Detective Conan Forum

Kokoro no uragiri

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view post Posted on 28/10/2014, 15:50     +1   -1
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Parte diciannovesima

“Qualsiasi cosa accada ricordatevi, non voglio vittime! Dobbiamo catturarli vivi, se fanno troppa resistenza, solo allora potete sparare per uccidere. E’ tutto chiaro?” disse James Black, al folto gruppo di agenti che si trovava proprio dentro il magazzino abbandonato.
Tranne lui, Akai, Jodie e Camel, che erano in borghese, indossavano tutti la divisa, col gilet blu scuro e l’enorme scritta FBI in bianco, sotto di esso portavano il giubbotto anti-proiettili e avevano tutti gli scudi anti-sommossa.
Tutti gli agenti a quelle parole strinsero le pistole, tutti tranne Shuichi, che si mise il suo fucile a tracolla premette il tasto dell’ascensore.
A quel punto James si rivolse a lui, a bassa voce.
“Questo vale anche per te.”
“Lo so… - disse lui - Per chi mi hai preso? Quei vermi striscianti non meritano neanche la mia rabbia.” rispose lui con tono freddo, ma si capiva che ancora qualcosa lo disturbava nel profondo.
Ed era così. Era da un bel po’ che aveva visto Sera iniziare a frequentare Ran e le sue amiche. Aveva resistito con tutto se stesso a non rivelarle che era ancora vivo e che le era vicino, soprattutto quando aveva saputo che lei lo stava cercando. Il momento peggiore era stato quando aveva visto Vermouth che la stordiva nel corridoio del Bell Tree Express. Non tanto per quell’azione, sapeva bene che la donna l’aveva fatto per salvarla dal caos che si stava creando sul treno. Quello che l’aveva sconvolto era stato quando mentre lui la poggiava sul sedile di uno scompartimento vuoto lei aveva biascicato il suo nome, ma non il suo nome intero, no, l’aveva chiamato come lo chiamava quando era piccola, l’aveva chiamato Shu-nii. In quel momento il suo cuore si era fermato, e per un attimo aveva pensato di sedersi lì vicino a lei finché non si fosse svegliata per poi raccontarle tutto. Poi però la razionalità era tornata a percorrere la sua mente, aveva una missione da compiere, doveva proteggere Shiho da Amuro, allora non poteva sapere che anche il nuovo membro dell’organizzazione stava recitando una parte per il suo stesso motivo.
E adesso l’aveva persa. L’aveva persa per sempre, non sarebbe più tornata, e la cosa peggiore era che se n’era andata senza sapere che suo fratello era ancora vivo.
Proprio in quel momento le porte metalliche dell’ascensore si aprirono e il primo gruppo di agenti entrò nell’ascensore con Akai.
“Stai attento…” gli disse Jodie con aria preoccupata.
Lui si sporse fuori d’all’ascensore le prese il viso con una mano e la baciò. Poi si allontanò subito e le porte dell’ascensore si chiusero.

Il detective del Kansai salì sul taxi per l’ennesima volta, questa volta la sua destinazione era nella periferia di Tokyo.
Attraverso gli occhiali che aveva sul naso, avrebbe guidato il tassista.
Ordinò di partire, dicendo che aveva anche una certa fretta. Così il tassista partì sgommando dirigendosi velocemente verso la destinazione richiesta.
Proprio quando l’auto partì, il cellulare del ragazzo squillò.
Il ragazzo con un sbuffo guardò il display, e con aria scocciata rispose al telefono.
“Dove diavolo sei?” sentì urlare dall’altra parte, prima ancora che potesse parlare.
“Kazuha non è il momento. Ne riparliamo dopo.”
“No, ne parliamo ora! Sono ore che provo a chiamare tutti e nessuno mi risponde. Prima Ran, poi te. Mi vuoi dire cosa diavolo sta succedendo?”
Doveva dirglielo. Continuare a mentire sarebbe stato inutile, soprattutto in una situazione del genere. Prese l’estremità del vetro scorrevole che divideva i sedili posteriori da quelli anteriori e parlò.
“Dei pazzi criminali hanno ucciso Kogoro e rapito Ran, Shinichi è già andato salvarla ed io lo sto raggiungendo.”
Silenzio assoluto. Che idiota che era stato. Perché diavolo gliel’aveva detto? Come poteva pensare che la verità l’avrebbe fatta sentire meglio? Persino lui a ripetere quella verità era disgustato e sconvolto.
“Kazuha ci sei?” chiese dubbioso.
A quelle parole finalmente la risentì. Stava singhiozzando. Probabilmente prima era rimasta paralizzata dal terrore, mentre ora stava piangendo.
Si morse il labbro.
“Ascolta Kazuha, andrà tutto bene. Torneremo tutti e tre a casa, è una promessa!” le disse.
Forse non sarebbe successo, forse sarebbero morti tutti, o sarebbe morto solo lui, ma non poteva sentirla piangere.
La sentì tirare su col naso.
“Va bene - disse - allora… allora ti aspetto… ok?”
“Ok piccola… - disse lui sorridendo - A dopo.” stava per staccare, quando.
“Aspetta Heiji!” esclamò lei.
“Che c’è?” chiese.
“Ti amo…”

La donna non si era scomposta per niente. Si era solo bloccata ed aveva lasciato il viso di Shinichi.
“Bene. Allora direi che oggi è il giorno del giudizio. Dimostreremo a tutti che per arrivare in paradiso bisogna passare dall’inferno!” disse con tono quasi sadico.
Ordinò a Vermouth di riportare il ragazzo nell’ufficio al secondo piano, poi premendo un tastino rosso sotto la scrivania diede lo stato d’allerta.
La bionda ubbidì, prese Scinchi ancora scosso dalla discussione appena svolta e lo trascinò fuori dall’ufficio.
Solo quando furono parecchio lontani dalla porta, parlò.
“Hai avuto un bel coraggio cool guy, se avessi continuato ancora a blaterare minacce penso che una pallottola in testa non te l’avrebbe tolta nessuno.” lo rimproverò.
“Lo so… Sono stato imprudente, ma era l’unico modo per prendere tempo che mi è venuto in mente.” rispose lui.
La donna lo slegò dalle corde.
“Cosa fai?” chiese.
“E’ inutile che finga ora. Ti riporto da Ran, dopodiché uscirete da qui!”
“Ma…”
“Niente ‘ma’ ragazzo. Tu e Ran uscirete da qui. Questa non è la tua guerra non lo è mai stata!” disse lei con tono autoritario.
“Lo è diventata da quando Gin e Vodka mi hanno fatto ingerire quella pillola, lo è diventata da quando Ikuto ha preso Ran…” rispose a tono lui.
“Basta Kudo! Non sto scherzando… Hai diciassette anni! Non puoi comportarti come un’adulto. Ti ho promesso che la pagheranno per quello che hanno fatto, ti deve bastare questo!” disse lei.
Questa volta si erano fermati e lei lo stava guardando con occhi severi.
Shinichi però vide di più in quello sguardo. Vide, supplica, determinazione, speranza.
Sospirò.
“Va bene…” disse.
Poi ripresero a camminare verso il corridoio sette.

“Che cos’é?” chiese Ran preoccupata sentendo quel rumore.
“E’ l’allarme! - esclamò Amuro con un sorriso staccandosi da lei - Forza! L’FBI è arrivata. Ora ti porto al corridoio sette in modo che tu e Kudo possiate uscire fuori di qui.”
La ragazza annuì con la testa e si alzò dalla sedia.
Amuro riprese la pistola in mano e fece segno alla ragazza di rimanere dietro di lui, poi aprì la porta lentamente, quando vide che la via era libera uscì e con un cenno invitò Ran a fare altrettanto.

I bambini erano in infermeria da qualche minuto. L’infermiera era andata nell’altra stanza, che fungeva da ufficio.
“Allora cosa facciamo?” chiese Ayumi, rivolgendosi al bambino lentigginoso.
“Già che facciamo ora che siamo qui?” gli fece eco Genta.
“Fate silenzio. - li rimproverò lui - Sto cercando di elaborare.”
“Elaborare?” chiese nuovamente il bambino robusto con aria stupita.
“Esatto. Non sono mica Conan che le idee mi arrivano subito. Allora uscire dall’infermeria con il rischio che chiunque ci veda e fuori discussione… Potremmo continuare con la recita e farci mandare a casa, ma potrebbe volerci troppo tempo… La finestra è impossibile, siamo al secondo piano e sarebbe troppo alto saltare giù…”
“E se usassimo le lenzuola?” suggerì Ayumi.
“Lenzuola?”
“Sì, come nei film d’azione. Leghiamo i lenzuoli dei lettini l’uno all’altro e li usiamo come corda per scendere dalla finestra.” disse lei con un sorriso.
“Ayumi sei un genio! Ma certo le lenzuola, come ho fatto a non pensarci?”
Dopo quell’esclamazione tutti e tre si misero a sfilare tutte le lenzuola dai letti e legarle tutte assieme, formando un unica corda, bianca a e candida.

L’allarme continuava a suonare insistente da qualche minuto, quando l’uomo dai lunghi capelli biondi andò ad aprire la porta di un ufficio che non era il suo.
“Forza Vodka!”
“Arrivo subito capo.” disse l’uomo nerboruto mettendosi la giacca nera e aggiustandosi gli occhiali.
“Finalmente un po’ di movimento.” sorrise con un ghigno il biondo.
“Sai per caso perché suona l’allarme?” chiede Vodka uscendo col collega dal suo ufficio.
“No, ma qualunque cosa sia mi farà uscire dalla noia, ultimamente si sta divertendo solo Assenzio, persino quando quella persona mi da un compito, salta tutto.”
“Cioè?” chiede dubbioso l’altro.
“Mi aveva detto di andare a villa Kudo e uccidere Subaru Okiya, perché secondo lei sapeva troppe cose, e quando sono arrivato lì, non c’era nessuno.” gli rispose l’uomo tirando fuori la pistola.
Il compare fece altrettanto ed entrambi si diressero verso la loro posizione, la posizione che assumevano quando scattava lo stato di allerta.

Edited by kiaretta_scrittrice92 - 2/3/2015, 19:05
 
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Parte ventesima

L’ascensore arrivò al piano. Il gruppo di agenti uscì velocemente nel corridoio e Akai imbracciò il suo fucile. In quel momento riecheggiava un’allarme. Probabilmente Vermouth aveva già avvisato il boss, come avevano programmato.
Non passarono che pochi secondi che tre uomini dell’organizzazione con le pistole in mano irruppero nello stesso corridoio, iniziando a sparare colpi. Gli agenti, compreso Akai si chinarono dietro gli scudi della prima fila, per ripararsi dai colpi dei proiettili, fu proprio il capo della squadra a mettersi tra due suoi sottoposti in prima fila, poggiare il fucile sui rettangoli di trasparenti che li proteggevano per poi sparare. Li centrò subito tutti e tre. Furono tre colpi precisi alle mani, tre proiettili che sfrecciarono contro il loro obbiettivo, tre pistole che volavano lontano, tre agenti che si avvicinarono agli uomini, legandoli e impedendo loro qualsiasi movimento.
La squadra iniziò ad avanzare, sempre lentamente. Ogni volta che incrociavano una porta, due agenti si appostavano dietro di essa e un terzo, con lo scudo alzato tirava un calcio verso di essa per aprirla. Se c’erano persone dentro i tre irrompevano nell’ufficio e immobilizzavano chiunque fosse, lasciandolo disarmato e legato. Sarebbe spettato alla squadra successiva, quella di Jodie, arrestarli e portarli nei camion blindati che erano rimasti parcheggiati di fronte all’edificio abbandonato.

“Qui!” disse improvvisamente il ragazzo al tassista, che quasi dovette inchiodare per l’ordine improvviso.
Il detective del Kansai pagò il suo accompagnatore e uscì dalla vettura.
Rimase qualche secondo a guardarsi attorno.
Era in una tangenziale di periferia, che molto probabilmente in condizioni normali sarebbe stata completamente deserta. In quel momento invece, c’erano quattro camion blindati parecchio grandi e una decina di macchine, che a una trentina di metri da lui formavano un posto di blocco. Probabilmente anche se non avesse detto al tassista di fermarsi, l’avrebbe fatto comunque.
Si avvicinò lentamente, le mani in tasca e l’aria decisa e circospetta. Non aveva armi per difendersi, perciò doveva stare molto attento. Arrivato vicino al posto di blocco vide due agenti col gilet dell’FBI che parlavano animatamente. Tirò un sospiro di sollievo, se l’FBI era già lì, voleva dire che forse c’era qualche speranza di riuscire a far uscire Shinichi e Ran vivi. Decise però di non farsi vedere. Sapeva che se i due agenti l’avessero visto non l’avrebbero fatto entrare.
Cercando di fare il più piano possibile passò lentamente dietro di loro per poi nascondersi dietro i furgoni blindati.
Arrivato all’edificio abbandonato in cui probabilmente c’era l’ingresso per il covo dell’organizzazione, trovò però una calca pazzesca. Un sacco di agenti erano stipati là dentro, occupando almeno la metà del piccolo locale abbandonato.
Fu Jodie Starling la prima a vederlo.
“Hattori, cosa ci fai qui?” chiese con tono di rimprovero.
“Beh ecco… Ci son state delle complicazioni…” rispose il ragazzo.
Effettivamente non sapeva bene cosa dire. Non si aspettava tutti quegli agenti lì ed era successo tutto talmente in fretta che non aveva una spiegazione precisa e pronta da esporre.
“Ascolta so che vuoi aiutare il tuo amico e Ran, ma saresti solo d’intralcio…”
“No no, ascolti… Sono stato all’agenzia Mouri neanche un’ora fa, e un cecchino ha ucciso il detective Kogoro…” disse alla svelta non trovando un modo migliore per spiegare la situazione.
“Che cosa?! - l’agente federale sembrava alquanto sconvolta. - Ran lo sa?”
“Non lo so… Quando è successo ho sentito Shinichi, quindi forse glielo ha detto lui…”
La donna sbuffò innervosita, poi si volse con sguardo interrogativo verso il suo capo. Lui probabilmente aveva la sua stessa domanda in testa. Come risolvere un caso di omicidio così eclatante senza creare uno scandalo? Poi ebbe l’illuminazione.
“Bene, mi occupo io di questo problema. Andrò alla polizia e spiegherò la situazione. E’ inutile tenere tutto nascosto ora che stiamo agendo, magari assieme all’ispettore troveremo una soluzione per questo tragico incidente. Camel, - disse poi rivolgendosi al suo sottoposto - lascio a te la mia squadra.”
“Va bene capo!” rispose l’uomo robusto.

Di colpo l’allarme smise di suonare e i due ragazzi si fermarono un attimo.
“Come mai ha smesso?” chiese Ran con tono preoccupato.
“Vuol dire che gli agenti hanno già iniziato a fare irruzione e che i membri dell’organizzazione sono già tutti nelle loro postazioni. Ora dovremmo fare il triplo più attenzione.” le sussurrò Amuro, poi le prese la mano e ricominciarono ad avanzare.
Fortunatamente Amuro, da buon membro dell’organizzazione, conosceva tutte le postazioni dei suoi colleghi e sapeva come evitarli o aggirarli, in modo che non li vedessero mai, e se dovevano passare per forza di fronte a loro, cosa che era capitata solo un paio di volte, con un colpo preciso di pistola li faceva cadere al suolo privi di vita.
Ogni volta che il ragazzo alzava la mano destra per puntare la pistola sul suo obbiettivo, Ran lasciava la presa sull’altra mano e si tappava le orecchie, per attutire il rumore assordante dell'arma da fuoco.

La donna era seduta sulla sua scrivania, quando qualcuno bussò alla porta.
“Avanti!” disse con voce sicura.
Alla porta entrò lui.
Per quanto il suo labbro fosse ancora gonfio e un po’ sanguinante, questo non rovinava assolutamente la sua aria da grande seduttore.
“Come mai non sei nella tua postazione? Non hai sentito l’allarme?” chiese il ragazzo, chiudendosi la porta alle spalle.
“Potrei farti la stessa domanda…”
“Già, ero venuto a cercare la mia preda, ma a quanto pare è sfuggita anche a te.”
La donna scese dalla scrivania e si mise in piedi, incrociando le braccia.
“E’ sfuggita anche a me, ma credo di sapere dove si trova.”
“Dici sul serio?” chiese Ikuto.
Il suo sguardo divenne un misto tra affascinante e sadico, come se non vedesse l’ora di assaporare il momento di vendicarsi per quello che Ran gli aveva fatto.
“Ho sentito Vermouth e Amuro parlare di come salvare Kudo, sono dei traditori e sono più che sicura che c’è anche la ragazza con loro.”
“Capisco…”
Il ragazzo non sembrò per niente stupito da quella notizia, e questo incuriosì parecchio la donna.
“Non sei stupito del fatto che Vermouth e tuo cugino non siano dalla nostra parte.”
“Di Vermouth non avevo nessun dubbio già da un po’, che stesse tramando per tradirci. Era la prima su cui io e il boss sospettavamo, da quando Gin aveva esposto i suoi dubbi, e sapevo bene che era uno di quelli che sapeva che Kudo era ancora vivo. Per quanto riguarda mio cugino, credo che quando entrò in questa organizzazione fin da subito aveva l’intenzione di abbatterla. Si è sempre comportato da bravo cagnolino, quando invece in famiglia e nella vita normale era molto più simile a me. Probabilmente stava tramando qualcosa fin dall’inizio. Ne ho avuto la conferma quando l’altro giorno mi ha fermato quando ero ad un appuntamento con Ran, per cercare di estorcerle delle informazioni.”
“Ma tu pensa… A quanto pare la vedi lunga.”
“Beh, allora direi che se sono dei traditori, lei non ci sgriderà se li facciamo sparire dalla faccia della terra… - rispose lui tirando fuori la pistola - Vieni con me?”
“Volentieri…” rispose la donna con un sorriso ancora più oscuro e maligno.

Arrivarono al corridoio sette quasi insieme. Vermouth e Shinichi avevano appena svoltato l’angolo, quando videro la pistola di Amuro fare un’altra vittima.
I quattro si trovarono a metà strada.
“Bene, ora dovete assolutamente uscire da qui. E voglio che nessuno di voi due rientri, mi sono spiegata?” chiese Vermouth con tono deciso, rivolta soprattutto al ragazzo.
Shinichi rispose con un cenno, poi porse la mano a Ran.
Lei dubbiosa passò lo sguardo da quella mano tesa verso di lei al volto frustrato del ragazzo che gliela porgeva per poi rivolgersi al biondo che le teneva ancora la mano.
Lui le si avvicinò col viso e le sussurrò qualcosa all’orecchio. Shinichi non seppe mai cosa le disse Amuro, ma dopo quelle parole lei sempre con quell’aria titubante, gli lasciò la mano e prese la sua.
“Ti porterò fuori di qui Ran, te lo prometto.” le disse lui per rassicurarla.
Lei rispose solo con un cenno di testa.
Fu in quel momento che accadde l’inimmaginabile.
Dal corridoio perpendicolare a dove si trovavano loro apparvero Rena e Ikuto, quest’ultimo aveva una pistola in mano e in un attimo sparò nella loro direzione.
Il colpo era diretto a uno di loro quattro. Shinichi serrò gli occhi abbracciando Ran e chinandosi su di lei in modo da proteggerla con il suo corpo, ma il colpo a quanto pare non era diretto a loro.
Dopo pochi millesimi di secondo riaprì gli occhi e vide Amuro accasciato al pavimento. La sua camicia bianca era macchiata di sangue all'altezza del ventre e dietro di lui Vermouth era rimasta per un attimo atterrita.
Capì subito cosa era successo. Il proiettile era diretto alla donna e il biondo ebbe la stessa idea che aveva avuto lui. Ovvero proteggerla, per questo le si era buttato davanti, senza pensare al rischio che poteva correre.

Edited by kiaretta_scrittrice92 - 2/3/2015, 19:05
 
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Scusate se corro... Ma come al solito ho altri lettori al di fuori del forum, inoltre sto mandando avanti questa ff anche su EFP ^_^

Parte ventunesima

L’incertezza della bionda durò solo qualche millesimo di secondo. Tirò fuori la pistola e si mise davanti ad Amuro.
“Andate! - disse lanciando un’altra pistola a Shinichi - E qualsiasi cosa accada non vi voltate indietro finché non uscirete fuori di qui!”
Il detective liceale prese l’arma al volo, lanciò un ultimo sguardo ai suoi due alleati, uno a terra ferito e l’altra in piedi agguerrita più che mai. Non avrebbe voluto lasciarli lì, ma aveva due promesse da mantenere: la prima era portare Ran fuori da quel posto e la seconda era uscire e non intromettersi. Così fece come gli fu ordinato, si voltò verso il corridoio che ancora era vuoto e iniziò a correre, portandosi dietro Ran che ancora gli teneva la mano.
“Cosa aspetti? - chiese Kir puntando la sua pistola contro la sua avversaria, ma rivolgendosi al collega - Inseguili! Ci penso io a loro due!”
Ikuto non se lo fece ripete un’altra volta, e corse dietro ai due, prendendo poi però un corridoio diverso.
Vermouth lo vide sfuggirle sotto il naso, sapeva che se avesse sparato nella sua direzione, la woman in black a sua volta avrebbe sparato contro di lei uccidendola e privandole ogni possibilità di sopravvivere e di salvare tutti gli altri. Sapeva dove stava andando, prendendo quel corridoio sarebbe arrivato prima della coppia di giovani all’ascensore. Non le rimaneva che sperare con tutto il cuore che incontrassero Akai prima di Ikuto. Inoltre era preoccupata anche del compagno che aveva alle spalle. Si chiedeva ancora cosa fosse saltato in mente a quel ragazzo. Possibile che avesse frainteso i suoi sentimenti. Era convinta che fosse solo infatuato di lei, che come ogni uomo, fosse attratto dal suo corpo e basta. Invece si era sacrificato per lei, non aveva esitato a lanciarsi davanti a lei per proteggerla, prendendosi il proiettile al suo posto. Forse quel ragazzo provava un sentimento vero e puro, un sentimento che lei non provava da anni, un sentimento che forse ora iniziava a percepire nel profondo del suo cuore. Come una spina fastidiosa che iniziava a pungere nel petto da quando l’aveva visto fare quel gesto disperato. E sebbene non fosse sicura che quel sentimento fosse vero, l’unica cosa di cui era sicura era che quel ragazzo era stato l’unico a rimanerle vicino sempre e comunque, anche quando le cose si erano fatte difficili da affrontare, proprio come in quel momento. Per questo motivo non lo avrebbe assolutamente abbandonato. Era il suo turno di ricambiare il favore e non avrebbe reso meno a quel debito.
Fu la mora a parlare per prima, continuando a minacciarla con la pistola.
“Sapevamo tutti che saresti stata una seccatura per l’organizzazione. Gin era l’unico che aveva il coraggio di dire tutto al boss, eppure lei continuava ad avere fiducia in te.”
La bionda sorrise maligna.
“Sono parecchio persuasiva, mia cara… Molto più di te.”
“Non so a cosa ti riferisci.” rispose lei.
“Ma davvero? Quella notte all’ospedale, l’unica persona che ha creduto alla tua interpretazione da povera agente della CIA infiltrata è stato tuo fratello. Sia Akai che il ragazzino, hanno capito subito che mentivi.”
La donna scoppiò a ridere, divertita. Una risata che metteva davvero i brividi alla schiena.
“Beh, ha davvero poca importanza visto che ho ucciso Akai quella notte.”
“Povera illusa…” dopo quelle parole la bionda sparò un colpo di pistola, centrando il petto della donna. Era stato talmente improvviso, quel gesto, che Kir non se lo aspettava.
La donna cadde a terra, lasciando la presa sulla pistola e premendosi le mani al petto che già iniziava a tingersi di rosso.
Vermouth si avvicinò a lei, che era ancora viva, sebbene rantolasse a bocconi per terra e non avesse la forza di muovere un muscolo.
“Shuichi Akai è ancora vivo mia cara… E’ stai pur certa che lo aiuterò a sterminare ognuno di voi.”
Dette quelle parole si allontanò di nuovo dalla sua avversaria, assicurandosi però di prendere anche la sua arma in modo da non permetterle di colpirla alle spalle. Si mise l’arma nei pantaloni, tenendo stretta la sua e si avvicinò ad Amuro, che era ancora a terra.
“Come stai?” gli chiese.
“Non credo abbia preso organi vitali… Ma se mi portassi con te, ti rallenterei soltanto… Meglio se vai da sola…”
La sua voce era bassa e smorzata. Forse era vero che il proiettile non gli aveva preso nessun organo vitale, ma rimaneva il fatto che stava perdendo molto sangue e che se l’avesse lasciato lì, sicuramente sarebbe morto.
“Scordatelo! Io e te usciremo da qui insieme!”
Dopodiché, tornò da Kir, che a quel punto era già morta e con un movimento secco le strappo le maniche della camicia che indossava. Le lego insieme e fece una fascia per l’addome del ragazzo, in modo da fermare un minimo l’emorragia di sangue. Lo aiutò ad alzarsi.
“Ascolta, io ti aiuto a camminare e tu spari, ok?”
Lui annuì, poi Vermouth gli porse la sua pistola.

James Black era appena uscito dall’edificio diroccato che fungeva da ingresso per la sede dell’organizzazione, quando Heiji riuscì a ricominciare a parlare.
“Come posso rendermi utile?” chiese.
“Rimanendo qui, senza muoverti!” lo rimproverò Jodie con tono autoritario.
“Cosa?? Ma c’è il mio migliore amico lì dentro!” protestò il ragazzo del Kansai indicando l’ascensore.
La donna sospirò esasperata. Già era nervosa di suo per la situazione, poi ci si metteva anche un’altro ragazzino convinto di poter fare l’eroe. Gli lanciò una pistola.
“Ripeto che finché non sarà necessario non ti muoverai di qui. Quella serve solo per difenderti.” concluse appena la pistola cadde tra le mani del ragazzo.
“Va bene…” rispose lui con tono rassegnato.

I tre bambini erano a casa di Mitsuhiko. Era stata la loro unica possibile meta, dopo la fuga dall’infermeria. In primo luogo perché era l’abitazione più vicina alla scuola delle tre e secondariamente perché entrambi i suoi genitori non erano in casa e quindi i bambini avrebbero potuto agire indisturbati.
“Adesso che facciamo? - chiese dubbioso Genta - Insomma, non sappiamo dove sia Conan, non sappiamo dove sia Ai…”
“Beh, in realtà sappiamo dov’è Ai…” disse la bambina con voce lieve ed innocente.
“O per lo meno sappiamo con chi è!” concluse Mitsuhiko.
“Dite che dovremmo andare a villa Kudo? - chiese Genta impaurito - Nella casa infestata dai fantasmi?”
“Oh andiamo Genta… Possibile che dopo tutto quello che abbiamo passato tu creda ancora ai fantasmi?” lo rimproverò il bambino lentigginoso.
“E’ vero… Oltretutto se fino ad adesso ci ha vissuto Subaru Okiya, può anche voler dire che i fantasmi se ne sono andati…” confermò Ayumi, anche se si sentiva dalla sua voce che pure lei era un po’ impaurita nell’andare in quella villa.
“Bene! - disse Mitsuhiko alzandosi di colpo - Prima di uscire però, conviene prepararci degli zaini con dentro il necessario per qualsiasi evenienza.”
“E quali zaini? Le nostre cartelle sono rimaste a scuola.” protestò Genta.
“Credo di averne alcuni nello stanzino. Vado a vedere, voi intanto pensate a cosa dovremmo portarci.”
Poco dopo i tre bambini erano pronti per uscire. Ognuno di loro portava uno zainetto sulle spalle, con dentro delle barrette proteiche, l’unico cibo che a detta di Mitsuhiko e con grande dispiacere di Genta che occupava poco spazio ed era facile da portare, una bottiglietta d’acqua ciascuno, un ricambio di batterie per gli orologi del dottor Agasa, un coltellino svizzero che Mitushiko aveva preso da uno dei cassetti di suo padre, un gomitolo di spago e i loro blocchetti prendi appunti. Inoltre tutti e tre si erano appuntati la spilla dei Detective Boys sulla maglietta.
“Ok, siamo pronti!” disse Mitsuhiko.
E così i tre bambini uscirono da casa Tsuburaya, diretti a villa Kudo.

La squadra di Shuichi Akai ormai andava spedita. Ogni membro dell’organizzazione che incrociavano veniva immobilizzato e legato da qualche parte. Quelli che erano in posizione per contrattaccarli venivano disarmati con dei colpi precisi e poi atterrati.
In testa c’era proprio l’agente in borghese. Il suo inseparabile berretto di lana ora più che mai aveva un significato. Ricordava ancora quel giorno. Quando loro madre disse a Sera di dare il suo regalo “al fratellone” e una bambina dolcissima di sette anni si avvicinò a lui e gli porse un pacco piccolino, che conteneva proprio quel cappello.
Poi finalmente lo vide. Era appoggiato al muro, l’aria tranquilla, la mano sinistra teneva la pistola e i suoi lunghi capelli argentei scendevano lungo l’impermeabile nero.
“Da quanto tempo… Rye” disse l’uomo.
Akai non ci pensò due volte è imbraccio il suo fucile.
“Ci rincontriamo… Gin… - l’uomo in nero sorrise a quelle parole, un ghigno divertito e allo stesso tempo perfido - Ho una domanda per te… - proseguì Akai - Per caso sei stato tu ad uccidere la diciassettenne che è stata trovata morta nel fiume qualche ora fa?” chiese.
“Credo proprio di sì…” rispose, non sapendo di aver dichiarato la sua condanna a morte.
Shuichi Akai non ci penso due volte e sparò un colpo alla gamba dell’uomo che gli stava di fronte.
Gin si accovacciò. La gamba destra, per via della ferita, non lo poteva più reggere e il dolore era insopportabile. Stava per alzare la pistola contro l’agente dell’FBI, ma quello fu più veloce e sparò un’altro colpo, questa volta alla sua mano sinistra, facendogli cadere dalla mano la pistola.
Si avvicinò a lui con passo svelto e con una mossa velocissima lo colpì in piena faccia con il calcio del fucile. Quando fu a terra, preso dall’ira più recondita si mise a cavalcioni su di lui e iniziò a prenderlo a pugni.
“Brutto… bastardo… Lei... era… mia… sorella… Pezzo… di… merda…” diceva tra un pugno e l’altro.
Ci vollero due suoi agenti per allontanarlo da Gin che aveva il volto ormai coperto di lividi e di sangue.
“Non solo mi hai portato via Akemi, ma ora anche Sera!” urlò lui scrollandosi di dosso i due agenti, ma ricomponendosi e cercando di trattenersi.
Ma l’uomo in nero non era ancora contento. Voleva di più. Ormai aveva perso tutto, quindi cosa c’era di male a tentare di far sentire ancora peggio il suo avversario.
“E c’è di più caro Rye… Sai, quando eri qui, sotto il tuo naso e quello della tua fidanzatina, io mi sono divertito un mondo con Sherry…”
Questo era troppo. Akai scattò in avanti, ma per fortuna i due agenti che l’avevano tirato via dalla rissa furono più svelti e lo riafferrarono dalle braccia bloccandolo.
Ora era soddisfatto del suo lavoro. Con questo pensiero in mente e con quel sorriso odioso e perfido, Gin perse i sensi sotto gli occhi furiosi del suo acerrimo nemico.

Edited by kiaretta_scrittrice92 - 2/3/2015, 19:06
 
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Parte ventiduesima

La donna era seduta sulla sua sedia bianca, e stava scrivendo qualcosa al computer, quando la solita bambina dai capelli ramati e lo zainetto arancione comparve con la mano tesa per restituirle la tessera magnetica del laboratorio. Lei la prese e solo quando la tessera fu nella sua mano, la bambina parlò.
“Crede sia possibile farmi tornare a casa? So che per motivi di sicurezza dovrei rimanere qui, ma se magari incaricaste qualcuno di farmi da scorta. Ho davvero voglia di riposarmi nel mio letto.”
“Sì piccola, ti capisco. - rispose la donna con un dolce sorriso, probabilmente Akai non aveva raccontato a nessun sottoposto la verità sulla sua età o su chi era veramente - Ora vedo cosa si può fare.” dopodiché prese il telefono e digitò un numero.

“Bene, - disse Jodie - è passata la mezz’ora, è il turno del tuo gruppo Camel.”
L’uomo nerboruto fece un cenno di testa e premette il tasto dell’ascensore, che si aprì subito mostrando il suo interno ampio. Con tono autoritario incitò il suo gruppo di agenti ad entrare.
Il loro compito era di dare manforte alla squadra di Akai. In modo che al massimo nel giro di un paio di ore, avessero immobilizzato tutti, così che la squadra di Jodie potesse poi portarli nei camion blindati. Nel giro di un paio d’ore avrebbero posto la parola fine a quell’organizzazione che aveva fatto il bello e il cattivo tempo su quasi tutta la malavita mondiale per troppo tempo.
Pochissimo tempo dopo erano già fuori dall’ascensore, con le pistole in mano e gli scudi pronti, avanzavano per il corridoio già percorso precedentemente dai loro colleghi.

Kazuha era appena rientrata a casa.
Appena confessati, finalmente, i suoi sentimenti ad Heiji, aveva chiuso la chiamata, imbarazzata. Subito dopo la domestica di casa Hattori arrivò con un bicchiere di aranciata e lei con un leggero grazie lo afferrò e lo bevve tutto d’un sorso, come se quel liquido freddo potesse spegnere quel calore che sentiva alle guance. Dopodiché scappò via da quella casa.
Ora che era arrivata a casa l’imbarazzo era sparito del tutto. Era davvero inutile essere imbarazzati per una cosa del genere, quando non sapeva nemmeno se Heiji sarebbe ritornato.
Lanciò la borsa in un angolo della stanza e si buttò sul letto. Si sentiva inutile.
Avrebbe voluto sapere cosa succedeva a Tokyo, se Ran stava bene, se Shinichi era riuscito a salvarla, se Heiji li avesse raggiunti, se avessero già chiamato la polizia, se qualcuno già sapeva della morte di Kogoro. Più tempo passava, più domande inondavano la sua mente, e la cosa terribile era che non aveva nessuna risposta certa a quelle domande, oltre a nessuna soluzione per sentirsi inutile.
Poteva solo rimanere lì, e pregare. Sperare che in qualche modo si salvassero tutti.
Allungò il braccio al comodino e aprì il cassetto, tirando fuori il suo portafortuna. Aprì il sacchettino viola e rosa e tirò fuori le due foto che vi erano all’interno. Quando era successo quello scambio di portafortuna col ragazzo che aveva scarabocchiato la foto di Heiji, lei l’aveva cambiata, mettendone una nuova, ed aggiungendone una di Ran.
In quel portafortuna c’era tutta la sua vita. Il ragazzo che amava e la sua migliore amica. Guardò con un’intensità profonda quelle due foto, come se volesse cercare di mandare il suo pensiero positivo a loro due in modo che stessero bene.
Era talmente immersa nei suoi pensieri che non si era accorta che uscendo le due foto dal sacchetto di stoffa si era tagliata il pollice con un lato della carta. Se ne rese conto solo qualche secondo dopo, quando il dolore la risvegliò dai suoi pensieri ed una macchia rossa proveniente dal suo dito comparì sulla foto di Heiji, come un oscuro presagio.

Ci furono due spari assordanti, ed Heiji senti improvvisamente un bruciore insopportabile alla guancia.
Il proiettile che per poco non l’aveva colpito si era andato a conficcare nel muro di fronte a lui. Come tutti gli agenti che c’erano in quell’edificio si voltò indietro, per vedere chi avesse sparato.
Davanti a lui c’era un’agente dell’FBI che aveva appena sequestrato pistola e fucile da cecchino ad uomo dell’organizzazione con un berretto calato sul viso. Heiji non l’aveva mai visto, ma non gli ci volle molto per capire che quell’uomo era colui che aveva ucciso il detective Kogoro.
Un odio incondizionato gli salì dallo stomaco. Lo sentiva ribollire da dentro, come se pretendesse vendetta. Una vendetta che ora si sarebbe compiuta.
Vide un’altro agente aiutare il suo collega ad ammanettarlo e portarlo su uno dei furgoni parcheggiati fuori dall’edificio.
Heiji continuava a fissare l’uscio vuoto con odio, quando si sentì sfiorato da una mano gentile.
Si voltò e vide Jodie porgergli un fazzoletto di stoffa.
“Tranquillo, avrà anche lui quello che si merita.”
Il ragazzo prese il fazzoletto e se lo poggiò sulla guancia sanguinante.
“Lo so. Grazie… - disse per poi voltarsi di nuovo verso l’ascensore - Dici che ce la faranno?” chiese.
“Ho fiducia in Akai e Camel, sono due agenti fenomenali, vedrai che troveranno i tuoi amici e li porteranno fuori qui.” lo rassicurò la donna.

La macchina bianca accostò al marciapiede, proprio davanti all’entrata del distretto di polizia. James uscì e dopo averla chiusa mettendo l’antifurto entrò nell’edificio.
Venne subito accolto da una signorina al bancone bianco.
“Mi dica.” disse con tono cordiale.
L’uomo tirò fuori il distintivo e lo mostrò alla donna.
“Agente Federale. Devo parlare con l’ispettore Megure. E’ parecchio urgente.”
Alla vista del distintivo la donna sbarrò gli occhi e alla richiesta dell’uomo fece solo un cenno di testa e afferrò il telefono bianco.
“Ispettore, c’è una persona che le vuole parlare, dice che è urgente… Ma ispettore, è un agente dell’FBI… Bene… - chiuse la chiamata e si rivolse di nuovo a James - Secondo piano in fondo al corridoio.”
“Grazie mille!” rispose lui con un sorriso rassicurante, facendo muovere i suoi baffoni grigi, per poi dirigersi verso l’ascensore.

Si erano fermati per l’ennesima volta.
“Vermouth, te lo ripeto… Dovresti lasciarmi qui… Ti sto solo rallentando…” disse il ragazzo.
La provvisoria fasciatura che gli aveva fatto la donna, stava già iniziando a sporcarsi di sangue e il suo fiato era sempre più corto.
“Mai! E smettila di chiamarmi Vermouth, ormai io e te non siamo più membri di quest’organizzazione. Chiamami Sharon.”
“Sì, ma…” tentò di parlare lui.
“No, stai tranquillo. Tra poco siamo arrivati al corridoio dodici. Da lì ci vogliono solo un paio di minuti per arrivare all’ascensore, sono sicura che arrivati lì troveremo gli agenti federali che ci daranno una mano.” disse la donna incoraggiando il ragazzo e ricominciando a camminare.
Appena finì la frase, un uomo dell’organizzazione sbucò da uno dei corridoi perpendicolari a quello che stavano percorrendo.
Amuro alzò la pistola. La mano ormai gli tremava violentemente. Si sentiva debolissimo ed era davvero difficile riuscire a prendere la mira. Ma sparò comunque due colpi. Il primo colpì a malapena la giacca nera dell’uomo, ma il secondo lo prese in pieno petto.
Il corpo dell’uomo cadde a terra di schianto. E gli occhiali da sole si ruppero, mostrando due profondi occhi castani spalancati e risucchiati dalla morte. Era Vodka.

Shinichi e Ran stavano correndo. Mano nella mano. Shinichi stringeva in modo quasi convulsivo la pistola, nervoso. In cuor suo sperava di non incontrare nessuno in modo che non dovesse usare quell'arma.
Ed effettivamente accadde. I due ragazzi girarono l’angolo e videro gli agenti dell’FBI, sicuramente loro li avrebbero fatti uscire immediatamente da lì.
A neanche dieci metri da loro c’era il primo gruppetto, due di loro stavano tenendo Shuichi Akai dalle braccia, che sembrava stesse guardando un corpo steso a terra. Shinichi lo riconobbe immediatamente, era Gin. I suoi capelli argentei erano sparsi su tutto il pavimento sotto di lui.
“Akai!!” urlò con tutto il fiato che aveva in corpo, mentre lui e Ran continuavano a correre in quella direzione.
Poi però qualcuno si parò avanti a loro. Frapponendosi tra i due diciassettenni e gli agenti federali. E sfumando ogni speranza del ragazzo di portare in salvo Ran.
Davanti a loro c'era quel ragazzo biondo, coi capelli più arruffati del solito, il labbro inferiore gonfio e ormai con con una crosta marrone che sporgeva. Gli occhi castano chiaro erano furiosi e quasi sadici, mentre la mano destra già puntava la pistola alla coppia.
“E’ finita Kudo! Anche se l’organizzazione morirà oggi stesso tu morirai con noi.”
“Sei tu che devi arrenderti!” disse Shinichi irrigidendosi e vedendo Ran fare lo stesso, ma dal terrore.
“E perché? Solo perché i tuoi amichetti dell’FBI sono qui? - disse, poi alzò la voce in modo che potessero sentire pure gli agenti in fondo al corridoio - Che provassero ad avvicinarsi o a sparare. Nel tempo che loro riescono a fare qualcosa io potrei anche uccidere la tua dolce metà.”
Dopo quelle parole cadde il silenzio, come se la minaccia di Ikuto avesse gelato l’aria e tutte le persone che c’erano nel corridoio. Si era creata una tensione palpabile, come se ogni persona, eccetto il biondo, fosse minacciata a morte da quell’aria tagliente come lame di coltelli.
Shinichi però non mostrò la sua agitazione. Sebbene il cuore gli martellava in petto ed ormai aveva perso tutto il suo sangue freddo, sapeva che l’unica priorità che aveva era far uscire da quel luogo Ran salva. Così allungò il braccio sinistro verso di lei a la spostò dietro il suo corpo.
“E’ inutile che cerchi di proteggerla Kudo. Presto morirete entrambi. Devi solo decidere chi dei due vuoi che faccia fuori per primo. Però sarò io a decidere in che modo.”
Il ragazzo, con la mano che non teneva l’amica ancorata a sé, alzò la pistola.
“Spara allora. Io combatterò fino all’ultimo. Non la sfiorerai più neanche con un dito. Le hai già inflitto abbastanza dolore, non permetterò che accada di nuovo.”
Il biondo alzò un’angolo della bocca in un ghigno spaventoso, reso ancora più terrificante dal suo labbro gonfio.
“Bene… Vediamo quanto resisti… Eroe…” disse, dopodiché sparò un colpo.

Edited by kiaretta_scrittrice92 - 2/3/2015, 19:07
 
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view post Posted on 12/12/2014, 22:28     +1   -1
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Parte ventitreesima

Shinichi crollò a terra. La sua gamba destra, all’altezza del suo ginocchio iniziò a sanguinare copiosamente. Ran che era ancora attaccata a lui si chinò attirata dal peso del ragazzo.
Il suo viso ormai stanco, non trasmetteva più una sensazione precisa. Era sconvolta e stravolta, aveva pianto talmente tanto che non aveva più lacrime da versare.
Mentre Ikuto scoppiava a ridere, lei continuava a supplicare Shinichi di rialzarsi, dandogli una mano a rimettersi in piedi. Ma nessuno dei due aveva più le forze per affrontare ciò che avevano di fronte. Shinichi era ferito fisicamente, ma entrambi erano anche feriti emotivamente e sembrava impossibile per loro continuare a lottare.
“Che c’è Kudo? Già ti arrendi? E’ tutta qui la tua forza di volontà nel voler salvare la tua dolce metà?” chiese divertito il biondo continuando a guardarli con quell’aria divertita.
A quella provocazione il ragazzo digrignò i denti, sia per la rabbia che per lo sforzo di rialzarsi.
Dopo vari secondi di atroce dolore al ginocchio, che continuava a sanguinare copiosamente, finalmente fu di nuovo in piedi, anche se Ran lo doveva comunque sostenere visto che non poteva reggersi su una gamba sola.
Il ragazzo era furioso. Ma ora sapeva bene cosa fare. In lontananza vedeva Akai ed altri quattro agenti dell’FBI avvicinarsi furtivamente alle spalle del ragazzo. Lui non doveva far altro che prendere tempo in modo che arrivassero a lui senza che se ne accorgesse. L’avrebbe fatto, anche a costo di morire. Per salvare Ran avrebbe fatto questo ed altro.
“Ti sbagli! Io non mi arrenderò mai!” lo provocò.
Tirò su la pistola, sperando di minacciarlo solo con il gesto.
Il biondo però non fece una piega. Non aveva nessuna paura di morire. Lui non era come quel ragazzo che aveva di fronte. Il suo amore verso la donna che l’aveva conquistato era un’amore passionale e unico, in cui non c’era spazio per sentimenti sciocchi come il sacrificio o la compassione. Conosceva la sua donna e sapeva che anche lei non si sarebbe fatta scrupoli a morire per la soddisfazione di distruggere tutto ciò che intralciava i loro piani. No, il loro non era amore. Era ammirazione, l’uno per l’altra. Nient’altro.
Sparò un’altro colpo. Velocissimo. Talmente veloce che Shinichi di nuovo non poté evitarlo.

“Niente! Non c’è nessuno in casa.” disse sbuffando Genta dopo la quarta volta che suonarono il citofono di villa Kudo.
“Ed ora cosa facciamo?” chiese Mitsuhiko, senza più altre soluzioni.
“Sentite ragazzi… Se andassimo a chiedere al dottor Agasa? Lui deve per forza sapere qualcosa.” propose Ayumi, che già da qualche minuto stava guardando nella direzione della casa del professore.
“E’ vero! Forse lui può aiutarci a capire.” esclamò Genta.
“Bene… Credo che sia l’unica alternativa che abbiamo.”
Così i tre bambini attraversarono la strada, superarono il cancello aperto e suonarono il campanello.
Hiroshi Agasa andò ad aprir loro quasi subito.
“Bambini che ci fate qui? Non dovreste essere a scuola?” chiese stupito nel vederli.
I tre passarono sotto il suo braccio ed entrarono in casa. Fu Mitsuhiko il primo a parlare.
“Ai e Conan sono scomparsi professore.” disse serioso.
“Cosa?”
Sapeva benissimo di Shinichi, ma credeva di aver accompagnato Ai a scuola, perché ora dicevano che era sparita?
“Esatto! - confermò Ayumi - Conan non è mai entrato in classe, mentre Subaru Okiya è venuto a prendere Ai a scuola, ma a casa sua non c’è nessuno.”
“E se Okiya l’avesse rapita?” propose con aria preoccupata Genta.
“Ma no… Okiya è una brava persona… Non potrebbe mai. Vero professore?” chiese Mitsuhiko, come se avesse bisogno di una conferma della sua affermazione.
In realtà neanche il professore sapeva cosa rispondere. Non sapeva davvero se fidarsi di quel ragazzo universitario che Shinichi aveva subito accolto a casa sua. Inoltre ricordava bene come la bambina che viveva insieme a lui reagiva alla sua vista, come se fosse uno di loro. Eppure ricordava che Shinichi si era sempre fidato ciecamente di lui, quindi una ragione ci doveva essere.
“State tranquilli ragazzi. Sono sicuro che torneranno presto.” rispose con un sorriso.
“No. Ai non tornerà.”
Tutti e quattro si voltarono verso la persona che aveva parlato.
Agasa aveva lasciato la porta d’ingresso aperta. Sull’uscio c’era una bellissima ragazza dai capelli corti e ramati, e gli occhi verde-acqua. Era alta e snella, con un corpo da favola, fasciato in un paio di jeans e un maglione giallo.
“Shiho, ma…?” chiese l’uomo sconvolto, ma lei rispose alle bocche spalancate dei tre bambini.
“Ai non può tornare…”
“Perché? - urlò Ayumi - Chi sei tu? Come fai a saperlo?”
“Già… - intervenne Genta - Non è che le hai fatto qualcosa di male?”
Solo il bambino lentigginoso rimase zitto. Continuava a fissare quella ragazza. Il suo modo di incrociare le braccia attorno al petto. Il suo modo di parlare e camminare. La sua aria saccente e il suo tono di voce freddo e serio.
Non poteva negare il pensiero che gli stava affiorando violento nella testa.
“Ai… Sei tu vero?” chiese ad alta voce.
Lei si voltò verso di lui. Ma non ci fu bisogno di parole. Bastò quello sguardo per dargli la conferma di quello che temeva.

La squadra di Camel continuava ad avanzare imperterrita, in lontananza iniziava a vedere gli ultimi membri del gruppo di Akai.
L’agente si stupì. Com’era possibile che fossero ancora così indietro? Capì che probabilmente si erano dovuti fermare per qualche motivo, perciò fece cenno ai suoi uomini di avvicinarsi con passo più veloce, ma sempre di soppiatto. In modo che se ci fosse stato un qualsiasi pericolo sarebbero potuti essere di supporto alla squadra.
Non aveva nessuna intenzione di rifare l’errore di due anni prima. Questa volta sarebbe stato di vero aiuto ad Akai, non avrebbe più intralciato i suoi piani, per questo voleva essere sicuro di quello che faceva.
Appena arrivò agli ultimi due agenti della squadra del suo collega si avvicinò a loro e parlò.
“Cosa succede?” chiese sottovoce.
I due spiegarono la situazione in cui si trovava la squadra, dicendo che era stato lo stesso Akai ad ordinare di rimanere immobili in modo che l’uomo in nero non si accorgesse di nulla.
Così, Andre Camel, fece fermare anche la sua squadra dicendogli di aspettare il suo via libera.

Arrivarono al corridoio dell’ascensore e proprio in quel momento sentirono lo scoppio di un’arma da fuoco. Scoprirono che la situazione era davvero precipitata.
Davanti a loro si stava svolgendo una scena sconvolgente.
Shinichi era ferito al ginocchio sinistro e alla spalla destra, Ran lo reggeva a fatica. Ikuto con sguardo sadico e divertito guardava la scena. Mentre dietro di lui un piccolo gruppo di agenti dell’FBI si stavano avvicinando, probabilmente per bloccarlo.
Vermouth però sapeva che a quella velocità Shinichi si sarebbe trovato come un colabrodo prima che riuscissero ad arrivare. Sapeva, allo stesso modo, che se fossero andati più veloci, sarebbero stati scoperti. Non sapeva assolutamente cosa potesse fare, ma Amuro, sebbene fosse ormai allo stremo delle forze ebbe un’idea ancor prima di lei.
Puntò la pistola verso suo cugino. La donna capì subito le sue intenzioni e mise la sua mano sopra quella del biondo in modo che non tremasse e che prendessero la mira assieme.
Fu un colpo preciso che colpì la mano del ragazzo, facendoli volare lontano la pistola. A quel colpo Ikuto ebbe appena il tempo di portarsi la mano sana a quella sanguinante con un urlo di rabbia e voltarsi verso i suoi aggressori che sbucavano dal corridoio da cui era arrivato lui, per poi sentire dei passi veloci che lo raggiungevano.
In pochissimo tempo gli agenti gli furono addosso e gli bloccarono le mani, ammanettandogliele dietro la schiena.
“Questo e Gin sono pericolosi. Portateli subito ai camion blindati.” ordinò Shuichi Akai con tono serio.
A quelle parole due agenti scortarono Ikuto verso l’ascensore, mentre altri due issarono Gin e lo trascinarono via seguendo i colleghi.
Solo a quel punto Camel si avvicinò al suo collega.
“Andre, come mai ci sei tu?” chiese Shuichi stupito di vedere il collega.
L’agente gli sussurrò qualcosa all’orecchio.
“Capisco! Ascolta… alcuni dei tuoi agenti dovranno scortare i ragazzi fuori di qui, e poi sarà necessario chiamare un’ambulanza.”
“No! - urlò Shinichi cercando di reggersi da solo, senza l’aiuto di Ran. - Non me ne andrò di qui finché non vedrò tutti i membri di questa organizzazione arrestati.” a quelle parole però crollo a terra, colpito da una fitta allucinante al cuore.
“Shinichi che ti succede?” chiese Ran preoccupata vedendolo portarsi la mano al petto.
Proprio in quel momento intervenne finalmente Vermouth, avvicinandosi lentamente e reggendo ancora Amuro sotto braccio.
“Sharon! - esclamò Akai vedendola sbucare dal corridoio, poi si rivolse ai suoi - Aiutatela!”
Subito due agenti si avvicinarono a lei e presero in custodia Amuro.
“Dovete portarli in ospedale tutti e tre, ma non prima di avvertire la scienziata.” disse la bionda con tono serio.
Akai fece un cenno di testa, aveva capito perfettamente il motivo di quella proposta. Probabilmente il ragazzo stava per riprendere il suo aspetto da bambino e non poteva accadere davanti a tutti altrimenti si sarebbe scatenato uno scandalo.
“Quanto tempo abbiamo prima che torni com’era?” chiese.
“Non… Non più di mezz’ora… - fu Shinichi a rispondere, alzando lo sguardo verso l’agente federale - Da quando iniziano i dolori di solito resisto una mezz’ora, forse un po’ di meno visto che ne ho presi due consecutivi.” specificò.
“Maledizione! - imprecò l’uomo - L’ambulanza non arriverà mai in tempo.”
“Possiamo portarli con un’auto. In fondo ce ne sono molte.” propose Camel, anche se non capiva cosa stava succedendo.
“Bene… Credo sia l’unica soluzione. Camel, ci penso io alla tua squadra. Tu porta questi tre in ospedale di corsa!”
Senza obbiettare il robusto agente federale aiutò i suoi colleghi a scortare i tre ragazzi verso l’ascensore.
"Vengo anche io..." disse la bionda, facendo per seguirlo.
"No! - la bloccò Akai - Tu mi servi qui!" concluse mentre prendeva il cellulare in mano e digitava un numero.

“Quindi neanche Conan esiste sul serio?” chiese la piccola Ayumi con le lacrime agli occhi.
Il pensiero che il suo primo amore era in realtà un ragazzo di diciassette anni l’aveva sconvolta. Era come se di punto in bianco Conan Edogawa fosse sparito in uno sbuffo di magia. Invece la verità era che non era mai esistito e questo pensiero le stringeva il cuore di una morsa.
“Mi spiace davvero ragazzi, di avervi mentito, era solo per tenervi al sicuro…” disse la ragazza con tono affranto.
Il bambino grassoccio tirò su col naso, anche lui era rimasto scioccato dalla scoperta, ma forse era quello che l’aveva presa meglio.
“Non è colpa vostra! Dircelo non avrebbe cambiato le cose…” disse.
“Non avrebbe cambiato le cose?? - urlò Mitsuhiko all’amico - Ma non capisci?? Ayumi era innamorata di Conan, ed io…” si bloccò perché non voleva confessare il suo amore verso Ai, visto che ora la ragazza gli era proprio seduta a fianco.
“Lo so benissimo! - rispose a tono Genta - Ma non pensi a quello che ci ha detto lei l’altro giorno? Non pensi che magari non ci abbiano detto delle cose per proteggerci? Forse dovremmo capirli, che ne dite?”
Ci fu qualche minuto di silenzio, poi fu Ayumi a parlare.
“Ha ragione Genta. Dovremmo ringraziarvi per esserci stati amici e allo stesso tempo averci protetti…”
Proprio in quel momento il cellulare di Shiho squillò.
Lei lo prese dalla tasca dei jeans e rispose.

Edited by kiaretta_scrittrice92 - 2/3/2015, 19:07
 
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marty=shinichi x ran fan
view post Posted on 22/12/2014, 21:30     +1   -1




Ciao bella perdonami.
Che suspense queste ultime parti.
complimenti per La bravura amica mia ;)
 
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view post Posted on 22/12/2014, 22:51     +1   -1
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No scusami tu se ho corso ^_^
Ora mi sono presa una pausa, ma presto riprendo con gli ultimi capitoli :) Ormai siamo agli sgoccioli ;)
 
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marty=shinichi x ran fan
view post Posted on 22/12/2014, 23:59     +1   -1




Ma guarda stai tranquilla, fai bene a prendere una pausa.
Ovviamente finirà questa storia con qualcosa di tenero fra i nostri beniamini
 
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view post Posted on 9/1/2015, 17:57     +1   -1
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Parte ventiquattresima

La ragazza chiuse la chiamata. Era rimasta zitta per tutto il periodo della conversazione telefonica, per poi rispondere semplicemente con una conferma.
“Erano notizie di Conan… cioè volevo dire di Shinichi?” chiese Ayumi.
“Stanno uscendo dal covo. L’antidoto che ha preso sta finendo il suo effetto, se non li precedo in ospedale rischia di trasformarsi davanti a tutti. Quindi devo sbrigarmi!” disse velocemente rispondendo alla bambina.
“Veniamo con te!” esclamò Mitsuhiko.
“Assolutamente no!”
“Non puoi vietarci di venire. Non stiamo andando al covo, no? Stiamo andando in ospedale. Nessuno ci può fare del male.” ribatté di nuovo il bambino lentigginoso.
“Giusto!” confermò Genta.
“E poi… - continuò Ayumi - Conan è stato con noi per quasi un anno… Non lo abbandoneremo mai!”
La ragazza sospirò, rimettendosi il cellulare in tasca.
“Eh va bene… Verrete con me. Dottor Agasa stia attento.” disse poi rivolgendosi al professore.
“Tranquilla.”

Le porte dell’ascensore si aprirono inaspettatamente. Da esso uscirono due agenti che reggevano Amuro, l’agente Camel che sosteneva Shinichi e Ran, pallidissima e con l’aria ormai sconvolta.
“Kudo!” esclamò Heiji dimezzando la distanza che lo separava dall’ascensore.
“Hattori… che ci fai qui?” chiese con voce smorzata il detective dell’Est.
“Pensavi davvero che me ne sarei rimasto tranquillo a casa tua o del dottore, senza fare nulla?” chiese arrabbiato.
Dopodiché prese il posto di Camel, in modo che l’agente potesse spiegare la situazione a Jodie.
“Tra una ventina di minuti salite ed iniziate a portare giù tutti. Io prendo la mia auto e accompagno i ragazzi in ospedale.”
“Bene!” rispose la donna.
I due agenti scortarono Amuro ormai quasi privo si sensi all’auto di Camel, adagiandolo nel sedile posteriore sul lato destro. Ran li seguì ed entrando dal lato sinistro si sedette nel posto di fianco a quello del biondo. Poco dopo Shinichi ed Heiji li raggiunsero e il ragazzo di Osaka aiutò l’amico ad entrare di fianco a Ran, per poi chiudere la portiera ed andare nel posto anteriore del passeggero al lato sinistro dell’auto.
Camel li raggiunse dopo un paio di minuti, e mettendo subito la prima parti, alzando velocemente le marce e correndo per arrivare in ospedale in tempo.
Ran afferrò la mano di Amuro come a volergli attenuare il dolore che sapeva stava provando, la sua pelle solitamente scura era molto pallida, quasi di una carnagione normale respirava affannosamente. Per quasi tutto il tragitto in quella macchina regnò l’assoluto silenzio, se non l’ansimare del biondo. Persino Shinichi si tratteneva dal gemere o fare qualsiasi altro verso, sopportando il suo dolore dentro di sé. Un dolore non solo fisico, nel resistere alle fitte lancinanti al petto, ma anche emotivo nel vedere che Ran non lo degnava neanche di uno sguardo.

“Questa notizia è… Non ho davvero parole… Ed ora cos’ha intenzione di fare?” chiese l’ispettore.
“Niente. O meglio niente di più di quello che i miei uomini stanno già facendo.” rispose l’uomo baffuto di fronte a lui.
“E cioè?”
“In questo momento i miei uomini sono al loro covo e li stanno arrestando uno per uno. Tra meno di un ora tutto questo sarà finito.”
“Quindi l’unico problema che rimane è l’omicidio del…”
“Sì - rispose James Black non facendolo finire - Vi chiedo solo di provvedere a sistemare la faccenda del detective Kogoro.”
“Ma… la moglie e la figlia dovrebbero…”
“La ragazza probabilmente lo sa già, mentre per la moglie provvederemo noi appena sarà tutto finito a riferirglielo. Non ha senso però atterrire la capitale o l’intera nazione per un problema ormai quasi risolto, per questo vorrei che insabbiaste la cosa.”
“Sì capisco. Se i media venissero a sapere che la morte del detective fa parte di una storia contorta come questa creerebbero uno scandalo.”
“Esatto! So bene che non è giusto nei confronti della sua morte, ma sarà meglio che tutto questo rimanga nascosto, almeno finché tutti i membri dell’organizzazione non si troveranno negli Stati Uniti, dietro le sbarre e sotto stretta sorveglianza.”
L’ispettore di polizia fece un leggero cenno di testa, poi si rivolse ai suoi tre agenti, che erano ancora pallidi per le notizie appena sentite. Erano gli unici tre in quella saletta conferenze, gli unici che Megure aveva richiesto prima di iniziare la conversazione con l’agente dell’FBI.
“Sato, - ordinò - andate all’agenzia investigativa e risolvete la questione. Se qualcuno chiede qualcosa dite che è stato un parente di qualche uomo messo in prigione dallo stesso detective, soprattutto se ve lo chiede qualche giornalista.”
“Sì!” rispose la donna, per poi uscire, seguita da Takagi e Chiba.

Ormai le due squadre di agenti proseguivano spedite, guidate da Akai e da Sharon al suo fianco.
“Non vedo l’ora che questa storia finisca. Non ne posso più.” disse l’uomo colpendo per l’ennesima volta la mano armata di un membro dell’organizzazione.
“Lo dici a me? Questi ultimi giorni sono stati ingestibili. Sentivo il fiato di Gin sul collo.”
“Non me lo nominare, è meglio.”
“Che è successo?” chiese la donna stupita.
“Nulla… Lascia stare.”
Ci fu qualche minuto di silenzio tra i due, contornato dagli spari degli agenti attorno a loro o dai movimenti per immobilizzare tutti i membri.
“Glielo dirai a Jodie? … dell’APTX?” chiese Sharon.
“Perché dovrei? Per aggiungere un motivo per chiudere definitivamente con lei? Per una volta che le cose vanno bene…”
“Ma prima o poi glielo dovrai dire. Non puoi mentirle come hai fatto con Akemi.”
“Con Akemi non ho mentito!” urlò l’uomo.
“No, no… Non era quello che intendevo… La amavi… e questo lo so… Ma comunque non le hai mai raccontato tutta la verità.”
“Non era necessario. E non lo è tutt’ora.”
“Se lo dici tu…” rispose lei.
“E’ la stessa scelta che hai fatto con Amuro…”
“Cosa?!” la donna si voltò stupita e per poco non si accorse di un’altro uomo dell’organizzazione che le stava per sparare addosso.
Fu Akai ad attirarla a sé, impendendo al proiettile di colpirla, per poi sparare con colpo deciso all’uomo.
La donna si trovo tra le braccia dell'agente, solo allora alzò lo sguardo verso il suo viso.
“Pensi che non mi sia accorto di come eri preoccupata per quel ragazzo?” sussurrò con quella voce fredda e allo stesso tempo intensa.
La donna arrossì e si scostò.
“Ti sbagli! Non c’è assolutamente niente tra noi…”
Shuichi Akai scoppiò a ridere.
“Sei arrossita? Scherziamo? Sei già arrivata a quel livello? Sei una donna matura Sharon, non comportarti come una diciasettenne alla sua prima cotta e ammetti il fato che ti sei innamorata di lui.”
La donna sbuffò.
“Sei davvero insopportabile lo sai?” borbottò la donna.
“Sì lo so… Non fai altro che ripetermelo…”
“E comunque Amuro conosce la mia vera età. E non ha nessun problema a riguardo.”
“E sa anche di noi due?”
Il silenzio tornò tra i due. La donna sembrava non avere il coraggio di rispondere.
L’agente disarmò un altro uomo per poi parlare di nuovo.
“Vedi? Anche tu ometti verità irrilevanti per stare con la persona che ami.”
“Che c’entra? Il passato è passato!”
“Quindi la morte di Chris ormai è parte del passato vero?”
“Shu io…”
“No! Non ti sto facendo la predica… Allora avevamo fatto un’accordo, che tutto ciò che era accaduto e che ci aveva separati sarebbe rimasto sepolto sotto le macerie del nostro matrimonio. Non ne voglio parlare. Ci siamo separati per un motivo e so benissimo che nessuno dei due vuole tornare indietro. Dico solo che sebbene l’APTX ha cambiato la nostra età, non ci impedisce di avere rapporti con persone più giovani dei nostri veri noi.”
La bionda sospirò.
“Sì… hai ragione… Scusami…”
Subito dopo tornò il silenzio.

Era seduta alla sua scrivania.
Non sarebbe fuggita. Non questa volta. Questa volta avrebbe affrontato il suo destino a testa alta. Sia che la destinazione sarebbe stata la morte o la vittoria, sarebbe arrivata fino alla fine di quel viaggio che l’aveva portata a diventare la donna più temuta e più potente di tutta la malavita mondiale.
Non voleva scappare. Sentiva dentro di sé che non poteva farlo. E anche se sarebbe stata arrestata, magari avrebbe condiviso la cella col suo unico, vero, amante.

Stava facendo i compiti. O almeno stava tentando di farli, ma ovviamente, la sua testa era da tutt’altra parte.
Solo quando il suo cellulare trillò con un suono breve e acuto si risvegliò da quel limbo in cui era caduta per l’ennesima volta.
Prese l’apparecchio telefonico e lesse il messaggio. Era di Heiji.
Siamo fuori. Io e Ran stiamo bene, Shinichi è ferito, ma non grave.
Finalmente poteva tirare un sospiro di sollievo. Il suo cuore si gonfiò di nuovo di gioia e tranquillità ed un sorriso sincero spuntò finalmente sulla sua bocca.
Ancora mille pensieri le inondavano la testa, ma questa volta non le mettevano ansia o angoscia, erano milioni di pensieri rassicuranti e forse solo un po’ confusi.
Si chiedeva se doveva partire quel momento stesso per Tokyo oppure se avesse dovuto aspettare qualche giorno. E se fosse arrivata cosa avrebbe detto a Ran? Le avrebbe dovuto fare le condoglianze oppure essere contenta che fosse viva? E con Heiji? Ora che gli aveva confessato il suo amore sarebbe riuscita a guardarlo in faccia senza arrossire?
Non sapeva proprio cosa fare. Così decise di rimettersi sui suoi compiti e pensarci non appena avesse finito.

Edited by kiaretta_scrittrice92 - 2/3/2015, 19:08
 
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view post Posted on 9/1/2015, 19:29     +1   -1




Ciao superkiare.
Povero Shinichi, mi fa pena, ferito fisicamente e in più nel cuore .
Come se lui volesse la morte di Goro, o tutta quella faccenda.
Comunque spero ,per il mio cuore, che Ran lo perdoni e stiano insieme.
Martina
 
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view post Posted on 11/1/2015, 21:19     +1   -1
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Ehi Marty... Sono una ShinxRan incallita... Stai tranquilla... Semplicemente non posso far sì che Ran lo perdoni subito ^_^
 
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view post Posted on 12/1/2015, 00:01     +1   -1




Grande. Mi fai stare più tranquilla . Mi raccomando alla riappacificazione
 
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view post Posted on 21/1/2015, 19:57     +1   -1
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Parte venticinquesima

I tre agenti entrarono un po’ nervosi nell’ufficio del detective Kogoro. Si aspettavano che sarebbe stato uno spettacolo orribile da vedere, soprattutto perché comunque si trattava di un loro grande amico, che li aveva aiutati nei casi più difficile e che avevano imparato a conoscere.
La reazione infatti fu proprio quella che si dovevano aspettare. Appena aperta la porta, videro quello scempio e rimasero parecchio turbati.
Il corpo del detective era ancora seduto sulla sedia girevole, afflosciato e con un’impressionate ferita alla tempia, gli occhi ancora spalancati. Il sangue era schizzato ovunque e aveva anche iniziato a colare sulla sedia. Dal lato opposto opposto dell’ufficio c’era ancora il buco del proiettile, con quel letale cilindro di metallo ancora conficcato dentro.
Sato fece un respiro profondo, e il fastidioso odore di sangue le inondò le narici, facendole salire un conato di vomito, che però trattene.
“Bene, mettiamoci a lavoro. Prima finiamo meglio è.” disse.
“Sì.” risposero all’unisono Chiba e Takagi al loro superiore.
Dopodiché il poliziotto robusto si mise a scattare delle foto sulla scena del crimine, da archiviare poi in commissariato.

“Siamo arrivati…” sussurrò Vermouth.
Non ebbe neanche il tempo di finire la frase che una bellissima donna uscì da una delle porte che davano sul corridoio. Una donna bellissima dalle curve mozzafiato e dall’indole spietata, che imbracciava un fucile.
Shuichi conosceva bene quella donna.
“Rye… E’ un piacere rivederti!” sorrise perfidamente la donna.
“La cosa non è reciproca, Lilith…” rispose l’uomo, rivolto al boss dell’organizzazione che per anni aveva cercato di annientare.
“Credo di immaginare per quale motivo tu sia qui…”
“Per decretare la parola fine alla tua follia!” disse deciso l’agente federale.
“Lo sai vero che io punto ad ucciderti, mentre tu come al solito vuoi solo sbattermi dentro?”
“Non esserne così sicura. Ho quasi ucciso Gin, nessuno mi vieta di far fuori te. Posso sempre dire ai miei superiori che l’ho fatto per legittima difesa.”
“Shuichi!” lo rimproverò la platinata vicino a lui.
L’uomo alzò gli occhi al cielo, scocciato.
“Eh va bene! - sospirò, per poi imbracciare il fucile. - Forza, spara. Tanto so che non ti arrenderai senza combattere.”
I due si misero uno di fronte all’altra. Sapevano bene che non era come avere una pistola, sapevano che chi avrebbe sparato per prima avrebbe ucciso o fermato il proprio avversario. Era un po’ come quei film western in cui lo sceriffo e il bandito si affrontavano in una via polverosa di quelle città antiche in mezzo al deserto.
Shuichi lo sapeva bene. Per questo motivo cercava di non dare a vedere il suo nervosismo. La donna che aveva di fronte era spietata e insaziabile, la conosceva bene e sapeva che se avesse esitato anche solo qualche secondo lei ne avrebbe approfittato. Per questo la sua tensione era al massimo.
Una gocciolina di sudore gli scivolo sulla tempia. Puntò il fucile e si leccò le labbra, pronto a colpire.
Due spari riecheggiarono nel corridoio.

“Amuro… Amuro devi rimanere sveglio!” disse Ran con tono preoccupato.
A quelle parole Camel spinse sull’accelleratore, mentre Heiji e Shinichi si voltarono verso il biondo. Che stava ancora ansimando.
“Kudo sta…” disse Heiji.
“Lo so! - disse il detective di Tokyo togliendosi la giacca con una smorfia di dolore - Ran, avvolgigli anche questa attorno alla ferita… Forse servirà a poco, ma spero che tenga fino all’ospedale…” porgendo la giacca blu alla ragazza.
Lei la prese ed aiutò il ragazzo che tremava vistosamente a mettersela attorno alla ferita.
“Camel accelera! Inizia a tremare… Non ce la farà mai!” disse Heiji incitando l’agente federale.
“Lo so, lo so… Dieci minuti e siamo arrivati…” rispose lui.
“Hattori chiama l’ospedale! Digli che stiamo arrivan…” si bloccò con un gemito.
“Kudo!?”
Il ragazzo si era portato la mano al petto. La stringeva sulla camicia in modo convulso. Sentiva il suo cuore martellare in petto, dandogli fitte dolorosissime.
Quell’interruzione della frase e quel gemito di dolore, fecero girare anche Ran, che aveva appena finito di stringere la giacca del ragazzo dietro la schiena di Amuro.
Il giovane detective non riusciva ad interpretare il suo sguardo. Sembrava preoccupato, ma anche nervoso. Come al solito non riusciva a comprendere cosa le passasse per la mente.
Le fitte passarono nuovamente e il ragazzo cercò di fare un profondo respiro per calmarsi.
“Sto bene… - disse in un soffio e quelle parole fecero voltare nuovamente Ran che gli diede le spalle per l’ennesima volta - Non penso però di resistere ancora per molto… Massimo un quarto d’ora.”
“Spero che la tua amica scienziata sia già lì!” biascicò il ragazzo dalla pelle scura facendosi sentire a malapena.
Shinichi lanciò un’altra occhiata alla ragazza che aveva di fianco poi torno a guardare il finestrino, mentre la sua vista cominciava ad appannarsi per la perdita di sangue.

“Siamo quasi arrivati!” disse Ayumi puntando il dito fuori dal finestrino verso un grosso edificio bianco.
“Dite che loro sono già qui?” chiese Genta iniziando a guardarsi attorno.
“Ne dubito. - rispose la ragazza al volante - Sebbene non so di preciso dove sia, sono più che sicura che il covo di quei pazzi sia fuori città, perciò dubito che siano già arrivati.”
“Beh meglio, così possiamo avvisare le infermiere del loro arrivo.” disse Mitsuhiko mentre Shiho parcheggiava in un viale di fianco all’ospedale.
“Sì sono d’accordo.” confermò Shiho.
Dopo poco scesero dall’auto e si diressero con passo svelto verso l’edificio bianco.
Entrarono e si diressero velocemente verso il bancone all’ingresso.
La donna che stava alla segreteria era al telefono. Perciò nessuno di loro la interruppe.
“…Bene avviseremo immediatamente i dottori. - chiuse la chiamata e ne fece subito un’altra chiedendo un attimo alla ragazza di fronte a lei col dito, che fece solo un leggero cenno di testa come risposta - Sta arrivando un’urgenza. Un ragazzo ferito all’addome con grossa emorragia e un’altro con due colpi d’arma da fuoco uno al ginocchio e l’altro alla spalla. Stanno arrivando con un auto, saranno qui tra meno di dieci minuti.” disse al telefono.
Schio si voltò verso i bambini che la accompagnavano, e trovò la conferma di quello che sospettava, negli sguardi preoccupati di tutti e tre e nei lacrimoni che la piccola Ayumi stava cercando di trattenere.
“Ditemi.” disse la donna facendo riscuotere Shiho da quello stato di tristezza che l’aveva intorpidita vedendo la sua piccola amica coraggiosa piangere.
“I ragazzi di cui ha parlato poco fa… Sono miei amici, siamo venuti qui perché abbiamo saputo che sarebbero venuti in questo ospedale.”
“Capisco, ma probabilmente nessuno potrà entrare in sala operatoria con loro, mentre interverranno sulle ferite.” raccomandò la donna.
“Lo so bene. - rispose Shiho, frugando nella tasca della giacca, poi uscì fuori un cartellino e lo mostrò alla donna, abbassando la voce - Ascolti, sono una scienziata specializzata, uno dei due ragazzi feriti ha in corpo un veleno e se non gli viene dato questo antidoto in endovena appena arriva potrebbe morire…” disse tirando fuori una siringa con l’ago ancora sigillato nella plastica.
Sapeva che a meno che non era per le ferite Shinichi non rischiava di morire, ma non poteva di certo dire alla donna che si sarebbe rimpicciolito, l’avrebbe presa per pazza, per questo di era inventata questa stupida scusa.
La donna ci pensò qualche secondo, poi le si illuminò lo sguardo, guardando oltre la ragazza.
“Ah dottore, questa ragazza avrebbe qualcosa di cui parlarle.” disse ad alta voce.
Shiho si voltò e rimase sconvolta da quello che vide. L’uomo a cui si era rivolta la donna era un uomo in camice bianco, con i capelli brizzolati e due occhi azzurri come il ghiaccio.
L’ultima volta che aveva visto quell’uomo era una bambina, ed i suoi capelli erano ancora scuri, ma non avrebbe mai dimenticato quello sguardo.
Rimase lì, immobile, sconvolta, mentre quell’uomo che credeva fosse morto molto tempo fa, ucciso dalla stessa organizzazione che l’aveva fatta dannare, si avvicinava a lei con un sorriso bonario.
L’uomo arrivò al banco, ma la ragazza rimase zitta, tanto che fu la segretaria a dover spiegare tutto al dottore.
Lui senza obbiettare prese la siringa sul bancone.
“Lo faremo.” disse per poi allontanarsi.
La ragazza lo vide andarsene di nuovo, come se volesse sparire di nuovo dalla sua vita, così con due passi veloci lo raggiunse e lo prese dalla manica del camice.
Lui si girò sorridente.
“Ciao Shiho.” disse.
“Io… credevo che tu… Credevo che…”
“Prometto che ti spiegherò tutto, ok? Prima pensiamo ai tuoi amici.” la tranquillizzò quell’uomo con tono pacato.
La ragazza, lasciò la manica del medico, ricambiando il suo sorriso. Non poteva ancora credere di aver rivisto suo padre.

Takagi chiuse la cerniera del sacchetto bianco sul corpo del detective Kogoro, mentre Sato e Chiba finivano di ripulire il pavimento dalle ultime macchie di sangue dall’ufficio.
“Della poltrona che ne facciamo?” chiese l’agente robusto.
“Conviene portarla via, non ha senso lasciarla qui. Almeno quando Ran tornerà a casa non le porterà brutti ricordi.” rispose Takagi.
“Non credo che Ran tornerà qui, probabilmente andrà a vivere con la madre, però penso che sia comunque meglio portarla via.” puntualizzò Sato sollevandosi in piedi.
Ora l’ufficio del detective non puzzava più di sangue, ma di candeggina, un’odore più forte e penetrante, ma meno fastidioso.

Edited by kiaretta_scrittrice92 - 2/3/2015, 19:09
 
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view post Posted on 22/1/2015, 23:34     +1   -1




Wow questa parte mi piace molto, anche perché torna il padre di shio
 
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view post Posted on 31/1/2015, 12:26     +1   -1
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Parte ventiseiesima

I due corpi furono colpiti quasi allo stesso momento, dai due micidiali proiettili sputati dai fucili.
Lilith si accasciò, con una smorfia di dolore mentre già il sangue le macchiava l’elegante camicia bianca, proprio all’altezza di dove incominciava la gonna di quello che probabilmente era un elegante tailleur nero.
Akai invece venne sobbalzato indietro, tanto che cadde a terra, senza più muoversi.
Subito quattro agenti accorsero bloccare la donna prima che desse il colpo di grazia al loro capo, mentre già Sharon si era buttata sul corpo del suo ex marito sperando che fosse ancora vivo.
“Shuichi… Rispondimi… Shuichi…” disse con tono preoccupato prendendogli il viso tra le mani.
L’uomo tossì, poi aprì gli occhi e con mezza voce parlò.
“Come mai così preoccupata per me…?”
La donna gli mollò il viso e lo guardò con sguardo innervosito.
Lui rise a quello sguardo, mentre si rialzava.
“Questa è la mela marcia che conosco…”
“Potresti smetterla di chiamarmi a quel modo?” chiese di nuovo scocciata.
Lui rise di nuovo, poi si alzò la maglia rossa, sotto la giacca di pelle nera, scoprendo il giubbotto anti-proiettili che presentava un foro proprio all’altezza del cuore.
“Mi ero dimenticato di quanto la tua mira fosse impeccabile. Se non avevo questo sarei morto sul colpo.” disse estraneo il proiettile dal giubbotto e buttandolo a terra facendolo tintinnare, mentre incrociava lo sguardo della donna che veniva portata via dai suoi uomini.
Quando finalmente Lilith si allontanò da loro, Sharon aiutò l’agente dell’FBI ad alzarsi.
“Non ci credo che sia veramente finita…” disse con un sospiro.
“Già…”
L’uomo non ebbe il tempo di dire un’altra parola che sentì una voce femminile e preoccupata chiamarlo.
Si voltò e vide la sua collega che correva verso di lui.
“Oh Shuichi, ho sentito gli spari e temevo che…” disse arrivando davanti a loro due.
“Sono vivo Jodie.” sorrise lui.
Poi, come prima di separarsi, le prese il viso tra le mani e la baciò. Sotto il sorriso finalmente un po’ più rilassato di dolce dell’ex woman in black.
Si staccarono però quasi subito e l’uomo, tenendo ancora il viso di Jodie tra le mani, si rivolse all’altra.
“Ora andiamo. Camel sarà già arrivato all’ospedale con i ragazzi.”

Finalmente arrivarono. Due infermiere portavano una barella su cui era sdraiato Amuro, di fianco a loro anche Ran, accompagnata da un’altro infermiere. Poco più dietro un’altra barella su cui era seduto Shinichi, che si era rifiutato di sdraiarsi, e ad accompagnarlo oltre alle infermiere c’era il detective dell’Ovest che aveva un cerotto sulla guancia, messo prontamente dai dottori alla vista della ferita superficiale.
Atsushi Miyano porse nuovamente la siringa a sua figlia.
“Penso lo dovresti fare tu. Io intanto vado a gestire l’operazione del biondo.”
La ragazza la prese annuendo poi, seguita dai bambini, si avvicinò a Shinichi, mentre l’uomo aveva avvisato le infermiere che poteva intervenire.
“Haibara tu…” disse Shinichi vedendola, poi si accorse che c’erano i bambini e si zittì.
Lei scosse la testa.
“Sanno tutto.” gli rispose con un sorriso.
“Come stai Con…Shinichi?” chiese Ayumi, che non riusciva più a trattenere le lacrime.
“Sto bene Ayumi, stai tranquilla…” la rassicurò lui accarezzandogli la testa.
Intanto Shiho aveva tolto il cappuccio di plastica dalla siringa.
“Sei pronto?” gli chiese.
Lui fece un cenno di testa.
“Allora… Addio Conan-kun!” disse la ragazza inserendo la siringa nel braccio di Shinichi e premendo lo stantuffo.
Il ragazzo poi si rivolse ai due bambini.
“Vi prometto che non ci perderemo, però voi dovete promettermi che vi prenderete cura di Ayumi, ok?”
“Contaci!” disse deciso Mitsuhiko.
“Saremo le sue guardie del corpo!” rispose invece Genta mettendosi nella posizione del soldatino ubbidiente.
Poi Shinichi si chinò, sporgendosi dalla barella e diede un bacino sulla guancia della bambina ancora in lacrime. Quando si rialzò sorrise a tutti.
“Ci vediamo dopo…” disse mentre le infermiere si allontanavano con la barella, lasciando i tre bambini, Shiho ed Heiji lì.

L’avvocato Kisaki aveva appena chiuso quella terribile chiamata.
Era rimasta paralizzata da quella notizia. La sua mano ancora sulla cornetta del telefono, messa al suo posto, mentre l’altra era poggiata ancora sulle gambe.
Rimase così per più di un paio di minuti. Finché il piccolo micio grigio non gli saltò in grembo, insinuandosi sotto la sua mano per cercare carezze. A quella reazione del gattino la donna sentì la prima lacrima rigarle il viso.
“Oh Kogoro… Non ci posso credere…” disse stringendo il micio stretto, mentre guardava il baluginare della sua fede al dito.
Quelle lacrime, quei pensieri che le inondavano la mente, quel dolore profondo, fu la conferma del suo amore. Era la punizione di tutti i suoi capricci. Se si fosse goduta la vita con suo marito, senza lamentarsi sempre di lui ed allontanandosi anche da sua figlia, forse quella notizia le avrebbe fatto meno male.
Prese un fazzoletto di carta dalla scrivania e si asciugò le lacrime, lasciando andare il gatto, poi chiamò la sua segretaria.
Midori entrò nell’ufficio dell’avvocato e vide la donna ancora scossa.
“Avvocato che succede?” chiese.
“Nulla, ne parliamo dopo. - la liquidò la donna non volendo dare risposte in quel momento - Cancella tutti gli appuntamenti di oggi, e se non ti dispiace prendi tu le chiamate.” disse prendendo il cellulare dal cassetto della sua scrivania.
“Bene!” rispose la mora con un inchino per poi uscire di nuovo dall’ufficio chiudendosi la porta alle spalle.
A quel punto l’avvocato digitò un numero sul suo apparecchio telefonico e poi se lo portò all’orecchio. Fece un paio di squilli, poi finalmente qualcuno rispose.

“Mamma!” disse Ran rispondendo al telefono, mentre un’infermiera le misurava la pressione.
“Ran dove sei?” chiese Eri con tono preoccupato.
Ran ne dedusse che aveva saputo cosa era successo a lei, o cosa era successo a suo padre.
“All’ospedale… - rispose - ma sto bene! - rassicurò subito - Mi stanno facendo delle analisi di controllo.”
“Vengo lì.” rispose la donna.
La ragazza le rispose dicendole in quale ospedale si trovava, poi chiuse la chiamata.
“Mi scusi, era mia madre.” disse all’infermiera.
“Tranquilla, nessun problema.” le rispose lei con un sorriso.

Finalmente era sul volo diretta a Tokyo. Avrebbe potuto prendere il treno, ma ci avrebbe messo di più.
Alla fine aveva mollato i compiti, perché non riusciva comunque a pensare ad altro, anche se ora sapevano che stavano bene, quindi si era fatta accompagnare da suo padre in aeroporto con la scusa di voler andare a vedere un evento importante a Tokyo e poi aveva preso il biglietto per il primo volo disponibile diretto alla capitale.
Aveva bisogno di sapere che la sua amica stava bene, e non le bastava un messaggio di Heiji per esserne sicura. Poteva solo immaginare come fosse terribile vivere una situazione del genere ed era quasi impossibile non uscirne completamente scosse, perciò le sarebbe stata vicina.

Il suo cellulare suonò, era la suoneria dei messaggi. La ragazza ancora in casa, completamente scossa dagli avvenimenti successi quella mattina si era chiusa in camera sua con la musica ad alto volume negando qualsiasi risposta alla governante o a sua sorella.
Quando sentì il telefono le era sembrato come un campanello d’allarme. Chi era? Ma soprattutto… Che notizie dava? Aveva paura di leggere quel messaggio, ma doveva farlo. Quando ebbe il coraggio di leggere quelle brevi parole ebbe un sospiro di sollievo.
Ran sta bene vieni all’ospedale Aiiku, sta facendo dei controlli.
Il messaggio glielo mandava Shinichi. Questo voleva dire che l’aveva salvata.
Senza pensarci un’attimo spense lo stereo ed uscì dalla sua camera, ancora in divisa, sebbene non avesse più la cravatta verde e la giacca, ma non voleva cambiarsi, voleva arrivare il prima possibile all’ospedale.
“Kizu, - disse chiamando la domestica - ho bisogno che Kazuto mi accompagni all’ospedale Aiiku immediatamente!” concluse con tono autoritario.

Edited by kiaretta_scrittrice92 - 2/3/2015, 19:09
 
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