FILE 18. Chi è l'assassino?
La donna si riprese alla velocità della luce, complice l’accusa di Ducato. Il sangue le riempì gli occhi e volse uno sguardo di disprezzo all’ispettore.
«Lei è un fottuto bastardo senza cuore».
Flavio l’avvertì. «Signora, piano con le accuse. Potrebbe essere denunciata».
«Anche lei, detective!».
«Ma non ho fatto nulla, io, signora!».
«Doveva vigilare su …».
«Io dovevo vigilare sul quadro, che infatti è intatto e al suo posto» e lo indicò con un cenno della mano. «Non potevo immaginare che uno di voi avesse aspettato me per commettere un omicidio».
«Io ho un alibi. Non posso essere sospettato» disse Manuel.
Ducato gli si avvicinò. «Sarebbe?».
«Be’, ispettore … io sono stato in camera mia e solo dopo sono sceso in cucina per bere un bicchiere d’acqua. È lì che ho macchiato il pigiama».
«Ha macchiato il pigiama?».
Annuì. «Di caffè. Inavvertitamente ho preso la brocca del caffè, anziché quella dell’acqua. Sono identiche e così mi sono sbagliato».
«Quindi …?».
«Non capisce?! La macchia è la prova che sono stato in cucina, al momento del delitto. Quando ho sentito le grida della signora sono stato il primo ad arrivare»
«Confermi, Flavio?»
«Confermo. Stava stringendo a sé la signora Penelope».
«Quando si è accorta del pericolo?» domandò Novato a Penelope. Era di ritorno dal giro di ispezione della casa ed era accaldato e madido di sudore. Come previsto non aveva trovato nulla.
«Ovviamente quando ho sentito le urla agghiaccianti di mio marito. Ero nella stanza qui a fianco» e indicò un piccolo salone dotato di ogni comfort. Avrei potuto passarci circa venticinque anni, in quel salone, e sono sicuro che non mi sarei mai annoiato. C’era un angolo bar con così tanti bicchieri di cristallo da poterli impacchettare e venderli. E avresti racimolato anche una bella fortuna.
«Un servizio da dodici» già immagino.
«Novato» iniziò l’ispettore «controlla il pigiama del ragazzo».
Manuel porse il pigiama ad un addetto della scientifica e rimase in mutande. Poi si infilò su un paio di jeans logori e sporchi di colori ad olio.
Dopo qualche minuto mi avvicinai a Giuseppe Novato e gli domandai. «Trovi qualcosa di strano?».
«Non mi pare … la macchia sembra naturale e accidentale. Comunque penso che la scientifica ne possa sapere di sicuro più di me».
«Hai notato che i peli del tessuto sono tutti orientati verso l’alto?».
«Ovviamente sono dovuti ad uno strofinamento da parte del ragazzo».
Ebbi un sussulto, una sorta di flashback e fissai un punto morto della stanza.
«Quando si è macchiato» proseguì Novato «ha tentato di ripulirsi nella maniera più veloce possibile e deve aver …».
Gli strappai il pigiama dalle mani e mi guardò come se lo avessi privato di un braccio.
Quel pigiama aveva una macchia di caffè sulla gamba sinistra. Andai in cucina, stesi il pantalone sul tavolo e lo ispezionai. Trovai quello che volevo dopo nemmeno un minuto. L’alibi crollò e sulle sue macerie costruii le mie certezze. Ricordai i dialoghi delle ore precedenti e ogni pezzo del puzzle andò al suo posto.
«Insomma, dammi il pigiama, Alex!». urlò inquietato l’agente strappandomelo dalle mani.
«Mi scusi, ma avevo avuto un’idea e …».
«Cosa fai?» mi chiese Sergio entrando in cucina. «Il detective Moggelli ti vuole parlare».
Annuii, poi guardai dritto Sergio negli occhi.
«Senti, posso chiederti un favore?»
«Dopo l’occhio nero?» e indicò la palpebra livida.
«Dopo l’aggressione di oggi?» scimmiottai.
Si arrese. «Va bene, che vuoi?».
«Allora va da Manuel e chiedigli chi ha dipinto Mary Ann. Chiaro?»
«Eh? E perché?».
«Tu fallo e basta. Dì a Flavio che arrivo in un attimo».
Uscii fuori dalla cucina e presi la signora Penelope da parte.
«Signora, da quanto tempo Manuel lavorava per suo marito?»
Parve rifletterci qualche secondo. Poi disse: «Da circa tre mesi, ma perché me lo chiedi?».
Risposi con un sorriso e andai da Flavio, intento a studiare la serratura della stanza del delitto.
Andai di nuovo nella stanza del delitto. Trovai Flavio chino ad osservare la serratura dalla quale si apriva e chiudeva la porta.
Dovette sentire l’eco dei miei passi, perché all’improvviso fece:
«Hai finito di cazzeggiare?».
«Prego?».
«Un corno. Non c’è alcun segno di forzatura sulla serratura. Questo è proprio un mistero. Inoltre la vittima aveva dotato il suo studio di quelle vecchie serrature a ferretto».
«Prima, mentre cercavamo di aprire la porta, ho notato una cosa strana nella serratura. Prova a farla scorrere».
Eseguì servendosi di un fazzoletto di stoffa e stando bene attento a non lasciare impronte.
Si voltò verso di me, già spazientito. «E allora? Che c’è di strano? A me sembra una normale serratura».
«Non vedi che tutta la serratura è coperta di ruggine, tranne la parte iniziale dedicata allo scorrimento?».
Osservò e vide che avevo ragione. «L’avranno pulita».
«Ma perché non tutta?».
Pazientò ancora prima di rispondere. «E io che diamine ne so?».
«Abbiamo a che fare con un assassino distratto»
«Tu dici?».
«Sì, sai ho una teoria»
«Le teorie servono solo in matematica».
«Quelli sono i teoremi».
«Ma perché devi sempre complicare il mio lavoro?» chiese quasi al limite della disperazione.
Inarcai un sopracciglio.
«E non fare finta di non capire».
«Non capisco sul serio, stavolta».
«Il progetto prevede che tu esamini la scena del crimine e scriva in un report le tue deduzioni. Poi dovresti sottoporle a me e il tuo compito dovrebbe finire lì, sono stato chiaro?».
«Be’ …?».
«E invece tu fai quello che diavolo ti pare!» mi urlò in faccia. «Una volta sottrai le prove, poi formuli congetture senza alcun rigore e infine metti in scena il tuo spettacolino da esibizionista! Lo vuoi capire che se per caso, anche solo per una volta, incolpi la persona sbagliata, il mio onore e quello dell’agenzia investigativa cadrà nel vuoto?».
Rimasi impassibile, mentre mi alitava in faccia.
«Rilassati …».
Si passò una mano sul viso, mentre le vene gli pulsavano sulle tempie.
«Ok, sai che ti dico? Vuoi fare il tuo show? Prego, Auguste».
«Ti riferisci a Dupin?».
«Sì, o’ grande genio».
«Divertente» riconobbi e lo lasciai lì a ricoprirmi di insulti.
Mi sedetti a terra, al centro del corridoio, e già questo mi bastò per attirare l’attenzione di tutti.
«Sei diventato cretino?» mi chiese Ducato. «Alzati immediatamente!».
«Smetta di piangere, signora Penelope. Ormai è tutto chiaro».
La donna alzò gli occhi e una soffice ciocca di capelli le cadde sul viso. Se la scostò, prima di chiedermi che intendessi dire.
«Tra poco suo marito avrà quantomeno giustizia. L’assassino verrà smascherato, vedrà».
L’ispettore si chinò e arrivò al mio livello. Mi guardò fisso negli occhi e vidi in lui la rabbia crescere lentamente. Quando aprì bocca, però, mantenne la calma. Mi sussurrò:
«Cosa dici? Non abbiamo la minima idea di chi …».
«Mi lasci fare, d’accordo? Forse ne ricaveremo qualcosa di buono, non crede?».
«Ecco, io non credo che tu sia abbastanza …».
«Sì, signora Penelope. Adesso è finalmente tutto alla luce del sole» alzai la voce in modo da interrompere il dialogo con l’ispettore ed ebbi l’impressione che da lì a poco mi avrebbe colpito così forte da indurmi al coma. La donna rimase impassibile, mentre Manuel si era accomodato su una sedia di legno prelevata dalla sala hobby dei signori Gherardi.
«Sapete, la prima cosa che balza all’occhio è che sulla scena del crimine non vi è alcuna anomalia. Insomma, voglio dire … nessuna forzatura della serratura della stanza in cui è avvenuto il delitto, entrate della casa perfettamente integre, alcun segno di colluttazione sul cadavere della vittima. Sembrava un delitto perfetto, ma l’assassino è distratto, molto distratto».
«Distratto?» chiese Sergio.
«L’assassino è entrato nello studio del signor Gherardi, perché è stata la vittima che ha richiesto la sua presenza. Ha approfittato di un momento di distrazione del signor Gherardi e gli ha mozzato la testa senza alcuna pietà».
Alla parola “mozzato” Penelope chiuse gli occhi e sul suo viso si fece più marcato il dolore.
«Manuel,» lo interpellai «spiegaci come hai fatto. Non essere timido».
Penelope lo spintonò in segno di stizza e lo guardò indignato. «Non voglio crederci» disse indignata.
Lo sguardo del ragazzo passò da piatto a feroce. Strinse i pugni e serrò la mascella come se avesse dovuto sostenere un match con Rocky Balboa.
Rimase in silenzio, lo sguardo fisso sul pavimento, il corpo privo di qualsiasi movimento naturale, i muscoli del collo in tensione.
«Vedo che preferisci che racconti io com’è andata». Mi alzai da terra e mi appoggiai spalle al muro.
«Quando sei entrato hai nascosto l’arma dietro la schiena. Dopo aver ucciso il signor Gherardi sei riuscito ad uscire dalla stanza».
«Come ha fatto?» chiese agitato Flavio. «La porta era chiusa dall’interno e non ci sono chiavi di riserva».
«Aveva ovviamente una chiave di riserva. Il signor Gherardi ha uno studio talmente ordinato e dotato di ogni comfort, che è impossibile che se ne occupi da solo. Sarebbe lecito, in fondo, dare un duplicato della chiave al proprio assistente».
«Quindi ha mentito anche quando ha dichiarato di non avere alcuna chiave di riserva».
«Frugherei nei suoi effetti personali, fossi in voi della polizia. Forse l’ha nascosta in un cassetto in camera sua, o forse ce l’ha ancora addosso, chissà …».
Finalmente Manuel reagì. «Sono solamente congetture prive di fondamento. Non hai prove della mia colpevolezza. E ti consiglio di chiudere la bocca» ora il suo tono divenne offensivo «se non vuoi essere denunciato».
Feci schioccare la lingua e sorrisi. «Hai dimenticato di lavarsi le mani, Manuel».
«Eh?».
«C’è una parte della serratura sporca. È quella che hai toccato con le mani sporche di sangue nel tentativo di non toccare il pomello e non lasciare impronte! Sfortunatamente per te …».
Flavio mi interruppe ancora. «Ma non è ruggine?!».
«Non è ruggine, bensì sangue. Le analisi della scientifica confermeranno che si tratta dello stesso sangue perso dalla vittima».
Il silenzio inghiottì le lamentele di Manuel, adesso disarmato per forza di cose.
«Parliamo della macchia, ti va?» chiesi.
Non rispose.
«Quando ho esaminato il pigiama in cucina, ho notato che la macchia era completamente asciutta. La macchia è stata fatta un sacco di tempo fa e non stasera, come sostieni tu. Inoltre, e Novato potrà confermare, quella macchia odora di detergente, segno che il colpevole ha già provato a toglierla più volte senza successo. La parte del pigiama occupata dalla macchia è ormai quasi del tutto consumata e logora, cosa che ci porta a supporre che l’indumento è stato lavato già molte volte, probabilmente a mano».
«Novato?» lo interpellò l’ispettore.
L’agente rispose con un cenno affermativo del capo. «Ora che Alex l’ha detto, ricordo anch’io di aver sentito vagamente l’aroma di detergente».
Manuel sbatté un pugno sul muro e un quadro di Gherardi cadde a terra. Segni del destino.
Mi avvicinai a lui.
«Vuoi confessare?».
«Io non avrei …» balbettò. «Non avrei mai potuto uccidere il maestro, perché io …».
«Tu, cosa?!» gli urlai a due centimetri dalla faccia.
«Io vivo per l’arte, bastardo!».
Indietreggiai e scrollai le spalle, accompagnando il tutto con un lieve sorriso.
«Dovresti vivere per la recitazione. Meriteresti un Oscar per come stai interpretando la parte dell’allievo. Puoi certamente ingannare una platea, ma non la ragione».
«Cosa vuoi dire?!» si affrettò a chiedermi Ducato.
Diedi le spalle a Manuel.
«Questo tizio non sa nulla di arte. Per lui Terrazza del caffè la sera ad Ariès è di Monèt e non di Van Gogh e» proseguii guardando Sergio «gli hai fatto quella domanda?».
Sentii il respiro affannoso del ragazzo alle mie spalle e per un attimo pensai che volesse aggredirmi. Sarebbe stata la seconda volta in poco meno di otto ore. Avrei di certo stabilito un record.
«Certo, Alex».
Flavio lo guardò incuriosito. «Che domanda?».
«Alex mi ha chiesto di domandare a Manuel chi avesse dipinto Mary Ann. Io l’ho fatto, ma lui ha risposto che non lo ricordava».
«Non lo ricordava, capite?» domandai ironicamente alzando la voce. «Un brillante studente, presumo, di arte antica e contemporanea, un amante dei ritratti e delle nature morte, un tizio che finge di venerare Gherardi, quello che dovrebbe essere il non plus ultra del … ».
«Abbiamo afferrato» interruppe Ducato.
«Mary Ann l’ha dipinto Robert Henri, un impressionista» dissi voltandomi verso Manuel.
«Non ricordo le cose che ho studiato. E allora? Questo basta per fare di me un assassino?!» chiese esasperato.
«Quindi non hai ucciso Gherardi?» domandai.
«Ti ho detto di no!».
«Ok, ti credo».
Ducato e Flavio esclamarono: «Come?!».
Poi l’ispettore guardò Flavio. «Ha incolpato un innocente per nulla?! Flavio, è una tua responsabilità, lo sai?».
Il mio amico mi guardò feroce, ma gli feci un cenno d’intesa e il suo sguardo si alleviò pian piano che i nostri sguardi rimanevano fissi l’uno in quello dell’altro.
Non parlai più, ma continuai a fissare Manuel. Chissà se il pesce avrebbe abboccato.
NEXT FILE: Che cosa ha in mente Alex? Finalmente la fine di un caso complicato!Edited by Matteo Del Piero - 30/7/2013, 16:24