Dopo molti anni, ho deciso, senza pensarci troppo sopra, di scrivere di getto un capitolo "aggiuntivo" di questa mia fanfic, cui dedicai tanto tempo e fatica, aggiungendo che, in futuro, avevo perfino pensato di dedicarne un altro ad Ai. Molte cose, fra cui il mio stile e il mio temperamento, sono cambiate e presumo che ciò risulterà ben chiaro a chi già mi conosce. In ogni caso, a chiunque di voi desideri leggere questo mio piccolo capriccio, io porgo i miei più sinceri ringraziamenti.
GLI ULTIMI RIMPIANTI
Il grande detective incompleto
Come ogni altra mattina, un giovane emaciato si unì alla lunga fila di cappotti e guanti laceri, in attesa del temporaneo tepore di un pasto dal sapore sempre identico, mentre l’aria, che si faceva ogni giorno più gelida, gli rammentava gli eventi quasi sbiaditi avvenuti svariati anni prima nella medesima stagione.
La figura tremante e solitaria sapeva già come avrebbe trascorso (o, per meglio dire, come avrebbe sprecato) la giornata: già si vedeva nascosta agli occhi di tutti, con le braccia avvolte attorno alle proprie gambe, sotto uno dei ponti della periferia di quella metropoli alienante in cui nessuno contava. Aveva imparato ad amare la vista del rivo sporco che non rifletteva nemmeno la sua ombra, in cui, del resto, non si sarebbe riconosciuta neppure.
Tale era l’esistenza di un fantasma, del tutto insignificante persino agli occhi dei passanti più poveri, che si affrettavano a tornare alle proprie umili stamberghe dopo aver raccolto quanto potevano dai cassonetti dei quartieri limitrofi per avviare l’ansia quotidiana della ricerca di un lavoro che non c’era.
Il sonno non avrebbe potuto dargli alcun conforto: ogni volta che le palpebre cedevano all’amara tentazione, gli sovvenivano le memorie familiari di coloro che, un tempo, lo chiamavano con il suo morente nome; tuttavia, le ultime due persone ad averlo conosciuto davvero lo avevano abbandonato, dopo essersi date a loro volta alla macchia, venendo meno a ogni promessa e speranza di compagnia. A causa loro, perfino i ricordi più puri erano segnati da delusione e rammarico.
In tutti quegli anni, nell’acqua scura gli era parso spesso di scorgere un angelo, intento a prenderlo per mano e condurlo fuori dal vuoto abisso in cui aveva scelto di precipitare, illuminando un sentiero fino a quel momento ignorato, affinché egli potesse risalire verso la superficie e ammirare ancora una volta un cielo limpido e sincero, non ancora avvelenato dalle nubi innaturali che ammantavano come un pesante sudario le distese di ferro e vetro dell’uomo.
Ormai faticava a ricordarne persino il volto, nonostante si sforzasse di collegare l’amato nome, quasi impercettibilmente ripetuto davanti al fiume che scorreva senza sosta, ai suoi contorni e tratti delicati e cari.
«Ran…»
Nella sua mente, la ragazza si era ripresa innumerevoli volte, si era sposata e aveva avuto anche dei figli, cui avrebbe donato tutto il proprio affetto. Chiunque fosse stato il marito, sarebbe senz’altro risultato migliore di lui, perché, a differenza sua, egli non l’avrebbe abbandonata, le avrebbe dato conforto e le sarebbe stato accanto. Quel fortunato sconosciuto avrebbe dedicato la propria vita a tutto ciò che egli aveva rifiutato ed ella, altrettanto colma di amore, lo avrebbe ricambiato.
Un miserabile come lui, invece, non aveva più alcun valore: la morte si era già impadronita di ogni sua azione e pensiero, relegando il suo guscio di carne in un eterno presente, in cui un’inquieta illusione era tutto ciò che lo separava dal salto nel definitivo ignoto.
«Io… io ti amo.»
Non poteva tornare da lei: l’arrogante genio dell’investigazione era morto… e tale sarebbe rimasto, perché ogni sua scelta aveva soltanto rischiato di distruggerla per sempre.
«Perché...»
Una voce roca interruppe il flusso dei suoi desideri.
«Scusa, ragazzo… ma qui c’è gente che aspetta. Vai avanti o lasci il posto?»
Senza voltarsi né replicare, colui che era stato Shinichi Kudo si separò dal gruppo e si avviò verso il ponte, mentre l’altro senzatetto scosse il capo, riconoscendo il medesimo atteggiamento che aveva con amarezza rilevato su tanti altri come loro prima che svanissero nel silenzio.
Il detective incompleto proseguì meccanicamente fino al suo angolo di solitudine, dove si fermò come preventivato e, dopo qualche minuto, si addormentò.
Quando egli riaprì gli occhi, il sole si era levato e la fame era tornata come sempre a reclamare quanto le spettava, impedendogli di accorgersi della persona che attendeva di fianco a lui.
«Shelling Ford... per uno che non vuole essere trovato, hai scelto una nuova identità troppo strana.»
Lo spettro delle strade non rispose né alzò lo sguardo: troppe volte aveva udito la sua voce per poter credere ancora alle falsità dei sogni.
«Sai, in tutti questi anni non è stato per niente facile seguire gli indizi che mi hanno portata da te… mi sa che non sono proprio adatta a questo genere di cose. Anche se i miei genitori e i nostri amici hanno fatto di tutto per darmi una mano, li avevi preparati in modo che soltanto io potessi decifrarli per intero e ritrovarti qui. Una vera impresa, non c’è che dire.»
Ancora una volta… sarebbe rimasto solo.
Una sensazione di gelo lo costrinse a reagire e girarsi, ritrovandosi di fronte a una lattina rossa, stretta con forza dalle lisce dita di una donna.
«Sposami.»
Edited by MAN_IN_BLACK - 6/8/2020, 14:27