Mio figlio

“Ai... acqua... Ran... bambino... aiuto...” e cadde la linea.

Shiho capì di dover prendere in mano la situazione.
Pestò un piede a Shinichi, che capì cosa doveva fare, e corse su in camera da letto a finire il lavoro cominciato dalla moglie.

Shinichi non aveva mai permesso che la sua macchina fosse guidata da un estraneo.
Da quando l'aveva acquistata, 5 anni fa, l'aveva sempre e solo guidata lui, qualche volta Ran.
Ora e mai avrebbe permesso che una mano sconosciuta toccasse il suo volante e le sue marce.
Nemmeno Shiho.
E non gli importava se da lì a poco sua moglie, che stava cominciando ad avvertire un leggero dolore che preannunciava l'arrivo delle doglie, doveva partorire.
In un attimo, prese le chiavi dalla mano di Ai, aprendo il baule e ficcandovi dentro la borsa fatta, e sedendosi al posto di guida.
Era agitato, forse più di sua moglie, perché il bambino stava per arrivare, per conoscere i suoi genitori, ma era sicuro di potercela fare a guidare fino all'ospedale.
“Shinichi, scendi.” disse secca Shiho.
Avevano già perso troppo tempo, e non voleva che Ran partorisse sul vialetto di casa per colpa di quell'idiota che aveva accettato di sposare.
“no, e non importa se per farmi scendere mi rifilerai dell'Aptx! Io solo posso guidare questa macchina!” ribatté lui con fare testardo, stringendo le mani sul volante.