Un matrimonio può trasformarsi nel teatro di un delitto?
FILE 10. L'invito
Eravamo andati a pranzo in quella nuova tavola calda che tanto affascinava Bianca. L’aria rustica del luogo aveva consentito di immergerci in un’armonia sincera e pacata. Persino i soliti punzecchiamenti di Flavio mi erano rimbalzati addosso quasi avessi una sorta di scudo invisibile prodotto dalla mia mente. La famiglia che gestiva il Lions, era abbastanza affidabile. Il capofamiglia era un uomo sulla sessantina leggermente brizzolato e ad aiutarlo c’erano moglie e due figli.
«Oh, diamine!» esclamò Flavio uscendo dal locale.
«Cosa c’è, papà?» domandò Bianca.
«Mi sono ricordato che un mio vecchio amico in questi giorni si è sposato civilmente e ho dimenticato di fargli gli auguri».
«È da te » intervenni.
«Lo sai che anche senza casi tra i piedi sono un uomo molto impegnato, no?».
Mai cavolata fu più enorme. Quando non aveva casi «tra i piedi», Flavio si alzava alle dieci del mattino, scriveva qualche piccolo promemoria sull’agenda, poi guardava in tv i principali notiziari e infine consultava per il resto della giornata tutti i siti di golf, sua vera passione, di cui ricordasse il nome. Poteva uscire solo per una breve passeggiata, dalla quale ritornava con una spesa personalizzata, fatta esclusivamente per le sue esigenze. Acquistava tonnellate di patatine e salatini e accompagnava il tutto con due, tre casse di Beck’s, la sua birra prediletta.
«Mi aveva anche detto che mi avrebbe invitato in chiesa. Chissà se il suo invito è già arrivato».
«È probabile».affermò Bianca.
Una volta a casa, Flavio aprì lentamente la cassetta delle lettere estraendo una miriade di bollette ed un altrettanto impressionante numero di depliant pubblicitari. Una volta arrivati in studio si sedette sul divanetto in pelle ed esaminò minuziosamente tutta la posta recapitatagli.
«Pubblicità, pubblicità, bollette, bollette, bollette, ancora un depliant e … eccolo qui» disse alzando al cielo un biglietto ripiegato in due, di colore bianco e sporcato agli angoli con degli sprazzi argentei. Il biglietto si presentava più o meno così:
Alla cortese attenzione della famiglia Moggelli
Invito valevole per la partecipazione alle nozze intime dei signori Riccardo Gardonia e Carla Nurseri che si terranno lunedì alle ore diciotto in punto. La cerimonia si terrà presso “L’Atollo”, piccolo alberghetto situato a Madonna di Campagna che per l’occasione sarà addobbato come chiesa. Si prega di onorare gli sposi con la propria presenza.
In fondo al biglietto c’erano le firme fotocopiate dei due piccioncini e alcune decorazioni di carattere ecclesiastico che mi colpirono molto per la loro sobrietà.
«Lunedì è domani!» esclamò Bianca. «Papà, dimmi che hai già fatto loro un regalo!» proseguì con occhi caritatevoli verso Flavio.
«Be’… ecco io … non ne ho avuto il tempo! Non pensavo che avrebbe avuto il coraggio di invitarmi!».
«Uh? E perché mai?» dicemmo io e Bianca contemporaneamente guardandolo con diffidenza.
«Ehi, via quegli sguardi da spie dalla faccia! È solo che Riccardo è un ex poliziotto e per un po’ abbiamo lavorato insieme».
«Davvero?» ripetemmo in coro io e Bianca.
Poi lei si voltò verso di me.
«La vuoi piantare di ripetere tutto ciò che dico?».
«Potrei dire lo stesso, cara» ribattei ironicamente.
«Dicevo,» continuò accendendosi una sigaretta «che era anche molto in gamba. Ricordo che quando arrivai in polizia lui era già lì da parecchio tempo. Era un semplice poliziotto, ma aveva la stoffa per diventare ispettore, se non commissario».
«E perché credevi che non ti avrebbe invitato?» domandò ancora Bianca appoggiandosi al divanetto.
«Un giorno, in servizio, io e Riccardo fummo coinvolti in una rissa. Un criminale che avevamo in custodia, scappò senza ritegno. Se non sbaglio si trattava di un cretino che aveva avuto il coraggio d aggredire un’adolescente. Comunque,» e si tolse la sigaretta dalle labbra «litigammo furiosamente senza alcun controllo. Un giorno venne in questura e comunicò a tutti che si sarebbe ritirato da ogni incarico. Era ancora giovane e nessuno riusciva a spiegarsi questa decisione. Solo alcuni mesi dopo scoprimmo che era gravemente malato».
Bianca si rabbuiò in viso e per un momento mi parve che avesse gli occhi lucidi.
«E dimmi,» domandai cercando di spostare l’attenzione su qualcos’altro «perché avete fatto a botte?».
«Ma no, non tra di noi, cosa hai capito?!».
Sobbalzai e mi sentii un vero idiota.
«Io e Riccardo facemmo a botte con un altro sospetto, che aveva lanciato dure accuse nei nostri confronti. Mi sferrò un pugno dritto sul naso e così …».
«Avete finito per scaricarvi a vicenda le responsabilità della fuga del criminale che avevate in custodia, non è vero?» domandò Bianca.
Flavio annuì e spense la sigaretta nel posacenere di cristallo.
«E adesso come sta?».
«Per fortuna è stato abbastanza forte da sconfiggere la malattia, fidanzarsi con una bella ragazza e rifarsi una nuova vita. Non è da tutti avere quella forza interiore e credo sia da ammirare»
Annuimmo convinti.
«E tu cosa farai?» mi chiese Bianca voltandosi verso di me.
«Eh? Che voi dire?» domandai curioso.
«Che fai? Vieni al matrimonio?».
«Oh, ecco … io, non credo proprio che …».
«Non posso lasciarti qui, lo sai bene. Verrete con noi, sia tu, che Andrea».
«Ma Flavio,» risposi adirato «io non conosco nemmeno lo sposo! Non mi pare proprio …».
«Ascolta, tu sei maggiorenne, no?».
«Certo».
«E in normali circostanze avrei potuto fregarmene, non ti pare?».
«Sicuro».
«Ma qui non sei a casa tua, con i tuoi genitori. Il tuo tutore sono io, attualmente. E se per caso dovesse succederti qualcosa, amico, sai che fine faccio?».
«Sbarre?».
Annuì. «Senza contare che mi tolgono la licenza per investigare. Quando i titolari delle agenzie investigative hanno aderito al PSD, hanno acconsentito anche all’accordo di essere totalmente responsabili nei confronti dei ragazzi. E tu sei sotto la mia salvaguardia, pur essendo maggiorenne».
«Sì, capisco, ma non starai esagerando? Voglio dire, si tratta di poche ore e poi ricordati che a Fondi …».
«Bla, bla, bla … abitavi da solo, le ispezioni, i tuoi zii ti erano vicini e un sacco di cose carine. Ma non si discute proprio. Quindi, tu e il marmocchio infilatevi una camicia e una giacca e seguitemi».
Feci una faccia insoddisfatta, ma detestavo dargli ragione.
«Papà!» urlò Bianca facendoci sobbalzare.
«Che cosa c’è? Perché urli?» rispose Flavio.
«Il regalo! Già te ne sei scordato?»
«Gli regalerò dei soldi, così potranno coprire le spese del matrimonio. Soddisfatta?».
«Quanti …».
«Quanti … cosa?».
«Quanti soldi metterai in busta?».
«Mah,» si strizzò da capo a piedi «penso un centone».
«E non ti vergogni?».
«Duecento …?» chiese con un po’ di timore.
Lo sguardo di Bianca non cambiò espressione. Rimaneva cinico e indignato e gridava vendetta.
«Un tuo vecchio amico di vecchia data ti invita al suo matrimonio dimenticando tutti i rancori, una persona da ammirare che corona il sogno d’amore della sua vita … vale solo duecento euro? Ma non ti vergogni?».
«Ehi, quando misi in piedi l’agenzia, duecento euro valevano una settimana di pedinamenti. Non mi pare che siano spiccioli, no Alex?» e si voltò verso di me cercando approvazione.
«Già, Alex» Bianca pronunciò il mio nome con una forza tale da incutere timore persino ad Hulk Hogan. «Da che parte stai?» e ruotò la destra verso destra.
«Ah, no. Io ne resto fuori» riuscii a dire. Poi ritornarono a discutere con lo stesso animo di pochi secondi prima.
«I tempi sono cambiati! Ora guadagni molto di più!».
«Non gli devo mica firmare un assegno! Dannazione, Bianca …».
«Cinquecento».
Flavio sbiancò e per un attimo immaginai che all’apertura del suo portafoglio fossero volate via milioni di tarme.
«Almeno» rincarò la ragazza.
«Tu sei fuori di testa. Cinquecento euro sono …».
«Giusti» lo interruppe «per la situazione in cui ci troviamo. Anzi, sono anche pochi».
«Stai delirando».
«E allora andrai al matrimonio da solo. Noi non veniamo, non è vero Alex?».
Stetti zitto.
«Non è vero, Alex?» e mi guardò così male da costringermi a rispondere.
«Verissimo, Bianca».
Poi si voltò verso suo padre e fece un enorme sorriso, al quale nessun papà avrebbe potuto resistere troppo a lungo. «E sia, ma stiamo letteralmente bruciando i soldi».
Alle quindici del giorno dopo, tutti eravamo pronti per avviarci verso Madonna di Campagna, un quartiere esteso di Torino, mi aveva detto Bianca, in cui risiedevano circa cinquantamila anime. Flavio aveva indossato uno splendido smoking nero e mai era apparso ai miei occhi così elegante da quando lo conoscevo. Si era perfino dato un taglio alla barba, solitamente incolta, e questo significava che si stava davvero impegnando. Bianca era uno spettacolo della natura, qualcosa di davvero vicino alla perfezione. Indossava un vestito grigiastro senza spalline, lungo fino al ginocchio. I muscoli delle spalle risaltavano e la schiena nuda trasudava un’incredibile sensualità. Ai piedi un paio di sandali con tacco dodici.
«Non sono troppo alti?» le domandai, ma mi lanciò un’occhiata che non mi piacque affatto e mi ripromisi di non fare mai più apprezzamenti o critiche sull’abbigliamento femminile in vita mia.
Andrea appariva come un principino. Gli avevo comprato un completo bluette, che risaltava ancor di più con la camicia bianca che indossava. «Ma arrivato lì posso togliermi tutta questa roba?» mi aveva chiesto non appena lo avevo vestito di tutto punto.
In quanto a me, volevo indossare una semplice camicia, visto che non avevo alcuna intenzione di andare a quel matrimonio. Ma Bianca è una donna e sapete come sono fatte le donne, no? Ventiquattr’ore prima, nel pomeriggio, aveva setacciato palmo a palmo il centro commerciale della città per trovare qualcosa che mi facesse risaltare, e cito testualmente, «minimamente appetibile». Alla fine si accontentò di una camicia bianca, una cravatta nera ed una giacca sportiva dello stesso colore. Abbinai il tutto ad un paio di mocassini e ad un pantalone classico. Tentai di pettinarmi i capelli come di consueto, verso l’alto, ma me li spettinò terribilmente, dando loro una piega verso il basso.
«Mamma, posso giocare nell’hotel?» le avevo detto.
«Solo se ti comporterai bene» mi aveva risposto con ironia.
Ah, queste donne.
Il matrimonio, come scritto nell’invito, si sarebbe svolto in un piccolo hotel chiamato L’Atollo, che per l’occasione era stato addobbato come chiesetta. Al nostro arrivo trovammo solo pochi invitati. Oltre a noi e agli sposi, c’erano altre cinque persone.
Entrammo nell’alberghetto e ci dirigemmo immediatamente verso la reception. La receptionist era una donna sulla ventina, con dei capelli biondo platino raccolti in un elegante chignon.
«Signorina,» incominciò Flavio «dove sono …», ma fu interrotto da una voce potente, quasi baritonale. Bianca emise un gemito di terrore e quando mi voltai, era sollevata ad almeno un metro da terra da un uomo sconosciuto. Sul mio viso si dipinse un’espressione determinata, ma tutte le mie buone intenzioni furono stoppate quando Flavio andò incontro a quel tizio.
«Ah Ah Ah! La mia piccola Bianca! Siamo diventate signorine, non è vero?» domandò a Bianca, che per tutta risposta cominciò a ridere. Il tipo era abbastanza giovanile, con i capelli brizzolati e nemmeno un filo di barba a rendergli il volto sporco. La sua mascella era così importante e liscia che avrebbe potuto tranquillamente fungere da spazio di atterraggio per un jet privato e i suoi bicipiti così larghi da dar l’impressione di poter sollevare un treno merci. Il suo viso dava un senso di sicurezza ed al contempo di grande professionalità e quando il suo sguardo incrociò per un secondo il mio, provai un sentimento misto di ammirazione e timore reverenziale.
«Riccardo!» esclamò Flavio sorpreso.
«Flavio Moggelli, diamine se ti sei fatto vecchio!» rispose avvicinandosi a noi con fare sornione.
I due si abbracciarono come se non si vedessero da una vita, e in effetti così era. «Non vedo Riccardo da otto anni» aveva detto Flavio in macchina. «Non so nemmeno se lo riconoscerò».
Pericolo scongiurato, no?
«Come mai hai deciso il grande passo?».
«Vedi, Flavio,» iniziò l’uomo lisciandosi il mento. «ho cinquantadue anni e alla mia età e dopo ciò che ho passato, tutto ti sembra futile, e precario, e inutile e …» si fermò per prendere fiato. «hai capito, no? Così impari a vivere alla giornata. Non mi vergogno di dire che ho incontrato la mia quasi moglie solo due mesi fa, ma conoscendola ho subito provato il desiderio di sposarla, di creare qualcosa di nostro, di stare con lei per tutto il resto della mia vita. Hai provato questa sensazione prima di me, lo so bene».
Negli occhi di Flavio balenò un’espressione triste e al tempo stesso gioviale. Probabilmente i ricordi dell’uomo si ricollegarono a sua moglie, di cui sapevo solo il nome: Giulia. Ma il resto dell’esistenza di Giulia, la madre di Bianca e di Fabio, rimaneva avvolto nel mistero, come se fosse una sorta di divinità da dover preservare ad ogni costo.
«Una decisione di petto, insomma» commentò il mio amico.
«E questi ragazzini chi sono? Che fai, li porti al matrimonio e non me li presenti?» continuò sorridendoci.
«Il piccoletto si chiama Andrea, mentre il ragazzo più grande è Alex, suo fratello». Poi si avvicinò a Riccardo con fare sospettoso e sussurrò: «È uno di quei ragazzini del PSD, non so se ne hai sentito parlare».
«Dopo che la tv ci ha scartavetrato l’anima per mesi con la campagna pubblicitaria?» il suo sguardo incrociò ancora il mio e stavolta mi rivolse un sorriso. «No di certo».
Mi tese la mano e gliela strinsi, ma questo gesto mi indusse quasi alla paralisi.
«Piacere di conoscerti, Alex».
«Il piacere è tutto mio. Flavio ci ha parlato molto bene di lei».
«Sfido il contrario» e si voltò verso l’amico, che per tutta risposta gli sfoderò un gran sorriso.
«Mio padre la stima molto, signor Gardonia» intervenne Bianca.
«Ma volete stare zitti?! È sempre stato uno sbruffone, e adesso che è diventato appena simpatico … insomma, volete rovinare tutto?».
Riccardo Gardonia scoppiò in una risata esagerata per la battuta e noi lo seguimmo a ruota, senza esitare. Poi disse: «Voglio presentarvi la sposa, no?».
«Oh, ma lei non dovrebbe, ecco, uno sposo non dovrebbe mai vedere la propria sposa prima della cerimonia» fece notare Bianca.
«Sono metodi antichi, Bianca. Per ragazzini come voi è importante» disse indicandoci. «Ma per un uomo adulto come me, è semplicemente una stupidaggine».
Tutta la hall, dipinta con uno spatolato giallo ocra, era arredata in stile rinascimentale.
Imboccammo una porta ad arco sulla parte destra della saletta e, ritrovatoci in un corridoio, proseguimmo dritti verso una porticina in legno, che aprendosi diede su un ulteriore corridoio, stavolta con varie stanze disposte ai lati del muro.
«Ecco, la camera della mia sposina è la prima a destra» disse Gardonia. Poi andò a bussare.
«Amore, apri. Sono io, voglio presentarti dei miei amici».
Quando la porta si aprì ebbi un sussulto. Carla, questo il nome della sposa, era di una bellezza imbarazzante, quasi divina. Aveva un’acconciatura a coda di cavallo che le faceva risaltare i sottili lineamenti del viso e la pregevole pelle color ceramica e gli occhi azzurro cielo si intonavano alla perfezione con i suoi capelli dorati. Il suo corpo era slanciato e raffinato, e la sua postura ricordava quella di un elegante cigno.
«Amore …» sussurrò baciando Riccardo.
Il baci durò qualche secondo, a dir la verità piuttosto imbarazzante. Solo Andrea, con la sua innocenza, poté tenere fisso lo sguardo sui due soggetti. Poi Riccardo si staccò.
«Ciao tesoro, volevo presentarti il signor Flavio Moggelli, mio ex collega in polizia ed ora investigatore, sua figlia Bianca e due suoi amici, Alex e Andrea»
«Molto piacere». «Sono Carla». Poi si rivolse a Flavio. «Detective, non sa quanto Riccardo mi abbia parlato di lei».
«Bene o male?».
Carla scoppiò a ridere, poi veramente divertita rispose: «Bene, bene, non si preoccupi. Accomodatevi nella stanza, su …».
Notammo come la camera fosse stata rivoltata come un calzino per permettere di aggiungere bellezza a quella donna già meravigliosa. Una quantità spaventosa di trucchi, ombretti, creme per il viso e cataloghi di acconciature erano sparsi ovunque e a terra c’erano decine di calze femminili, accompagnate da alcuni pezzi di biancheria intima. Arrossii visibilmente quando, inavvertitamente, calpestai un paio di mutandine molto succinte.
«Non ti preoccupare. È colpa mia. Sono disordinata, vero?».
Ero così rosso che probabilmente suscitai la pena di quella donna, ma riuscii comunque a ribattere.
«Almeno quanto è bella».
Carla mi regalò un meraviglioso sorriso e Flavio mi diede di gomito. «Lei è già impegnata, Casanova». Che spiritoso.
«Lei è bellissima signorina Nurseri» si complimentò Bianca.
«Chiamami Carla, tesoro. Quanti anni hai?».
«Diciassette, perché?».
«Aiutami a scegliere il trucco giusto, ti va? Voi giovanissime ve ne intendete molto più delle donne della mia età».
Inutile dirvi che Bianca la seguì tanto velocemente che ebbi l’impressione che sul posto da lei lasciato si creassero delle nuvolette in stile cartone animato.
«Riccardo, facciamo quattro chiacchiere. Di che ti occupi, ora?» chiese Flavio.
«Sono titolare di un’agenzia assicurativa. Vuoi?» e gli offrì un sigaro. Poi ne prese uno anche per lui e mi guardò.
«Fumi, Alex?».
«No, no».
«Fa un tiro, no? Se non ti piace lo prendo io, tranquillo».
«La ringrazio, ma non amo il fumo».
«Nemmeno sigarette?».
«No».
Si voltò verso Flavio. «È un tipo in gamba».
Flavio annuì. «Quando vuole sì».
«E Carla? Lei che fa nella vita?».
«Studia psicologia all’università».
«Scusami se te lo chiedo,» proseguì Flavio «ma quanti anni ha?».
Riccardo lo guardò con fare spaccone. Poi si godette per qualche secondo il suo sigaro e infine trovò la voglia di rispondere. «Ventinove».
Flavio fece un passo all’indietro. «E tu cinquantadue».
«Sembra tanto brutto?».
«No, no … sa di fiction americana».
«O di favola italiana, a seconda di come vedi le cose».
I due risero e io mi domandai per l’ennesima volta cosa ci facessi lì.
Fuori dalla stanza qualcuno di oscuro si acquatta vicino alla porta. Il suo obiettivo è minare la serenità di quella coppietta e la sua cattiveria non avrà freni.
«Attenta alla mela avvelenata, Biancaneve» sussurra fra sé.
Edited by Matteo Del Piero - 24/7/2013, 16:13