FILE 38. Delirio
Il Pinocchio aveva aperto i battenti almeno quarant’anni prima ed è ancora oggi uno dei bar più longevi di Torino.
«In questo bar» mi aveva spiegato una volta Flavio «ho passato tanti bei momenti della mia vita. Ho dato lì, tra quei divanetti, il mio primo bacio e quando mi sono diplomato» aveva continuato con in mano la solita lattina di Beck’s «be’, quando mi sono diplomato, è qui che io e i miei compagni abbiamo festeggiato». Non c’ero più venuto, visto che non ho una particolare attrazione per i bar e per i posti in cui c’è sempre qualche vecchio ubriacone pronto a fare a botte. Tuttavia, non appena entrai mi accorsi di come la mia visione di quel posto fosse sbagliata. I moderni banconi in legno massiccio adornavano un pavimento color oro spento nel quale ci si poteva specchiare. I divanetti color porpora e i tavolini ambrati adornavano uno spazio ben tenuto, semplice, elegante e di buon gusto.
Fabio e Andrea si sedettero su uno dei tanti divanetti ed ordinarono due aranciate. Io e Bianca ci dirigemmo verso il padrone del locale, un tipo tarchiato, ma dal viso gioviale e dalle espressioni caratteristiche. Luigi, questo il suo nome, aveva almeno sessant’anni e una parlantina talmente sciolta da far impallidire qualsiasi politico che si fosse trovato di fronte. Un altro dettaglio: aveva un accento napoletano molto pronunciato
«Signor Luigi» lo salutò Bianca. «Come va?».
«Bianca!» esclamò mollando un vassoio di paste alla crema «da quanto tempo!». Arrivato vicino alla mia amica, si limitò a guardarla stupito. «Come sei bella! E questo ragazzo? Non dirmi che è il tuo ragazzo!».
Arrossimmo di colpo.
«Sono Alex, non ricorda? Abito da Flavio, sono già …».
«È vero! Maledetta distrazione! Volete ordinare? Su, ditemi che volete, ditemi che …».
Lo interruppi e per poco non si mise a piangere. «Volevamo solo qualche piccola informazione».
«Come nei film?» disse in dialetto.
Sorrisi.
«E dimmi pure, guagliò».
«Ascolta, hai visto Flavio stamattina?».
«No, non è venuto nemmeno per un piccolo caffè». Pronunciò “caffè” come se stesse parlando di sua moglie.
«Non è venuto nemmeno qui» dissi a Bianca.
«Com’è possibile?» rispose preoccupata.
«Ma perché c’è qualche problema?».
«Vedi, mio padre …».
La stoppai immediatamente. «Suo padre è invischiato in un caso … e non ha voluto coinvolgermi. Così volevo fargli una sorpresa, capisci?».
«Ah, perfettamente. Allora, lo volete voi un caffè?».
«Sì, grazie. Due macchiati».
Luigi si allontanò e Bianca non la piantava di fissarmi. «Perché non hai voluto che gli dicessi la verità».
«Non sappiamo dove si sia cacciato, né il motivo di questa fuga, quindi non possiamo sbandierarlo ai quattro venti. Meglio tenerlo per noi».
Andammo a sederci con Fabio e Andrea e sorseggiammo i nostri caffè.
«Quindi ora andiamo dal fioraio?» chiese Fabio.
«Non ancora …» sussurrai.
«Come mai?».
«Voglio solo vederci più chiaro. Non credo che la pista del fioraio dia così tanti sviluppi alla questione. È sicuramente importante sapere che c’è andato, ma interrogare il commesso del negozio non ha senso. Potrebbe anche averlo pagato per non farlo parlare».
«Ma in tal caso avrebbe fatto lo stesso anche con Luigi. Forse ci sta mentendo» osservò Bianca.
«Già … ».
Le porte di vetro poste alle nostre spalle si spalancarono improvvisamente, lasciando la scena ad un tizio sui cinquant’anni, calvo, con profondi e sofferti occhi grigi che gridavano vendetta. Il corpo era protratto totalmente in avanti ed impugnava una Browning. Teneva l’arma nella mano destra e con la sinistra accarezzava la canna. Il suo polso non era però fermo e stabile. Al contrario, era tremolante e senza controllo.
«State fermi o faccio una strage!» urlò più volte. Inutile dire che la sala fu avvolta da fasci di urla incontrastate, falsi gemiti di eroismo e molta, molta tensione. Bianca se ne stava con lo sguardo sbarrato a guardare la canna della pistola dalla quale poteva partire un colpo mortale. Andrea si era avvicinato al petto di Fabio, ma quest’ultimo aveva la fronte imperlata di sudore e avrebbe voluto urlare all’impazzata, magari per sfogarsi, per scaricare la tensione.
Un donna sui trent’anni si mosse per raggiungere suo figlio ancora in fasce dentro la carrozzina, ma l’uomo con la Browning non ammetteva scuse: voleva l’attenzione, i suoi quindici minuti di fama.
«Sta ferma, sta ferma! Sta ferma se non vuoi che faccia saltare in aria te e il tuo bambino».
Luigi prese la cassa nel tentativo di farlo andare via.
«Non voglio i soldi, razza di pezzente!» disse rivolgendosi all’uomo. Gli si avvicinò a tal punto che si pietrificò.
Dal canto mio mantenevo lo sguardo fisso sulla canna della pistola, sperando che non gli venisse in mente di premere il grilletto.
«L’unica cosa che voglio» disse arieggiando l’arma in aria «è la vostra attenzione. La stessa attenzione che chiedete ai vostri cari quando fate qualcosa di importante!». Si avvicinò ad un ragazzo con una felpa dei Beatles.
«Chiedimi perché sto facendo questo …».
«Ma .. »
Lo guardò male, poi gli urlò in faccia: «Chiedimelo, cazzo!».
«Perché … fai questo?» chiese il ragazzo piagnucolando.
«Per vendetta! Per una fottuta vendetta!» urlò a squarciagola dimenandosi. L’arma continuava a passargli da una mano all’altra e la sensazione che ebbi è che non la sapesse affatto maneggiare.
«L’altro giorno … mia moglie Elena e mia figlia Vanessa sono andate a fare delle compere, ma sulla via del ritorno, nella strada qui vicino che non è mai stata asfaltata dal comune, un furgone di consegne, uno di quelli alti come una fottuta montagna» si fermò e si asciugò del sudore che gli colava dalla fronte «le travolge … e le uccide».
Silenzio assoluto.
«La polizia … volete sapere che ha fatto la polizia?» chiese alla folla. Prese un bicchiere dal bancone e lo frantumò a terra. «Niente! Niente di niente! Ha semplicemente svolto qualche indagine sulla cosa e adesso il pazzo idiota che ha ucciso le due cose più belle e importanti della mia vita» si fermò riprendendo fiato «è ancora libero. Libero come una farfalla, capite? Ma ha ucciso … ha ucciso due persone. E pagherete voi! Voi! Voi!».
Perlustrò la folla in attesa di un cenno di dissenso, utile per sfogare la sua rabbia repressa, ma non ne trovò. Quindi scelse. A caso.
«Vieni qui» e con la canna della pistola indicò Bianca.
La ragazza non si mosse, pietrificata dalla paura. I suoi occhi sbarrati continuavano a fissare la canna dell’arma, ma a volte il suo sguardo si incrociava con quello del folle.
«Signorina, vieni subito qui … se non vuoi un buco in testa!».
Bianca emise un gemito e soffocò un pianto. Poi si alzò e si diresse verso il folle.
«Ti senti forte?» la mia voce risuonò nel silenzio più totale. Bianca arrestò il passo e si voltò di scatto verso di me. Il folle chiese: «Che cosa?!».
«Ho chiesto se ti senti … se ti senti forte. Con quella pistola, intendo».
Si precipitò da me e in pochi secondi mi ritrovai la Browning a cinque centimetri dalla faccia. Era così vicina che la vista continuava a non mettere bene a fuoco la canna della pistola. Dentro di me sobbalzai.
«Finirai molto presto di parlare» sussurrò. «E per rispondere alla tua domanda,» aggiunse «sì, sono il più forte di tutti. Almeno in questa stanza. Pronto per il paradiso?».
Vidi l’indice della sua mano piegarsi in direzione del grilletto. Chiusi gli occhi e serrai la mascella, ma il colpo non arrivava ancora. Li aprii leggermente e vidi che la pistola era a poca distanza dalla tempia di Bianca.
«Che ne dici se invece faccio saltare in aria il cervello della tua fidanzatina, sbarbatello?»
«Non toccarla!» urlai a squarciagola.