Un'altra tessera del mosaico di “Reduci” sta per essere aggiunta
Ancora una volta siamo in un momento cruciale e forse mai come adesso aspetto trepidante i giudizi di chi segue questa storia.
Alle mie fedelissime, Francy e Martina, che ringrazio per la tempestività dei loro commenti, posso solo rispondere che alcune cose sono finite e altre no. Ma sono certa che capiranno meglio queste mie affermazioni leggendo “Reduci” fino all’ultimo
Al nuovo lettore, benvenuto. Spero davvero di trovarti ancora in questo topic.
Sulla mia ultima fatica, cosa posso dire? Senza dubbio avete di fronte un capitolo prevalentemente dialogico, con poche azioni e tanti chiarimenti fatti a voce. Ci sarà tempo più avanti per muoversi e per entrare nelle menti di alcuni personaggi; per adesso ci interessano prevalentemente le parole che escono dalla bocca. E questo numero 31 è un capitolo che vi autorizza ufficialmente a prendermi a pesci in faccia, perché temo di non aver mai osato tanto come in questo momento – titolo chilometrico incluso
Una buona lettura a tutti!
NeiroP.S. Ho riletto un po’ di fretta, potrebbero esserci… più errori del solito
Capitolo 31Legami perduti
e un’ultima verità da portare alla luce
Masumi Sera osservava con circospezione la gigantesca sagoma della casa di Shinichi Kudo, i capelli neri che ricadevano scompostamente sulla fronte. Era lì su invito del signor Subaru Okiya, che le aveva chiesto di presentarsi a lui appena possibile… ma ancora non riusciva a citofonare, né a far notare in alcun modo che era arrivata.
Si sentiva molto nervosa. Non sapeva granché di quel Subaru, però ogni volta che lo incontrava avvertiva un brivido alla nuca. Perché? Se l’era domandato fino all’esaurimento, senza mai trovare una risposta soddisfacente. E adesso non riusciva a spiegarsi il motivo di quella convocazione: cosa poteva volere Subaru da lei? Credeva sapesse qualcosa dell’Organizzazione?
Con un gran respiro, sollevò il braccio destro e citofonò. Le tremava la mano e si vergognò per quel segnale di debolezza. Cavolo, aveva affrontato da poco dei criminali incalliti…
“Sì?”
La voce di Subaru, proveniente del citofono, la fece sussultare. Masumi deglutì. “Sono Sera” dichiarò, sforzandosi di mantenere ferma la voce. “Può farmi entrare?”
“Ah, certamente. Vieni, vieni, ti aspettavo”.
Il cancello si aprì con uno schiocco e Masumi lo oltrepassò lentamente. Poco dopo venne aperta anche la porta d’ingresso e la testa di Subaru fece capolino oltre il battente. “Salve” disse l’uomo con cortesia. “Seguimi, ti offro una tazza di tè”.
“No, grazie, non mi va” rifiutò Masumi, lasciando le sue scarpe nell’ingresso e seguendo Subaru fino in cucina. “Allora, di cosa desiderava parlarmi?”
“Ti pregherei di darmi del tu, innanzitutto… e poi t’inviterei a sederti”.
Masumi obbedì alla seconda richiesta, incrociando le braccia sul petto. “Perché mai dovrei darle del tu?” si oppose. “Non capisco nemmeno cosa vuole da me”.
“Lo capirai ben presto” rispose Subaru senza scomporsi, rimanendo in piedi. “Prima lascia che ti faccia una domanda: sei venuta in Giappone per cercare tuo fratello maggiore, non è vero?”
Lo sguardo di Masumi si accese di sospetto. “Come fa a saperlo?”
“È semplice… conosco la persona in questione” rivelò Subaru, aggiustandosi gli occhiali sul naso.
Masumi strinse i pugni. “Non è il primo a dirmi una cosa del genere… Mi lasci in pace, ho già avuto abbastanza problemi. Mio fratello non c’è più, punto”.
Subaru scosse la testa. “Non sai quello che dici. Tuo fratello è vivo e vegeto… Shuichi, non è vero? È così che si chiama”.
“Lei parla come quella donna, Chris Vineyard… ma io non voglio ascoltarla. Mi lasci andare” esclamò Masumi alzandosi in piedi.
“Per favore, aspetta. Chris Vineyard è una delinquente, ora è dove merita di essere… Io non sono come lei. Ho aiutato il piccolo Conan ad arrestare quei criminali vestiti di nero, no?”
Masumi digrignò i denti. “Senta un po’…”
“No, dammi retta, per favore: so che tuo fratello maggiore ha abbandonato la vostra famiglia, facendo perdere completamente le sue tracce… e conosco anche il motivo di tutto ciò. Lui… è entrato a far parte dell’FBI” spiegò Subaru in un sussurro.
“L’FBI?!”
“Esatto. Shuichi desiderava fortemente diventare un agente federale… e così ha fatto. Ecco perché è stato così tanto lontano da te e dai vostri genitori”.
Masumi scrollò violentemente il capo, premendosi le mani sulle orecchie. “No, no, no” sbottò con rabbia. “Questo è impossibile”.
“Shuichi si era avvicinato alla misteriosa Organizzazione degli Uomini in Nero” proseguì Subaru, imperterrito. “Non voleva commettere passi falsi, né causarvi dei guai… Ha rischiato per un pelo di essere ucciso da quei criminali e più di una volta”.
“Ehi! La smetta di giustificarlo!” urlò Masumi, perdendo definitivamente le staffe. “Lui se n’è andato anni fa! Non gl’importava nulla né di me, né dei nostri genitori… Era solo un insensibile, questa è la verità!”
La giovane investigatrice aveva il volto contratto dall’ira e dal dolore, i pugni serrati e le labbra livide. Subaru la guardò con intensità e tristezza.
“Shuichi ha peccato per ambizione eccessiva, però non ha mai smesso di pensare a te e al resto della sua famiglia. Su questo ci puoi mettere la firma”.
“Lei mente!” gridò Masumi, ormai prossima alle lacrime. “Lo conosceva, vero? Le avrà riempito la testa di belle parole, come ha fatto con me… ma stia certo che non gliene fregava niente di lei. A lui interessava solo di se stesso, FBI o non FBI” concluse amaramente la ragazza.
Subaru abbassò gli occhi. “È questo quello che pensi di lui?”
“Sì, è questo quello che penso… e sono deluso, deluso come non mai. Volevo bene a mio fratello, era il mio mito” confessò Masumi con un singhiozzo. “Invece mi ha preso in giro e mi ha lasciato da solo”. Si asciugò rabbiosamente gli occhi, chiedendosi perché diavolo raccontava i fatti suoi a un mezzo estraneo.
“Mi dispiace. Non ci sono parole di scusa abbastanza efficaci per quello che è successo… ma vorrei che tu ci ripensassi e provassi a metterti un po’ nei panni di tuo fratello” disse Subaru con gravità.
“Nei suoi panni?” Masumi scoppiò in una risata priva d’allegria. “Come farei a mettermi nei panni di un uomo freddo e manipolatore come lui? Uno che non amava nessuno all’infuori di sé?”
“Ti stai sbagliando” insistette Subaru. “Non è vero che Shuichi non teneva a nessuno. Ha perso la donna a cui era legato e non è riuscito a mantenere i rapporti con la sua famiglia… Non è esattamente una cosa da poco”.
“Cosa sta blaterando? Mio fratello era innamorato?” esclamò Masumi sbarrando gli occhi.
Subaru non rispose.
“Shuichi non avrebbe mai perso la testa per una donna da un giorno all’altro” affermò secca la giovane detective. “Lei si sta inventando tutto”.
“E per quale motivo dovrei farlo?” reagì Subaru a quel punto. “Io non sto inventando un bel niente… Tuo fratello ha fatto i suoi errori, certo, ma non era un insensibile. Lui amava la sua famiglia. Forse non doveva allontanarsi senza dare alcuna notizia, però credeva di fare la cosa giusta”.
“Basta, basta, la smetta!” inveì Masumi esasperata. “Chi si crede di essere per fare l’avvocato difensore di Shuichi? Forse è convinto di conoscere la verità, ma deve piantarla di credere alle parole vuote di mio fratello, non significano nulla!”
“Masumi”. Subaru pronunciò quel nome con dolcezza e cautela insieme e la ragazza sussultò.
Cosa…?“Masumi, ascolta. L’Organizzazione, l’ FBI… queste cose non sono uno scherzo. Non puoi finirci in mezzo e tirartene fuori come se niente fosse. Io ho soltanto tentato di proteggerti. Capisci?”
La giovane investigatrice iniziò a tremare. “N-no” balbettò scioccata. “Tu non puoi..”
Con un gesto fluido, Subaru si sfilò la maschera facciale, rivelando il volto di Shuichi. Poi tirò giù il collo alto della maglia, mostrando uno strano dispositivo attaccato alla gola, che venne prontamente tolto. Quando parlò, la sua voce suonò diversa e terribilmente familiare per Masumi: “Sono io, sorella… Tuo fratello Shuichi”.
Scese un silenzio pesantissimo. Dopo qualche secondo, Masumi scoppiò in un pianto dirotto e si lanciò sul fratello, prendendolo a pugni con disperazione crescente. “Stupido, stupido, stupido!” lo investì fra i singhiozzi. “Come hai potuto… Come hai potuto?!”
Shuichi si lascò colpire, rimanendo immobile, nonostante gli stesse già sanguinando il naso. “Lo so. Comprendo la tua rabbia” disse piano.
“Io non sono arrabbiato… Sono furibondo!” sbraitò Masumi senza fiato, continuando a bersagliare di pugni il fratello, sul volto, sul petto e sulle braccia. “Non solo mi hai gettato via come un fazzoletto usato, hai anche avuto la faccia tosta di mentirmi e di recitare la parte dello sconosciuto tutto gentile… Ti odio!”
Shuichi bloccò all’improvviso i polsi della sorella. “Ho agito in buonafede, Masumi. È ovvio che tu ce l’abbia con me, però cerca di comprendermi. Non limitarti a buttare giudizi”.
“E che cosa dovrei fare?!” La ragazza continuava a piangere a calde lacrime e tentava di opporsi al fratello, smaniosa com’era di colpirlo ancora per sfogare la propria frustrazione.
“Ascoltare la mia storia per intero. Se ti siedi e ti calmi un po’, posso raccontartela”.
Masumi studiò il volto di Shuichi, seriamente combattuta. Nonostante gli avesse sputato in faccia che lo odiava e non voleva più saperne di lui, era la prima a rendersi conto che non era così. Teneva a riavere il suo affetto, sperava di riuscire in qualche modo a perdonarlo. Avrebbe desiderato bersagliarlo con altri pugni e, al tempo stesso, abbracciarlo forte come faceva da piccola. Disorientata dalle sue stesse emozioni, si sforzò di darsi un contegno e si allontanò di scatto, sfuggendo alla presa di Shuichi e lasciandosi cadere su una sedia.
“E va bene” si arrese con voce incolore. “Parla”.
“Ricordi quando me ne sono andato di casa, vero?” chiese Shuichi serio. “Credo che, in fondo, tu sappia perché l’ho fatto. Stavo cercando la mia strada e avevo la netta sensazione che nostro padre e nostra madre non fossero in grado di capirmi”.
Masumi non disse niente. Non le piaceva tornare con la mente a quel periodo… Era ancora piccola e da un giorno all’altro si era ritrovata senza il suo ‘caro fratellone’, come soleva definire Shuichi allora. Rammentava l’atmosfera di tensione che aleggiava in casa, quando saltavano fuori discorsi difficili su scelte da compiere e futuro da affrontare… ma, a parte questo, non aveva mai conosciuto il contenuto specifico dei diverbi tra suo fratello e i loro genitori. Sapeva soltanto che lui aveva deciso di andarsene e non aveva detto a nessuno quali fossero i suoi progetti.
“Papà voleva che diventassi medico” continuò Shuichi, senza attendere reazioni da parte della sorella. “Non so se te l’abbia mai detto apertamente, ma da giovane la medicina era il suo sogno, un sogno che non è mai riuscito a realizzare, perciò si augurava che lo facessi io al suo posto. Solo che… be’, questa non era la via che immaginavo per me, contro tutte le sue aspettative. Ne discutevamo spesso, anche animatamente, e più volte abbiamo finito per litigare”.
“È per questo che hai lasciato casa nostra?” domandò Masumi, dimenticando i suoi propositi di rimanere fredda e distaccata.
“Sì e no” rispose Shuichi. Prese posto di fronte alla sorella, intrecciando le dita. “Ero stanco di sopportare tutte quelle pressioni e avevo un grande desiderio di conoscere meglio il mondo. Non avevo un’idea chiara sul mio futuro, eppure ero certo di non voler intraprendere gli studi di Medicina e mi rendevo conto di non poter restare accanto a nostro padre. Lui non avrebbe mai accettato la mia scelta. Così ho deciso di andarmene per un po’, all’insaputa di tutti… Lo ammetto, non mi sono comportato bene, ma in quel momento sparire senza lascare traccia mi sembrava l’unica soluzione. Inoltre, mi ero persuaso che non avrei impiegato molto a capire cosa desideravo davvero e che, una volta presa definitivamente la mia decisione, perfino nostro padre avrebbe finito col rassegnarsi. Per questo non vi ho fatto avere mie notizie sin dal principio… anche perché ero consapevole che, scoperto dove mi trovavo, sareste venuti a prendermi per riportarmi a casa ed era un pensiero che non potevo sopportare”.
Shuichi tacque per qualche istante, perso nei ricordi.
“Ero uno spirito inquieto, un ribelle ansioso di cercarsi il proprio posto nel mondo” soggiunse. “Un paio di persone mi seguirono e mi incoraggiarono durante la mia fuga e fui certo di aver agito nel modo migliore. Ero bravo a cavarmela da solo, senza la mia famiglia… Quando un amico mi propose di partire per gli Stati Uniti, accettai senza troppi tentennamenti”.
“E non hai proprio pensato di avvertirci?” Masumi assunse un’espressione dura, ma in realtà era davvero affranta. Suo fratello stava praticamente affermando di aver mollato tutto senza rimpianti… Possibile che non avesse sentito la mancanza dei suoi cari neanche per un attimo?
“Ci ho pensato, sì. L’avrei fatto appena arrivato” confessò Shuichi. “Non volevo darvi indicazioni precise su dove fossi, ma non avevo intenzione di lasciarvi all’oscuro di tutto. Ero diretto verso un Paese straniero, in fondo. E immaginavo che voi foste in ansia per me. Forse papà preferiva non vedermi, piuttosto che sapere che non avrei studiato Medicina, mi ripetevo; eppure non ero così sciocco, anche nella mia incoscienza e immaturità, da credere che lui mi odiasse. Perciò avevo pianificato di contattarvi presto… Non potevo prevedere quello che accadde in seguito”.
“Perché? Cosa accadde?” incalzò Masumi, un po’ rudemente.
“L’amico che mi aveva proposto di partire rimase coinvolto in un incidente” rispose Shuichi. “E subito dopo morì. Ci trovavamo già negli Stati Uniti, a Los Angeles per la precisione. Per me fu un brutto colpo, ma lo fu ancora di più scoprire che non si era trattato di un incidente… Dietro la sua morte c’era l’Organizzazione degli Uomini in Nero, i cui membri hanno nomi in codice di alcolici”.
Masumi spalancò la bocca, incredula. Tutto si aspettava, meno che quell’affermazione… Dunque era così che Shuichi aveva ‘conosciuto’ coloro che poi avevano tentato di ucciderlo?
“Lui aveva visto qualcosa che non avrebbe dovuto vedere… Era successo per caso, naturalmente, ma agli Uomini in Nero non importava. Lo hanno liquidato in fretta, facendo sì che non sembrasse affatto un omicidio. Tuttavia, nonostante la polizia avesse archiviato il caso, c’era qualcosa che non mi quadrava nell’insieme… Era come se dentro di me
sapessi che non poteva trattarsi di un incidente. Forse era solo il dolore per la morte del mio amico a non farmi accettare la cosa; comunque fosse, mi condusse in qualche modo sulla strada giusta. Riuscii a scoprire che alcuni agenti dell’FBI si erano interessati alla vicenda e perciò cercai di avvicinarmi a loro, sperando che portassero a galla la verità e scovassero eventuali colpevoli. Ovviamente non fu facile e non mi fu permesso di partecipare alle indagini; anzi, mi proposero di entrare nel programma di protezione testimoni, sebbene io non avessi visto nulla di compromettente. Credo che a preoccupare gli agenti fosse la mia ostinazione nel ficcare il naso in quella storia… Avrei potuto mettermi nei guai, se fossi riuscito a far riaprire il caso dalla polizia. Tuttavia, io non pensavo minimamente ai pericoli che avrei corso: anelavo a scoprire la verità sulla morte del mio amico. Fu così che decisi di tentare il possibile per entrare nell’FBI”.
Calò di nuovo il silenzio. Masumi si fissava i piedi, in attesa che il fratello proseguisse il suo racconto. Non si sentiva affatto pronta a perdonarlo e aveva più che un paio di cosette da rinfacciargli, ma preferiva aspettare ancora un po’ prima di esprimersi.
“Non è stata una passeggiata, come immaginerai”. Shuichi cercò di incrociare lo sguardo della sorella, che però seguitava a tenerlo rivolto verso il basso. Rassegnato, lui si limitò ad andare avanti col discorso: “Diventare un agente federale rappresenta un’impresa parecchio ardua, ci vogliono anni prima di giungere al traguardo… e comunque ho dovuto fare ogni genere di lavoro per mantenermi, visto che i risparmi che avevo non erano infiniti. Alla fine ce l’ho fatta, ma non senza rimpianti, difficoltà e privazioni. Innanzitutto, nessuno ha potuto incastrare quei membri dell’Organizzazione che avevano ucciso il mio amico, nonostante i vari sforzi. Neppure io ci sono riuscito. In secondo luogo… be’, la lontananza da te e dai miei genitori mi è pesata. Tu non mi crederai, ma ti assicuro che è così”.
Masumi alzò finalmente il capo. “Perché non ti sei mai fatto vivo, se avevi nostalgia della tua famiglia? Perché hai lasciato che ci consumassimo dalla preoccupazione per te? Avresti almeno potuto farci sapere che eri vivo, no? O in realtà avevi deciso di dimenticarci per sempre?”
“Non vi ho mai dimenticati” ribatté Shuichi. “Ero in una situazione difficile, dopo la morte del mio amico, e non sapevo bene come comportarmi. Avevo solo una gran voglia di fare giustizia… e il mio orgoglio mi ha impedito di confidarvi le mie preoccupazioni. Volevo dirvi qualcosa di me, di come stavo, ma al tempo stesso non avevo intenzione di lasciarmi trascinare, finendo per lamentarmi con voi dei problemi in cui mi ero imbattuto; perché di problemi ne stavo avendo parecchi. Eppure pensavo che fosse mio dovere risolverli da solo, senza bisogno del sostegno di una famiglia. Impegnarmi e mettermi in gioco era ciò che più bramavo… Pian piano, trovai la mia strada. Capii che aspiravo a diventare un agente dell’FBI e, fra le altre cose, a combattere contro gli Uomini in Nero. Fu allora che considerai l’ipotesi di riprendere i contatti con voi… però c’era qualcosa che mi frenava. Ero ben conscio di avervi causato un trauma, sparendo da un giorno all’altro senza spiegazioni; ma intanto la mia vita era sempre più frenetica, ancora cercavo di risolvere il caso d’omicidio del mio amico, pur rendendomi conto che sarei potuto diventare un bersaglio per l’Organizzazione… Per fortuna non accadde, perché mi convinsi a restare nell’ombra per un po’. In ogni caso, ero ormai legato a persone importanti e a individui pericolosi: meglio che entrassi il più possibile nei panni dell’uomo solitario, duro e senza affetti, dedito esclusivamente agli affari propri. Perciò decisi che potevo farvi avere mie notizie solo in maniera indiretta. Poi trascorsero gli anni, diventai a tutti gli effetti un membro dell’FBI, viaggiai… e in seguito m’infiltrai nell’Organizzazione, per scoprirne i segreti e incastrare il Boss. Usai il falso nome di Dai Moroboshi e agii con molta destrezza, in modo tale che non sospettassero di me. Fu quello il momento in cui mi apparve più chiaro che non potevo riallacciare davvero il rapporto con voi: avreste potuto essere presi di mira dagli Uomini in Nero e di certo non era una bella prospettiva”.
“Non riesco a credere che tenessi davvero a noi, visto che non ti sei mai curato di farci sapere nulla di te”. Il tono di Masumi era accusatorio. “Siamo rimasti tutti con l’amaro in bocca perché eri scappato di casa, rintanandoti chissà dove. Hai idea di quanti pianti si è fatta nostra madre? Di quante notti insonni ha passato nostro padre? Di quante volte io ho pregato che tornassi, restando deluso e amareggiato? Non abbiamo mai parlato molto dei motivi per cui te n’eri andato, ma abbiamo sofferto tantissimo, chiudendoci in orribili silenzi. Ti sembra corretto? Ti sembra onesto averci condannati a questo?”
“Non lo è” mormorò Shuichi. “Me ne rendo conto. Tuttavia, come ti ho accennato poco fa, c’è stato un periodo in cui avevo deciso di farvi avere mie notizie per vie traverse… Tramite una specie di passaparola organizzato con persone fidate. Poi qualcosa è andato storto e, una volta in mezzo agli Uomini in Nero, non ho potuto più ritentare perché ogni mio passo era sorvegliato. Rimpiango di aver provato così tardi a ristabilire un minimo di contatto con voi, ma in qualche modo ero arrivato a pensare che sarebbe stato meglio se mi aveste dimenticato. Quando mi trovai sulla lista nera dell’Organizzazione, compresi che la mia vita era ormai un continuo pericolo. Essendo stato a lungo lontano da casa, se fossi morto non avrei potuto procurarvi più dolore di quanto ve ne avevo causato con la mia fuga. E se mi fossi messo ulteriormente nei guai, be’, voi sareste rimasti al sicuro”. Shuichi smise di parlare e si abbandonò contro lo schienale della sedia, il volto teso e segnato. Si rendeva conto che sua sorella non avrebbe smesso di rovesciargli addosso una serie di rimproveri, che gli avrebbe fatto altre domande e preteso delle risposte… Almeno, però, lui l’aveva convinta ad ascoltarlo e dissuasa dal continuare a prenderlo a botte. Non le avrebbe giovato in alcun modo, se non per pochi istanti: conoscere l’intera verità era l’unica cosa che potesse lenire le ferite provocatele da lui. Non sarebbero mai guarite, probabilmente, ma se non altro Masumi avrebbe avuto chiari i motivi che avevano guidato le azioni di suo fratello, fossero essi validi o meno.
“Cos’è questa storia che ti sei infiltrato?” esclamò all’improvviso la giovane detective. “Hai fatto parte dell’Organizzazione?”
Shuichi annuì. “L’ FBI voleva tentare di distruggerla… diciamo dall’interno. Purtroppo sono stato scoperto e non ho potuto incontrare il Boss. Da allora gli Uomini in Nero mi hanno sempre dato la caccia… Ti parlo di circa due anni fa, più o meno lo stesso periodo in cui ho scoperto che tu e i nostri genitori vi eravate trasferiti in America”.
“Ah, quindi l’hai saputo relativamente presto… Noi siamo partiti più o meno tre anni fa” replicò Masumi. “E mi trovo qui da qualche mese a causa delle parole di un tuo vecchissimo amico: mi aveva detto di averti visto e che probabilmente saresti tornato in Giappone”.
“È vero. Ti riferisci a Sugimori, giusto? L’ho incontrato per caso negli Stati Uniti, peraltro felicemente sposato. Mi è venuto naturale fermarmi a parlare un po’ con lui e forse sono stato avventato ad accennare a un mio ritorno in Giappone… ma certo non potevo immaginare che la notizia sarebbe giunta fino a te”.
“Forse era giusto che finisse così”. Ora Masumi aveva uno sguardo di sfida. “Avresti forse preferito non rivedermi più? O magari venirmi a cercare dopo che avevi incastrato il Boss dell’Organizzazione, sperando che accettassi le tue scuse? Be’, spiacente, non è andata come prevedevi. Io ho deciso di cercarti a tutti i costi… e non me ne pento. Adesso conosco tutta la storia e so regolarmi con te”.
“E come ti regolerai?” Shuichi scoccò a Masumi un’occhiata penetrante. “Taglierai i ponti? Mi tratterai per sempre con disprezzo?”
“Potrei” affermò la ragazza, alzandosi in piedi. “Potrei, sì. Ma non servirebbe”.
Shuichi sentì il proprio cuore saltare un battito. Cosa intendeva dire sua sorella? Era già disposta a perdonarlo?
“Ci sono molte altre cose che voglio sapere, prima”. Masumi parlò con espressione altera. “Per esempio, chi è quella donna a cui alludevi… Sei stato davvero innamorato?”
“Questa è una lunga storia” sentenziò Shuichi, riprendendosi rapidamente e assumendo il suo tipico tono calmo.
“Non ti va di raccontarmela?” lo sollecitò Masumi.
“Io vorrei solo che tu capisca bene come mi sono sentito, in tutti questi anni. All’inizio sono stato dominato dalle ambizioni, rifiutandomi di riavvicinarmi alla mia famiglia: volevo dimostrare a me stesso di potercela fare senza l’aiuto di chi, pensavo, non era in grado di comprendermi. Poi mi sono imbattuto in cose più grandi di me, che mi hanno letteralmente travolto… So di aver commesso alcuni sbagli e ancora rimpiango di non essere riuscito a far luce sull’uccisione del mio amico, così come rimpiango di aver tenuto all’oscuro di tutto te e i miei genitori, finché potevo permettermi di mantenere dei legami. In ogni caso, per quanto riguarda gli ultimi anni… be’, è stato meglio sapervi lontani da me e completamente ignari della strada che avevo scelto. Vi ha risparmiato preoccupazioni e, con tutta probabilità, anche guai. Non posso dire di aver accettato il corso degli eventi a cuor leggero, o di non aver mai nutrito dubbi sulla mia condotta, ma alla fine ho combattuto anche per riacquistare un po’ di libertà. Sarei venuto a cercarvi, prima o poi, una volta resa meno pericolosa l’Organizzazione… e sappi che la persona a cui più tenevo a spiegare tutto sei proprio tu, Masumi. Non abbiamo mai potuto condividere le mie perplessità sul futuro, quando la strada davanti a me appariva incerta: tu eri troppo piccola e io mi sentivo troppo incompreso. Ma adesso ti ho finalmente svelato ciò che ho provato e sono sicuro di aver fatto bene. Poi… insomma, se tu vuoi proprio ascoltare il resto, allora ti renderò partecipe anche di altri dettagli”.
Masumi esitò. Dopo qualche istante di incertezza, si sedette nuovamente di fronte al fratello. A lui bastò un solo sguardo per intuire quale fosse il suo desiderio, perciò le parlò brevemente della relazione avuta con Akemi Miyano. Infine, Masumi conobbe i particolari del piano architettato con l’aiuto di Conan e Rena Mizunashi, quando il Boss aveva ordinato a Gin di far uccidere Shuichi.
“Abbiamo dovuto pensare a tutto. Gin è estremamente astuto, non è facile ingannarlo, perciò siamo stati costretti a imbrogliare anche gli altri agenti dell’FBI. Sono convinti che io sia morto davvero… ma in realtà il cadavere carbonizzato trovato nella mia macchina non apparteneva a me, bensì a Rikumichi Kusuda, un membro dell’Organizzazione suicidatosi poco prima che mi accordassi con Rena Mizunashi, decidendo di inscenare il mio omicidio. Perciò, quando sono andato all’appuntamento con la morte al valico di Raiha, avevo il corpo di Kusuda nascosto nell’auto e una strategia ben chiara nella mente. Io e Rena avevamo già predisposto i proiettili a salve, il sangue finto… e l’arrivo della polizia al momento giusto, grazie a una soffiata. Così, dopo che sono caduto all’indietro, fingendo di essere senza vita, stavano già arrivando gli agenti; Rena ha messo una bomba nella macchina ed è filata via, mentre Gin e Vodka, poco lontano, osservavano la scena in un monitor. Avevo parcheggiato la mia auto in posizione strategica vicino al guardrail, in modo da poter fuggire quando sarebbe stato opportuno, e potevo anche bloccare temporaneamente il timer della bomba: ho sistemato a dovere il cadavere e sono sgattaiolato via. Dopodiché c’è stata l’esplosione… Fine della recita, con successo, direi”.
Masumi ascoltava Shuichi, scoprendosi suo malgrado avvinta dal racconto. Chi avrebbe mai immaginato che lui si fosse trovato davanti una sfida del genere! Ecco perché aveva assunto l’identità di Subaru Okiya, travestendosi abilmente e nascondendo la propria identità perfino ai colleghi. Solo Conan sapeva tutto… e ovviamente quella donna, Rena Mizunashi, la stessa che aveva contribuito in maniera determinante alla vittoria dell’FBI nell’ultimo scontro.
Molte cose furono svelate, in quello straordinario pomeriggio che aveva permesso a fratello e sorella di riavvicinarsi; a chilometri e chilometri di distanza, anche l’agente Jodie Starling ricevette finalmente le risposte che cercava, grazie alla lunga conversazione con Conan Edogawa. L’ex professoressa d’inglese venne quindi messa al corrente di ciò che aveva ignorato per troppo tempo, mentre Shuichi e Masumi ebbero l’occasione di interagire dopo anni di insormontabile distanza. Era ancora presto per dire se la giovane e impetuosa detective si sarebbe mostrata pronta a perdonare… tuttavia quelle ore trascorse con Shuichi costituivano il punto di partenza per rinsaldare, almeno in parte, il loro legame perduto. Il passato era impossibile da dimenticare, ma persisteva la speranza che il futuro fosse un po’ più roseo. E che permettesse alla famiglia Sera di riprendere i contatti con quel suo componente rimasto lontano da casa per anni.
Le dimissioni di Conan dall’ospedale giunsero in capo a qualche giorno, con suo grande sollievo, visto che ormai si era stufato di rimanere in ozio. La sua ferita era ben cicatrizzata e lui si sentiva nel pieno delle forze, perciò la prospettiva di tornare a casa Mouri lo rese contento. Nel frattempo, il processo contro i principali membri dell’Organizzazione veniva preparato; proseguivano anche le ricerche sul progetto dell’APTX 4869, ma senza risultati.
“Abbi pazienza, Shinichi” diceva Yukiko Kudo al figlio. “Vedrai che andrà tutto bene, è solo questione di tempo”.
Dello stesso parere era il professor Agasa, che più volte aveva fatto visita a Conan in ospedale, suggerendogli di stare tranquillo e pensare positivo. Purtroppo Conan era troppo impaziente per seguire quel consiglio: poneva più domande del solito, perlomeno a chiunque potesse essere portatore di novità interessanti. Gli unici con cui si fingeva sereno erano Ran, Kogoro e i Giovani Detective, perché con loro recitava ancora la parte del bambino sveglio e curioso, infilatosi per sbaglio in un gran pasticcio. Quanto ad Ai Haibara, gli sarebbe piaciuto parlare a lungo con lei; ma la piccola scienziata non si presentava mai da lui senza la compagnia di Ayumi, Genta e Mitsuhiko. Così l’opportunità di una conversazione a quattr’occhi sfumava inevitabilmente.
Conan aveva sospettato che Ai lo facesse apposta. Non la biasimava, anche se era un po’ infastidito dal suo atteggiamento… Bene, adesso che finalmente poteva uscire dall’ospedale, lei non gli sarebbe più sfuggita! Si rendeva conto che per Ai doveva essere difficile affrontare un discorso sull’Organizzazione, una volta saltate fuori l’identità del Boss e alcune importanti informazioni sull’APTX, però non aveva intenzione di tacere. In fondo, anche lui aveva delle spiegazioni da darle…
Fu così che, alla prima occasione, Conan andò dritto filato dal dottor Agasa, con l’intenzione di dedicarsi a un bel colloquio con Ai. All’Agenzia Investigativa c’erano sia Ran che Kogoro, ed entrambi gli avevano dato il permesso di recarsi da solo a casa del professore, sebbene i recenti avvenimenti li avessero resi un po’ più apprensivi. Soprattutto Kogoro, per quanto potesse sembrare strano: infatti, nonostante i suoi soliti modi burberi e la sua aria da ‘che-noia-questo-moccioso’, era evidente che aveva a cuore il bene di Conan e temeva che potesse accadere nuovamente qualcosa di brutto. Conan non se ne sorprendeva, aveva sempre intuito che Kogoro, a suo modo, gli era affezionato… Più che altro, si chiedeva se alcune domande di Ran fossero originate da una preoccupazione reale, o se invece venissero poste semplicemente per circostanza. Sapeva che Ran era stata in ansia per lui, ma adesso magari le era passata. Forse quei ‘dove vai’, ‘stai attento’ e ‘torna presto’ che avevano riempito la sua bocca non corrispondevano ai suoi veri pensieri, che erano altrove, rivolti a chissà cosa. O a chissà
chi…
Era una situazione complicata, quella fra Ran e Conan: non avevano ancora avuto un confronto, seguitando a fingersi uguali a com’erano stati fino a poco tempo prima dello scontro. Ma non erano più uguali, dentro di sé ognuno dei due lo capiva… Solo che non riuscivano a parlarne fra loro. Del resto, Conan aveva ormai scelto di affrontare una cosa per volta e dare la precedenza all’incontro con Ai. Determinato nel suo proposito, suonò quindi al campanello della casa del professore, dopo aver percorso in tutta fretta il tragitto che separava l’Agenzia Mouri dall’abitazione di Agasa e Ai.
“Shinichi!” lo accolse lo scienziato sulla porta “Che bella sorpresa… Finalmente ti hanno dimesso dall’ospedale, eh?”
“Sì” rispose Conan, chiudendo il battente. “In pratica sono come nuovo”.
Seduta sul divano con le gambe accavallate e una rivista in mano, Ai Haibara fece un cenno di saluto. “Avrei bisogno di scambiare quattro chiacchiere con te, Kudo” annunciò.
“Che coincidenza, io sono venuto qui apposta per vederti” replicò Conan. “Prof., ci puoi scusare?”
“Oh, non preoccupatevi. Scendo giù nel laboratorio, ho delle cose da sbrigare” disse il dottor Agasa. Si sentiva un po’ escluso, ma aveva fiducia che Ai o Conan lo illuminassero in seguito riguardo al contenuto della loro conversazione. Non era certo la prima volta che facevano i misteriosi, specialmente lei, che si mostrava sempre molto riservata.
Conan attese che il professore si fosse allontanato, poi raggiunse Ai e, senza sedersi sul divano, le domandò: “Allora, stai bene?”
Lei non rispose subito, limitandosi a voltare una pagina della sua rivista. Poi borbottò: “Sì, abbastanza”.
“Che vorrebbe significare ‘abbastanza’?” si accigliò Conan.
“Diciamo che ho avuto una giornata un tantino particolare, ieri. Non il genere di viaggetto che si augurerebbe a chiunque”.
“A quale viaggetto ti stai riferendo?” chiese Conan, che cominciava ad irritarsi di fronte a quello strano linguaggio allusivo.
Ai posò la rivista e puntò su di lui uno sguardo quasi gelido. “Sono stata da Gin. In prigione”.
“C-che?! Starai scherzando!”
“Ho la faccia di una che scherza, Kudo?”
“No” riconobbe Conan, mentre studiava il volto dell’amica. “Per niente. Ma che diavolo ti è passato per la testa? Perché sei andata da lui?”
“Mi è stata fatta una proposta. E io ho accettato… anche perché ero reduce da un discorso interessante. Molto interessante” affermò Ai con aria d’importanza.
Conan rimase zitto. Per quanto ancora sarebbe stato tenuto sulla corda? Forse se lo meritava, dopo aver nascosto ad Ai determinate informazioni, ma non aveva intenzione di accettare le sue punzecchiature come se niente fosse. Se voleva dirgli qualcosa, doveva sbrigarsi… altrimenti ci avrebbe pensato lui a rivolgerle un paio di quesiti spinosi.
“Il signor Subaru Okiya è stato qui”. Ai pronunciò la frase in tono brusco, come se all’improvviso fosse impaziente di sputar fuori tutto. “Mi ha detto che stava andando a far visita a Gin e mi ha chiesto se volevo accompagnarlo. Prima, però, mi ha raccontato alcune cose… Credeva che fosse mio diritto sapere, dopo quello che è successo la notte della battaglia contro gli Uomini in Nero”.
Le labbra di Conan restarono sigillate.
“Non hai nulla da aggiungere?” lo apostrofò Ai. “Subaru Okiya altri non è che Dai Moroboshi, traditore dell’Organizzazione e fidanzato di mia sorella maggiore. A quanto pare fa parte dell’FBI e tu sei stato pappa e ciccia con lui, in questi ultimi tempi”.
Conan respirò profondamente, prima di decidersi a dire qualcosa. “Ero venuto anche per questo, Haibara. Pensavo fosse giusto… metterti al corrente di tutta la storia”.
“Be’, sei stato anticipato” ribatté lei. “Del resto, io avevo già preso in considerazione l’idea… Quando sono intervenuta per impedire che Gin uccidesse Rena Mizunashi, Subaru mi si è rivolto in maniera strana. E l’aveva fatto anche sul Bell Tree Express. Insomma, non è che io non sappia fare due più due. Conta pure che avevo visto sul treno un uomo molto somigliante a Dai Moroboshi…”
“Là si trattava di Vermouth travestita” precisò Conan. “Comunque sì, Dai Moroboshi fa parte dell’FBI e ha collaborato ai miei ultimi piani… perché lui, in realtà, è il famoso Shuichi Akai. Per infiltrarsi tra gli Uomini in Nero ha usato un nome falso ed è riuscito abilmente a sfuggire alle loro grinfie, dopo che la sua copertura era saltata. Pochi mesi fa, infine, ha organizzato la sua morte con il mio aiuto e quello di Rena Mizunashi; persino i suoi colleghi erano ignari del fatto che fosse vivo. Ora la professoressa Jodie sa la verità, ma soltanto perché gliel’ho detta io. Si è un po’ arrabbiata per questi sotterfugi, sai”.
“Lo immagino! Avresti potuto essere più sincero con lei… e con me” sottolineò aspramente Ai. “Adesso capisco perché, ai tempi in cui Rena era appena uscita dall’ospedale di Haido, hai insistito per non farmi incontrare Shuichi Akai… Non volevi che io scoprissi che era stato il fidanzato di mia sorella”.
“No, in effetti. Non volevo perché… in un certo senso lui è responsabile della sua morte. Aveva iniziato a frequentarla per carpirle informazioni sugli Uomini in Nero, poi loro l’hanno scoperto e hanno pianificato di ammazzare entrambi. Al momento della rapina in banca, desideravano soltanto avere una scusa per eliminare Akemi… Quando ad Akai, sia il Boss che Gin e Bourbon si erano ripromessi di toglierlo di mezzo alla prima occasione. Però, sai, Haibara, penso che lui amasse sinceramente tua sorella. Nonostante l’avesse avvicinata con l’unico scopo di arrivare al cuore dell’Organizzazione, ha cominciato a volerle bene sul serio. La sua uccisione l’ha segnato più di quanto possa sembrare”.
“Proverò a crederci. Però ti avverto: mi viene difficile avere totale fiducia in lui, sebbene ti abbia aiutato a incastrare gli Uomini in Nero” puntualizzò Ai. “E continuo a pensare che avresti dovuto dirmelo, invece di ciarlare continuamente che Subaru ‘è dalla nostra parte’. Mi avresti risparmiato un gran numero di seccature, Kudo”.
“Ho agito come ritenevo giusto. Non volevo intristirti, né coinvolgerti eccessivamente nei miei piani. Comunque sia, penso che tua sorella, prima di morire, abbia chiesto ad Akai di vegliare su di te, nel caso le fosse successo qualcosa d’irrimediabile. Era preparata a ogni eventualità, aveva esperienza sui tipi di azioni commesse dai membri dell’Organizzazione”.
“Lo so”.
“Ehi”. Conan mise una mano sulla spalla di Ai, con fare incoraggiante. “Ricordati che, qualunque cosa accada, non sei da sola. E adesso che l’Organizzazione è stata indebolita, non dovrai più avere paura se per caso vedi una Porsche 356 A per la strada”.
Ai sfoderò un leggero sorriso tirato. “Be’, me lo auguro”.
“A proposito, cosa ti ha detto Gin?”
“Nulla d’importante. Aveva già capito chi ero quando ho aiutato Rena Mizunashi, perciò ha semplicemente cercato di spaventarmi un pochino”.
“Sicura?”
“Sicura” tagliò corto Ai, che non aveva voglia di toccare quell’argomento con Conan. Lui se ne accorse e decise di deviare il discorso.
“Allora non ce l’hai più con me… Vero?” s’informò, allontanando la mano dalla spalla di Ai.
“Spero solo che tu mi conceda maggiore fiducia, la prossima volta” chiarì lei, più indifferente. Eppure c’era qualcosa di strano nel suo viso… Il suo sorriso era sempre più tirato, finto come una maschera, e i suoi occhi apparivano tristi. Conan cominciò a sospettare che lei avesse qualche problema.
“Haibara… c’è dell’altro, ho ragione? Non credo volessi discutere con me soltanto a proposito di Subaru”.
Ai sembrava assorta, quasi distante, ma forse era soltanto indecisa sulle parole da utilizzare. “Kudo… ho una brutta notizia da darti” esordì infine. “Non ti piacerà, ma ormai non puoi fare più niente. Non
possiamo fare più niente”.
“Niente in che senso?”
“Il Boss dell’Organizzazione…”
“Tuo zio?” saltò su Conan, senza riuscire a trattenersi.
“Mio zio. Ecco, lui… si è suicidato poche ore fa. In prigione”.
Conan spalancò gli occhi. “S-suicidato?!” balbettò “Non è possibile! Era un sorvegliato speciale, dovevano tenerlo sotto controllo…”
“Ha raggirato tutti e portato a termine il suo piano. È chiaro che preferiva togliersi la vita piuttosto che pagare per i suoi reati” mormorò Ai, la voce che tremava appena. “È stata una vera doccia fredda… Subaru, Akai o come diavolo si chiama in realtà, me l’ha comunicato dopo averlo saputo. Immaginava che io e te ci saremmo visti presto, quindi mi ha chiesto di riferirti tutto… e così ho fatto. Il dottor Agasa non sa ancora niente e forse nemmeno la polizia. È probabile che solo alcuni membri dell’FBI siano a conoscenza della novità, per il momento”.
“Tutto questo non ha il minimo senso”. Conan cominciò a percorrere la stanza a grandi passi, lo sguardo acceso di collera e i muscoli del volto irrigiditi. “Com’è potuto accadere? Perché nessuno è stato in grado di prevedere e impedire le sue azioni? Se soltanto fossi stato accanto all’FBI, invece di rimanere tappato in quell’ospedale…”
“Kudo, cerca di calmarti. Non risolverai nulla agitandoti e maledicendo la sorte” gli fece notare Ai. “Purtroppo la polizia si è fatta giocare. Avrebbe dovuto accettare una collaborazione più stretta con l’FBI, invece di cercare di sbrigarsela da sola, ma ormai il danno è fatto. Takinori Miyano era l’unico che poteva sapere tutto, o quasi, sulla creazione dell’APTX, perciò ora io e te siamo con le spalle al muro. Certo, si potrebbero rintracciare gli scienziati che hanno tentato di riprendere in mano il mio lavoro…”
“E adesso cosa stai cercando di dire, Haibara?” la interruppe Conan, arrestandosi di colpo.
“Non credo che avrò la possibilità di creare un antidoto definitivo”.
La risposta piovve su Conan come una pietra. Ai non voleva essere così diretta e provava pena per lui, in quel frangente… eppure la terribile verità le uscì di bocca senza freni.
“Sciocchezze!” L’esclamazione infervorata di Conan risuonò nella stanza. “Sì, sono sciocchezze” ribadì lui. “In qualche modo ce la farai, Haibara. Troverai l’antidoto”.
Lei si aspettava una reazione simile. Se una parte del suo animo era ancora contrariata per i silenzi sull’identità di Subaru Okiya, e l’aveva spinta a rimandare l’annuncio del suicidio del Boss, l’altra parte di lei si sentiva assurdamente colpevole nei confronti di Conan. L’APTX era stata la causa di molti mali, per lui… e adesso saltava fuori che poteva non esservi rimedio. Se soltanto quel farmaco non fosse mai stato creato! Ai era convinta di avere un debito verso Conan, ma il pensiero di riuscire a restituirgli il suo vero corpo le aveva sempre infuso l’intensa speranza di riscattarsi. Ora quella speranza non c’era… Ne era rimasto un barlume così fragile che una minima scossa sarebbe bastata per spazzarla via definitivamente.
“Per favore, affronta la realtà: senza quei dati siamo impotenti, abbiamo le mani legate. Dobbiamo semplicemente augurarci che il processo sia decisivo per condannare Gin, Vermouth, Vodka e Bourbon una buona volta” disse Ai, le iridi fisse in quelle di Conan.
“Tu credevi che fosse impossibile sgominare l’Organizzazione” controbatté lui “e invece ci siamo riusciti. L’antidoto giusto si troverà di sicuro”.
Ai fece un cenno di diniego. “Io parlo per il tuo bene, Kudo. Non c’è niente di peggio che illudersi inutilmente… Comincia a prendere in considerazione l’idea che potresti restare per sempre Conan Edogawa”.
“No. Mai”.
“Be’… affari tuoi” si arrese Ai, nonostante in cuor suo fosse ancora scossa dai sensi di colpa.
Il piccolo detective aveva un’espressione risoluta. “Non siamo arrivati fino a questo punto per arrenderci di fronte alla prima difficoltà. Certo, la morte di tuo zio è stata tutt’altro che una benedizione… A proposito, immagino che tu non sapessi che il Boss fosse proprio lui”.
“No, infatti”.
“E che mi dici… dell’APTX? Perché non sei stata più esaustiva al riguardo? Qualcosa di ciò che l’Organizzazione voleva ottenere doveva esserti stata spiegata, visto che tu eri la scienziata prescelta per lavorare allo sviluppo del farmaco”.
“Mi avevano accennato allo studio sull’invecchiamento delle cellule” rispose Ai. “Sì, volevano che creassi una sostanza in grado di rallentarlo, seguendo la scia delle ricerche compiute dai miei genitori, sebbene in origine dovessi dedicarmi ad altro. Ma se pensi che stessi cercando di proteggere l’Organizzazione, tacendo questi particolari con te… ti sbagli”.
“Be’, cosa speravi di ottenere? Non sarebbe stato meglio se fossi stata sincera con me? Io non ho mai voluto forzarti, però tu…”
“Io non ti detto nulla… perché non lo ritenevo necessario, tutto qui”. Ai distolse lo sguardo da Conan, un po’ a disagio nel rivelare i propri pensieri. “Speravo comprendessi che gli Uomini in Nero sono avversari difficili da affrontare” riprese. “Ho sempre cercato di scoraggiarti dall’andare a viso aperto contro di loro… eppure tu non vedevi l’ora di farlo. Una follia!”
“Follia?” ripeté Conan, inarcando le sopracciglia. “Se io non avessi avuto il coraggio di sfidarli, non li avremmo mai presi con le mani nel sacco… e poi non mi pare che tu ti sia tirata indietro, nel momento dell’azione. Si può sapere perché non sei rimasta qui, al sicuro?”
“Non mi sarebbe stato possibile. Non mi andava di stare con le mani in mano”.
“E di rischiare la vita sì?”
“Maledizione, Kudo! Con quale linguaggio vuoi che ti spieghino le cose?!” esplose Ai, perdendo la pazienza. “Io ho sempre ritenuto che l’Organizzazione fosse un nemico troppo forte per noi, che avremmo fatto meglio a starcene buoni buoni nel nostro angolino, senza farci beccare. Però, una volta che tu avevi scelto di metterti in gioco al cento per cento… non sarei mai riuscita a lasciarti agire da solo. Sapevo che avevi un piano, quella notte, e che persone intelligenti e capaci ti affiancavano; ma non mi garbava che te ne andassi tra le braccia degli Uomini in Nero fingendoti me. E non mii garbava nemmeno di consumarmi nell’attesa. Ho semplicemente deciso di vedere di persona come stavano le cose, punto. Se i tuoi progetti fossero naufragati, credi che mi avrebbe fatto piacere essere rimasta completamente estranea allo scontro? Ho rischiato… e allora? Tu rischi sempre, anche quando non sarebbe consigliabile!”
Ai aveva la guance stranamente rosse. Conan rimase toccato da quello sfogo, tant’è che si chiese come reagire.
“L’Organizzazione voleva me. Era interessata anche a te, certo, ma il suo primo obiettivo rimaneva sempre ‘la traditrice Sherry’. Non potevi pretendere che io non partecipassi allo scontro” concluse Ai, stavolta un po’ più calma.
“Be’, riconosco che il tuo contributo è stato importante. Hai salvato Rena Mizunashi” bofonchiò il piccolo detective, ancora colpito dal comportamento dell’amica.
“E la tua Ran ha salvato te. Non si può dire che tu abbia fatto molto, da solo”.
Il volto di Conan s’indurì. “Non essere sciocca. Non sarei stato solo comunque. E poi sono io ad aver ottenuto la confessione di Vermouth” aggiunse, mentre l’antica voglia di evidenziare i suoi meriti emergeva.
“Avrà battuto molto sul chiodo dell’APTX” commentò Ai, ignorando la reazione un po’ presuntuosa di Conan.
“Be’, sì. Mi ha detto che tua madre, prima di morire, aveva creato un farmaco che riusciva a rallentare l’invecchiamento. Vermouth lo aveva preso… ma pare che, dopo nove anni, l’assunzione porti alla morte”.
“Davvero? Accidenti, non lo sapevo” esclamò Ai. “Ecco perché Vermouth era così interessata alle ricerche che stavo svolgendo… Qualche volta mi ha perfino minacciata, ordinandomi di far fruttare subito l’eredità dei miei genitori”.
“Ovvio. Voleva una cura, in un certo senso”.
“E dunque era questo che intendeva mia madre? Il ‘proiettile d’argento’… altro non era che il farmaco creato da lei e che Vermouth ha preso?”
“Proiettile d’argento?” fece eco Conan, arricciando il naso.
“Così lo chiamava mia madre. L’ho sentito in uno dei nastri che ha registrato per me… però credevo si riferisse all’APTX, che poi io ho perfezionato”.
“La ricerca era comunque collegata” specificò Conan. “I dati relativi all’ultima creazione di Elena andarono persi durante l’incidente di laboratorio in cui lei morì assieme al marito… Per questo tu hai dovuto riprendere gli studi dal principio”.
“Sei molto informato”.
“Vermouth ha giocato bene le sue carte. Mi ha illuso di volersi costituire, invece mi stava tendendo una trappola… Farmi credere di aver vinto per poi ammazzarmi, questa era la sua strategia. Un po’ rischiosa, considerato che c’era ancora in giro l’FBI, ma stava quasi per funzionare”.
“Ringrazia che la signorina dell’Agenzia Investigativa l’abbia impedito”. Ai non trattenne un sogghigno.
“Piantala di chiamarla così” rimbeccò Conan. “E non ricordarmi quello che è successo”.
Perché sei tanto restio ad accettare determinate cose?, avrebbe voluto protestare Ai. Disse invece: “Lei è più forte di quanto pensi. E aiutare la gente le viene naturale, anche nelle situazioni più pericolose”.
“Questo lo so bene, ma…” Conan si bloccò e scrutò Ai sospettoso. “C’è qualcosa che riguarda Ran che tu conosci e io no?”
Ai tentennò. “Be’…a voler essere onesta, c’è”.
“Di che si tratta?”
“Hai presente la notte del primo scontro con Vermouth, al molo? Lei c’era, nascosta nella macchina dell’agente Jodie. È uscita fuori mentre tu eri privo di sensi”.
“C-come? Ma non il merito non era dell’FBI, se tu sei riuscita a cavartela?”
Ai scrollò la testa. “Non ho idea di cosa sia accaduto a un certo punto, visto che ricordo di essere svenuta, ma quando Vermouth ha tentato di uccidermi… è stata Ran a difendermi”.
“Ti ha fatto scudo col suo corpo, vero?” dedusse Conan.
“Esatto”.
“Pazzesco. Credevo che Shuichi Akai fosse riuscito a soccorrerti senza che tu lo vedessi bene in faccia, dopotutto so per certo che quella notte è intervenuto per aiutare Jodie...”
“Sarà arrivato dopo, immagino. Ad ogni modo, Ran aveva chiamato anche la polizia, almeno a suo dire” spiegò Ai.
“Quella ragazza a volte è imprevedibile”. Conan mise le mani nelle tasche dei pantaloni, sconcertato. “Ho il sospetto che possa aver scoperto la mia identità, fra l’altro”.
“Be’, non sarebbe la prima volta che si trova vicina al tuo segreto. E sentiamo un po’, cosa ti ha detto?”
“Apertamente nulla. È solo che l’ho vista assumere un atteggiamento un po’ bizzarro… come se si aspettasse qualcosa da me. Un attimo dopo, però, eccola lì che sorride e si comporta come una sorella maggiore. Di solito Ran non è capace di mentire con molta disinvoltura… Forse non ha scoperto chi sono, vuole solo delucidazioni sullo scontro che ho avuto con gli Uomini in Nero. E l’idea che possa immischiarmi in faccende troppo complicate per un bambino di sette anni la impensierisce, ogni tanto”.
“Probabile. In questi giorni non ho avuto occasione di vederla, se non di sfuggita, quindi non sarei capace di illuminarti. Però non hai più molto da temere, Kudo: potresti tranquillamente rivelarti a lei come hai sempre sognato, anche se c’è l’incognita dell’antidoto. Insomma, ritengo sia meglio per la tua bella avere un quadro della situazione… e poi potrà prendere una decisione consapevole, qualunque essa sia”.
Una smorfia contrasse il volto di Conan. “Presumo di sì” sbuffò lui, sforzandosi di suonare indifferente. Ai aveva appena risvegliato in lui una serie di timori… Non con cattiveria, Conan ne era convinto, eppure l’aveva fatto. All’improvviso, una voglia incredibile di vedere Ran si fece strada in lui.
“Dai, Sherlock, tirati su”. Adesso Ai aveva un tono quasi bonario, come se si fosse accorta di aver toccato un tasto troppo delicato e volesse rimediare.
Lui sorrise. “Prendi le mie abitudini? In genere sono io a risollevarti l’umore”.
“Questa volta ne avevi bisogno tu, no?”
“No” mentì Conan orgoglioso. Ma Ai non si lasciò ingannare, anche se portò la conversazione su un altro fronte.
“Per oggi abbiamo chiacchierato abbastanza” osservò, alzandosi in lentamente in piedi. “Fra noi non c’è più molto da discutere. Ti resta un’ultima verità da portare alla luce, detective… e con una persona che non sono io”.
“Devo confessare a Ran il mio segreto, sì”. Rassegnato, Conan alzò gli occhi al cielo. “Guarda che non me lo dimentico, Haibara”.
“Sciocchino, non mi riferivo a quello. Se le tue supposizioni sono esatte, lei conosce già la tua identità”.
“Le mie supposizioni non rappresentano una certezza. Io so soltanto che, quando eravamo in ospedale, mi è sembrato che lei mi guardasse in modo diverso dal solito… ma cos’altro dovrei rivelarle se non che io sono Shinichi Kudo, scusa?”
Gli occhi di Ai scintillarono di malizia. “Non ci arrivi? Santo Cielo, a volte sai essere davvero ottuso…”
Conan arrossì.
Edited by Neiro Sonoda - 3/8/2015, 15:46