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Alex Fedele - Detective Story, I file di Alex Fedele. Tuffatevi nell'avventura!

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view post Posted on 11/7/2013, 18:36     +1   +1   -1
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Perdonami! Volevo dire Ducato! :ave:
Infatti, proprio perché somiglia ad un Donato che conosco, che mi sono confuso!
 
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FILE 37. Flavio sparito!



Sembra strano, ma quando stanno per accadere le cose avverto come una sorta di presagio. Di solito è seguito da un altro presagio, solitamente meno intenso, ma comunque non meno fastidioso. Nella notte le parole di Flavio mi rimbombavano ancora in testa. «Dì solo un’altra parola su cose che non ti riguardano … e te ne pentirai amaramente. Sono stato chiaro?» aveva tuonato. E io ci avevo pensato, avevo pensato alla questione così tanto che non avevo dormito per tutta la notte. Avevo guardato la luna a lungo ed ero rimasto quasi ipnotizzato, ma non ero riuscito a trovare risposta ai molteplici interrogativi che si erano accumulati nella mia testa: Perché tenere nascosto ai figli la causa della morte della loro stessa madre? Perché evitare l’argomento, cambiare addirittura personalità quando si cerca di affrontare la questione? Perché quelle dure parole? Quando i dubbi divennero più delle certezze m’addormentai, ma non fu mai un reale riposo.
Erano le sette e trenta quando mi alzai dal letto, mi infilai una felpa e un paio di jeans e scesi in cucina. Fabio contemplava il vuoto con in mano una tazza di caffè.
«L’uomo del giorno» salutai «allora, come è andata ieri sera? Martina è tua, ormai?».
Dopo qualche secondo rispose: «Bah, è stata solo un’uscita».
«Eh, ho capito … che te la vuoi già sposare?».
Mi guardò fisso, poi rispose: «Il fatto è che mi sembra strana … è sempre ambigua, ogni volta che tento di avvicinarmi non … non ci sta mai, ecco …».
Mi versai del latte e mi sedetti di fronte a lui.
«Oggi è domenica» osservò «che ci fai in piedi a quest’ora?».
«Ho passato la notte in bianco, lasciamo stare. A proposito, devo andare a prendere Andrea. È a casa di un suo compagno di scuola. Ha dormito lì. Mi accompagni tu, con l’auto?».
«Non ti preoccupare, è andata Bianca a riprenderlo. Doveva andar a far compere con Barbara e quindi i suoi genitori le daranno uno strappo fin qui. Andrea sarà con lei».
«Flavio?» chiesi.
«Uh? Credevo lo sapessi tu …».
«Che vuoi dire?».
«È uscito verso le quattro, mi pare … ero andato appena in bagno … ed ha preso l’auto. Credevo fosse per un caso».
«Un caso a me sconosciuto, a quanto pare … ».
Mi alzai, raggiunsi l’ingresso e vidi che non c’erano neanche le chiavi di casa che solitamente lasciava sul mobiletto in legno. Mi diressi nel suo ufficio, seguito da Fabio, che non capiva cosa stessi cercando di fare.
Misi le mani sulla scrivania, alla ricerca di qualche segnale vago o di qualche indizio valido a capire la situazione, ma trovai solo lattine di Beck’s mezze vuote, mozziconi di Marlboro su e giù per la stanza e un odore talmente nauseabondo da rendere la stanza accettabile solo dopo una disinfestazione.
«L’agenda» dissi.
Non aveva alcun appuntamento.
«È strano, vero?» mi chiese Fabio.
«Cos’è che è strano?» Bianca entrò all’improvviso nell’ufficio, mano nella mano con Andrea.
«Hai visto tuo padre?» le chiesi con espressione seria.
«Uh, che musone … no, comunque non l’ho visto. Pensavo fosse con voi.
«Direi di no …» sussurrò ironicamente Fabio.
Seguì qualche istante di silenzio. «E allora dov’è?» domandò Andrea. La sua sottile voce ci fece tornare tutti alla realtà.
«Ottima domanda» osservò Fabio con ironia.
«Fabio, va a controllare la stanza di Flavio. Vedi se ha preso dei vestiti di ricambio, se ha preso dei cambi di biancheria e cose di questo genere».
Il ragazzo scattò come un solerte poliziotto.
«Bianca, tu chiamalo al cellulare, forse riusciamo a scoprire dov’è!».
Vidi che fissava la parte posteriore della scrivania con aria preoccupata.
«Insomma, cosa c’è?».
Indicò con il dito un cassetto mezzo aperto da cui sporgeva il cellulare di Flavio, un Nokia Asha 302 nero.
«Merda» sussurrai.
Intanto Fabio ritornò ancor più agitato di prima.
«Si è portato qualche vestito di ricambio, Alex!».
Mi sedetti alla sedia della scrivania e guardai il vuoto. Fabio, Bianca e Andrea mi fissavano in attesa di una parola. Ad un tratto dissi: «È scappato. Non c’è altra possibilità …».
«E se fosse stato rapito?» azzardò Bianca.
«Non dire sciocchezze. In quel caso avremmo sentito rumori. E comunque quando si viene rapiti, i rapitori non ti lasciano di certo il tempo per fare le valigie. Senza contare che Flavio è un tipo in gamba e ha una pistola in camera da letto. L’avrebbe impugnata subito».
«Papà ha una pistola … in camera?» chiese Fabio spaventato.
«Credevo lo sapessi» osservò Bianca. «Ce l’ha da almeno due anni. Sta nel comò di fronte al letto».
Passammo qualche minuto in totale silenzio. Poi Bianca lo ruppe.
«Chiamiamo la polizia. L’ispettore Ducato potrà rintracciarlo. Hanno mezzi sofisticati per …».
«Tuo padre è scappato di sua spontanea volontà. Allarmare la polizia per una cosa del genere sarebbe ridicolo. Hanno casi di omicidio e di veri rapimenti da risolvere, non possono stare dietro ai capricci di uno che ha deciso di improvvisare una gita».
«E allora che facciamo? Io sono preoccupata!».
Andrea cominciò a starnutire a ripetizione. Non si fermava più e il suo nasino diventava sempre più rosso.
«Uh? Che cos’hai, piccolo?».
«Non lo so» rispose a fatica tra gli sternuti
Andai da Andrea e lo portai fuori dalla stanza. «Siediti sul divano e guarda i cartoni» gli dissi.
Poi rientrai nell’ufficio. «C’è una sola cosa a cui mio fratello è allergico e cioè i fiori. Cerchiamo bene, devono essercene da qualche parte».
Mettemmo a soqquadro l’ufficio, ma l’unica cosa che trovammo furono dei residui di polline nel cestino della spazzatura.
«Fiori …» sussurrai.
«Cosa ce ne importa?».
«Fabio, tuo padre ha comprato dei fiori, lo capisci? Si è diretto da un fioraio. Può essere una pista utile per le indagini. Non è il tipo che compra fiori, di solito».
«Potremmo provare a cercarlo al suo bar preferito. Quando è triste va sempre lì, scambia quattro chiacchiere con il proprietario».
«E dov’è questo bar?».
Fabio si grattò il mento. Poi rispose: «A circa due isolati da qui. Mi vesto e andiamo».
Io e Bianca rimanemmo soli nell’ufficio.
«Senti, che giorno è oggi?» le chiesi.
« Il 3 Febbraio, perché?».
«C’è qualche occasione speciale, per la quale tuo padre potrebbe aver comprato dei fiori?».
Bianca esitò qualche secondo. «No, almeno non credo».
«Ok. Vado a vestire Andrea. Ci vediamo fuori».
«Ok».
Scivolai dietro la porta e la osservai. Rimase col capo chino per qualche secondo, in attesa di una chissà quale illuminazione. Cosa sapeva e cosa non voleva dirmi?

Che fine ha fatto Flavio? E perchè Bianca mente ad Alex?!
 
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FILE 38. Delirio



Il Pinocchio aveva aperto i battenti almeno quarant’anni prima ed è ancora oggi uno dei bar più longevi di Torino.
«In questo bar» mi aveva spiegato una volta Flavio «ho passato tanti bei momenti della mia vita. Ho dato lì, tra quei divanetti, il mio primo bacio e quando mi sono diplomato» aveva continuato con in mano la solita lattina di Beck’s «be’, quando mi sono diplomato, è qui che io e i miei compagni abbiamo festeggiato». Non c’ero più venuto, visto che non ho una particolare attrazione per i bar e per i posti in cui c’è sempre qualche vecchio ubriacone pronto a fare a botte. Tuttavia, non appena entrai mi accorsi di come la mia visione di quel posto fosse sbagliata. I moderni banconi in legno massiccio adornavano un pavimento color oro spento nel quale ci si poteva specchiare. I divanetti color porpora e i tavolini ambrati adornavano uno spazio ben tenuto, semplice, elegante e di buon gusto.
Fabio e Andrea si sedettero su uno dei tanti divanetti ed ordinarono due aranciate. Io e Bianca ci dirigemmo verso il padrone del locale, un tipo tarchiato, ma dal viso gioviale e dalle espressioni caratteristiche. Luigi, questo il suo nome, aveva almeno sessant’anni e una parlantina talmente sciolta da far impallidire qualsiasi politico che si fosse trovato di fronte. Un altro dettaglio: aveva un accento napoletano molto pronunciato
«Signor Luigi» lo salutò Bianca. «Come va?».
«Bianca!» esclamò mollando un vassoio di paste alla crema «da quanto tempo!». Arrivato vicino alla mia amica, si limitò a guardarla stupito. «Come sei bella! E questo ragazzo? Non dirmi che è il tuo ragazzo!».
Arrossimmo di colpo.
«Sono Alex, non ricorda? Abito da Flavio, sono già …».
«È vero! Maledetta distrazione! Volete ordinare? Su, ditemi che volete, ditemi che …».
Lo interruppi e per poco non si mise a piangere. «Volevamo solo qualche piccola informazione».
«Come nei film?» disse in dialetto.
Sorrisi.
«E dimmi pure, guagliò».
«Ascolta, hai visto Flavio stamattina?».
«No, non è venuto nemmeno per un piccolo caffè». Pronunciò “caffè” come se stesse parlando di sua moglie.
«Non è venuto nemmeno qui» dissi a Bianca.
«Com’è possibile?» rispose preoccupata.
«Ma perché c’è qualche problema?».
«Vedi, mio padre …».
La stoppai immediatamente. «Suo padre è invischiato in un caso … e non ha voluto coinvolgermi. Così volevo fargli una sorpresa, capisci?».
«Ah, perfettamente. Allora, lo volete voi un caffè?».
«Sì, grazie. Due macchiati».
Luigi si allontanò e Bianca non la piantava di fissarmi. «Perché non hai voluto che gli dicessi la verità».
«Non sappiamo dove si sia cacciato, né il motivo di questa fuga, quindi non possiamo sbandierarlo ai quattro venti. Meglio tenerlo per noi».
Andammo a sederci con Fabio e Andrea e sorseggiammo i nostri caffè.
«Quindi ora andiamo dal fioraio?» chiese Fabio.
«Non ancora …» sussurrai.
«Come mai?».
«Voglio solo vederci più chiaro. Non credo che la pista del fioraio dia così tanti sviluppi alla questione. È sicuramente importante sapere che c’è andato, ma interrogare il commesso del negozio non ha senso. Potrebbe anche averlo pagato per non farlo parlare».
«Ma in tal caso avrebbe fatto lo stesso anche con Luigi. Forse ci sta mentendo» osservò Bianca.
«Già … ».
Le porte di vetro poste alle nostre spalle si spalancarono improvvisamente, lasciando la scena ad un tizio sui cinquant’anni, calvo, con profondi e sofferti occhi grigi che gridavano vendetta. Il corpo era protratto totalmente in avanti ed impugnava una Browning. Teneva l’arma nella mano destra e con la sinistra accarezzava la canna. Il suo polso non era però fermo e stabile. Al contrario, era tremolante e senza controllo.
«State fermi o faccio una strage!» urlò più volte. Inutile dire che la sala fu avvolta da fasci di urla incontrastate, falsi gemiti di eroismo e molta, molta tensione. Bianca se ne stava con lo sguardo sbarrato a guardare la canna della pistola dalla quale poteva partire un colpo mortale. Andrea si era avvicinato al petto di Fabio, ma quest’ultimo aveva la fronte imperlata di sudore e avrebbe voluto urlare all’impazzata, magari per sfogarsi, per scaricare la tensione.
Un donna sui trent’anni si mosse per raggiungere suo figlio ancora in fasce dentro la carrozzina, ma l’uomo con la Browning non ammetteva scuse: voleva l’attenzione, i suoi quindici minuti di fama.
«Sta ferma, sta ferma! Sta ferma se non vuoi che faccia saltare in aria te e il tuo bambino».
Luigi prese la cassa nel tentativo di farlo andare via.
«Non voglio i soldi, razza di pezzente!» disse rivolgendosi all’uomo. Gli si avvicinò a tal punto che si pietrificò.
Dal canto mio mantenevo lo sguardo fisso sulla canna della pistola, sperando che non gli venisse in mente di premere il grilletto.
«L’unica cosa che voglio» disse arieggiando l’arma in aria «è la vostra attenzione. La stessa attenzione che chiedete ai vostri cari quando fate qualcosa di importante!». Si avvicinò ad un ragazzo con una felpa dei Beatles.
«Chiedimi perché sto facendo questo …».
«Ma .. »
Lo guardò male, poi gli urlò in faccia: «Chiedimelo, cazzo!».
«Perché … fai questo?» chiese il ragazzo piagnucolando.
«Per vendetta! Per una fottuta vendetta!» urlò a squarciagola dimenandosi. L’arma continuava a passargli da una mano all’altra e la sensazione che ebbi è che non la sapesse affatto maneggiare.
«L’altro giorno … mia moglie Elena e mia figlia Vanessa sono andate a fare delle compere, ma sulla via del ritorno, nella strada qui vicino che non è mai stata asfaltata dal comune, un furgone di consegne, uno di quelli alti come una fottuta montagna» si fermò e si asciugò del sudore che gli colava dalla fronte «le travolge … e le uccide».
Silenzio assoluto.
«La polizia … volete sapere che ha fatto la polizia?» chiese alla folla. Prese un bicchiere dal bancone e lo frantumò a terra. «Niente! Niente di niente! Ha semplicemente svolto qualche indagine sulla cosa e adesso il pazzo idiota che ha ucciso le due cose più belle e importanti della mia vita» si fermò riprendendo fiato «è ancora libero. Libero come una farfalla, capite? Ma ha ucciso … ha ucciso due persone. E pagherete voi! Voi! Voi!».
Perlustrò la folla in attesa di un cenno di dissenso, utile per sfogare la sua rabbia repressa, ma non ne trovò. Quindi scelse. A caso.
«Vieni qui» e con la canna della pistola indicò Bianca.
La ragazza non si mosse, pietrificata dalla paura. I suoi occhi sbarrati continuavano a fissare la canna dell’arma, ma a volte il suo sguardo si incrociava con quello del folle.
«Signorina, vieni subito qui … se non vuoi un buco in testa!».
Bianca emise un gemito e soffocò un pianto. Poi si alzò e si diresse verso il folle.
«Ti senti forte?» la mia voce risuonò nel silenzio più totale. Bianca arrestò il passo e si voltò di scatto verso di me. Il folle chiese: «Che cosa?!».
«Ho chiesto se ti senti … se ti senti forte. Con quella pistola, intendo».
Si precipitò da me e in pochi secondi mi ritrovai la Browning a cinque centimetri dalla faccia. Era così vicina che la vista continuava a non mettere bene a fuoco la canna della pistola. Dentro di me sobbalzai.
«Finirai molto presto di parlare» sussurrò. «E per rispondere alla tua domanda,» aggiunse «sì, sono il più forte di tutti. Almeno in questa stanza. Pronto per il paradiso?».
Vidi l’indice della sua mano piegarsi in direzione del grilletto. Chiusi gli occhi e serrai la mascella, ma il colpo non arrivava ancora. Li aprii leggermente e vidi che la pistola era a poca distanza dalla tempia di Bianca.
«Che ne dici se invece faccio saltare in aria il cervello della tua fidanzatina, sbarbatello?»
«Non toccarla!» urlai a squarciagola.
 
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FILE 38. Brivido gelato



«Ciao ciao, signorina …».
«Non toccarla, dannazione!» urlai ancora più forte. «Non capisci che peggiori solo le cose? Vuoi davvero che tua moglie e tua figlia ti vedano commettere un omicidio? Vuoi davvero questo?!».
«Ma no …» sussurrò al limite della follia. «Io voglio dar loro compagnia. E la tua ragazza è perfetta per …».
«Sai che direbbero tua moglie e tua figlia?» lo interruppi.
«Se le nomini ancora è finita, ti avverto… »
«Loro ti guardano, questa è la verità. Io non so in cosa credi, non so nemmeno se credi in qualcosa. Ma loro sono da qualche parte e non sono felici di quello che stai per fare. Loro non …».
Puntò ancora la pistola verso di me.
«Addio a te, allora».
«Non risolverai niente, uccidendomi». Deglutii fingendo di rimanere calmo e continuai. «Il mio cervello schizzerà da qui a dieci metri, certo. Ti saresti sfogato, certo. Ma credi che questo le riporti da te?».
«No di certo, ma almeno non vedrò più la tua faccia da …».
«E ti consiglio di prendere bene la mira» sbarrai gli occhi. «Capiscimi, mezzo centimetro più a destra e la pallottola mi struscia solo l’orecchio, mezzo centimetro più in basso e mi colpisce in pieno collo. E se mi salvo?».
L’uomo rimase attonito, Bianca divenne più pallida di quanto non lo fosse già.
«Non la sai usare, non è vero?».
«Eh?».
La folla si fece ancora più curiosa ed un brusio si diffuse nell’aria.
«La pistola» feci ancora una pausa e mi asciugai il sudore dalla fronte. «Tu non la sai usare, non negare».
«Io so usarla meglio di te».
«Ma sei appassionato di caccia. Ti saresti sentito più a tuo agio con un fucile. O sbaglio?».
La pistola si abbassò leggermente. «Come fai a saperlo? Tu … tu mi conosci?».
«Quando sei entrato ed hai cominciato ad urlare, ho notato che tenevi la pistola nella mano destra e con la sinistra accarezzavi la canna dell’arma. I cacciatori, quando si preparano per sparare, usano una mano per reggere il fucile e l’altra per sorreggere la canna. Una persona che ha usato già una pistola, o che ancora meglio ha avuto occasione di sparare qualche colpo al poligono di tiro, sa benissimo che con la mano libera deve reggere la parte inferiore della pistola e non la canna, Tu hai fatto quel movimento in maniera istintiva, proprio perché abituato a sparare con un fucile».
Il volto dell’uomo impallidì. Le labbra erano diventate improvvisamente secche e il sudore gli bagnava la maglietta.
«Sparo lo stesso» affermò.
«Puoi farlo e puoi far centro. Ma se fallisci?».
Mi guardava enigmatico.
«Tieni conto che una volta che mi avrai ammazzato o ferito … ti ritroverai venti, trenta persone addosso, tutte insieme. Capisci cosa voglio dire? Le persone del locale ti salteranno addosso contemporaneamente».
Sarebbe stato l’assassino, riconosciuto poi da tutti nei tg nazionali, oppure si sarebbe limitato ad essere etichettato come folle dalla società?
«Tu che faresti, eh?!» mi chiese smorzando un sorriso e mantenendo gli occhi bassi.
«Io non potrei mai essere il tizio che tiene sotto minaccia venti o trenta persone con un’arma. Non potrei mai cercare di vendicarmi uccidendo. Non potrei mai. Per quanto scontato ti possa sembrare, devi assolutamente confidare nella polizia e cercare di rintracciare quell’uomo che ha ucciso tua moglie e tua figlia. La tua soddisfazione deve consistere nel vederlo marcire in galera, questa è la vera forza!».
Quest’ultima frase lo fece crollare al suolo. La pistola gli scivolò in mano senza che lui potesse fare nulla per trattenerla. Scoppiò in un pianto dilagante, straziante, avvilente. Luigi chiamò la polizia, che venne dopo circa quindici minuti. L’uomo venne identificato come Giovanni Togni, cinquant’anni, operaio.
Spiegammo tutto in una chiacchierata con il poliziotto di turno.
«Sei stato forte» osservò Bianca.
«Solo diplomazia …».
«E ora che facciamo?» chiese Andrea.
«Già …» rafforzò Fabio.
«Ora continuiamo ad indagare».
Ma dov’era Flavio?
 
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FILE 39. Brivido gelato



«Ciao ciao, signorina …».
«Non toccarla, dannazione!» urlai ancora più forte. «Non capisci che peggiori solo le cose? Vuoi davvero che tua moglie e tua figlia ti vedano commettere un omicidio? Vuoi davvero questo?!».
«Ma no …» sussurrò al limite della follia. «Io voglio dar loro compagnia. E la tua ragazza è perfetta per …».
«Sai che direbbero tua moglie e tua figlia?» lo interruppi.
«Se le nomini ancora è finita, ti avverto … ».
«Loro ti guardano, questa è la verità. Io non so in cosa credi, non so nemmeno se credi in qualcosa. Ma loro sono da qualche parte e non sono felici di quello che stai per fare. Loro non …».
Puntò ancora la pistola verso di me.
«Addio a te, allora».
«Non risolverai niente, uccidendomi». Deglutii fingendo di rimanere calmo e continuai. «Il mio cervello schizzerà da qui a dieci metri, certo. Ti saresti sfogato, certo. Ma credi che questo le riporti da te?».
«No di certo, ma almeno non vedrò più la tua faccia da …».
«E ti consiglio di prendere bene la mira» alzai le sopracciglia e assunsi un’espressione di commiserazione «Capiscimi, mezzo centimetro più a destra e la pallottola mi struscia solo l’orecchio, mezzo centimetro più in basso e mi colpisce in pieno collo. E se poi mi salvo?».
L’uomo rimase attonito, Bianca divenne più pallida di quanto non lo fosse già e Fabio mi incitava a smetterla di parlare.
«Non la sai usare, non è vero?» feci all’improvviso.
«Cosa?».
La folla si fece ancora più curiosa ed un fastidioso brusio si diffuse nell’aria.
«La pistola» feci ancora una pausa e mi asciugai il sudore dalla fronte. «Tu non la sai usare, non negare».
«Io so usarla meglio di te».
«Ma sei appassionato di caccia. Ti saresti sentito più a tuo agio con un fucile. O sbaglio?».
L’uomo abbassò leggermente l’arma.
«Come fai a saperlo? Tu … tu mi conosci?».
«Quando sei entrato ed hai cominciato ad urlare, ho notato che tenevi la pistola nella mano destra e con la sinistra accarezzavi la canna dell’arma. I cacciatori, quando si preparano per sparare, usano una mano per reggere il fucile e l’altra per sorreggere la canna. Una persona che ha usato già una pistola, o che ancora meglio ha avuto occasione di sparare qualche colpo al poligono di tiro, sa benissimo che con la mano libera deve reggere la parte inferiore della pistola e non la canna, Tu hai fatto quel movimento in maniera istintiva, proprio perché abituato a sparare con un fucile».
Il volto dell’uomo impallidì. Le labbra erano diventate improvvisamente secche e il sudore gli bagnava la camicia celeste.
«Sparo lo stesso» affermò convinto.
«Puoi farlo e puoi far centro. Ma se fallisci? Insomma, pensaci … ».
Mi guardava enigmatico.
«Tieni conto che una volta che mi avrai ammazzato o ferito ti ritroverai venti, trenta persone addosso, tutte insieme. Capisci cosa voglio dire? Le persone del locale ti salteranno addosso contemporaneamente, perché approfitteranno del tuo attimo di distrazione per disarmarti».
Sarebbe stato l’assassino, riconosciuto poi da tutti nei tg nazionali, oppure si sarebbe limitato ad essere etichettato come folle dalla società?
«Tu che faresti, eh?!» mi chiese smorzando un sorriso. «Che faresti se avessi il potere di un dio concentrato in un’arma e potessi decidere di farti giustizia da solo. Cosa …».
«Io non potrei mai essere il tizio che minaccia venti o trenta persone con un’arma. Non potrei mai cercare di vendicarmi uccidendo. No, non potrei mai. Per quanto scontato ti possa sembrare, devi assolutamente confidare nella polizia e cercare di rintracciare quell’uomo che ha ucciso tua moglie e tua figlia. La tua soddisfazione deve consistere nel vederlo marcire in galera, questa è la vera forza».
Abbozzò un ulteriore sorriso, ma poi il so sguardo divenne diverso. Da sicuro e spavaldo divenne oscuro e appannato. Mi succedeva lo stesso quando cercavo di scavare nei ricordi e dunque immaginai stesse ripensando alle due persone più importanti della sua vita. Quest’ultima frase lo fece crollare al suolo. La pistola gli scivolò in mano senza che lui potesse fare nulla per trattenerla. Scoppiò in un pianto dilagante, straziante, avvilente. Luigi chiamò la polizia, che venne dopo circa quindici minuti. L’uomo venne identificato come Giovanni Togni, cinquant’anni, operaio con una percentuale di invalidità pari al quarantaquattro percento.
Spiegammo tutto in una chiacchierata con il poliziotto di turno, che fece referto e ci salutò soddisfatto.
«Sei stato forte» osservò Bianca.
«Si chiama diplomazia».
«Si chiama culo» fece Fabio e scoppiò in una risata che gli consentì di essere guardato come un etero ad un gay pride.
«E ora che facciamo?» chiese Andrea.
«Ora continuiamo ad indagare, ovvio».
 
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FILE 40. L'ultima possibilità



Continuammo a chiedere informazioni su Flavio ad ogni abitante del quartiere e ad ogni suo singolo conoscente, ma arrivati all’ora di pranzo capimmo che quella strada non ci avrebbe portato da nessuna parte, se non alla stanchezza fisica e al logorio mentale. Cosa aveva spinto Flavio a lasciare tutto, a non seminare indizi, a scappare dal suo mondo, formato dai suoi figli, dal suo lavoro, dalla sua giornata tipica, dall’alcol e dal fumo, da casi intricati e da un brillante passato trascorso in polizia? La risposta rimaneva un’incognita e i pensieri tristi e quelli negativi, come sempre succede in questi casi, si moltiplicavano all’unisono, senza che niente potesse fermarli.
Tornati a casa, preparammo dei panini veloci, poi ispezionammo casa palmo a palmo, ma non trovammo nulla di interessante. Decisi allora di provare a controllare ancora una volta l’ufficio. Bianca e Andrea mi seguirono.

«Guarda che disordine! Ho dato una sistemata appena tre giorni fa!» sbottò Bianca spostando sedie e buttando nel cestino della spazzatura vecchi pacchetti di Marlboro riversi a terra.
La scrivania di Flavio è quanto di più disordinato si possa incontrare su questa Terra. Una miriade di fogli accartocciati stanno stabilmente agli angoli della scrivania; lattine di birra troneggiano indisturbate vicino ai fascicoli e ai dossier relativi ai casi risolti; una quantità ingente di cenere è sempre sulla sedia dell’ufficio e il pc ha lo schermo così sporco che è difficile persino controllare su quale sito sei al momento della navigazione.
Cercammo ovunque una prova, un indizio, un segno della presenza di Flavio e uno della sua partenza, ma in un primo momento non emerse nulla. Fabio e Andrea si unirono a noi nella ricerca, ma non furono, a dir la verità, particolarmente utili. Ad un tratto Bianca esclamò: «Ehi! Ho trovato qualcosa sotto il cuscino della sedia!».
Mi porse un’agendina di pelle blu, ammaccata, sporca, umida e impregnata di chissà quale bevanda. La presi in mano e cominciai a consultarla. Bianca si appoggiò con il mento sulla mia spalla, mentre Fabio, con Andrea al seguito, mi venne incontro cercando scoprire cosa stessi leggendo.
La sfogliai rapidamente, ma la perlustrai a fondo, fino a che conclusi: «Non c’è nulla». Poi la sbattei violentemente sulla scrivania «Assolutamente nulla!». Tutti si allontanarono da me, mentre un piccolo foglietto spiegazzato scivolò fuori dall’agendina depositandosi a terra.
«C’è scritto “Cuneo”» affermò Fabio raccogliendolo.
«Fammi vedere».
Aveva ragione.

CUNEO

«Preparatevi, si parte. Fabio, ovviamente guidi tu».
«Con quale auto?! Non ricordi che l’ha presa papà?».
«Sai, è il momento che ti compri un auto» osservai. Poi aggiunsi: «Ne prenderemo una a noleggio. Pagherà lui quando potrà».
Tutti scivolarono velocemente fuori dalla stanza, ma trattenni Bianca tirandola per uno dei lacci della felpa.
«Vieni un po’ qui».
«Che … che cosa c’è?».
La guardai negli occhi.
«Perché mi inventi delle frottole?».
«Eh?» domandò disincantata.
«Non fare la finta santa con me … il biglietto spiegazzato che abbiamo trovato l’hai scritto tu. Flavio non fa la “E” in quel modo. Inoltre, prima di andare al Pinocchio avevo perlustrato tutto l’ufficio da cima a fondo e ti posso giurare che quell’agendina non c’era. Senza contare che Flavio non scriverebbe mai con un pennarello indelebile. Al limite userebbe una penna. Ora» dissi appoggiandomi alla scrivania «vuoi dirmi il perché di tutta questa pagliacciata?».
«Ti piace il calcio, no? Immagina che io sia il centrocampista e tu l’attaccante. Chiaro, no?».
«Cioè dovrei fare gol?».
«Metaforicamente, s’intende» poi continuò ad occhi bassi. «Ho assistito alla scena di ieri sera, sai?».
Rimasi in silenzio. «Ci hai sentiti discutere?».
«Ho sentito che ti faceva una bella lavata di testa». Poi chiuse le tapparelle dell’ufficio. «E ho pensato che avrebbe tentato una cosa del genere. Oggi è un giorno speciale».
«Insomma, mi vuoi dire …».
Mi fermò con rapido e impercettibile cenno della mano.
«Il detective sei tu, no? Lo capisci che non posso parlare con te? Parlerò solo con lui. E gli assist che ti ho dato … mi servono … ci servono» si corresse «per scoprire la verità. So dov’è andato mio padre, ma non te lo dirò, perché altrimenti non si fiderà mai più di me. E per me la fiducia non è importante. È fondamentale. Sono stata chiara?».
Non faceva una piega.
 
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95 replies since 8/8/2012, 15:25   1806 views
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