Lo so, probabilmente molti di voi arricceranno il naso, altri non apriranno nemmeno il topic...non importa.
Volevo condividere con voi un discorso che ho trovato dannatamente interessante e che mi ha fatto pensare: il veganismo solitamente è visto come una filosofia estrema praticata solo dagli animalisti estremi; l'idea generale è che un'alimentazione vegana sia non solo sconsigliata ma del tutto inappropriata per le esigenze del corpo umano.
Il contenuto di questo "articolo" spiega invece perchè l'alimentazione vegana potrebbe (dovrebbe?) essere osservata anche dai non animalisti e che non è per niente deleteria se ben equilibrata, ma anzi, permette una minore incidenza di malattie cardiovascolari e di tumori.
So che è lungo, ma, se avete del tempo, fermatevi un attimo e usatene un po' per leggere queste cose; magari non vi cambierà niente ma almeno avrete potuto vedere le cose da un punto di vista che solitamente viene soffocato, nascosto. Per chinque voglia approfondire il link da cui è tratto questo papiro è
http://www.viverevegan.org/VEGANISMO & ANIMALI
Perché scegliere di diventare vegan? La ragione principale è il rispetto degli animali. Chi segue questo stile di vita non li considera semplici oggetti ma esseri sensibili con un loro valore intrinseco. Per questo i vegan non mangiano prodotti animali come carne, pesce, uova e latticini, non indossano pelle, lana o seta, non usano prodotti sperimentati sugli animali. Non comprano animali e non li tengono in gabbia, non visitano zoo e acquari, non vanno al circo e agli spettacoli che impiegano animali. Evitano insomma tutto quello che comporta la morte e la sofferenza degli animali. Ogni anno miliardi di esseri senzienti sono trasformati in prodotti alimentari, dopo una breve vita fatta solo di sofferenza. Chi sceglie di vivere vegan non può fermare da solo tutto questo: rifiuta però di parteciparvi e di esserne la causa. Non solo. Compie una scelta consapevole e responsabile, mandando un importante segnale per una società più rispettosa dei diritti degli animali non umani e umani.
No alla carne
Vivere vegan significa rifiutare tutto quello che deriva dallo sfruttamento degli animali: oltre a carne e pesce, anche latte, uova, pelle, lana, seta... Oltretutto la quasi totalità dei prodotti animali (carne, latte, uova) proviene da allevamenti intensivi, dove gli animali sono rinchiusi senza nessun rispetto per le loro esigenze fisiologiche, con il solo scopo di raggiungere la massima produttività nel minor tempo possibile. Fino al momento della uccisione, in quelle macabre “catene di smontaggio” che sono i macelli. La morte degli animali è preceduta dal trasporto, lungo ed estenuante, fino al mattatoio: stipati nei camion, senza potersi muovere, bere o mangiare, arrivano a destinazione in gravissime condizioni di stress, spesso così debilitati da non riuscire nemmeno ad alzarsi.
No al latte
Non molti sanno che mucche e vitellini vengono uccisi nel ciclo di produzione del latte. Le mucche possono vivere fino a quaranta anni, ma negli allevamenti sono macellate quando la loro produzione di latte diminuisce, in genere dopo circa sette anni. La loro vita così innaturale, la mungitura meccanica, la selezione per aumentarne la produttività, la stabulazione nei capannoni, la mancanza di movimento, rendono le “mucche da latte” animali così debilitati che spesso, a “fine carriera” non si reggono più nemmeno in piedi. Da qui il modo di chiamarle “mucche a terra”. Così una volta sfruttate per il loro latte vengono condotte al macello per la loro carne. Durante questo ciclo di produzione sono inseminate artificialmente: se non mettessero al mondo i vitelli destinati al macello, non produrrebbero latte. I vitellini, strappati alla madre subito dopo la nascita, sono destinati, se maschi, al mattatoio a pochi mesi di vita (carne di vitella) o fatti ingrassare per essere macellati dopo due anni (carne di manzo); se femmine, seguiranno il destino delle madri. Da questo si desume che il latte e i derivati non dovrebbero ovviamente essere consumati nemmeno dai vegetariani. Non importa se un formaggio contenga o meno caglio animale (ottenuto dallo stomaco degli animali macellati): i latticini, anche se biologici, sono il risultato di un ciclo produttivo che prevede la morte di mucche e vitelli.
No alle uova
Anche la produzione di uova comporta la morte delle galline e dei pulcini maschi. Le galline vivrebbero quindici anni, ma in tutti gli allevamenti, non solo in quelli intensivi, finiscono macellate appena il numero di uova prodotte diminuisce (di solito intorno ai due anni di vita) per diventare carne di seconda scelta. Stipate in gran numero dentro a minuscole gabbie, senza nemmeno la possibilità di aprire le ali o di seguire i loro naturali istinti, diventano stressate e aggressive a tal punto che spesso si feriscono e uccidono fra loro; il taglio del becco, pratica comune negli allevamenti, serve a limitare questo problema. I pulcini maschi, inutili al ciclo produttivo, vengono buttati vivi in un tritacarne per diventare mangime, soffocati o semplicemente lasciati morire accatastati in grandi mucchi.
No al pesce
I pesci hanno un sistema nervoso complesso e, come gli altri animali, provano paura e sofferenza. Qualunque sia la modalità di cattura, la morte dei pesci avviene sempre per soffocamento, dopo un’agonia lunga e terribile che non viene tenuta in alcuna considerazione. L’amo, oltre che un forte dolore, provoca spesso danni irreversibili e morte, anche nei casi in cui il pesce venga rigettato in acqua. Le reti da pesca sono la trappola e la fine anche per tartarughe marine, uccelli, delfini e animali di ogni genere. I pesci d’allevamento sono spesso reclusi in condizioni inaccettabili, tanto che una notevole percentuale degli animali allevati muore per malattie ed epidemie.
No all’ allevamento biologico
Come in tutte le fattorie, grandi e piccole, anche in quelle biologiche gli animali sono sfruttati e uccisi. Per la loro carne, per il latte e le uova. Anche se spesso godono di condizioni di vita migliori, le galline ovaiole vengono uccise quando non sono più produttive e così pure i polli maschi, come conseguenza del processo di produzione delle uova. Stesso discorso per il latte: i vitelli e le mucche “a fine carriera” sono inevitabilmente mandati al macello. Sarebbe impensabile mantenere in vita tutti i maschi improduttivi, nati solo per avviare la produzione di latte, che sfrutterebbero il suolo per tutta la loro vita, con dei costi di mantenimento inaccettabili.
Quando il destino degli animali rimane la macellazione, parlare di amore e rispetto è solo una contraddizione ipocrita e crudele.
VEGANISMO & AMBIENTE
Il nostro impatto ambientale, ossia il modo in cui influiamo sull’ambiente, deriva dall’insieme delle nostre scelte di vita e di consumo. E se questo è relativamente acquisito nella coscienza pubblica, soprattutto in questi ultimi anni in cui la preoccupazione per il futuro del nostro pianeta è notevolmente cresciuta, non sempre è chiaro come e quanto concretamente influiamo sull’ambiente che ci circonda.
Fra i diversi argomenti a tale riguardo, di sicuro uno dei più rilevanti è la nostra alimentazione. Infatti il cibo che consumiamo è uno dei fattori quantitativamente maggiori nella valutazione del nostro impatto ambientale e, come vedremo i prodotti animali, come carne, latte, uova, pesce, sono fra le cause maggiori di speco di risorse e inquinamento.
Gli animali d'allevamento consumano infatti molte più calorie, ricavate dai mangimi vegetali, di quante ne producano sotto forma di carne, latte e uova e come "macchine" (così purtroppo sono considerati nella moderna zootecnia) che convertono proteine vegetali in proteine animali, sono del tutto inefficienti. D’altronde basta pensare che mentre ci si potrebbe nutrire direttamente con le risorse vegetali coltivate nei campi, si preferisce invece coltivare gli stessi campi per produrre cibo per gli animali chiusi negli allevamenti, per i quali bisogna poi “sprecare” una enorme quantità di risorse energetiche e di acqua.
Consumo di acqua
l consumo d’acqua di una dieta che includa la carne o latticini è decisamente maggiore di una dieta vegan (che esclude i derivati animali); ed il tema dello spreco d’acqua, soprattutto proiettato negli anni a venire, è di scottante attualità. Per esempio, si pensi che per produrre un kg di manzo possono occorrere fino a 100.000 litri d’acqua, mentre per un chilo di frumento ne occorrono solo 900 e per un chilo di soia 2000. [Fonte: “Water Resources: Agriculture, the Environment, and Society” An assessment of the status of water resources by David Pimentel, James Houser, Erika Preiss, Omar White, et al. Bioscience, February 1997 Vol. 47 No. 2]
I numeri potrebbero sembrare eccessivi, ma basta riflettere un attimo sull’iter di produzione. Per un chilo di frumento è necessario in totale utilizzare circa 900 litri di acqua. Ma per produrre una bistecca, bisognerà prima di tutto coltivare quello stesso frumento, anzi molto di più, dato che andrà usato per nutrire dei bovini per svariato tempo; tempo nel quale andrà dato loro da bere, ma anche utilizzata molta acqua per tenere pulite le stalle; ed infine bisogna anche considerare l’acqua utilizzata all’interno dei macelli. In totale, non è poi così strano vedere che mangiando carne si consumi circa CENTO volte più acqua che non mangiando vegan!
Senza dimenticare che quanto detto è vero anche per gli altri alimenti animali. Ad esempio, le considerazioni sull’acqua necessaria per allevare un bovino sono valide anche per la produzione di latte; in questo caso addirittura si deve considerare anche l’impiego di acqua, non indifferente, necessario per tenere pulite le sale di mungitura e soprattutto i macchinari per mungere. Si arriva facilmente ad un fabbisogno di circa 100 litri al metro quadro per giorno. [fonte: Il ruolo dell’acqua nell’allevamento animale - Giuseppe Enne, Gianfranco Greppi, Monica Serrantoni]
Decidendo semplicemente di essere vegan si possono risparmiare più di 5 milioni di acqua ogni anno. Si potrebbe lasciare aperta la doccia 24 ore al giorno per 365 giorni l’anno. Senza riuscire a sprecare così tanta acqua come fa una persona che segue una dieta a base di prodotti animali.
Effetto serra
Andando oltre, un altro aspetto fortemente negativo dell’allevamento, anche questo poco conosciuto, è la sua incidenza sull’effetto serra. Infatti sono molti gli studi che indicano chiaramente come il contributo della produzione di alimenti animali al totale dei gas serra sia molto rilevante. In particolare, sotto forma di metano prodotto dal sistema digerente degli animali con l'emissione di gas intestinali, mentre le deiezioni degli animali diffondono nell'ambiente sostanze acidificanti ed eutrofizzanti. Ricordando anche che, come già sottolineato, l’allevamento implica una maggiore serie di attività inquinanti rispetto al coltivare vegetali destinati direttamente all’alimentazione umana, come ad esempio il trasporto di vegetali e la loro trasformazione in cibo per animali. Tutto questo porta un altro forte contributo all’effetto serra. Per avere qualche dato ufficiale, basta riportare che la FAO, nella relazione "Livestock's long shadow" presentata il 29 novembre 2006, afferma che il bestiame produce circa il 9% del principale gas serra, il biossido di carbonio, ma è responsabile di alte emissioni di altri importanti gas serra: il 35-40% delle emissioni di metano e il 65% di quelle di ossido di azoto (che è circa 300 volte più dannoso del CO2 per il riscaldamento globale) vengono prodotte infatti dal bestiame. Le emissioni totali di gas serra causate dal settore zootecnico sono pari al 18% del totale dovuto alle attività umane; una percentuale simile a quella da addebitare all'industria e maggiore di quella dovuta all'intero settore dei trasporti.
Un recente studio condotto in Germania (dall’associazione FoodWatch insieme ai ricercatori dell'Istituto tedesco per la Ricerca sull'Economia Ecologica) effettua un calcolo preciso su quanta CO2 si produca, in un anno, seguendo diversi tipi di alimentazione; per risultare più comprensibile il raffronto è stato esplicitato in termini di km equivalenti percorsi in auto e si hanno i seguenti risultati:
Alimentazione vegan
Da agricoltura bio: 281 km
Da agricoltura convenzionale: 629 km
Alimentazione vegetariana
Da agricoltura bio: 1978 km
Da agricoltura convenzionale: 2427 km
Alimentazione onnivora
Da agricoltura bio: 4377 km
Da agricoltura convenzionale: 4758 km
Deforestazione
Ci sono altri aspetti poco conosciuti dell’impatto degli allevamenti. Uno di questi è il suo peso rispetto alla deforestazione: le foreste pluviali vengono abbattute non tanto per predarne il legname, come molti credono, ma sopratutto per ottenere pascoli per l'allevamento di bovini destinati a fornire carne all'Occidente. Il problema consiste ancora una volta nella necessità di produrre grandi quantità di vegetali non per nutrire direttamente l’uomo ma per sostenere l’allevamento, per poi – alla fine dei conti – produrre cibo per una quantità molto minore di esseri umani.
Ad esempio, i dati riportano che la maggior parte della deforestazione della Foresta Amazzonica è dovuta all’allevamento di bovini (la cui carne verrà poi principalmente esportata), circa il 60%. Solo circa il 30% è dovuta all’agricoltura di sussistenza o di piccola scala [fonte:
www.mongabay.co].
Una ulteriore riflessione importante: anche per quanto riguarda l’agricoltura c’è un problema collegato dall’allevamento; infatti una grossa fetta di risorse vegetali, soprattutto la soia, vengono coltivate per diventare foraggio per gli animali. Quindi, semplificando al massimo: si abbattono grandi aree di foresta per fare campi di soia e cereali, che invece di essere usati per nutrire gli uomini (magari di quelle stesse zone), sono usati per sostenere l’allevamento e produrre carne da esportare nei paesi più industrializzati. Ancora un aspetto dal quale emerge lo spreco e il grave impatto ambientale del consumo di carne e altri alimenti animali.
Per salvare l'ambiente
Riassumendo, i dati oggettivi sono incontrovertibili: l’allevamento di animali – sia per produrre carne che per produrre altri derivati – comporta un enorme spreco d’acqua, contribuisce in maniera rilevante all’effetto serra, è la principale causa della deforestazione ed è altamente inquinante non solo a causa dell’allevamento stesso ma anche per la produzione di foraggio, per i trasporti, dei mangimi e degli animali.
Questa forte critica all’allevamento ovviamente va fatta nella misura in cui esiste una valida alternativa: scegliere una alimentazione priva di alimenti animali, ossia seguire una dieta vegana.
Essere vegani è uno stile di vita, un modo di essere sensibili e rispettosi di tutte le vite e dell’ambiente e si esprime con il rifiuto di ogni forma di sfruttamento degli animali.
A tavola significa non consumare prodotti di origine animale – carne, salumi, pesce, ma anche uova, latte, formaggi, miele – sapendo che non solo gli alimenti derivanti dall’uccisione, ma anche tutti quelli presentati tradizionalmente come “incruenti” significano sofferenza e morte per gli animali, comportano gravi danni per la salute della Terra e riducono le risorse a disposizione per i paesi più poveri.
I prodotti vegetali che la natura ci offre sono davvero tanti e sta alla nostra fantasia abbinarli per realizzare piatti prelibati e nutrienti. Diventare vegani vuol dire scoprire e riscoprire tutto un mondo di cibi sani, gustosi e genuini e quello che spesso passa inosservato è che già molti dei piatti tradizionali della cucina mediterranea e non solo, sono vegani e che tantissimi altri possono facilmente diventarlo.
L’ADA (American Dietetic Association) dal 1987 dichiara che una dieta vegana correttamente bilanciata è salutare, adeguata dal punto di vista nutrizionale e adatta a tutti gli stadi del ciclo vitale (inclusi gravidanza, allattamento, svezzamento, infanzia e terza età) perché garantisce lo sviluppo fisiologico dell’organismo.
VEGANISMO & LE PERSONE
Se tutti diventassero vegani ci sarebbe più cibo per nutrire l’intera popolazione mondiale. Il motivo è semplice. Gli allevamenti consumano enormi quantità di vegetali che gli animali convertono in carne, latte e uova. Ma questo processo di trasformazione comporta una grande perdita delle proteine e dell'energia contenute nei vegetali: la maggior parte serve semplicemente a sostenere il metabolismo degli animali e non si converte in tessuti commestibili. Perché una mucca produca 50 chili di proteine sotto forma di carne, bisogna nutrirla con 790 chili di proteine vegetali. La produzione di latte e uova favorisce lo stesso spreco: per produrre 100 calorie di latte e di uova sono necessarie rispettivamente 500 e 400 calorie di grano. Se invece i vegetali sono destinati direttamente al consumo umano, possono sfamare un numero molto più alto di persone. Un ettaro di terra destinato all’allevamento bovino rende in un anno 66 Kg di proteine; se invece ci si coltiva ad esempio la soia (per nutrire esseri umani) abbiamo un raccolto di 1848 Kg di proteine: 28 volte di più.
Tutto è collegato. Le scelte che facciamo non influenzano solo la nostra vita, ma anche quella degli altri. Se consumiamo più di quanto ci spetti lo sottraiamo agli altri e alle generazioni future.
Oggi, in un mondo di abbondanza, è difficile capire perchè in tutto il pianeta quasi un miliardo di persone soffrano la fame. E perchè 40.000 persone muoiano di fame… ogni giorno. Ciò non accade perché non c’è abbastanza per tutti. Accade perché mentre molti muoiono di fame, noi sprechiamo un’enorme quantità di cereali per nutrire mucche, maiali, pollame ed altri animali solo per soddisfare il nostro desiderio di carne, latte e uova.
La Terra può produrre solo una certa quantità di cibo. La popolazione umana cresce sempre di più, ma la quantità di terra coltivabile no. Allevare animali richiede molta terra, acqua e altre risorse. Per questa ragione la Terra può sostenere solo due miliardi di persone che seguano una dieta a base di carne e latticini. Con una popolazione che ha raggiunto quasi 7 miliardi di persone, è facile immaginare come sia necessario trovare un modo migliore per andare avanti.
Le scelte vegane contribuiscono a creare un mondo che possa nutrire tutti. Le scelte vegane richiedono solo una frazione di terra e molte meno risorse di quelle necessarie per produrre cibi animali. L’equazione è semplice: se consumiamo meno prodotti animali possiamo nutrire più persone. Se ignoriamo questo semplice fatto, al crescere della popolazione mondiale sempre più gente soffrirà la fame.
Inoltre, le scelte vegane tutelano la tua salute e quella degli altri.
Le principali cause di morte nel mondo, ossia malattie cardiache e cancro, sono collegate in modo comprovato al consumo di prodotti animali.
Le scelte vegane aiutano a rendere queste malattie una rarità e contribuiscono a fermare la loro crescente diffusione nel mondo, e questo mentre diete a base di cibi animali vengono incoraggiate in altri paesi a discapito di quelli poveri.
Milioni di persone stanno compiendo scelte responsabili, invece di favorire l’esportazione di fame e malattie. Stanno diventando il cambiamento che vogliono vedere nel mondo. Le loro scelte vegane stanno allungando e migliorando la loro vita, alleviando il peso che grava sul mondo, e prendendo un impegno a favore della vita con le generazioni future.
VEGANISMO & SALUTE
I dati epidemiologici parlano chiaro: i vegan godono di una salute migliore rispetto agli onnivori. Una dieta senza prodotti animali riduce l'incidenza di numerose patologie, in particolare quelle cardiocircolatorie e tumorali, che sono le prime cause di morte nei paesi industrializzati e le più difficili da curare. Secondo i nutrizionisti della American Dietetic Association e i Dietitians of Canada, “le diete vegane ben bilanciate e altri tipi di diete vegetariane risultano appropriate per tutti gli stadi del ciclo vitale, inclusi gravidanza, allattamento, prima e seconda infanzia e adolescenza. Le diete vegetariane offrono molteplici vantaggi sul piano nutrizionale, compreso un ridotto contenuto di acidi grassi saturi, colesterolo e proteine animali, a fronte di un più elevato contenuto di carboidrati, fibre, magnesio, potassio, acido folico e antiossidanti, quali ad esempio le vitamine C ed E e le sostanze fitochimiche”. (Position Paper of the American Dietetic Association, Journal of the American Dietetic Association, 2003).