| FILE XIX:
ONCE UPON A TIME:
Ran si ammutolì, scrutando l’incredibile bambino con sguardo inquieto.
«Ran, Sonoko ti ha rivelato qualcosa?», domandò quest’ultimo.
«A che riguardo?», rispose la giovane.
«Quando si è presentata qui, come ben sapete, ha consegnato il messaggio per Akira, ma nessuno si è domandato chi glielo avesse fornito.»
«Hai ragione, non ci ho fatto caso. Scusami, ma ero troppo sconvolto perché mi potessi accorgere di un particolare del genere», dichiarò Kogoro, che stava cominciando a riprendere il totale controllo della propria mente.
«Dobbiamo farla parlare per scoprire tutta la verità», mormorò Shinichi, tradendo una pericolosa curiosità.
La liceale si alzò e si avvicinò al letto in cui era stata adagiata l’amica, sdraiandosi accanto a quest’ultima, le cui pupille erano orribilmente dilatate.
«Sonoko, riesci a sentirmi? Sono Ran, la tua migliore amica.»
La ragazza non rispose.
«Ti prego, rispondimi… non fare così», mormorò Ran, avvinghiandosi al corpo della liceale, rilevando un funesto tremore che percorreva tutto il suo corpo.
«Sonoko, che ti hanno fatto?», domandò la ragazza piangente.
Il vasto vuoto dell’orrore pervase la stanza.
«Erano in due: prima mi hanno tolto i vestiti, poi sono andati oltre…»
Ran spalancò gli occhi.
«Mi hanno detto che tutto faceva parte di un piano... che ero solo un’infima parte di un’immensa volontà. Hanno detto che, in realtà, non esiste nulla, che è tutto il sogno di un pazzo, di un’anima morente e della Morte Rossa.»
Mentre la voce di Sonoko scandiva meccanicamente e senza forza la narrazione del suo abuso sessuale, la confidente avvertì un incommensurabile disgusto, che si mescolò oscenamente con un astio incontrollabile, ferale e immenso.
«Per tutto il tempo, mentre urlavo e mi dimenavo, ho visto solo i loro cappucci e le loro maschere, che riflettevano tutto ciò che mi facevano come gli specchi. Quei volti inespressivi mi deridevano…»
Ran si alzò barcollando e svenne davanti alla porta. Kogoro sprofondò nuovamente nei sensi di colpa, gettandosi sul pavimento e iniziando a singhiozzare.
«Una volta finito, mi diedero un foglio, ordinandomi di andare all’albergo per consegnarlo a un uomo di nome Akira, aggiungendo che ognuno di noi sarebbe stato colpito dritto al cuore... e che mi avrebbero assalita di nuovo se non avessi completato il lavoro. È tutto.»
L’allucinante e robotica intonazione della giovane era sufficiente per capire che non si sarebbe mai ripresa. Conan urlò verso il cielo, maledicendo Morte Rossa e i suoi eternamente dannati seguaci.
Un grido rispose dall’esterno dell’albergo. Il disperato detective liceale si affacciò alla finestra, intravedendo una donna sconosciuta che incespicava delirante nel sangue dei morti. Ella si alzò, intravedendo il suo volto, e si precipitò verso l’albergo in cerca di aiuto.
Un proiettile le perforò la gola, zittendo i lamenti della moribonda. Conan portò la mano verso la bocca.
Due uomini incappucciati si avvicinarono al corpo della condannata prima di puntarle le mitragliatrici alla tempia e aprire il fuoco. Gli assassini si voltarono, infine, verso Conan Edogawa, scrutandolo minacciosamente.
Le loro vitree maschere lucide, macchiate di sangue e prive di espressione, mostravano freddamente i rimasugli della civiltà, le rovine e la cenere della morte. Chinarono la testa in segno di rispetto e si allontanarono.
«Maledetti bastardi… mi sentite? Vi ammazzerò tutti!»
Le grida disperate di Akira, ancora in preda alla rassegnazione, risvegliarono la moralità di Shinichi Kudo, che, per la prima volta nella sua vita, aveva consciamente provato il brivido del desiderio proibito, non più una semplice brama di vendetta all'interno della legalità... aveva aspirato ad ammazzare a sangue freddo quegli esseri immondi e il mostruoso abominio senza volto che li guidava.
Edited by MAN_IN_BLACK - 5/5/2012, 17:16
|
