Detective Conan Forum

CONTEST PER IL XII COMPLEANNO DEL FORUM: NOI E IL DC FORUM

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Shinichi00
view post Posted on 19/7/2015, 01:16 by: Shinichi00     +1   +1   -1




Vorrei partecipare anche io, con una one-shot su Ran e Shinichi dimenticata nel mio computer.
Era molto presto, quel giorno a Tokyo, eppure la città era così attiva che sembrava fosse l’ora di punta, nonostante il caldo. Era così già da diverse settimane. Capitava che la mattina si sentissero le sirene della polizia o dell’ambulanza diffondersi per la città. E non solo. Recentemente questo succedeva a qualsiasi ora del giorno. E lo sapevano tutti. Lo sapevano le madri e i padri, così spaventati da arrivare a tenere i figli sotto una campana di vetro. Lo sapevano le attraenti giapponesine della capitale, sempre più intimorite dalla grande metropoli. Lo sapevano i bambini, quelle magnifiche creature che stavano dimenticando cosa significasse la parola libertà. Già, la libertà… così bella… scontata per coloro che l’hanno sempre avuta, inarrivabile per coloro che la bramano da una vita. Ma dopotutto, si può pretendere di essere liberi nella Tokyo Vittoriana? Sì, Tokyo Vittoriana, il nome che era stato affibbiato alla splendida capitale nipponica alla luce degli ultimi eventi – o meglio, stragi. Chi la chiamava così? Tutti, ormai. I primi erano stati gli amanti del videogioco London: Jack the Ripper, creato da una delle compagnie di videogiochi in mano ai Suzuki. Sui blog, sui forum, sui social network, si era cominciato a scherzare sul killer che aveva commesso quei due omicidi, minimizzando la cosa, e i fans del videogioco che si ispira alle gesta del “grande” Jack lo squartatore avevano avuto la brillante idea di rinominare la capitale nipponica la Tokyo vittoriana. Il nomignolo era stato ben accolto dai giornalisti, che lo avevano subito adottato nei loro articoli. E alla fine si era diffuso come una moda. E se questa moda all’inizio era divertente, adesso più nessuno rideva.
Quel giorno faceva caldo, davvero caldo. Il sole picchiava molto forte. A Beika, in una bella villa, una coppia di sposini provava invano a riposare. Aveva cercato di non badare ai rumori che comportavano vivere in una grande metropoli, ma alla fine i caldi raggi del sole che filtravano prepotentemente dalla finestra avevano avuto la meglio. Il marito, un uomo dai capelli corvini e splendidi occhi blu, si mise seduto e scese dal letto, per evitare di ricadere in un sonno profondo. Questo gesto non passò inosservato a sua moglie, la sua bellissima moglie. La donna, meravigliosa, completamente nuda, nascosta solamente da una coperta che metteva in evidenza le sue splendide forme, aprì gli occhi e li puntò verso la sveglia, che segnava le 6:01. Si voltò verso il suo uomo e lo rimproverò in tono dolce.
“Accidenti, Shinichi, sono appena le sei. Chiudi le tende e torna a letto”.
“Non posso, tesoro” le rispose, sedendosi sul letto. “Anche se la luce del sole non mi avesse svegliato, mi sarei comunque dovuto alzare presto”.
“Cavoli, ancora quel killer?” chiese la moglie, che intanto aveva cambiato di nuovo posizione.
“Sì, purtroppo. E’ da settimane che ha cominciato a terrorizzare la città; la polizia non ha in mano niente di concreto, e i giornalisti le stanno col fiato sul collo. Persino io non so più che pesci prendere. Capisci che non posso riposare sugli allori?” disse, voltandosi verso la moglie. Questa, che gli dava le spalle, si era riaddormentata. Shinichi avrebbe voluto stare lì a guardarla per ore, ma non poteva. Si alzò e si diresse verso la bellissima donna. Si inginocchiò e, mettendole una mano fra i capelli, le diede un profondo bacio.
“Ora vado” le bisbigliò.
“D’accordo, e fa’ vedere a tutti chi è Shinichi Kudo” gli disse la moglie, che a quanto a pare non era del tutto addormentata. Il marito ricambiò con un altro bacio, e si apprestò ad alzarsi. La donna lo afferrò per la manica del pigiama, portando il volto di lui all’altezza del proprio con uno strattone. Con l’altra mano andò a cingere il suo collo, portando il suo muscoloso corpo ad avvicinarsi sempre di più. Gli mordicchiò l’orecchio dolcemente e gli sussurrò:
“Vai pure, tesoro. Stasera avrai il tuo premio, se sai cosa intendo”.
“Certo che so cosa intendi, tesoro” rispose lui maliziosamente. “Ora scappo. Prima vado e prima torno”.
Le diede un ultimo, lunghissimo bacio ed uscì dalla camera da letto. Nell’altra stanza, grazie alla porta accostata, intravedeva i suoi bellissimi bambini che dormivano come angeli. Ebbe la tentazione di andare da loro e ricoprirli di coccole, ma non volle svegliarli. Si diresse in bagno, dal quale venti minuti dopo ne uscì uno Shinichi completamente nuovo. Scese la lunga scalinata di villa Kudo ed entrò in cucina, per la colazione. Prima che il killer cominciasse a mietere vittime, quando ancora Shinichi poteva godersi di più il suo sonno, scendeva in cucina e trovava la moglie ad aspettarlo, insieme ad un tavolo straripante. Da quando però il killer era apparso, aveva cominciato ad alzarsi molto presto, e per non scomodare la sua bellissima donna, aveva dovuto abituarsi ad una misera colazione (non che la facesse tutti i giorni). Quella mattina decise di optare per una semplice tazza di caffè e una ciambella. Mentre si apprestava a mettere la caffetteria sul fuoco, lo sguardo gli cadde per caso sua una vecchia fotografia. Guardandola, non poté fare a meno di accennare un sorriso. Ritraeva tutti i suoi più cari amici. Al centro c’erano Kogoro ed Eri, che si guardavano leggermente storto, e un sorridente Agasa; a destra e sinistra vi erano Sonoko, Makoto, Sera, Ran, Heiji e Kazuha; davanti si erano posizionati Genta, Mitsuhiko, Ayumi, Conan ed Ai. Quella foto, ricordava benissimo, era stata scattata il 22 dicembre del 2015, pochissimo tempo prima che ci fosse il faccia a faccia finale con l’organizzazione. Soltanto a pensarci, Shinichi veniva pervaso da una quantità di rabbia incalcolabile. Come poteva non odiarli, dopo quello che era successo? Lui ricordava benissimo ogni cosa. Quel 22 dicembre faceva freddo, molto freddo. Conan, addormentando Kogoro, aveva risolto un caso di pluriomicidio, e il detective in trance aveva avuto in cambio, come segno di riconoscenza, una gita in montagna per sciare, e poteva invitare anche quindici persone. Sotto richiesta di Ran, erano stati invitati tutti i loro conoscenti più stretti, inclusa Eri. Shinichi, nonostante fosse nelle sembianze di un bambino di sette anni, si era divertito molto. Pochi giorni dopo, però, era arrivato il momento del faccia a faccia con l’organizzazione. Il geniale piano di Shinichi aveva funzionato, grazie anche all’aiuto della CIA, dell’FBI e della polizia segreta; non tutti però ne erano usciti illesi. Shiho, che come Shinichi aveva preso l’antidoto definitivo per l’APTX4869, aveva deciso di partecipare attivamente al piano; una volta restata da sola con Gin, lui l’aveva sparata, ma l’intervento di Bourbon aveva evitato che accadesse il peggio. Heiji era stato accoltellato, e ne era uscito vivo per miracolo. Anche i Detective Boys, Sonoko, Kazuha, Kogoro ed Eri, che non avevano niente a che fare con l’organizzazione, erano rimasti coinvolti, ma fortunatamente non avevano riportato gravi ferite. E poi c’era stata Ran...
Ran era da sempre una bravissima ragazza. Amica d’infanzia del famoso detective dell’Est, era impossibile non volerle bene. A prima vista, poteva sembrare una brava solo a piagnucolare, ma una volta che la si conosceva si cominciavano ad apprezzare le sue qualità. Era sempre solare, incredibilmente coraggiosa quando un amico era in pericolo, altruista, e poi aveva un’incredibile senso della giustizia… lo stesso che l’aveva portata, quella volta a New York, a salvare la vita di quel criminale, nonostante quest’ultimo avesse tentato di spararle. Quel criminale si era poi rivelato essere Vermouth, un membro degli uomini in nero, rimasta incredibilmente colpita da quel gesto. Vermouth era l’attrice Chris Vineyard, falsa identità inventata da Sharon Vineyard per giustificare al mondo il fatto che lei non invecchiasse mai. Shinichi l’aveva fin da subito identificata come una criminale, una donna che lavorava per un’organizzazione dagli scopi vili. Non aveva mai preso in considerazione l’idea che anche lei potesse essere una vittima. L’aveva scoperto solo quindici anni prima, quando la donna aveva tentato di uccidere Shiho Miyano. Era saltato fuori che l’attrice Yu Kashii, oggi meglio conosciuta come Yoko Okino, a capo di un gruppo di malviventi, aveva ingaggiato i dottori Miyano per creare un farmaco che donasse la vita eterna. I due, non conoscendo a pieno le intenzione malvagie dell’attrice, avevano accettato. Quando però si erano resi conto del guaio in cui si erano cacciati, avevano cercato di uscirne, ma l’attrice li aveva minacciati, dicendo che avrebbe fatto del male alle loro figlie. I dottori Miyano non potevano permettere che ai loro due angeli venisse fatto del male, così avevano continuato le loro ricerche. Il lavoro però non dava i suoi frutti, e l’attrice cominciava a spazientirsi. Quando poi i due scienziati morirono nell’incendio di quel laboratorio, tutti i dati andarono persi. L’unica cosa che rimaneva all’attrice erano due dosi del farmaco che i Miyano stavano sviluppando, il Silver Bullet; non sapendo quali effetti avrebbe avuto, aveva tratto in inganno Sharon Vineyard, sua ex collega, e l’aveva convinta a prenderne una dose. Yoko Okino aveva aspettato ben cinque anni, e una volta resasi conto che le condizioni di Sharon andavano peggiorando, aveva deciso di non prendere il Silver Bullet, e aveva affidato la ricerca di un nuovo farmaco per l’eterna giovinezza a Shiho Miyano, prodigio della scienza.
Quel 27 dicembre era finalmente emersa tutta la verità. Tutti i membri dell’organizzazione erano stati ammanettati e portati in carcere; Shiho, dopo il confronto con Gin, si era trovata a faccia a faccia con un altro membro degli uomini in nero: Vermouth. Quest’ultima le aveva sparato tre volte, ma prima che potesse darle il colpo di grazia era sopraggiunto Shinichi. A quel punto qualche lacrima aveva cominciato a bagnare il viso della donna dai capelli di platino, e aveva raccontato ai due tutta la storia. Aveva ammesso quanto odiasse Yoko Okino e i Miyano e di quanto desiderasse uccidere Shiho.
“Yu Kashii, o Yoko Okino, chiamatela come vi pare, è solo una… una lurida vigliacca! Quando l’ho conosciuta sul set di quel film, mi è sembrata una così brava persona, ma poi c’è stato quel farmaco… e di chi è la colpa? Dei Miyano. Se quei due non avessero inventato il Silver Bullet, io non l’avrei mai preso e ora non stare per morire! Sì, avete capito bene: sto per morire! I Miyano sono spariti per sempre dalla faccia della Terra, ma non è stata fatta giustizia. Sarò io a farla, uccidendo te, Sherry” aveva detto Sharon.
Vermouth aveva strinto la presa della pistola, colma d’odio. Si era avvicinata lentamente a Shiho, accasciata contro un muro in fin di vita. Le aveva puntato la canna della pistola alla fronte, prontissima a premere il grilletto. Ma Shinichi l’aveva fermata.
“Non farlo, Vermouth!” aveva urlato. “Lei è una vittima, come te. Anche i Miyano lo erano. Yoko Okino li ha tratti in inganno, e tu lo sai. Pensi davvero che avrebbero scelto di loro iniziativa di trascurare le figlie per creare uno stupido farmaco? Loro avrebbero voluto una normalissima vita con le loro due figlie, ne sono sicuro. E poi, anche se fossero colpevoli, cosa c’entra Shiho? Per colpa dell’organizzazione hai dovuto abbandonare la tua vita, ma non è troppo tardi per morire con dignità”.
Vermouth aveva guardato il ragazzo, il viso rigato di lacrime, per poi girarsi di nuovo verso Shiho. La aveva osservata, e in lei era riuscita per la prima volta a rispecchiarsi. Una donna che aveva sofferto quasi quanto lei a causa dell’organizzazione. Anzi, ripensandoci, Shiho aveva sofferto di più. Lei aveva avuto un’infanzia e un’adolescenza normale, ma Shiho no. Alla fine aveva gettato la pistola a terra e si era accasciata al suolo piangendo. Davanti agli occhi colmi di lacrime le erano scorsi i momenti più belli della sua vita. Aveva ripensato a quando aveva preso i voti più alti di tutta la classe in prima elementare, di quanto suo padre fosse stato fiero di lei; aveva ripensato a quando le avevano regalato Pongo, il suo primo e unico cagnolino, a cui lei aveva voluto un bene dell’anima…
Shinichi non si era mosso; era restato lì a fissarla finché lei non si era alzata.
“D’accordo, Slver Bullet, lo farò. Ma non per me, per te. Grazie a te sono libera dall’organizzazione… certo, per quanto possa definirsi libera una donna che sta per finire in carcere e che può morire da un momento all’altro”.
“Tu…tu non morirai” aveva detto Shiho con un fil di voce.
Vermouth l’aveva guardata divertita.
“E chi me lo impedirà? Tu, forse?”
“Esattamente. Ho creato l’APTX4869 e l’antidoto, chi dice che non possa trovarne uno anche per il Silver Bullet?”
“Sh-Shiho, lo faresti?” aveva chiesto Shinichi, perplesso.
“Certo. Creando l’APTX ho commesso un errore, come i mie genitori con il Silver Bullet. Io però ho rimediato, e ho intenzione di farlo anche per loro. Facendo due calcoli, tu ora hai quarantanove anni, ma hai il corpo di una ventinovenne, sbaglio? Farò in modo che l’antidoto ti faccia tornare alla tua vera età, ma a due condizioni”.
“Ah, mi sembrava strano” aveva commentato la platinata, sorridendo debolmente.
“Kudo” aveva continuato Shiho, “tu chiederai alla signora Kisaki di ottenere il minimo della pena per Vermouth; tu”, si era fermata per qualche instante, “Sharon, devi promettermi che ti godrai la vita finché non morirai. Se accettate, appena potrò comincerò a lavorare ad un antidoto per il Silver Bullet”.
“Se è questo che vuoi, Shiho, lo farò. Vermouth?”
“Per colpa del Silver Bullet ho perso anni da vivere come Sharon Vineyard, ma se potrò finalmente presentarmi al mondo con il mio vero nome, allora te lo prometto”, si era fermata a sua volta, “Shiho. Shinichi Kudo, mi dispiace per Angel” aveva detto infine, triste, per poi allontanarsi.
Una fitta la cuore colpì Shinichi, nel ricordare quelle parole. Con ancora la foto di quel 22 dicembre riposta nella mano destra, cominciò a piangere. Il momento più drammatico di quel giorno era stato proprio quello, e lui se lo ricordava molto bene…
Aveva sentito degli spari, ed era corso verso il luogo da cui provenivano. Aveva trovato una Shiho coperta di sangue e un Amuro accasciato a terra, quasi morto. Lui si era subito precipitato dalla ramata.
“Shiho, stai bene?” le aveva chiesto, preoccupatissimo.
Shiho aveva annuito. Aveva cercato cercando di parlare, ma Shinichi le aveva tappato la bocca.
“Sei ferita, non parlare”.
Lei gli aveva morso la mano e gli aveva detto, indicando una direzione:
“Ran è in pericolo, va’ da lei. Muoviti”.
Shinichi non aveva perso tempo. Si era sfilato la giacca e l’aveva data a Shiho, dicendole di mettersi al sicuro, ed era corso a razzo per andare a salvare Ran. Quel giorno faceva davvero freddo, e, una volta toltosi la giacca, gli era rimasto addosso una misera camicia di lino, sotto la quale non indossava neanche una canottiera. In quelle condizioni stava letteralmente congelando, ma non gli era importato. Durante il faccia a faccia con Vodka, si era pure beccato un proiettile nella gamba destra da Chianti. Fortunatamente l’aveva centrato solo di striscio, senza colpire l’osso. Mentre stava correndo, le gambe avevano protestato per la stanchezza, e quella destra gli era pulsata di dolore, ma non gli era importato. Oltretutto, gli era mancato anche il fiato, ma non gli era importato neanche quello. L’unica cosa a cui aveva tenuto davvero in quel momento era Ran, soltanto lei.
Era arrivato. Col fiatone e il battito a mille, ma era arrivato. Gin le stava puntando una pistola alla tempia, e tutti i suoi più cari amici erano lì a guardare, impotenti. Lui non ci aveva visto più: si era buttato addosso all’uomo e si era beccato un’altra pallottola, ma era riuscito ad assestargli un bel calcio che lo aveva fatto accasciare a terra. Kogoro si era subito avvicinato a Shinichi, preoccupato per la sparo. Gin, con la poca forza che gli era rimasta, aveva premuto il grilletto contro il detective in trance – il primo che gli era capitato sotto tiro - ma non lo aveva preso. L’aveva forse mancato? No. Anzi, l’avrebbe preso in pieno, se solo non fosse stato per Ran, che aveva scansato il padre un attimo prima che la pallottola lo raggiungesse. Kogoro, appena preso coscienza della situazione, aveva preso Gin e aveva cominciato a riempirlo di botte, mentre tutti i presenti erano scoppiati a piangere. Fra tutti c’era Shinichi, con il viso coperto dalle lacrime.
A quel terribile ricordo, il suo dolore si accentuò ancora di più. Deglutì, cacciando dentro le lacrime. Strinse i pugni con così tanta forza che le unghie affondarono nella pelle, ma non gli importava… era come se, con quel gesto, stesse cercando di autopunirsi.

“Ran, svegliati… ti prego, Ran… Ran” aveva ripetuto, fra un singhiozzo e l’altro. “Ran, tu non puoi morire. Io… io sono un verme , ti ho mentito per tutto questo tempo… ma ora è tutto finito, io posso finalmente dirti la verità, e tu devi arrabbiarti. Io starò fermo a farmi coprire di insulti da te, sentendo nelle mie orecchie la tua bellissima voce. Tu farai questo e tanto altro, ma non puoi morire, perché io… io ti amo, dannazione! Si, hai sentito bene: io ti amo, Ran Mouri”.
“Anche io ti amo, Shinchi Kudo” erano state le sue ultime parole. Shinichi aveva subito messo due dita sulla sua gola, aspettandosi di sentire qualcosa pulsare. Si era immaginato tutta la sua vita con Ran: il fidanzamento, il matrimonio, i figli, una splendida casa, sua madre che tentava di ucciderlo perché l’aveva fatta diventare nonna… Tutto questo si era infranto in un istante, quando aveva avuto la prova definitiva: Ran era morta.
Ma poi lo aveva sentito. Il suo battito. Ran stava respirando. Debolmente, ma stava respirando. Un attimo dopo, Shinichi aveva udito uno sparo. Due spari. Tre spari.
Aveva preso Ran in braccio, l’aveva affidata alle mani attente di Kogoro ed Eri e si era diretto verso il luogo in cui Vermouth stava quasi per uccidere Shiho. L’arrivo di Shinichi l’aveva però salvata. Dopodiché, un solo pensiero aveva affollato la mente del detective dell’Est: Ran.
Poche ore dopo, si erano trovati tutti all’ospedale. Ran era messa peggio di tutti: era infatti dovuta entrare in sala operatoria, e l’operazione aveva soltanto il dieci per cento di probabilità di riscontrare esito positivo.
Shinichi era stato per tutto il tempo – cinque lunghissime ore – ad aspettare che un medico uscisse dalla sala operatoria. Era rimasto seduto nella medesima posizione, fissando per tutto il tempo il muro bianco. Lui era una persona che, data la sua professione, aveva a che fare con la morte, ma odiava gli ospedali. Lo trovava un luogo troppo triste. L’unico evento lieto di quel posto erano le nascite; il resto gli dava la nausea. La prima cosa a dargli la nausea era l’edificio stesso. In posti come quelli la gente va con malinconia, quindi perché non rendere l’accoglienza più calda? I corridoi, le sale d’attesa, le stanze dei pazienti… tutto quanto avesse a che fare con un ospedale era bianco e monotono. Perché? Raramente si vedeva un ospedale in cui ci fossero stanze più allegre, pensate per i bambini malati.
Una porta si era di colpo aperta. Ne era uscito un medico sulla cinquantina circa, dall’espressione indecifrabile.
“Allora?” aveva chiesto Shinichi, asciugandosi le mani zuppe di sudore sui pantaloni.
“Lei chi è? Non posso dirle l’esito dell’intervento se non è un parente”.
“Io sono il suo migli…”
“Il suo cosa, prego?” s’era incuriosito il dottore, inarcando un sopracciglio.
“Il suo fidanzato. La persona che ha appena operato, Ran Mouri, è la mia ragazza. Ha diciassette anni, ha i capelli corvine e lunghi, gli occhi tendenti al lilla, il suo gruppo…”
“D’accordo, d’accordo. Si calmi” l’aveva interrotto il medico. “Sono felice di annunciarle che l’intervento è andato per il verso giusto”.
In quello stesso istante, Shinichi s’era sentito leggerissimo, come se avesse appena ingerito una compressa di APTX4869 capace di farti regredire all’età di un anno.
Tutto quello che era successo in seguito lo ricordava distintamente. La verità era finalmente venuta a galla. Ran e Shinichi avevano avuto una lunga chiacchierata, terminata con un lungo bacio. Poi, anni dopo, c’era stato il matrimonio, al quale non era mancato nessuno: Yusaku e Yukiko – la stessa che si faceva chiamare Yuki-chan da Doyle e Agatha, i nipoti – Kogoro ed Eri – la quale era riuscita ad ottenere il minimo della pena per Sharon Vineyard, facendo finire all’ergastolo il resto della banda – Agasa e Fusae – si erano infatti fidanzati e sposati - i Detective Boys, Sonoko, Kazuha ed Heiji – sposati un anno prima – insieme ai genitori, Akai e Jodie, James Balck, Andre Camel, Megure, la Kobayashi e Shiratori, Sato e Takagi, Chiba e Naeko, Hidemi Hondo e suo fratello Eisuke, Sera Masumi, sua madre – la quale aveva involontariamente ingerito l’APTX4869, che le aveva causato il rimpicciolimento e la tosse cronica – Shukichi Haneda, l’altro fratello, insieme a Yumi, Shiho e Rei – che si erano fidanzati dopo che la Miyano aveva scoperto l’amicizia fra la sua famiglia e i Furuya, morti anche loro a causa dell’organizzazione – e gli altri conoscenti che rimanevano.
Una vibrazione distolse Kudo dai suoi dolci ricordi, e lo riportò alla realtà. Ripose la fotografia al suo posto, estrasse il telefono dalla tasca dei pantaloni e rispose.
“Pronto?”
“Kudo, sono io, Megure. Senti, lo so che è presto, ma abbiamo un nuovo importante indizio. Ti sarei molto grato se venissi qui il prima possibile a darci una mano”.
“D’accordo, ispettore, mi dia venti minuti e sono da lei”.
“Bene, ti ringrazio”.
“Allora, novità?” gli chiese la moglie, facendolo sussultare.
“Cosa ci fai già in piedi? Ti ho detto già che non voglio che ti alzi presto per me” la rimproverò lui, prima di andarle incontro e darle un lungo bacio.
“Guarda che sono grande abbastanza per decidere con la mia testa” rispose lei, rivolgendogli un sorriso. “Volevo approfittarne per preparare la colazione anche a te, oltre che per me e per i bambini, ma vedo che devi andare”.
“Già. In questi giorni il killer ha aggredito altre tre donne, e per la prima volta dopo settimane abbiamo qualcosa di concreto fra le mani”.
“D’accordo, signor detective”.
“Ehi, non è mica colpa mia se la polizia è spacciata senza il grande Shinichi Kudo. Pensa se non ci fossi” disse lui ridacchiando.
“Davvero una grande perdita” scherzò lei.
“E poi prima vado e prima torno per il mio premio di stasera, non credi?” disse, sbottonandole la camicetta e facendoci scivolare dentro la mano. La donna gli diede un lungo bacio e lo allontanò.
“Appunto, il premio è stasera, non adesso” commentò divertita. “E poi non vorrai far attendere Megure o che ci vedano i bambini?”
“I bambini dormono, e se Megure aspetta un po’ di più non muore mica”.
“Niente da fare, mio caro. Ho detto stasera”.
Kudo s’arrese. Spense il caffè, lo versò in due tazze e cominciò a sorseggiarlo, porgendo l’altra tazza alla moglie. La donna lo prese e lo bevve tutto d’un sorso; poi, una volta finito, cominciò ad armeggiare qua e là per preparare la colazione ai piccoli di casa Kudo. Intanto il marito si apprestò ad uscire.
“Ehi, Shinichi, un’ultima cosa”.
“Si?” chiese lui, mentre si sistemava il cappotto.
“Ricordi quell’anime che tua madre ha fatto produrre, quello che narra le tue vicende da Conan?”
“Ah, Detective Conan?”
“Esatto. Be’, vedi, c’è un forum ispirato a quell’anime, che tua madre frequenta molto spesso… si chiama Detective Conan Forum, se non sbaglio”.
“Sì, il nome è quello, ma adesso cosa c’entra?”
“Quest’anno compie dodici anni di attività, e sarebbero onorati se tu, il protagonista dell’anime a cui si ispira il forum, gli dessi gli auguri.”.
“Ehm, d’accordo. Allora ci faccio un salto più tardi, così…”
“NO! Cioè, volevo dire… sei così impegnato, fai loro un regalo, o un video…”
“Scusa, ma non è meglio andarci di persona?”
“Shinichi, sarebbe troppo crudele. Tua madre ci tiene alla vita degli utenti del forum”.
“Continuo a non capire…”
“Lascia perdere. Tu limitati a qualcosa di semplice, che ti tenga a distanza di sicurezza da loro, e tutto andrà bene”.
“Ehm, d’accordo, allora io vado” disse, e sgattaiolò via.
“Ti amo” gridò lei, sperando di essere sentita.
“Ti amo anche io, Ran” furono le sue parole prima di lasciare la villa.
 
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