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« Mancanze », {ShinichixShiho con un po' di GinxSherry}

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view post Posted on 27/11/2013, 23:39     +3   +1   -1
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× Sanji × Nami ×


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Ecco a voi una mia nuova fan fiction! È una one shot, spero vi piaccia. L'avevo scritta per la mia amica jayla, ma ho avuto anche il suo permesso di postarla, quindi... Enjoy the freshness!

« Mancanze »



Guardò al di là della finestra, senza realmente vedere ciò che gli stava davanti. Una leggera brezza primaverile le scompigliava i capelli ramati, mentre le fronde degli alberi ondeggiavano a seconda della direzione dell’aria, facendo dei giochi di colore tra i fiori di pesco e il verde smeraldino delle foglie. Lei era lì, a guardare questo spettacolo di colori, restando assente.

Erano passati mesi ormai dalla sconfitta dell’Organizzazione, ma ogni volta che ci pensava le veniva un brivido lungo la schiena, dove portava una lunga cicatrice a causa del coltello che quell’uomo dagli occhi glaciali aveva usato contro di lei, ferendola. Le era sembrato così strano che lui usasse quell’arma, eppure per lei l’aveva fatto. Niente fucili, niente pistole, niente sigarette spente sulla sua pallida pelle: solo e unicamente un semplice coltello.

E ci ripensava ancora, a quello sguardo carico d’odio. Era freddo come poteva esserlo il ghiaccio, eppure i suoi occhi esprimevano ancora quell’ardore che nutriva una volta per lei. Quei meravigliosi occhi verdi come le foglie che si agitavano al vento.

Poi si girò, e vide il suo mortale nemico rosso dall’altra parte, pronto con una pistola a dargli l’ultima pallottola. Per la prima volta, Shiho vide nei suoi occhi qualcosa che non aveva mai visto: la paura. Comprese solo allora che quello non era una macchina ma un essere umano come gli altri. Lei, che si era innamorata di lui per quella spietatezza che dimostrava e per quella dolcezza che riservava solo a lei, guardava l’uomo completamente colpita da quello sguardo, e un po’ di pena si appropriò di lei, anche dopo che le ebbe inferto un colpo alla schiena.

La guardò per l’ultima volta con lo stesso identico sguardo di quando stavano da soli, e a lei vennero i brividi. Le disse un’ultima, criptica frase:«Ricordati che l’azzurro non è mai limpido...» e dopo il colpo di pistola. E il silenzio.

Forse era sicuro che doveva morire, in qualche modo. E in quel modo.

Ma lei era sicura di una cosa: non si sarebbe mai immaginata di piangere per Gin. A dir la verità, quella scarica di adrenalina che la percorreva ogni volta che lui era nelle vicinanze per ucciderla le mancava. Il profumo della sua sigaretta, i suoi capelli platinati ondeggianti al vento, l’impermeabile nero che si muoveva ad ogni passo, il cappello sempre sulla testa. Non avrebbe mai immaginato che quell’uomo le sarebbe mancato.

Anche perché bastò poco, poi, per far sì che Shinichi se ne andasse da Ran. Era solo colpa sua, che gli aveva dato l’antidoto definitivo, che era tornato da lei. Shiho amava profondamente Shinichi, e ogni volta che incrociava il suo sguardo non poteva fare a meno di sentire il cuore che aumentava inesorabilmente i suoi battiti, lasciandola per qualche secondo senza fiato. Shinichi per lei era la nuova vita, era tutto quello che aveva sempre desiderato: un protettore, un ragazzo bello, intelligente, caparbio, amorevole e dolce, ma spesso e volentieri perfino stupido, imbranato e anche molto pieno di sé.

Non aveva dimenticato quel forte sentimento verso di lui, ma si era chiusa in quella stanza, a ripensare a quei due uomini che erano entrati nella sua vita e nel suo cuore. Così diversi, eppure anche così uguali. Anche Gin era intelligente, e quand’era ancora nell’Organizzazione spesso e volentieri la proteggeva da chi voleva farle del male. E anche Gin era pieno di sé, convinto che fosse il miglior cecchino presente sul mercato degli aguzzini. E quando le portava quelle rose rosse... Con quelle poesie meravigliose... Non avrebbe potuto desiderare altro.

Eppure non riusciva a capire come mai preferisse Shinichi a Gin.

Forse perché effettivamente Shinichi significava la salvezza, la fuga, la libertà. Quand’era con Gin non riusciva a sentirsi libera e, anzi, quando erano nei loro momenti il suo corpo la opprimeva come se fosse stata a dieci atmosfere sott’acqua. Le sembrava di soffocare. Shinichi invece era quella bellissima bollicina che, fuori dall’acqua, esplodeva per disperdersi libera nell’aria.

Sorrideva, e ancora non si staccava dalla finestra, decisa com’era a guardare il più possibile le foglie verdi. Come i suoi occhi.

Inutile dire che più ci pensava, più aveva l’amaro in bocca per quello che era successo. E se non se ne fosse mai andata dall’Organizzazione? Sicuramente Gin l’avrebbe ancora amata. Ma è anche vero che lui aveva ucciso sua sorella, ed era una cosa che non riusciva a perdonargli, nemmeno ora che era morto. Sua sorella per lei era tutto, e le mancava più di ogni altra cosa al mondo, perfino più di Shinichi.

Chissà cosa starà facendo ora con la sua Ran... pensò triste la ragazza. Ran era una persona eccezionale, sempre pronta a dare tutto il meglio di sé per gli altri, bella, simpatica, dolce e protettiva, oltre che un’ottima karateka. Assomigliava in tutto e per tutto alla sorella, e forse anche per questo faceva molta fatica ad andare d’accordo con lei. Il dolore per la sorella che non avrebbe più rivisto affiorava sempre di più ogni volta che lei vedeva Ran.

In quel momento passarono i Giovani Detective, e la salutarono con energia. Le chiesero i convenevoli, e poi entrarono in casa del Dottor Agasa, che era anche la casa di Shiho, ormai. Quei bambini erano speciali, avevano subito capito che aveva bisogno di stare da sola, e da quel momento non le chiedevano altro che un semplice “Come stai?”. Forse la storia con l’Organizzazione che aveva loro raccontato li aveva convinti a non seccarla. Sentì i rumori del videogioco nuovo di zecca provenire dal soggiorno. Quei bambini erano magnifici, l’avevano fatta sentire bene un mucchio di volte, ma era anche vero che non apparteneva alla loro età, e non le sembrava giusto restare bambina, se non lo era. E anche in quel caso avevano accettato la sua decisione.

Cominciò a camminare un po’ nella stanza, stiracchiandosi, poi si sdraiò sul letto e prese a leggere una rivista di moda. Le piacevano quegli abiti, peccato che non se li sarebbe mai potuta permettere. Non aveva nemmeno granché voglia di andarsene a lavorare. In verità, non aveva voglia di uscire di casa. Aveva una specie di blocco, come se fuori dalla casa il mondo fosse un posto dove lei risultava vulnerabile.

Gettò via la rivista e prese a fissare il soffitto e la parete verde acqua accanto a sé, dove il sole proiettava l’ombra dei rami e delle foglie. E ancora una volta si ritrovò a pensare a lui e a quei maledettissimi occhi verdi.

Si immaginò ancora nei loro momenti, quando lui prendeva a baciarla sul collo e a toccarle un fianco, facendola sentire speciale e unica al mondo. Poteva ancora assaporare quelle labbra che sapevano di fumo. Poteva ancora sentire il suo odore di alcool misto a sudore che tanto le piaceva. Poteva ancora percepire i suoi baci lungo tutto il suo corpo. Quei ricordi erano così vivi che sembrava impossibile che non avrebbe mai più potuto riviverli.

«Ricordati che l’azzurro non è mai limpido...»

Ormai quella frase era diventata martellante. Non riusciva a capirne il motivo, ma ogni volta che la pensava, si ritrovava a pensare anche a Shinichi. Che Gin aveva capito qualcosa su Shinichi che lei stessa non era riuscita a capire?

Shinichi. Quel ragazzo le mancava. Ne era follemente e perdutamente innamorata, così come lo era stata di Gin. Shinichi. Le mancava rispondergli male, farlo scendere dalle nuvole del suo ego, guardarlo mentre riusciva a risolvere brillantemente, ancora una volta, un caso, con i suoi occhi azzurri che si illuminavano di una luce maniacale, in quei momenti. Le mancava prenderlo in giro. Le mancavano le risate che si faceva con lui, quei momenti passati insieme ai Giovani Detective.

Si girò nel letto e affondò la faccia nel cuscino, decisa a reprimere le lacrime. Ormai quasi piangeva tutti i giorni a causa delle sue mancanze. Girò il viso verso il comodino e notò il suo cellulare. Lo teneva spento da mesi, ormai. Chi mai l’avrebbe più chiamata? Gin no di certo. Ultimamente la chiamava, per quanto le chiamate fossero decisamente lugubri e spietatamente minacciose, anche se riusciva a cogliere nella sua voce quel tono dolce che usava sempre e solo con lei.

Shinichi. Forse lui l’aveva chiamata. Lo prese, lo accese e, meravigliandosi della sua memoria, digitò il codice di accesso. Aspettò che si caricasse del tutto, finché non lesse un elenco che le era apparso sul display del cellulare:

- 769 chiamate perse

- 848 messaggi


E tutti quanti portavano lo stesso identico nome:

- Shinichi Kudo

Il cuore prese a palpitarle velocemente. Cominciò a leggere un messaggio dopo l’altro. Dicevano più o meno tutti la stessa cosa, tranne per il fatto che intorno al quattrocentesimo cominciavano a cambiare.

- Haibara, che fine hai fatto?! Dai, esci fuori e goditi la vita...

- Haibara, muoviti e non rompere.

- Sai, io e Ran siamo rimasti amici, non siamo mai stati effettivamente innamorati.


Sgranò gli occhi. Dovette rileggerlo altre dieci volte prima di coglierne il senso. Un sentimento di lieve felicità si appropriò di lei.

- Dai Shiho, ti voglio vedere.

- Appena riaccendi il cellulare, ti prego, rispondimi.

- Sono mesi che provo a chiamarti!

- Shiho, ti prego, dai, non fare l’antipatica come sempre.


Quando lesse l’ultimo messaggio (Shiho, ti prego, rispondimi...) rimase in attesa. Sicuramente Shinichi aveva ricevuto il messaggio di accensione del cellulare di Shiho, e sicuramente di lì a poco l’avrebbe chiamata, irritato per la sua enorme assenza. E, manco l’avesse espresso come desiderio, ecco che il cellulare prese a suonare e a vibrare. La mano le tremava, non sapeva se rispondere o meno alla chiamata.

Buttati... Non ti può succedere niente di peggio.

Sembrava che premere il tastino verde sulla tastiera le costasse una fatica immensa. Ormai il verde le ricordava immancabilmente l’uomo che l’aveva fatta star bene. Alla fine ce la fece, e rispose con un laconico:«Pronto?!»

«Ai! Shiho! O come diavolo devo chiamarti!» la voce di Shinichi era estatica, ma nel frattempo era anche abbastanza irritata:«Che diavolo di fine hai fatto?! Lo sai che stavo quasi pensando che tu fossi morta?! Meno male che il dottor Agasa mi ha detto che eri ancora viva, anche se perennemente chiusa in camera...»

«Shinichi... Io... Scusa... È che...» fece lei imbarazzata, oltre che un po’ malinconica.

«Non chiedere scusa, te lo proibisco. Piuttosto vediamoci tra venti minuti al parco Beika. E non provare a non venire. Se non ti vedo giuro che vengo a prenderti a casa.» e le attaccò in faccia il telefono.

E ora... Che faccio?! Si chiese, preoccupata. Dopo tanti mesi avrebbe rivisto Shinichi, e non sapeva nemmeno cosa mettersi. Per fortuna la doccia se l’era fatta quel mattino. Corse all’armadio e iniziò a scorrere i vari vestiti, scegliendo poi un paio di pantaloni lunghi beige e una maglietta verde chiaro a mezze maniche. Iniziò a vestirsi con crescente ansia, guardando l’ora. Mancavano solamente dieci minuti all’appuntamento. Si mise velocemente un paio di scarpe color bianco e verde, che richiamavano un po’ la maglietta. Si truccò velocemente e poi aprì la porta, sgattaiolandone fuori, per poi tornare in dietro, recuperare il cellulare, metterselo in tasca e correre verso il parco Beika.

«Doc, io esco!»

«Ai, ma cos..?!» fece il dottore, allegro che si fosse ripresa e che la sua figlioccia volesse uscire.

«Ti spiegherò tutto quando rientro!» e fuggì alla volta del parco. Mancavano solo cinque minuti. Si mise a correre e arrivò appena in tempo. Lui era lì, bello come sempre, vestito in tenuta da calcio. Appena la vide le corse incontro, e lei rimase paralizzata. «Per farti capire quanto ci tenevo a te, non ho nemmeno finito gli allenamenti per venirti incontro!»

«Shinichi... Io... Non so cosa... Scusa...» non riusciva a dire altro. Era bellissimo con i capelli arruffati per via della corsa, con gli occhi azzurri che esprimevano gioia.

«Non scusarti, per Sherlock! Non ti rendi conto di quanto tu mi stia facendo felice, visto che sei venuta al parco Beika?! Mi basta questo per perdonarti.» le sorrise e poi la abbracciò, lasciandola senza parole:«Io e Ran c’eravamo messi insieme, ma poi abbiamo capito che provavamo solo tanto affetto fraterno, e quindi poi ci siamo lasciati... Ma mentre stavo con lei, non riuscivo a non pensare a te, ai tuoi occhi meravigliosi, al tuo profumo di rose... E solo dopo che c’eravamo lasciati ho capito che tu mi piacevi... Appena avevo sentito che non volevi più uscire di casa, ho provato a chiamarti tante volte, come hai potuto constatare oggi, ma non rispondevi. Avevo deciso di lasciar perdere. E quando oggi ho letto il messaggio che avevi finalmente acceso il cellulare, un caso fortunato, visto che stavo facendo una pausa, mi sono affrettato a chiamarti.»

«Shinichi...»

«Shiho, non scusarti ancora... E non piangere. Ci sono qua io con te.» disse, accarezzandola sulla nuca mentre lei cominciava a piangere.

«Shinichi, grazie. Grazie. Mi hai dato una nuova vita. Grazie.» disse lei tra i singhiozzi:«Grazie. Mi hai fatto uscire di casa. Grazie. Non so che altro dirti. Grazie.» ricambiò l’abbracci. Lui la staccò per un istante, la guardò dritta negli occhi, con l’indice le tolse le lacrime e infine la baciò sulle labbra. Quel bacio sapeva di fresco e di un’altra cosa che non seppe riconoscere a pieno. Anche lui sapeva da sudore, ma in lui non c’era la traccia opprimente del fumo, e nemmeno dell’alcool. Il suo odore era naturale tanto quanto lo era lui. Mise le braccia attorno al suo collo e si lasciò andare.

Dopo mesi chiusa in casa, il sapore delle sue labbra era quello della libertà.
 
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view post Posted on 28/11/2013, 14:08     +1   +1   -1
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Che bella one shot ^_^ mi è piaciuta tanto ed è veramente scritta bene ^^
 
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view post Posted on 1/2/2014, 12:00     +1   +1   -1
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filmmaker wannabe

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Grazie cara <3 tu sai già cosa ne penso! :3
 
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