Il dottore rivolse a quel ragazzino inerme, uno sguardo carico di tenerezza e una smorfia di disappunto si dipense sulle sue labbra. "Nonostante gli anni di professione fa sempre un certo effetto vedere un bambino ridotto in questo stato."
"Già." Sospirò Camel.
"Black non ha voluto entrare nei particolari, mi ha detto solo che è la vittima di un brutto incidente.
"E per ora è tutto quello che deve sapere."
"Capisco, deontologia professionale giusto? Voi agenti dell'Fbi avete la bocca cucita!"
"Se la vuole mettere in questo modo…" ribattè Camel.
Il dottore sorrise, "deve scusarmi non volevo irritarla, vede è un mio grande difetto esser curioso di natura, tuttavia capisco che non è possibile sapere sempre tutto e comunque non cambierebbe nulla al mio lavoro." si voltò verso le infermiere rivolse loro le ultime raccomandazioni, poi si congedò da Camel, risalì sul piccolo veicolo e ritornò verso l'aeroporto.
New York…
Poco dopo l'atterraggio iniziò a cadere una fitta pioggia, la bambina si coprì con il cappuccio della sua felpina rossa. Il vento prese a soffiare forte, come a voler spazzar via quegli intrusi. Era così che si sentiva, un intrusa in un altro mondo. Una piccola bambina davanti a una città immensa come quella.
Era già sera oramai nella grande metropoli e Ai quasi s'incantò nel vedere quello spettacolo. Se non fosse stato per quel momento, di sicuro lo avrebbe apprezzato. Tutti i palazzi erano illuminati dalle luci al Neon, le quali si riflettevano sull'acqua, ma la Statua della Libertà, simbolo principale, era circondata da illuminarie che la fecero sembrare ancora più immensa.
Jodie e Ai s'incamminarono verso l'interno dell'aeroporto in assoluto silenzio.
"che dici, andiamo al bar a mangiare qualcosa?" chiese alla piccola scienziatina sperando di distrarla e lei annuì con indifferenza.
Le due si sedettero a un tavolino, ma c'era qualcosa che rendeva parecchio irrequieta l'ex insegnante d'inglese che continuava a guardarsi attorno circospetta, cosa che irritò molto Ai.
"Non credo siano venuti fin qui per cercarci, stia tranquilla. In fondo siamo arrivati con un aereo privato e almeno che Gin sia dotato di ali, cosa di cui sono poco convinta, siamo completamente Isolati." sottolineò quest'ultima parola per evidenziare tutto il suo rancore e la sua disapprovazione di quella scelta forzata a cui era stata costretta.
Jodie non rispose, ma sorgeggiò la sua tazza di caffè. Si sentiva inquieta, non del tutto tranquilla, ma forse Ai aveva ragione. Non potevano averli seguiti. Si alzarono e a quel punto Jodie vide con la coda dell'occhio una figura nera che le scrutavano. Si girò subito, ma quella strana presenza era sparita.
'no, non possono essere anche qui…' agitò la testa come per scacciare quel pensiero e si avviarono verso l'uscita dell'aereoporto.
Una volta in clinica Conan venne sistemato in una stanza, chiusa a chiave sorvegliata da Camel e da altri uomini. Anche Ai volle restare in clinica nonostante le vivide proteste di Jodie. La bambina si sedette davanti alla sua stanza e restò in attesa. I suoi pensieri erano tutti rivolti a Shinici, sperando da un momento all'altro si svegliasse.
Una parte di lei avrebbe voluto prenderlo a schiaffi per il suo comportamento impulsivo e inconscente.
L'altra invece…
Desiderava tanto abbracciarlo. Quanto avrebbe voluto potergli confidare i suoi veri sentimenti.
Ma conosceva già la risposta. Lui amava Ran, la sua vecchia amica d'infanzia. Sapeva che niente e nessuno avrebbe potuto sostituirla.
E allora i sentì una stupida per aver pensato anche solo un momento di potergli confessare i suoi sentimenti.
Una piccola lacrima gli rigò il volto da bambina e strinse ancora di più i suoi piccoli pugni.
Jodie intanto ne approffitò per andare a parlare col dottore Simpsons. Percorse il corridoio e andò nel suo ufficio. La porta della stanza era aperta. La donna oltrepassò silenziosamente la soglia. Peter era intento a consultare la cartella clinica di Conan proveniente dall'altro ospedale, era una lettura attenta e assorta che di tanto in tanto gli faceva corrugare la fronte e arricciare le labbra. Jodie palesò la sua presenza con un leggero colpo di tosse. L'uomo sollevò immediatamente lo sguardo, si alzò dalla scrivania e con fare molto elegante si diresse verso la donna stendendo la mano. Peter era un uomo molto avvenente, un tipo atletico, dal sorriso smagliante e dai modi gentili.
"Salve mi chiamo Jodie starling."
"So chi è, James mi ha parlato di lei. Prego si accomodi." Prese una sedia e la posizionò davanti alla sua scrivania, poi con accompagnando il gesto con un sorriso fece cenno ad Jodie di sedersi.
"vorrei sapere qual è la sua opinione dottore, ha visitato il bambino, ha letto la sua cartella clinica: che idea si è fatto?" chiese la donna senza tanti preamboli.
L'uomo appoggiò i gomiti sulla scrivania e poi fissò pensieroso la relazione che aveva davanti. "Senza dubbio la situazione è critica e sicuramente dovranno essere effettuati altri esami, tuttavia credo che alcune considerazione dei miei colleghi siano state fatte in modo troppo frettoloso e poco professionale. Con questo non voglio creare nessuna falsa speranza, prima di poter dire qualcosa di certo dovrò fare altri controlli.
"Quindi non tutto è perduto dottore?"
"Diciamo che esiste una piccola possibilità che il bambino possa riprendersi, ma qui lo dico e qui lo nego, lei capisce…"
Jodie non poteva credere a quello che sentiva, anche se il condizionale era d'obbligo, forse non era tutto perduto, esisteva una flebile, piccola speranza che Conan potesse salvarsi, rimase per un attimo interdetta, combattuta dalla voglia di non lasciarsi prendere da vane speranze e quella di correre da Ai per raccontarle quello che aveva saputo, ma poi ripensò alle parole del medico, in fondo non c'era ancora nulla di certo e illuderla inutilmente sarebbe stato crudele, forse era meglio aspettare che venissero fatti altri controlli, almeno avrebbe potuto dare alla bambina una risposta esauriente. Si alzò in piedi, salutò il dottore con una vigorosa stretta di mano e uscì dalla stanza. Si sentiva un po' pià sollevata. Andò in bagno per ricomporsi, la sua immagine davanti allo specchio la fece rabbrividire sembrava invecchiata di almeno dieci anni: occhiaie viola e infossate, occhi rossi dalla stanchezze e il viso pallido, come quello di uno zombie. Ecco cosa sembrava, uno zombie. Uscì dal bagno e appena ne varcò la soglia, senti i nuovo lo strano presagio:
due occhi che la fissavano.
Si girò di scatto, ma non c'era nessuno.
Eppure gli era sembrato di aver visto di nuovo quella figura nera.
Andò da Ai, la quale non mosse un muscolo, sembrava una statua. Si sedette accanto e insieme rimasero lì, una di fianco all'altra, ognuna immersa nei proprio pensieri.
I giorni successivi furono frenetici, tutti gli esami svolti diedero esito negativo, e persino l'ematoma che premeva sul cervello cominciava a riassorbirsi, il dottore era certo che esisteva una possibilità che Conan sopravvivesse, tutto dipendeva dal ragazzo e da quanta ostinazione dimostrasse nel voler continuare a vivere.
Ai e Jodie si sentirono rincuorate ora dovevano semplicemente aspettare, aspettare e sperare.