| FILE XXXVII PRIGIONIERO! La cupa camera isolata stringeva a sé il candido terrore della ragione, annegandolo in un cielo rabbuiato di follia e precise macchinazioni calcolate. Il lezzo maleodorante del cadavere femminile insozzava la purezza della mente del detective infantile, avviluppato dalle ferali ragnatele della Morte Rossa. L’oscurità e il silenzio dominavano ogni anfratto della stanza. I carcerieri muti non avevano mostrato il proprio volto. Conan era solo. «Pensa a Ran, pensa a Ran…» Dopo ore di prigionia insieme al morto, i nervi dello Sherlock Holmes del Terzo Millennio stavano cominciando a cedere. La sua patetica figura continuava a ondeggiare e a dondolarsi in un angolo, rannicchiandosi in un’inquietante parodia delle tormentate cavie da laboratorio. Oltre il vetro scuro, che non lasciava trasparire alcuna immagine del mondo esterno, Gin lo fissava. «Finalmente un lavoro divertente.» Il sicario degli uomini in nero pregustava i dolori intollerabili che l’esperimento della Morte Rossa stava patendo, godendo pacatamente dell’espressione disperata della creatura che si dimenava all’interno della gabbia insonorizzata. Egli fissò per qualche minuto l’essere ormai piagnucolante, prima di accorgersi che l’uniforme offertagli dai cultisti era oscenamente lacera e macchiata di sangue rappreso. Perché lo avevano obbligato a vestirsi come loro? Perché quella disgustosa collega soprannominata Vermouth aveva acconsentito a tale sciocca richiesta? La maschera vitrea che recava gli impediva di respirare normalmente, mentre il calore lo opprimeva. Qualcuno avrebbe certamente pagato per quest’affronto. Aveva già segnalato mentalmente un paio di potenziali vittime della sua ritorsione… escludendo, naturalmente, che “quella persona” fosse contraria alla vendetta personale. Vermouth sfoggiava il consueto esibizionismo, pavoneggiandosi con una tuta ornata che i cultisti le avevano preparato e ponendo numerose domande sull’inutile prigioniero. A lei il meglio, a lui i rifiuti. Era la storia della sua vita. Qualcuno avrebbe pagato per questo… decisamente. Mentre tentava di contenere l’ira crescente per evitare un “incidente diplomatico” con l’odiato Morte Rossa, il bambino cominciò a scagliarsi contro il vetro per infrangerlo. Nonostante il vetro fosse (ovviamente) infrangibile, tale reazione lo urtava profondamente. Entrò rapidamente nella stanza e cominciò a picchiare l’odioso marmocchio senza chiedere alcun permesso. Il volto del bambino si riempì velocemente di lividi, mentre gli occhiali caddero a terra e s’infransero rumorosamente. Vermouth, che aveva monitorato la situazione per tutto il tempo, entrò lentamente all’interno della gabbia prima di rivolgersi con freddezza a Gin utilizzando un modulatore vocale. «Piantala, collega. Esci subito e lasciami sola con lui.» Gin, visibilmente scocciato dall’intrusione, obbedì con un ghigno malevolo e si congedò. Vermouth, la cui identità era celata da una meravigliosa maschera veneziana, si rivolse al ferito. «Cosa speri di ottenere, Cool Guy? Non tornerai mai a casa comportandoti in questa maniera… mi deludi. Usa l’ingegno, non la forza, di cui, tra l’altro, mi sembri carente. Forza, reagisci.» Conan Edogawa alzò debolmente lo sguardo e poi svenne sul pavimento. Vermouth, all’interno del proprio travestimento, sorrise in maniera gelida. Silver Bullet avrebbe certamente trovato un modo per fuggire una volta recuperata la sanità mentale. Aumentò leggermente l’intensità della luce e uscì dalla camera. «Gin, non provare più ad agire, in casi del genere, senza il mio consenso. Sai che Lui non lo tollera.» Il muto interlocutore si sfilò la maschera per infilare l'ennesima sigaretta nella propria bocca, ignorando le parole della donna. Qualcuno avrebbe pagato.
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