Detective Conan Forum

Reduci, Cos'è successo dopo il Mystery Train?

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Neiro Sonoda
view post Posted on 27/3/2014, 21:20     +2   +1   -1




Salve a tutti! *fa un respiro profondo*
Questa è la mia prima fanfiction su DC incentrata sulla trama. Nasce come seguito del Volume 78 e si colloca in particolare dopo il file 827 (“La chiave per risolvere il mistero”). Ci troviamo quindi in piena Saga di Bourbon (del quale si è appena scoperta l’identità) e ovviamente sono presenti anche Masumi Sera e Subaru Okiya. Tutto ciò che è successo nell’opera di Gosho fino al file 827 è come se fosse accaduto anche nella mia storia, a eccezione dell’intero caso di Londra.
Prima che qualche ShinRan mi punti addosso un fucile, lasciate che vi spieghi: avevo bisogno che le cose tra Ran e Shinichi rimanessero incerte per creare questa storia (nella quale, tra l'altro, ho cercato di mettere in primo piano la componente investigativa). Ciò comporta anche alcune piccole modifiche nei volumi successivi al 72, perché Ran continua a chiedersi cosa provi effettivamente Shinichi per lei, come succedeva un tempo

Sia chiaro, questa fanfiction è un esperimento: se mi rendo conto che non sono in grado di portarla avanti (i gialli non sono esattamente il mio forte!), o non ho lettori, io la tronco.
Per il momento mi limito a un breve prologo, spero di postare il primo capitolo al più presto.
Buona lettura! (A tutti coloro che saranno abbastanza coraggiosi da voler leggere quest’esperimento ;) )

Neiro



Indice capitoli (inseriti i primi sedici quando la fanfiction è arrivata più o meno a metà :) )

Prologo
1) Un risveglio come tanti
2) Villa Suzuki
3) Due casi da risolvere
4) Le soluzioni
5) Imprevisti
6) Pericolo mortale
7) Ferite del fisico e dell’anima
8) Mantenere la calma
9) Il dubbio che non si scioglie mai
10) Il sopralluogo
11) Donne in azione
12) Una nuova pista
13) Sentimenti contrastanti
14) La scomparsa
15) Le informazioni di Sakè
16) Minaccia dietro l’angolo
17) Rottura dell’equilibrio
18) Riflessioni
19) Ciò che un’impronta può dimostrare
20) Lo scontro si avvicina
21) La storia di Masumi
22) I cinque corvi
23) Fratelli, amici e persone amate
24) Andare allo sbaraglio
25) Giù la maschera
26) Giocarsi il tutto per tutto
27) Non è ancora finita
28) Un'altra tappa
29) Visite
30) Notizie da miss Jodie
31) Legami perduti e un'ultima verità da portare alla luce
32) Corsa contro il tempo
33) Reduci
Epilogo





Prologo

La conversazione telefonica andava avanti da qualche minuto e il giovane uomo biondo era comodamente seduto a gambe incrociate, di fronte a un tavolino di legno chiaro.
“… Ti ho detto che è una specie di curiosità, no? E dopotutto, l’Organizzazione non ha alcun lavoro per me al momento, quindi posso prendermi una piccola pausa”.
Dall’altra parte, la voce suadente di una donna replicò: “Se la pensi così, Bourbon… Alla fine sono affari tuoi. Io ho fatto la mia parte finché è stato necessario”.
“Naturalmente, naturalmente…” rispose il biondo con calma. “Piuttosto, quand’è che mi farai rivedere il filmato della morte di Shuichi Akai?”
“Quando ti pare. Anche se non mi sembra poi così urgente… Sbaglio, o te l’avevo già mostrato una volta?”
“Sì, ma in ogni caso ci terrei”.
“Capisco. Be’, allora a presto”.
“A presto, Vermouth”. Il biondo chiuse la comunicazione e posò il cellulare sul tavolino, un’espressione meditabonda sul volto abbronzato dai lineamenti marcati. Fino a poco tempo prima era convinto che Shuichi Akai, il suo vecchio rivale, fosse morto davvero; ma ora, dopo quello che era avvenuto sul Bell Tree Express, non ne era più tanto sicuro. Possibile che quella persona che aveva intravisto in mezzo al fumo fosse proprio lui?
Si alzò lentamente in piedi, aggiustandosi il colletto della maglia nera che indossava. Era più che intenzionato a indagare sulla faccenda e, se Akai si fosse rivelato essere ancora in vita, avrebbe provveduto a stanarlo il prima possibile. Quell’uomo aveva procurato solo guai all’Organizzazione, non meritava che la morte… e lui, Bourbon, sperava quasi che fosse vivo e vegeto per avere il piacere di ucciderlo personalmente. Quanto al resto… be’, stare alle costole di Kogoro l’addormentato era una cosa che avrebbe continuato a fare, dato che prometteva di portarlo verso alcune scoperte piuttosto… 'stuzzicanti', per così dire. Non gli importava che Vermouth si fosse ormai lavata le mani dell'intera faccenda.
Ripensò all'ultima occasione in cui si era ritrovato accanto al detective Kogoro, durante un caso di omicidio, e un sorriso gli increspò le labbra: quando lo aveva visto la prima volta non credeva che sarebbe diventato così interessante ai suoi occhi... Col tempo, però, le cose erano cambiate e ora come ora non si sarebbe mai sognato di abbandonare la sua postazione, non avrebbe mai smesso di fare l'allievo del famoso investigatore che 'cadeva in trance'.
Sempre col sorriso stampato in faccia, guardò il suo orologio da polso: bene, era giunto il momento di riprendere a lavorare al Caffè Poirot.

Edited by Neiro Sonoda - 3/8/2015, 15:39
 
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Neiro Sonoda
view post Posted on 28/3/2014, 23:21     +2   +1   -1




E si parte col primo capitolo... Non si entra ancora nel vivo, ovviamente, ma credo sia un buon inizio :)
Buona lettura!




Capitolo 1
Un risveglio come tanti


Il sole mattutino illuminava le strade e gli edifici di Tokyo, e a casa Mouri tutti si preparavano ad affrontare le normali 'fatiche' quotidiane. Conan Edogawa entrò nel bagno strascicando i piedi, lasciandosi sfuggire uno sbadiglio; la sera prima era rimasto sveglio fino a tardi a leggere, perciò gli veniva ancora più difficile del solito alzarsi con una certa carica... Be', una bella spruzzata d'acqua in faccia l'avrebbe fatto riprendere.
Dopo che ebbe finito di lavarsi il viso, si guardò allo specchio. Dato che si era alzato soltanto da qualche minuto, i suoi capelli erano piuttosto arruffati; sulla fronte diverse ciocche brune ricadevano in maniera scomposta, conferendogli un'aria che sua madre Yukiko avrebbe probabilmente definito 'sbarazzina'. L'espressione era ancora un po' assonnata, il colletto del pigiama a quadri era in disordine... Il tipico riflesso che vedeva ogni mattina, insomma.
Con un sospiro, Conan inforcò gli occhiali, non riuscendo a evitare che la sua mente si concentrasse sul tipo di risveglio che caratterizzava la sua vecchia vita... Quella di Shinichi Kudo, studente-detective del liceo, non bambino delle elementari. All'epoca, lo specchio del bagno rifletteva una faccia ben diversa (anche se ugualmente assonnata al mattino). All'epoca, lui si preparava la colazione da solo (per quanto, a volte, avesse combinato dei pasticci). All'epoca, non doveva dividere il suo bagno con nessuno...
"Conan, sei lì dentro?" La voce gentile e familiare di una ragazza giunse alle orecchie del bambino, attutita dal legno della porta. Ecco, appunto.
"Sì, ti apro subito" disse lui, dirigendosi verso l'ingresso del bagno e mettendosi in punta di piedi per riuscire ad abbassare la maniglia.
"Buongiorno!" esclamò Ran sulla soglia, rivolgendogli un sorriso. "Se hai finito posso lavarmi, altrimenti aspetto".
"No, vieni pure" rispose Conan. Non poté fare a meno di notare quanto fosse carina lei, anche di prima mattina, in pigiama. I lunghi capelli castano scuro le ricadevano sulle spalle, incorniciandole armoniosamente il viso dal profilo delicato. Gli occhi, grandi e dolci, erano perfettamente svegli, e il suo sorriso era caldo e confortante come un raggio di sole.
"La colazione è pronta, puoi andare a mangiare dopo esserti vestito" spiegò la ragazza, scompigliando affettuosamente i ciuffi ribelli di Conan. Lui annuì, regalandole la sua migliore espressione da bimbetto allegro e sorridente, sebbene gli dessero un po' fastidio alcuni atteggiamenti troppo premurosi.
"Va bene, Ran, a dopo".

La colazione era probabilmente uno dei vantaggi più apprezzabili che comportava la vita sotto le sembianze di Conan Edogawa. In effetti, Shinichi dovette ammettere con se stesso che Ran se la cavava assai meglio di lui in cucina e che i pasti mattutini preparati da lei costituivano un buon modo per iniziare la giornata.
Kogoro, dal canto suo, era fin troppo impegnato a vantarsi dell'ultimo caso che aveva risolto per prestare molta attenzione a quello che mangiava... Risolto si fa per dire, pensò Conan, dato che come al solito non aveva alcun merito, nonostante l'apparenza.
"... Non per niente sono un famoso detective! E non mi sorprende che l'ispettore Yokomizo si consideri un mio allievo".
A quelle parole, Conan ebbe un lieve sussulto. "A proposito di allievi... Amuro è tornato davvero a lavorare al Poirot?" chiese.
Kogoro si strinse nelle spalle. "Non ne ho idea, a dire il vero. È da un po' che non ho sue notizie ma credo di sì, che sia tornato".
Conan tornò a concentrarsi sulla sua colazione, senza dire nulla. Avrebbe tanto voluto sapere cosa diavolo aveva in mente quel tipo... Dopo ciò che era accaduto sul Bell Tree Express, gli Uomini in Nero erano certamente convinti che Sherry, loro 'preda' e traditrice dell'Organizzazione, fosse morta in un'esplosione; eppure, Amuro non aveva abbandonato il suo lavoro, almeno a quanto sembrava. Ciò significava che ronzare attorno a Kogoro gli interessava ancora, ma per quale motivo? Se non si era avvicinato a lui perché credeva che avesse qualche legame con Sherry, che intenzioni aveva?
Conan sospirò, quasi impercettibilmente. Amuro era un tipo sveglio, senza alcun dubbio; sapere che presto avrebbe potuto essere di nuovo lì intorno costituiva una bella gatta da pelare, lui avrebbe dovuto essere molto cauto, per evitare che venisse fuori il segreto della sua identità. Era questo l'aspetto più frustrante della sua condizione (non certo dividere il bagno o convivere con un impiastro come Kogoro): stare sempre attento a cosa diceva e a come si comportava. Perché un moccioso delle elementari dev'essere ingenuo e ignorare tante cose, non può certo permettersi di sfoggiare una cultura pari a quella di un adulto e formulare geniali deduzioni senza dare nell'occhio...
"Buongiorno a tutti!" La voce di Ran strappò bruscamente Conan alle sue riflessioni e la ragazza comparve poco dopo in cucina, con la divisa scolastica del Liceo Teitan completa di cravatta verde bottiglia.
"Ciao, Ran" salutò Kogoro con uno sbadiglio. Conan si limitò a farle un cenno, dato che si erano già visti qualche minuto prima in bagno.
"Senti un po', figliola..." esordì poi l'investigatore.
"Sì?"
"È questo finesettimana che tu e Sonoko dovete andare alla sua villa sull'altopiano di Izu, vero?"
Ran annuì vigorosamente. "Sonoko non mi ha ancora spiegato bene i dettagli, ma sono certa che ci andremo questo sabato... Dovrebbe accompagnaci sua sorella Ayako".
"E naturalmente vi portate dietro anche il moccioso, o sbaglio? Voglio dire... mica mi toccherà fare il baby-sitter!" esclamò Kogoro con una certa enfasi. Conan lo guardò male, ma preferì non rispondere.
"Ovvio, Conan viene con noi" replicò subito Ran. "E anche Sera è stata invitata".
"Be', spero che vi divertiate" si limitò a dire Kogoro.
"Tu, invece, vedi di non ubriacarti e tornare a casa all'una di notte" ordinò sua figlia con tono di rimprovero, guardandolo severamente. Conan ridacchiò e si guadagnò un'occhiataccia dell'investigatore, il quale si accese semplicemente una sigaretta, senza riuscire a controbattere ai rimbrotti di Ran.
Più tardi, finita la colazione, Ran e Conan uscirono di casa e percorsero un tratto di strada assieme, per poi separarsi, come avveniva ogni mattina. Lei si avviò verso il liceo, lui verso la Scuola Elementare Teitan.
Entrambi conoscevano quelle vie come le proprie tasche, ormai; perciò non era raro che si perdessero ognuno nei propri pensieri mentre le percorrevano, lasciando che i piedi li guidassero a destinazione. Quel giorno Ran, intanto che aspettava di imbattersi nelle sue amiche (cosa che succedeva sempre qualche minuto prima di arrivare di fronte al liceo), si ritrovò inspiegabilmente a pensare all'ultima volta in cui lei e Shinichi erano andati a scuola insieme.
Caspita... mi sembrano passati secoli...
In effetti, erano trascorsi un po' di mesi da allora e, sebbene lei e Shinichi si fossero rivisti in un'altra occasione, non avevano attraversato quella strada. Non avevano camminato con l'uniforme addosso, fianco a fianco...
Le mancavano quei momenti, doveva riconoscerlo. E tanto, anche. Forse era solo un modo come un altro in cui si manifestava la nostalgia per Shinichi, fatto sta che lei sentiva il bisogno di percorrere nuovamente il tragitto verso la scuola in sua compagnia. Avrebbe significato ritorno alla normalità, in un certo senso... Dopotutto, per anni e anni lui le era stato sempre accanto; ancora adesso, sebbene Ran si fosse ormai abituata alla sua assenza, desiderava che tornasse, che riprendesse la sua vecchia vita... perché si sentiva quasi incompleta senza Shinichi, anche se difficilmente lo avrebbe ammesso ad anima viva.
Be', se non altro si erano sentiti da poco al telefono; circa due settimane, se ricordava correttamente. Tuttavia, la loro conversazione non era stata niente di speciale: lei doveva semplicemente riferirgli alcuni dettagli su un caso da risolvere (visto che si era imbattuta in un cadavere prima di andare a scuola), in modo che lui scoprisse la verità. Insomma, non è che si fossero messi a parlare di fatti personali, nonostante una parte dell'animo di Ran lo desiderasse ardentemente.
Sonoko aveva cercato di spronare l'amica a portare il discorso su un altro fronte, addirittura le aveva suggerito di dichiarare il proprio amore a Shinichi... ma Ran non ce l'aveva fatta. Era sicura che non ci sarebbe riuscita al telefono e, anche se per un attimo aveva preso in considerazione l'idea, si era resa conto ben presto che il tentativo non avrebbe mai funzionato. Così si era limitata a riferire a Shinichi una frase buttata lì dal signor Subaru Okiya, lo studente di Ingegneria che abitava da qualche tempo a casa Kudo; questa frase, curiosamente, era stata utile per la risoluzione del caso e la telefonata era finita là.
Stando a quello che diceva Sonoko, Ran aveva perso un'occasione. Sì, dichiararsi via cellulare non era il massimo, ma almeno si poteva provare a introdurre il discorso. Ad ogni modo, rifletté Ran, era ormai troppo tardi per piangere sul latte versato. C'era solo da sperare che si ricreasse la situazione adatta e...
Sì, perché tu avresti il fegato di dichiararti... Fammi il favore!
Una vocina fastidiosa la punzecchiò inaspettatamente e Ran scrollò il capo, un po' avvilita: finora non era mai stata in grado di prendere il toro per le corna e dichiararsi a Shinichi, come pretendeva di diventare determinata tutt'a un tratto? La verità era che aveva troppa paura di perdere la loro amicizia. Lui le voleva bene, d'accordo, ma non era affatto scontato che la considerasse qualcosa di più di un'amica, perciò avrebbe potuto allontanarsi da lei, se avesse scoperto quali erano i suoi sentimenti.
Già non ci vediamo mai... No, non potrei sopportarlo...
"Ehi, Ran!"
Si voltò di scatto: due ragazze della sua età la stavano raggiungendo. Quella che l'aveva appena chiamata era la sua più vecchia amica Sonoko Suzuki, capelli castani a caschetto, fascia azzurra in testa e voce squillante come un campanello; l'altra, chioma nera e ribelle, occhi verdi dal taglio deciso ed espressione intelligente, era Masumi Sera, la nuova allieva della II B.
"Sonoko! Sera! Eccovi qui" disse Ran con un sorriso.
"Buongiorno!" esclamò Sonoko allegra. "Pronta per la notiziona?"
"Quale notiziona?" Ran sbatté le palpebre, perplessa, poi guardò Masumi: "Tu sai di cosa sta parlando?"
La giovane detective scosse il capo. "No, mi spiace. Probabilmente c'è di mezzo il suo ragazzo, considerato l'entusiasmo, ma..."
"Ottima deduzione!" Sonoko annuì, raggiante. "Avete presente la gita di questo finesettimana alla mia villa? Ebbene, Makoto mi ha appena confermato che ci sarà, in modo da poter organizzare il nostro romantico incontro di tennis!"
"Oh" fece Masumi. "Tutto qui?"
"Negativo! C'è dell'altro" annunciò Sonoko in tono pomposo.
"E cioè?" chiese Ran.
"Vedete, mia sorella non sarà con il suo bello, però verrà accompagnata da alcuni amici... Penso sia giusto che ognuna di noi abbia con sé il suo cavaliere e, dato che io starò con Makoto, Ran dovrà telefonare a Shinichi per invitarlo a essere dei nostri, mentre Sera... Sera vedrà di trovare un ragazzo da qualche parte". Gli occhi di Sonoko brillarono di malizia e Ran si sentì avvampare. Masumi, invece, scoppiò in una risata incredula ed esclamò: "Stai scherzando!"
"No, per niente. Avete bisogno di un accompagnatore".
"Ah sì? E io dove lo recupero, al mercato?" ribatté Masumi ironica.
"Be', in classe sei già molto popolare... Ci sarà pure qualcuno, no?"
"Sonoko, smettila" intervenne Ran, ancora rossa in viso. "Se davvero viene Kyogoku, forse è meglio che io e Sera restiamo a casa. In fondo, lui ti ha chiesto un appuntamento..."
"Ma siete mie amiche! Non ci darete alcun fastidio, avremo il campo da tennis tutto per noi e voi potrete stare tranquillamente in villa" assicurò Sonoko con convinzione. Masumi ridacchiò, stringendo con le dita il manico della cartella, che portava tenendo il dorso della mano appoggiato alla spalla, alla maniera dei ragazzi.
"Mi avessi proposto una bella gara di deduzioni avrei accettato subito, ma così..."
"Insomma, sono certa che ti divertirai lo stesso. Anzi, se proprio non vuoi metterti in cerca di un possibile fidanzato, puoi venire da sola. Dopotutto, ci saranno mia sorella e i suoi amici, quindi ti faranno compagnia".
"Le farò compagnia anch'io, se è per quello" osservò Ran.
"Quando non sarai impegnata con Shinichi" rettificò Sonoko sorniona.
"Cosa ti fa pensare che lui verrà? Di solito è molto impegnato, lo sai".
"Be', dovrai insistere! È una buona occasione per entrambi e non puoi proprio sprecarla".
Ran emise un sospiro. "Va bene, ci proverò. Senti... può venire anche Conan con noi, giusto?"
Inaspettatamente, Sonoko fece un cenno di diniego. "Assolutamente no! Il moccioso resta a casa stavolta".
"Cosa? E perché?" protestò Masumi, colta alla sprovvista. Sonoko storse il naso.
"Quando c'è lui, capitano sempre delle stranezze... Abbiamo bisogno di stare un po' con i nostri ragazzi, non possiamo certo badare a un marmocchio!"
"Ma dai, Sonoko..." cominciò Ran.
"Niente 'ma'. Sono io che organizzo la gita e non lo voglio in mezzo ai piedi, è chiaro?"
"Che crudeltà" obiettò Masumi contrariata.
"Staremo meglio senza di lui, credimi" replicò Sonoko, mentre si fermava di fronte al Liceo Teitan, seguita dalle due amiche. L'ultima campanella non era ancora suonata e diversi studenti erano accalcati fuori dall'edificio scolastico; Ran notò un ragazzo e una ragazza, forse del primo anno, che chiacchieravano in un angolo, poco distanti dall'ingresso. La ragazza portava una mascherina igienica e continuava a tossire mentre parlava; il ragazzo la osservava preoccupato e rispondeva concitatamente. Passandogli accanto, Ran udì un brandello di conversazione.
"... Faresti meglio a tornare a casa".
"Ma ho già fatto troppe assenze!"
"Chi se ne importa? Se stai male non puoi andare in classe... piuttosto dovresti correre in infermeria".
"Io..." La ragazza fu colta dall'ennesimo attacco di tosse, che le impedì di replicare. Ran si era bloccata a pochi passi di distnza senza nemmeno accorgersene, mentre le sue amiche erano ormai davanti al portone del liceo e stavano chiacchierando fra loro.
"Dai, ti ci accompagno io" sentì che diceva il ragazzo. "Altrimenti, dove crederesti di andare nelle tue condizioni?"
'Nelle tue condizioni'... La frase risvegliò qualcosa nella memoria di Ran. Le venne in mente che lei stessa aveva detto a Shinichi delle parole molto simili, una volta.
Ne sono certa, lui non stava bene e io... Non mi ha dato tanta retta, però. Quando è stato?
Be', in qualunque situazione si trovassero, una cosa le era ben chiara: Shinichi aveva praticamente snobbato le sue premure. Ran sbuffò, un po' infastidita all'idea... tuttavia, si rese conto, c'era qualcosa nella faccenda che la turbava vagamente. Riflettendo, capì che la disturbava il fatto che Shinichi non si fosse sentito bene. Prestandoci attenzione, era successo spesso negli ultimi tempi, quasi ogni volta che lei lo aveva incontrato. Probabilmente era per quello che non ricordava l'occasione esatta in cui aveva pronunciato quel 'dove credi di andare nelle tue condizioni'... forse durante il loro ultimo incontro?. Quel giorno aveva giurato a se stessa che non avrebbe più lasciato andare Shinichi, ma purtroppo le cose non si erano svolte come voleva. E, da un momento all'altro, Shinichi era scomparso senza dire nulla, lasciandola nell’auto del dottor Agasa.
Sulle prime Ran si era arrabbiata, anche perché lo stava tenendo per mano ed era una cosa che non faceva mai; insomma, aveva mostrato chiaramente quanto desiderasse la sua vicinanza e qual era stato il risultato? Che aveva perso i sensi, probabilmente a causa della stanchezza e delle emozioni accumulate durante la giornata, e quando si era svegliata lui non c'era più… Bella ricompensa! Il dottor Agasa le aveva spiegato brevemente che Shinichi era andato via per occuparsi di alcuni casi irrisolti, perciò Ran, sul momento, non aveva potuto trattenersi dal lanciare un epiteto poco carino nei confronti del suo amico d'infanzia. Poi, però, era subentrata una certa ansia: se stava male, come poteva essere andato a svolgere indagini? Lei l'aveva visto chiaramente tossire e sudare...
Esponendo le sue perplessità al professor Agasa non aveva guadagnato nulla: l'anziano scienziato le aveva assicurato che Shinichi si era ripreso perfettamente, prima di filare via di corsa. Non credeva che le avesse mentito spudoratamente, però la preoccupazione le era rimasta, al punto che aveva cercato di contattare per telefono il suo amico d'infanzia; lui non si era degnato di rispondere e Ran, col passare dei giorni, aveva finito col rimuovere il pensiero dalla mente. Solo che adesso... era tornato tutto in superficie.
Perché, quasi ogni volta che incontrava Shinichi, lui aveva sintomi d'influenza o qualcosa del genere? E perché affermava sempre: "Non è niente"?
Oddio, magari Shinichi ha qualche problema di salute e non vuole dirmelo...
Ma no, che sciocchezze! Se era sempre in giro a risolvere casi, era ovvio che stesse benissimo... oppure no?
"Ran? Ehi, Ran?!"
Qualcuno la tirava per il braccio. Ran si riscosse.
"Che ti prende? Stavo parlando con Sera, quando mi sono accorta che non eri più dietro di noi... Perché ti sei imbambolata qui?" la sollecitò Sonoko con aria interrogativa.
"Oh... scusami, ero sovrappensiero" borbottò Ran seguendo l'amica fino all'ingresso, per poi fermarsi davanti agli armadietti delle scarpe, dove Masumi aveva già riposto le sue nello scomparto col suo nome sopra.
"Uhm... Shinichi?" insinuò Sonoko, sforzandosi di fare la faccia da innocentina.
Ran chiuse l'armadietto e abbassò il capo per non incrociare il suo sguardo. "Forse" rispose enigmatica, dirigendosi verso l'altra parte del corridoio assieme a Masumi, che sorrideva appena.

"CONAN!"
Ayumi, Genta e Mitsuhiko gridavano come dei forsennati, agitando la mano nella sua direzione. Il piccolo detective li raggiunse in fretta, salutandoli: "Ehi, buongiorno, ragazzi".
"Chissà se oggi ci imbatteremo in qualche richiesta di un nostro compagno?" si chiese Mitsuhiko ad alta voce, intanto che si avviavano tutti in classe. "È da un po' che la Squadra dei Giovani Detective non offre il suo aiuto all'interno della scuola".
"Piuttosto, è da un po' che non risolviamo nessun caso" precisò Ayumi. "Avremmo potuto farlo sul treno, ma..."
"... Ma una persona di nostra conoscenza non ha voluto" intervenne Ai Haibara, che fino a quel momento era rimasta in silenzio. Si sistemò una ciocca di capelli biondo-rame dietro l'orecchio e ammiccò a Conan, con espressione beffarda e accusatoria allo stesso tempo.
Lui si accigliò, seccato. "Era un caso troppo pericoloso per voi" tagliò corto.
"Ma noi siamo la Squadra dei Giovani Detective!" esclamò Genta.
"Che importanza ha? L'unica cosa che conta adesso è che sia finito tutto bene" disse Conan con sicurezza. Ai storse le labbra e gli scoccò un'occhiataccia, senza però aggiungere alcunché.
"Ehi... non ce l'avrai ancora con me, spero" le sussurrò lui, tirandola furtivamente in disparte e lasciando che Ayumi, Genta e Mitsuhiko intavolassero un'altra conversazione per conto loro.
"Non mi piace essere ingannata e lo sai".
"Sì, ma in ogni caso dovresti ringraziarmi, o sbaglio?"
Ai fece una smorfia. "Che mi dici di quel Bourbon?" chiese, cambiando argomento. "Hai saputo qualcos'altro su di lui?"
"No, al momento non ci sono novità. Kogoro sostiene che è tornato a lavorare al Poirot e, in effetti, è ciò che ha detto lui stesso l'ultima volta che l'ho incontrato... Dovrò verificare".
"Ti conviene stare in guardia, Kudo. Quel tipo è scaltro".
"Lo so" ribatté subito Conan, "ma non scoprirà nulla su di noi, te l'assicuro".
"Ai! Conan! Che state facendo?" s'intromise Ayumi, girandosi verso di loro.
"Niente... andiamo" rispose in fretta il piccolo detective.

Edited by Neiro Sonoda - 3/8/2015, 12:21
 
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Neiro Sonoda
view post Posted on 3/4/2014, 20:01     +1   -1




Ah ah, si vedeva proprio che il primo capitolo era stato battuto di fretta... Pieno di errori, spero di averli corretti tutti
Il secondo dovrei postarlo in questi giorni... Intanto, ringrazio Sakura per suoi +1 :) Mi raccomando, socia, quando vuoi commentare aspetto la tua recensione!
 
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-Sakura
view post Posted on 3/4/2014, 20:45     +1   -1




Volevo lasciartela adesso, ma sembrerebbe che tu mi abbia obbligata!
...Ma sì, facciamolo comunque: è una Fanfiction ben strutturata e scorrevole, se non grammaticalmente corretta.
Non mi pare di aver riscontrato particolari errori nella rilettura, come troppo spesso mi capita.
Mi ha incuriosita molto l'inizio, ma il primo capitolo non è stato da meno!
Hai trattenuto in modo corretto la personalità dei personaggi, il che è fantastico!
Le uniche cose che mi donano un lieve fastidio sono le precisazioni nelle parentesi...
Io le eviterei, riportandole nella frase principale.

Quindi, generalmente, la tua Fanfiction è ottima!
Aspetto un tuo prossimo aggiornamento!
 
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Neiro Sonoda
view post Posted on 3/4/2014, 21:33     +1   -1




CITAZIONE (-Sakura @ 3/4/2014, 21:45) 
Volevo lasciartela adesso, ma sembrerebbe che tu mi abbia obbligata!

Dai! Non volevo sortire quest'effetto... Volevo solo farti capire che aspettavo un tuo intervento, ma potevi farlo quando volevi, anche dopo aver letto altri capitoli!
Comunque, se hai deciso di recensire adesso, non posso che ringraziarti!


CITAZIONE (-Sakura @ 3/4/2014, 21:45) 
Mi ha incuriosita molto l'inizio, ma il primo capitolo non è stato da meno!
Hai trattenuto in modo corretto la personalità dei personaggi, il che è fantastico!
Le uniche cose che mi donano un lieve fastidio sono le precisazioni nelle parentesi...
Io le eviterei, riportandole nella frase principale.

Be', il prologo è fatto apposta per incuriosire... L'inizio è stato un po' problematico, non sai quante volte ho riscritto il primo capitolo e non mi convinceva mai. Questo però mi sembra buono
Per quando riguarda i personaggi... la prima regola che mi sono imposta da quando ho cominciato a scrivere fanfiction è di rispettare il più possibile i canoni di Gosho, quindi farò sempre del mio meglio in quel "campo".
Le parentesi... in genere non le uso quasi mai, ma per una volta...
Sono contenta di averti incuriosita e spero di soddisfare le tue aspettative, anche se per arrivare ai punti "clou" della storia ci vorrranno diversi capitoli :)
A presto, socia!
 
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-Sakura
view post Posted on 3/4/2014, 21:56     +1   -1




CITAZIONE
L'inizio è stato un po' problematico, non sai quante volte ho riscritto il primo capitolo e non mi convinceva mai. Questo però mi sembra buono

Non lamentarti, ti prego. Io non sono mai riuscita ad avere ispirazione.
Per quanto muoia dalla voglia di scrivere qualcosa, la mia totale assenza di immaginazione non riesce a farmi produrre qualcosa di decente.

CITAZIONE
Per quando riguarda i personaggi... la prima regola che mi sono imposta da quando ho cominciato a scrivere fanfiction è di rispettare il più possibile i canoni di Gosho, quindi farò sempre del mio meglio in quel "campo".

Bhe, nel frattempo ci sei riuscita, quindi spero tu possa continuare così.
E' sempre bello vederli così, altrimenti ci si deve abituare.

Aspetto il tuo prossimo aggiornamento!
Ciao, socia! (Mi fa un effetto strano questo "socia")
 
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Neiro Sonoda
view post Posted on 5/4/2014, 20:01     +1   +1   -1




Sakura, se vuoi che ti chiami... Sakura, non hai che da chiederlo! :D
Be', bando alle ciance... Proseguiamo con la fanfiction:




Capitolo 2

Villa Suzuki


La campanella della ricreazione era suonata da una manciata di minuti quando Sonoko propose a Ran di telefonare a Shinichi: “Prima lo inviti, meglio è! Forza, approfitta dell’intervallo”.
Ran ripensò ai propri ghirigori mentali di quella mattina e si sentì improvvisamente una stupida; chiamare Shinichi non le apparve mai così difficile come in quel momento… Per qualche strana ragione, concluse, preferiva non avere a che fare con lui per un po’.
“E allora?” insistette Sonoko. “Ti vuoi sbrigare?”
“N-non… non posso”.
“Sì che puoi. E devi. Io e Sera ti forniremo l’incoraggiamento necessario, muoviti” disse Sonoko perentoria, facendo cenno a Masumi di raggiungere lei e Ran accanto a una finestra della II B.
“Ma, a quest’ora… di solito lui non risponde e...”
“Che importa? Fa’ un tentativo!”
“Dai, Ran” la esortò Masumi. “Puoi farcela”.
“D’a… d’accordo”.
La chiamata venne avviata con dita tremanti. Ran trasse un lungo respiro, sperando di riuscire a calmarsi, ma questo non le impedì di avere un lieve sussulto quando udì il suo amico d’infanzia esclamare: “Sì, pronto?”
Dalla voce, appariva perfettamente tranquillo e rilassato. Ran strinse forte il cellulare ed esordì: “Shinichi… Ehm, per caso ti disturbo?”
“No… che succede?” Lui sembrava sorpreso.
“Ecco… S-Sonoko vuole organizzare una piccola gita… e le piacerebbe se venissi anche tu. Sei libero questo finesettimana?”
Il tono di Shinichi suonò ancor più stupito: “Sonoko mi ha invitato?”
“Sì, alla villa dei Suzuki, sull’altopiano di Izu” precisò Ran, un po’ meno tesa. “Ci sarà sua sorella Ayako… e anche Sera”.
“Uhm… e cosa si fa di bello?”
“Be’, c’è il campo da tennis…” Ran guardò Sonoko in cerca di aiuto e lei si limitò a bisbigliare concitata: “Digli che hai bisogno di parlargli!”
Dall’altro lato, Masumi sorrideva bonariamente, quasi divertita dalla situazione; Ran non sapeva più come comportarsi.
“Insomma, puoi venire?” si risolse a chiedere.
Shinichi tentennò. “Be’, per la verità…”
“Immagino che tu sia molto impegnato, vero?” si affrettò a rispondere Ran. “Non importa, sarà per un’altra…” Sonoko la interruppe, impedendole di terminare la frase: “Smettila di fare la scema! Insisti!”
“Che succede?” domandò Shinichi perplesso. Ran arrossì.
“N-niente, è solo che…”
“Perché non ci sentiamo più tardi?” suggerì lui. “Credo sia la cosa migliore… A dopo, Ran”.
“V-va bene, come vuoi. Ciao”.
Sonoko aspettò che l’amica riattaccasse prima di investirla come una furia: “Ma che cavolo hai combinato, si può sapere?!”
“Io…”
“Ran, non ci siamo proprio! Come te lo devo dire che è il momento di prendere in mano la vostra situazione?! Ti sembra questo il modo?”
“Basta, per favore. Shinichi non verrà, punto”.
“Ma cos’ha detto esattamente?” s’informò Masumi, scrutando Ran con attenzione.
“Niente d’importante. Ci sentiremo più tardi, ma sono sicura che lui stesse per rifiutare l’invito”.
Sonoko scosse il capo, indignata. “Giuro che se lo acchiappo…”
“Dai, avrà i suoi buoni motivi” osservò Masumi per mettere pace. “Non sei d’accordo anche tu, Ran?”
Lei annuì e andò a sedersi al suo banco. “Sta per suonare” disse, per tutta risposta. Masumi aggrottò la fronte, poco convinta da quella reazione disinteressata, ma la fine della ricreazione scoccò prima che potesse rivolgere a Ran qualsiasi domanda, perciò prese posto anche lei, senza aggiungere un’altra parola.

Conan era seduto sui gradini esterni dell’Agenzia Investigativa, con il cellulare in mano e lo sguardo perso nel vuoto. Era passato il tramonto e lui avrebbe dovuto telefonare a Ran – lei, evidentemente, non era portata a prendere l’iniziativa –eppure non aveva ancora mosso un dito… forse perché non sapeva bene cosa dirle.
A livello teorico, sarebbe stato abbastanza semplice riprendere le sembianze di Shinichi Kudo e accompagnare la sua amica d’infanzia alla villa di Sonoko: sarebbe bastato avere una scorta dell’antidoto contro l’APTX, diligentemente creato da Ai Haibara. Tuttavia, nella pratica, la cosa aveva le sue complicazioni, in primis il parere contrario della piccola scienziata.
“Ti ho dato tutte le compresse che hai voluto, come mi avevi chiesto, ma onestamente sono stufa di vedertele utilizzare a sproposito” aveva commentato qualche ora prima, tenendo le braccia incrociate sul petto.
“A sproposito? Ma se l’ultima volta ho preso un campione per sbaglio!” aveva ribattuto Conan, punto sul vivo.
“Certo e poi sono dovuta venire io a toglierti le castagne dal fuoco”. L’espressione di Ai era corrucciata e il suo tono infastidito.
“Senti…”
“No, ascoltami tu, Kudo: il gioco non vale la candela. La continua assunzione dello stesso farmaco genera assuefazione e questo potrebbe essere un ostacolo contro l’efficacia di un possibile antidoto definitivo… Senza contare che si tratta pur sempre di un veleno e il tuo organismo potrebbe riportare dei danni, in futuro” aveva concluso Ai seria, gli occhi freddi e penetranti fissi sul volto di Conan. Il piccolo detective si era messo a sbuffare ma, suo malgrado, quel discorso lo aveva colpito più di quanto fosse disposto ad ammettere. E adesso, mentre si trovava sui gradini dell’Agenzia Investigativa, si chiese se veramente l’uso che intendeva fare dell’antidoto fosse tanto sconsiderato.
Nonostante una parte di lui si ostinasse a negarlo, era principalmente per Ran che l’idea di partecipare al ‘ritrovo’ a Villa Suzuki lo attraeva. Per avere la sua compagnia nei panni di se stesso, cosa che non avveniva da tempo. La domanda a questo punto era: si trattava di una ragione sufficiente per rischiare?
Certo, se finalmente ti decidessi a confessarle quello che provi per lei, ne varrebbe la pena eccome!
Il pensiero prese forma nella mente di Conan senza che lui potesse frenarlo, facendogli accelerare il battito cardiaco e accendendo le sue guance di un calore improvviso. Scrollò la testa, come se volesse liberarsene, e cercò di analizzare la situazione con freddezza e razionalità.
Ran mi ha detto che l’idea è di Sonoko, però sicuramente le farà piacere rivedermi… E se davvero si creasse la situazione adatta per parlarle? Forse sarebbe opportuno approfittarne… Dovrei prestare attenzione, comunque; l’ultima volta l’antidoto ha coperto a stento quattro ore…
Ripensò alle parole di Ai, poi a Tooru Amuro: lo aveva visto chiaramente servire alcuni clienti del Poirot, tornando da scuola.
Potrebbe venire a sapere che sono in gita assieme a Ran, ma l’Organizzazione non deve scoprirlo… Accidenti…
Rifletté a lungo, gli occhi puntati sullo schermo del cellulare. Alla fine, si decise a chiamare Ran, provando mentalmente il discorso che avrebbe dovuto farle e accostando alla bocca il modulatore vocale.
“Pronto? Sei tu, Shinichi?” chiese la ragazza qualche istante dopo.
“Sì, chi altri?” replicò lui. “Senti, ho pensato bene a quello che mi hai detto stamattina…”
“E…?”
“Ecco… non potrò raggiungervi” spiegò Conan. “Ho degli impegni che non posso proprio rimandare”.
“Ah”. La risposta di Ran fu un monosillabo e ciò rese impossibile capire quanto le dispiacesse, tuttavia Conan riusciva facilmente a immaginare la sua espressione delusa. Per un attimo, provò un senso di colpa soffocante e un’insolita sensazione di vergogna.
“Be’, vorrà dire che avvertirò Sonoko e andremo senza di te” proseguì Ran in fretta. “Ti saluto”.
“Cosa? Ah sì, certo. Divertitevi, eh”.
“Oh. Naturalmente. Ciao, Shinichi”.
“Ciao”. Un po’ frastornato, Conan chiuse la comunicazione e continuò a ripetersi mentalmente, per cinque minuti buoni, di aver fatto la cosa più giusta e più prudente.
La accompagnerò come Conan, non come Shinichi. Meglio di niente…
Rientrò silenziosamente, deciso a stare un po’ con la sua amica d’infanzia e cercare eventualmente di tirarla su (in fondo, glielo doveva). Lei non gli sembrò particolarmente allegra, ma per fortuna non era nemmeno triste… Tutto sommato, fu una serata normale.
Se Conan si sentiva abbastanza in pace con se stesso, almeno per il momento, Ran era in confusione. Non sapeva più cosa aspettarsi da Shinichi; sì, le aveva detto che era impegnato e lei si fidava, però… esisteva un problema sostanziale, un pensiero che non le dava tregua, specialmente dopo le riflessioni del mattino.
Mi sta nascondendo qualcosa…
Per l’ennesima volta, rammentò il giorno in cui era stata presa in ostaggio da un criminale assieme a suo padre e a Masumi, proprio all’Agenzia Investigativa Mouri; Shinichi aveva risolto quella situazione spinosa, sia pure per telefono, ma non si era minimamente preoccupato di passare a trovare la sua amica d’infanzia. Eppure, in quel momento era dal professor Agasa… Non gli sarebbe costato nulla fare un salto da lei, almeno all’apparenza.
“Può darsi che avesse un buon motivo per non farlo” aveva commentato Masumi la mattina seguente, quando Ran l’aveva informata di aver semplicemente ricevuto una mail da Shinichi, senza che lui si facesse vivo.
È più o meno quello che hai detto oggi, Sera… ma tu non lo conosci. E soprattutto, non sei nei miei panni… Io non ne posso più delle sue sparizioni, non poté evitare di pensare Ran, sconfortata.
Una mail. Questo era tutto ciò che era riuscita a ottenere. E’ vero, Shinichi l’aveva salvata e lei gli era grata, però avrebbe voluto delle risposte.
Che ti aspetti da me, Shinichi? Quale significato ha per te il nostro legame? E soprattutto, che cosa mi stai tenendo nascosto?
Domande su domande. E nessuno sapeva se quei dubbi avrebbero mai trovato il modo di dissolversi.

Un bel bagno in vasca era quello che ci voleva, in particolare la sera. Le bollicine di schiuma rosata accarezzavano la pelle, l’acqua tiepida tonificava il corpo. Era facile non pensare a nulla in quella situazione di relax… o forse no.
‘L’Organizzazione non ha alcun lavoro per me, al momento, quindi posso prendermi una piccola pausa’.
Certo, una pausa per essere libero di ficcanasare. Figuriamoci.
‘È una specie di curiosità’
Be’, si disse Vermouth emergendo dalla vasca, se questa fantomatica curiosità avesse portato Bourbon a intralciare i suoi piani, ci avrebbe pensato lei a rimetterlo a posto. Non poteva permettere che quell’uomo la ostacolasse, in alcun modo.
Più tardi, seduta su una poltrona a gambe accavallate, il corpo sinuoso avvolto in un asciugamano e i folti capelli biondo platino sciolti sulle spalle nude, prese a sorseggiare distrattamente un drink. Bourbon aveva in mente qualcosa, ne era convinta. Anche dietro quell’insistenza nel vedere il filmato della morte di Shuichi Akai doveva nascondersi uno scopo o un piano… In ogni caso, lei non sarebbe rimasta a guardare se i suoi segreti avessero rischiato di venire alla luce.
Le venne in mente la soddisfazione che aveva provato dopo l’esplosione del vagone merci del Mystery Train, sfumata in capo a qualche minuto; eh sì, purtroppo Sherry non era morta come tutti credevano e si trovava ancora sotto la protezione del caro Silver Bullet. Un avversario contro cui era sempre bello scontrarsi, che dava sapore a qualunque sfida... Abile e intelligente, ma al tempo stesso terribilmente sciocco. Davvero quel ragazzo era convinto di riuscire a salvare la vita di chiunque, perfino dei suoi nemici, se necessario? Non poteva pretendere di sconfiggere l’Organizzazione senza mettere da parte quegli ideali assurdamente nobili… però, tutto sommato, Vermouth era rimasta colpita da lui. Sapeva che le sue capacità lo rendevano un vero Silver Bullet, un nemico da temere; erano i suoi precetti di lealtà, correttezza, giustizia e quant’altro a impedirgli di diventare fino in fondo colui che aveva la possibilità di fermare per sempre gli Uomini in Nero.
Tanto meglio così. Quanto a Sherry…
Le labbra perfette della donna s’incurvarono in un sorriso. Avrebbe aspettato l’occasione giusta per uccidere quella maledetta traditrice, all’insaputa degli altri membri dell’Organizzazione… Un momento in cui Sherry sarebbe rimasta sola, lontana dalle premure di quel ragazzo; lei, Vermouth, attendeva l’opportunità con gioia, per potersi in qualche modo vendicare della persona che le aveva rovinato la vita.

“E questa è la vostra stanza; carina, vero?”
Sonoko spalancò la porta di una delle camere di Villa Suzuki, indicandone l’arredamento con un ampio gesto del braccio e sorridendo a Ran e Masumi, che annuirono lentamente.
“Ho pensato di mettervi in stanza assieme, visto che io dormo con Ayako” aggiunse Sonoko, mentre tutte e tre varcavano la soglia. “Potete rilassarvi con calma, i ragazzi arriveranno più tardi”.
“Bene” rispose Masumi, osservando i letti aggiustati in maniera impeccabile e le tendine color crema che adornavano la grande finestra. “Certo, è un peccato che Conan non sia con noi”.
“Oh, ancora questa storia”. Sonoko alzò gli occhi al cielo con aria esasperata. “Vedrai che ti scorderai in fretta di quel moccioso, vedendo gli amici di mia sorella!”
Ran depositò la sua borsa sul prezioso tappeto rosso che si trovava accanto a uno dei letti. “Spero solo che papà sappia prendersi cura di Conan… Nessuno dei due era molto entusiasta di lasciarmi venire qui da sola”.
Sonoko si strinse nelle spalle, del tutto indifferente agli stati d’animo dei familiari dell’amica. “Io vado a chiamare Makoto… Sapete, non mi ha ancora detto a che ora arriva esattamente. A dopo!” E si dileguò.
Masumi tolse il suo inseparabile borsalino blu e lanciò un’occhiata a Ran. “Credo che Sonoko sarà piuttosto impegnata in questi due giorni… Mi sa che non la vedremo un granché”.
“Be’, lei e Kyogoku non passano del tempo assieme da una vita” osservò Ran. “È normale che vogliano approfittare di questa occasione”.
“Bah! Io mi auguro soltanto che questi amici di sua sorella siano simpatici… e che non ci sia di mezzo qualche appuntamento al buio per me”.
Ran scoppiò a ridere, stupefatta. “Dai! Sonoko non arriverebbe mai a questi livelli, credimi”.
“D’accordo, se lo dici tu”. Masumi si avvicinò alla finestra, che dava su un grazioso balconcino, tenendo le mani affondate nelle tasche dei pantaloni. “In fondo, anche se a te ha fatto una storia infinita quando ha saputo che Kudo non sarebbe venuto, non ti ha costretta a richiamarlo di nuovo”.
“Ehm, già”. Ran abbasso lo sguardo, inginocchiandosi sul tappeto e aprendo la cerniera della sua borsa, per controllare che fosse tutto in ordine. Non riusciva a trovare altro da dire.
“C’è qualcosa che non va, vero?” Masumi si girò verso di lei, i penetranti occhi verde muschio puntati sul suo volto, le sopracciglia scure inarcate. Ran sussultò.
“M-ma no, che ti viene in mente? È tutto a posto”.
“Hai sempre avuto delle reazioni strane se si nominava Kudo, ma ultimamente più del solito… Avete litigato?”
“Chi, io e Shinichi? No, assolutamente” disse Ran, sforzandosi di parlare in modo naturale.
Masumi non sembrava convinta. “Sarà, ma io…”
In quell’istante, la porta si aprì ed entrò Sonoko. “Makoto mi ha appena confermato che sarà qui subito dopo pranzo e poi andremo insieme al campo da tennis!” esclamò. “Non è fantastico?”
“Naturalmente” si affrettò a rispondere Ran.
“Accidenti, non vedo l’ora! Finalmente potrò dimostrargli la mia abilità di giocatrice… e non solo!” affermò Sonoko radiosa, facendo l’occhiolino.
“Buon per te” borbottò Masumi; era evidente che la faccenda non le interessava più di tanto.
“Adesso io torno in camera. Ci si vede più tardi!” trillò Sonoko e, per la seconda volta, filò via alla velocità della luce. Masumi stava per riprendere il discorso con Ran, ma ci rinunciò, rendendosi conto che l’amica non aveva alcuna voglia di affrontarlo. Forse, in un altro momento, sarebbe riuscita a capire cosa le frullava in testa.
Verso l’ora di pranzo, arrivarono alla villa i nuovi amici di Ayako Suzuki: erano quattro in tutto, tre maschi e una femmina. Avevano suppergiù la sua età, a eccezione di uno.
“Ah, sì, lui è mio fratello Kyosuke” lo presentò Hiroshi Shibata, uno dei ragazzi, alto, bruno e affascinante. “Frequenta ancora il terzo anno di liceo”.
“Be’, sarà in buona compagnia, no?” disse Kyoko Minamizawa, unica femmina del gruppo dei quattro, bionda, spigliata e vivace. “Se non sbaglio, anche tua sorella Sonoko va alle superiori, vero, Ayako?”
“Eh, già” confermò Sonoko allegramente. “Come pure le mie amiche qui, Ran Mouri e Masumi Sera. Piacere di conoscerti, Kyosuke! E tutti voi, naturalmente…”
Ran fece un breve inchino a ognuno, Masumi si limitò a qualche cenno di saluto.
“Ora che siamo al completo, possiamo preparare da mangiare” intervenne Ayako. “Ho fatto la spesa e concesso un paio di giorni liberi allo chef, perciò… chi viene a darmi una mano?”
“Io sono disponibile” assicurò Ran.
“Idem” aggiunse subito Kyoko.
“Allora io penserò a intrattenere gli ospiti” replicò Sonoko. “Venite”. Si diresse verso il salotto, seguita da Masumi, Kyosuke, Hiroshi e Taisaku Dojima, l’altro ragazzo del gruppo, un tipo serioso e precisino con gli occhiali e i capelli castani. Tutti si accomodarono sui divani bordeaux della stanza e Sonoko iniziò a porre un sacco di domande agli ospiti di sua sorella.
“Dunque, voi siete tutti amici di vecchia data, giusto?”
“Esatto” annuì Taisaku.
“Abbiamo conosciuto Ayako per caso, al karaoke” spiegò Hiroshi. “Ci piacevano le stesse canzoni, così abbiamo legato subito”.
“Davvero? Non me lo ha mai detto!” esclamò Sonoko. “E ditemi, siete esperti di musica?”
“Io suono la chitarra” ammise Kyosuke. “Una volta tua sorella mi ha chiesto di esibirmi in sua presenza, ma non l’ho ancora fatto… Pensavo di tentare oggi”.
“È un’ottima idea!” approvò Sonoko gaiamente. “Io adoro la musica…”
“Anche il tennis” osservò Kyosuke a sorpresa. “Ci è stato detto che sei una campionessa…”
“Sì, ce lo ha garantito Ayako” aggiunse Hiroshi. Sonoko arrossì, piacevolmente lusingata.
“Diciamo… che me la cavo”.
“Insegnami qualcosa!” propose Kyosuke entusiasta. “Non ho mai avuto molto tempo da dedicare allo sport, ma il tennis mi ha sempre appassionato”.
“Oh. Be’, se vuoi…”
“Certo che voglio! Altrimenti non te l’avrei chiesto, no?” Kyosuke fece un sorriso smagliante e Sonoko si perse nella contemplazione dei suoi bei lineamenti: naso dritto, pelle chiara, scintillanti occhi scuri e capelli un po’ lunghi, che gli ricadevano attorno al volto.
Cavoli, se è carino, pensò la ragazza. Ancora più del fratello…
“Non vedo l’ora di ascoltare le tue canzoni!” disse con aria sognante. Masumi, che fino a quel momento era rimasta in silenzio, tossicchiò, concentrata su una possibile reazione di Makoto Kyogoku di fronte a quella scena. Kyosuke si girò verso di lei.
“Tu, invece? Che talento hai?”
“Sono un detective” rispose Masumi con una scrollata di spalle.
“Detective?” ripeterono Hiroshi e Taisaku in coro. Sembravano piuttosto scettici.
“Eh, già. Sera è un’investigatrice molto in gamba” puntualizzò Sonoko. “Non è famosa qui in Giappone perché ha vissuto a lungo in America… ma col tempo sono sicura che diventerà celebre!”
“Be’, non esageriamo”. Masumi si passò una mano fra i capelli corti, scompigliandoli. “E comunque, a me la fama non interessa. Amo la mia professione, tutto qui”.
“Wow, che tipa!” Kyosuke pareva sinceramente impressionato. “Chissà se ci sarà l’occasione di vederti in azione come detective?”
La chiacchierata proseguì fino all’ora di pranzo, dopodiché andarono tutti a mangiare. La cucina di Ayako venne lodata più volte e i suoi amici si dimostrarono abbastanza ciarlieri ed espansivi, soprattutto Kyosuke. Makoto invece arrivò di lì a qualche minuto e, come promesso, lui e Sonoko si recarono al campo da tennis, mentre Ran rispose alla mail che le aveva inviato suo padre sul cellulare (‘Sto andando col moccioso a mangiare al Poirot, come vanno le cose lì?’). Poco dopo, Kyosuke invitò lei e Masumi a uscire fuori, così fecero una passeggiata lungo il viale alberato attorno alla villa. Stavano parlando tranquillamente, quando un urlo acuto li fece sobbalzare.
“È Kyoko!” disse Kyosuke allarmato. “Cosa può essere successo?”
“Andiamo a vedere!” esclamò Masumi risoluta, correndo verso il portone d’ingresso socchiuso.

Edited by Neiro Sonoda - 3/8/2015, 15:30
 
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Neiro Sonoda
view post Posted on 8/4/2014, 16:40     +1   +1   -1




Siamo al terzo... Ribadisco: non sono brava con i gialli, ma ho fatto del mio meglio



Capitolo 3
Due casi da risolvere


Conan e Kogoro percorsero il tragitto verso il Caffè Poirot tenendo le mani in tasca, entrambi con un'espressione vagamente annoiata dipinta sul volto. Era una giornata piuttosto fredda e il sole si ostinava a rimanere nascosto dietro le nuvole.
"Be', mi auguro che Ran si stia divertendo" borbottò Kogoro a un certo punto, spegnendo la sua sigaretta.
Conan si limitò ad annuire: era ancora contrariato per non essere potuto andare anche lui.
Quando Sonoko organizza gite non c'è da stare tranquilli... Spero che non abbia invitato dei maschi che possano infastidire Ran, o farà i conti con me...
Varcò la familiare soglia del Poirot assieme a Kogoro e subito individuò Tooru Amuro, che si precipitò verso di loro per accoglierli: "Salve, maestro Mouri, qual buon vento! E ciao anche a te, Conan".
Kogoro salutò il suo allievo con un certo calore, mentre il piccolo detective ricambiò distrattamente con un semplice cenno, poiché la sua attenzione era appena stata catturata dalla figura di un giovane uomo coi capelli chiari e gli occhiali, seduto a un tavolo nell'angolo del locale.
"Ehi! Quello non è il signor Subaru Okiya?" esclamò Kogoro, seguendo la direzione dello sguardo di Conan. Anche Amuro si voltò, incuriosito.
"Sì, è proprio lui" disse Conan, agitando la mano verso lo studente d'Ingegneria, per poi scoccare un'occhiata di sottecchi ad Amuro. Quest'ultimo, tuttavia, non sembrò interessato più di tanto alla cosa e domandò a Kogoro quel che avrebbe preferito ordinare.

Dopo mangiato, Kogoro e Conan si trattennero al Poirot per fare quattro chiacchiere con Amuro. Il locale pian piano si stava svuotando ed erano rimasti ben pochi clienti, perciò il cameriere biondo poteva tranquillamente concedersi una pausa. Conan lo studiava con attenzione, come per cogliere in lui particolari che prima non aveva notato: era ben deciso a tenerlo d'occhio, anche se ovviamente non aveva detto nulla a Kogoro. Eppure, non sembrava che ci fosse qualcosa di diverso dal solito in Amuro.
Be', che ti aspettavi? È solo perché adesso sai che è un membro degli Uomini in Nero che tu lo guardi con occhi diversi, gli disse una voce interiore e Conan abbassò appena il capo. Avrebbe dato un occhio della testa per sapere cosa passava per la mente di Tooru Amuro, alias Bourbon. Purtroppo non era così facile scoprirlo... ma forse lui doveva solo avere un po' di fiducia nel corso degli eventi. Dopotutto, possedeva gli aiuti giusti.
Mentre Kogoro parlava con Amuro, Conan guardò i clienti rimasti nel locale; oltre a Subaru Okiya, che all'ultimo momento aveva ordinato un caffè e lo stava sorseggiando con aria assorta, c'erano soltanto altre tre persone, una donna e due uomini. Questi ultimi conversavano animatamente, seduti allo stesso tavolo; dovevano essere amici. La donna, invece, giocherellava distrattamente con il paio di guanti di lino che portava, come se fosse in attesa di qualcosa.
All'improvviso uno dei due uomini, un tizio alto coi capelli lunghi, si alzò e si diresse verso i bagni. Anche il signor Subaru abbandonò il suo tavolo, lasciando i soldi del conto e avviandosi verso l'uscita, tuttavia fu di ritorno in capo a qualche attimo, inspiegabilmente.
"Scusi, mi sono accorto di aver perso il bottone del polsino" Conan sentì che diceva a una cameriera. "Dev'essermi caduto qui..."
Intanto che Subaru faceva le sue ricerche, la cliente femmina presente nel locale si alzò dal suo tavolo e percorse il tragitto che portava ai servizi. Una manciata di secondi dopo, si udì distintamente il suo urlo disperato.
"Che succede?" Conan balzò in piedi immediatamente e si fiondò verso la direzione da cui era venuto il grido. Kogoro lo seguì, imitato da Amuro, e Subaru si immobilizzò tendendo le orecchie.
Nel bagno degli uomini, Conan trovò la donna che aveva urlato: era visibilmente sconvolta e indicava il corpo del tizio coi capelli lunghi, steso sulle piastrelle del pavimento, gli occhi spalancati e vuoti.
"T-Toichi... Non è possibile..."
"Non lo tocchi" ordinò Conan autoritario, inginocchiandosi accanto all'uomo. "Purtroppo non c'è nulla da fare, ormai è tardi" aggiunse poi in tono grave.
"No!!" singhiozzò la donna, prendendosi il volto fra le mani. Kogoro e Amuro, che erano appena arrivati, si scambiarono uno sguardo.
"Bisogna chiamare la polizia" sentenziò il cameriere del Poirot. "Ci pensi lei, maestro Mouri".
Poco dopo arrivò l'ispettore Megure con alcuni agenti, fra cui Takagi. Nessuno fu sorpreso di trovare Conan e Kogoro sulla scena del crimine e subito si passò all'esame del cadavere.
"Avvelenamento" decretò Takagi più tardi, riferendo a Megure l'esito dell'autopsia. "La morte è stata causata..."
"... Da cianuro di potassio" s'intromise Amuro, che era riuscito a controllare le condizioni del cadavere.
"Esatto" confermò Takagi. "Sulla tastiera del cellulare della vittima sono state rinvenute tracce di cianuro e anche su alcune dita della mano destra. Deve averle messe in bocca e... Chi è stato a trovare il corpo?"
"Io" spiegò la donna con voce velata. "Mi chiamo Moriko Furumura; stavo andando in bagno e... l'ho visto lì per terra, morto". Si soffiò il naso con un fazzoletto di stoffa.
"Uhm". L'ispettore Megure aggrottò la fronte e si rivolse a Takagi: "Avete fermato tutti i clienti rimasti nel locale?"
"Sì, ce ne sono solo altri due, a parte Conan e il detective Mouri".
"Bene, allora andiamo a interrogarli... Venga anche lei, signorina".
Kogoro, Amuro e Conan seguirono l'agente di polizia, assieme all'ispettore Megure; lui non avrebbe voluto averli in mezzo ai piedi, ma ormai era abituato a quel genere di situazioni.
"Dunque, quanti di voi conoscevano il signor Toichi Kurosu?" esordì in tono professionale. Subaru fece un cenno di diniego, mentre l'uomo che aveva pranzato con la vittima esclamò: "Io sì, eravamo amici".
"È vero, hanno mangiato allo stesso tavolo!" La voce squillante di Conan raggiunse le orecchie dell'ispettore, che sospirò con aria rassegnata.
"Bene. Qual è il suo nome?"
"Mi chiamo Koji Matsumoto".
"Per caso era un collega del signor Kurosu?"
"No, io lavoro in un'azienda. Non sono giornalista come lui".
"Da quanto eravate amici?"
"Be', da diversi anni, direi... Oggi siamo venuti fin qui tutti e due per pranzare".
"E lei?" L'ispettore Megure si girò verso Subaru.
"Io non conoscevo affatto la vittima, come vi ho accennato. Ero qui quando ho sentito urlare la signorina..."
"Ha una faccia familiare" intervenne Takagi. "Dov'è che l'ho già vista?"
"Una volta ci trovavamo assieme" disse Conan. "Io e il signor Subaru Okiya..."
"Oh, tu sei un suo amico, Conan?" chiese Takagi sorpreso.
"Be', non esageriamo" commentò Subaru. "Non è la prima volta che incontro questo ragazzino, ecco tutto".
"E nemmeno me" aggiunse Kogoro.
"Va bene, va bene" tagliò corto Megure. "Signorina Furumura, anche lei era qui per pranzare da sola, giusto?"
"Sì" ammise la donna.
"Senza dubbio conosceva la vittima, dato che nel cellulare rinvenuto accanto al corpo è stata trovata una chiamata destinata a lei; in che rapporti eravate?"
"Be', noi... stavamo insieme da qualche settimana" confessò la signorina Furumura.
"Eravate fidanzati?"
"Sì e ci eravamo messi d'accordo per vederci oggi".
"Capisco". L'ispettore tacque per un attimo, poi riprese: "Il signor Kurosu è deceduto dopo averle telefonato, ma non risulta che lei abbia risposto alla chiamata. Questo significa che..."
"... Che la signorina potrebbe essere una possibile indiziata" dichiarò Kogoro. "La vittima le ha fatto degli squilli affinché lei andasse nel bagno degli uomini, così ne ha approfittato per commettere il delitto".
"Ehi, piano con le accuse!" s'infervorò la donna. "È vero, ci eravamo messi d'accordo per incontrarci nel bagno, ma come avrei potuto spalmare il veleno sulla tastiera del suo cellulare?"
"Può aver agito prima... Sapeva che poi il signor Kurosu l'avrebbe contattata, no?"
"Non sono state rinvenute altre impronte oltre a quelle della vittima sul telefonino" disse Takagi. "Inoltre... come avrebbe fatto la signorina a mettere il veleno senza che il signor Kurosu se ne accorgesse? E quando?"
"A quale scopo, poi? Io amavo Toichi, non l'avrei mai ucciso!" protestò la donna in tono risentito.
"E voi? Dove vi trovavate intorno alle tre, quando è avvenuto il delitto?" domandò l'ispettore Megure a Subaru e al signor Matsumoto.
"Io ero uscito dal locale" disse lo studente d'Ingegneria, "però sono rientrato perché mi ero accorto che avevo perso un bottone. È stato allora che la signorina ha gridato".
"Io sono rimasto per tutto il tempo seduto al mio tavolo" chiarì Koji Matsumoto.
"Confermo" annuì Kogoro.
"Già, noi li abbiamo visti" aggiunse Amuro.
"Perciò il signor Subaru Okiya avrebbe potuto..." rifletté Megure ad alta voce.
"Impossibile" decretò il cameriere biondo. "È stato via per troppo poco tempo... Anche se si fosse introdotto nel bagno degli uomini dalla finestra, come avrebbe potuto mettere il veleno, per di più sul cellulare della vittima, liberarsi di eventuali prove e tornare indietro? Gli ci sarebbe voluto ben più di quei pochi istanti dopo i quali lo abbiamo visto rientrare... giusto, Conan?"
Il piccolo detective sgranò gli occhi. "Be'... immagino di sì".
"Inoltre, il signor Subaru non conosceva nemmeno Toichi Kurosu" precisò Kogoro. "Che movente avrebbe avuto?"
"Allora possono essere stati solo la signorina Furumura o il signor Matsumoto" concluse l'ispettore.
"Io?! Non mi sono mosso dal mio tavolo!"
"Be', lei e la vittima eravate amici e siete arrivati fin qui assieme" osservò Amuro. "Avrebbe potuto chiedere in prestito il cellulare del signor Kurosu con una scusa e metterci il veleno sopra, prima di entrare nel locale".
"E come potevo sapere quando l'avrebbe usato? Per di più, un cellulare si maneggia con le mani, non con la bocca... e quando si va a mangiare ci si lava col sapone più volte" replicò seccamente Matsumoto.
"Senta, il signor Kurosu era un tipo sempre nervoso?" domandò inaspettatamente Conan. L'amico della vittima storse il naso.
"Perché me lo domandi?"
"Ha notato che le unghie delle mani erano rosicchiate, specialmente quelle della destra" rispose Amuro. "In genere, chi si mangia le unghie lo fa per nervosismo... Era questo che volevi dire, Conan?"
"Ecco..." cominciò lui, senza proseguire.
"Dunque la vittima aveva quest'abitudine" mormorò Subaru. "Magari si mangiava le unghie mentre telefonava e il suo assassino, essendo a conoscenza di tale vizio, lo ha sfruttato a suo favore".
"Già" approvò Amuro.
"Che cosa state insinuando?" sbottò il signor Matusmoto. "Che possa aver architettato tutto io? Sì, Kurosu si mangiava spesso le unghie quand'era al telefono, ma io come avrei potuto non lasciare impronte, se avessi toccato il suo cellulare? Quella signorina ha i guanti, è più logico sospettare di lei!"
"Si calmi" disse l'ispettore Megure. "Stiamo solo facendo il nostro lavoro..."
"Ah sì? E da quando camerieri, clienti e mocciosi si occupano di indagini competenti alla polizia?"
"Ispettore!" L'agente Chiba raggiunse Megure in fretta, risparmiandogli l'imbarazzo di una risposta. "Abbiamo scoperto alcune cose interessanti sulla vittima... Pare che il signor Toichi Kurosu vivesse da solo e fosse rimasto vedovo da poco".
"Davvero?"
"Sì, era sposato con la signorina Tamako Matsumoto, morta suicida meno di un mese fa".
"Matsumoto?" ripeté l'ispettore incredulo. "Per caso..."
"Era mia sorella" confessò il signor Koji. "Sì, si è tolta la vita. Purtroppo... soffriva di problemi di depressione" soggiunse esitante.
"Be', può darsi che il signor Kurosu si sia suicidato per disperazione" suggerì Kogoro baldanzoso.
"Che idiozie. Aveva perfino una nuova fidanzata, perché mai avrebbe dovuto farlo?" ribatté Megure contrariato. "E in un locale, per di più..."
"Signor Matsumoto, lei per caso conosceva già la signorina Furumura qui presente?" s'informò Amuro.
"No, è la prima volta che la vedo. Non sapevo assolutamente che Kurosu avesse una fidanzata".
"Ad ogni modo, entrambi siete dei possibili indiziati" concluse Megure. "Acconsentite a una perquisizione?"
"Ehi!" La signorina Furumura s'inalberò nuovamente. "Vi ho già detto che non avrei mai ucciso Toichi!"
"Lei si era messa d'accordo con la vittima per un incontro nel bagno di questo locale... e ha trovato il corpo. Avrebbe potuto raggiungere il signor Kurosu, togliergli il cellulare dalle mani, magari con la scusa di abbracciarlo e baciarlo, e mettere il veleno sulla tastiera" ipotizzò Kogoro. "Visto che porta i guanti, non può aver lasciato le sue impronte..."
La signorina Furumura sembrava sul punto di esplodere. "Ma come si permette?!"
"Maestro Mouri, cerchi di andarci piano" sussurrò Amuro. "Non la offenda, abbiamo bisogno della sua collaborazione..."
"Be', se è proprio necessario perquisitemi" disse invece il signor Matsumoto. "Non ho nulla da temere..."
La signorina Furumura sbuffò, ma alla fine acconsentì anche lei alla perquisizione. Nella sua borsa vennero trovati soltanto il portafogli e il cellulare, in modalità 'silenzioso' con vibrazione, dov'era rimasta la chiamata ricevuta dalla vittima. Quanto al signor Matsumoto, si scoprì che nella tasca sinistra del cappotto aveva un paio di forbici, una coroncina creata con la carta e un foglietto un po' stropicciato; nella tasca destra c'erano il cellulare, la patente di guida e qualche spicciolo. Niente di più, nemmeno nei pantaloni o in qualsiasi altro posto.
"Come mai ha queste forbici in tasca?" chiese Takagi accigliato.
"Sarà stata la figlia di mia cugina a mettercele. E' una bambina, sa... Quella coroncina di carta l'ho fatta io, assieme a sua madre, e voleva che ne realizzassi un'altra per lei".
"Uhm... d'accordo".
Amuro fissava il signor Matsumoto, tenendo le braccia conserte; poco più in là, Subaru sorrideva appena, gli occhi che brillavano dietro le lenti. Conan rifletteva.
Ho individuato il colpevole, ma non ci sono prove per inchiodarlo... Per di più, non posso far entrare in azione Kogoro l'addormentato, è troppo rischioso in presenza di Amuro...
"Allora, maestro Mouri, non ha ancora capito chi è stato?" Il cameriere del Poirot si rivolse allegramente a Kogoro, tirandolo in disparte, lontano dalle orecchie della polizia. Lui parve un po' a disagio.
"Be', in realtà..."
"Andiamo, non mi tenga sulle spine! Un grande detective come lei..."
Maledizione, pensò Conan. Devo escogitare un piano...
"Non trovate che ci sia qualcosa di strano in questo caso?" esordì con aria innocente. "La signorina sembra avere gli strumenti adatti per aver commesso il delitto, i guanti... ma come avrebbe fatto ad assicurarsi che la vittima toccasse la tastiera del cellulare? Invece il signore avrebbe un movente, però..."
"Movente? Che movente?" esclamò Kogoro perplesso.
"Be', sua sorella si è suicidata ed era la moglie del signor Kurosu..."
"Sciocco! L'ha fatto perché era depressa" ribatté l'investigatore infastidito.
"Sì, ma potrebbe anche essere colpa della vittima" fece notare Amuro. "Magari la moglie aveva scoperto che lui aveva già una relazione con la signorina Furumura... Il signor Matsumoto può aver messo il veleno sul cellulare prima di entrare qui e, sapendo che la vittima avrebbe telefonato alla sua nuova fidanzata e che si mangiava le unghie per abitudine..."
"Ma come avrebbe fatto a non lasciare impronte?" chiese Kogoro.
"Con un paio di guanti, prontamente tagliuzzati e gettati nel water. Ha delle forbici in tasca, no?" azzardò Subaru.
"Geniale!" commentò Kogoro. "Il ragionamento non fa una grinza... però non abbiamo prove".
"Oh, lo faremo cantare con un po' d'astuzia" replicò Amuro. "Il nostro colpevole ha detto qualcosa che l'ha tradito..."


Masumi Sera spalancò il portone di Villa Suzuki e si precipitò dentro. In una delle stanze da letto trovò Kyoko Minamizawa in lacrime, attorniata da Hiroshi Shibata e Taisaku Dojima. Poco dopo, sopraggiunse anche Ayako.
"Cosa succede?" domandò preoccupata.
"Ho perso il mio braccialetto!" si lamentò Kyoko fra i singhiozzi. "L'a... l'avevo messo via subito dopo pranzo e..."
"Calmati, sarà qui da qualche parte..." disse Hiroshi in tono tranquillizzante. In quel momento arrivarono Ran e Kyosuke, agitati.
"C'è qualche problema?" s'informò il ragazzo con voce tesa.
"Kyoko ha perso il suo braccialetto" riferì Masumi. Caspita, le era preso un colpo, chissà cosa si era creduta! Kyosuke sembrava pensarla allo stesso modo.
"Accidenti, Kyoko! Ci stavi facendo venire un infarto e tutto per uno stupido gingillo!" brontolò.
"Stupido gingillo dici tu!" sbottò lei asciugandosi gli occhi. "Era molto importante per me, chiedi a tuo fratello..."
"Dai, lo ritroveremo". Hiroshi batté sulla spalla dell'amica con fare consolatorio.
"Lo hai cercato bene?" aggiunse Taisaku.
"Certo! Lo avevo lasciato nella sua scatola, qui in stanza, ma non c'è da nessuna parte!" Kyoko indicò il disordine della camera con gesto teatrale.
"Sei sicura che non ti sia caduto?" suggerì Ayako. "Era vecchio, no?"
"Sì, aveva l'interno del cinturino rovinato" disse Taisaku.
"Uhm... parli di quel braccialetto nero con un ciondolo appeso, vagamente simile a un orologio da polso, che portavi a pranzo?" chiese Masumi a Kyoko. Lei annuì.
"E quando te lo sei tolto?" incalzò la giovane investigatrice.
"Poco dopo che tu, Kyosuke e la tua amica siete usciti dalla villa".
"Capisco. Hai detto che l'hai posato qui nella sua scatola... e poi?"
"Sono tornata in salotto da Hiroshi e Taisaku" spiegò Kyoko. "Stavamo parlando..."
Masumi si girò verso i due ragazzi. "Qualcuno di voi si è allontanato durante la chiacchierata?" volle sapere.
"Io sono andato un attimo al bagno" ammise Hiroshi.
"E io in camera, a prendere il cellulare" confessò Taisaku.
"Tu, Ayako? Dove ti trovavi in quel momento?" proseguì insistente Masumi, fissando la sorella maggiore di Sonoko.
"Ero in cucina, stavo lavando i piatti".
"Perfetto. Io, Kyosuke e Ran non possiamo essere stati, visto che eravamo fuori a conversare. Stesso discorso vale per Sonoko e Kyogoku, che sono ancora al campo da tennis... In altre parole, può essere stato solo uno di voi tre a far sparire il braccialetto di Kyoko" dichiarò Masumi sicura.
Kyosuke si avvicinò a Ran. "Mouri... è questo il modo in cui si comporta Sera sulla scena del reato?" sussurrò. Ran sorrise, annuendo.
"Vedrai che scoprirà subito la verità".
"Lo immagino e sono impaziente di sentire le sue deduzioni".
"Ayako potrebbe essersi allontanata dalla cucina e nascondere il bracciale, ma qualcuno di voi l'avrebbe vista passare..." rifletté Masumi aggrottando le sopracciglia. "Kyoko, tu che sei stata sempre in salotto hai notato qualcosa?"
"No... ma va detto che davo le spalle alla porta. Hiroshi, Taisaku, voi avete visto niente?"
I ragazzi scossero la testa.
"Io non mi sono mai mossa dalla cucina" affermò Ayako. "E poi, per quale motivo avrei dovuto fare un dispetto a Kyoko? Non sapevo nemmeno che per lei quel braccialetto fosse così importante..."
"Lo è, eccome! Me l'ha regalato Hiroshi" rivelò Kyoko arrossendo. Il ragazzo parve un po' a disagio e abbassò la testa, mentre Taisaku si voltava dall'altra parte.
"Be', lo ritroveremo" tagliò corto Masumi. "Dopotutto, io sono un detective".
"Piuttosto, che ore sono?" domandò Kyosuke. "Avevo promesso a un mio amico che prima delle quattro gli avrei telefonato..."
Taisaku portò la mano al taschino della camicia, dove teneva il cellulare, ma poi guardò l'orologio che aveva al polso. "Sono le tre e venti" disse.
Ran vide che le labbra di Masumi si stiravano improvvisamente in un sorriso soddisfatto, lo stesso che compariva sul volto di Shinichi quando risolveva un caso. Forse...
"Ho capito chi ha preso il braccialetto!" annunciò infatti Masumi, trionfante.

Edited by Neiro Sonoda - 26/1/2015, 19:47
 
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-Sakura
view post Posted on 8/4/2014, 20:19     +1   +1   -1




CITAZIONE
"Ho capito chi ha perso il braccialetto!" annunciò infatti Masumi, trionfante.

"Kyoko, l'ha perso Kyoko! Ancora non ci sei arrivata?" risposero Ran e Sonoko, scioccate da cotanta stupidità.
"Cavolo, eppure sei una Detective!" disse Ayako, visibilmente sorpresa. "Non è che ci prendi per il fondoschiena, spacciandoti per Detective?"

---
Ci sono diversi errori, molto sparsi nel capitolo, oltre a questo.
Ma, nel complesso, è ben strutturato e scorrevole.
 
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Neiro Sonoda
view post Posted on 11/4/2014, 21:26     +1   -1




CITAZIONE (-Sakura @ 8/4/2014, 21:19) 
CITAZIONE
"Ho capito chi ha perso il braccialetto!" annunciò infatti Masumi, trionfante.

"Kyoko, l'ha perso Kyoko! Ancora non ci sei arrivata?" risposero Ran e Sonoko, scioccate da cotanta stupidità.
"Cavolo, eppure sei una Detective!" disse Ayako, visibilmente sorpresa. "Non è che ci prendi per il fondoschiena, spacciandoti per Detective?"

Ma lo sai che ci ho impiegato un po' per capire il senso di questa frase? Ah-ah, sono fusa... Grazie per avermi segnalato l'errore, vado subito a correggere
E grazie anche per il commento, socia! (Voglio vederti al capitolo 7, che... Ah, no, meglio non fare spoiler!)

Edited by Neiro Sonoda - 12/4/2014, 19:19
 
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Neiro Sonoda
view post Posted on 12/4/2014, 18:24     +1   +1   -1




Capitolo 4
Le soluzioni


Il detective Kogoro espose con aria calma e decisa la 'sua' teoria sull'omicidio del signor Toichi Kurosu e non si fece intimidire dalle proteste di Koji Matsumoto, almeno non all'inizio. Tuttavia, quando questi lo accusò di aver formulato delle deduzioni che non potevano essere provate, il famoso investigatore cominciò a tentennare. Fu allora che Tooru Amuro prese in mano la situazione, come se non avesse aspettato altro.
"La smetta di fingere" intimò. "Sappiamo tutti che le cose sono andate come ha detto il detective... Lei ha ucciso il signor Kurosu spalmando il veleno sulla tastiera del suo cellulare, perché sapeva che lui aveva l'abitudine di mangiarsi le unghie mentre telefonava".
"Non potete dimostrarlo" ribatté Matsumoto.
"Ma davvero? Mi spieghi una cosa: lei ha dichiarato di non conoscere affatto la signorina Furumura qui presente, giusto?"
"Sì e allora?" replicò Matsumoto sulla difensiva.
"Come mai non si è minimamente sorpreso quando l'ispettore ha detto che il signor Kurosu aveva fatto una telefonata proprio alla signorina, la quale ha confessato di essere la fidanzata della vittima? Sarebbe stato più logico dare segni di stupore, visto che lei e Kurosu eravate amici e lui era rimasto vedovo da meno di un mese".
Udendo quel discorso, Koji Matsumoto arrossì, visibilmente a disagio, e non seppe cosa replicare. Amuro sorrise con sicurezza.
"Non si è sorpreso perché in realtà lei sapeva benissimo che rapporti c'erano tra la vittima e la signorina" disse. "Sapeva che il signor Kurosu doveva fingere di andare al bagno e fare qualche squillo alla sua nuova fidanzata, affinché s'incontrassero clandestinamente... per questo ha potuto mettere il veleno nel posto più opportuno. Come ha dedotto il detective Mouri, lei ha chiesto in prestito il cellulare alla vittima prima di entrare qui, probabilmente col falso pretesto di fare una telefonata; quando vi siete seduti al tavolo, lei si è alzato per andare in bagno e ha fatto a pezzi con le forbici che tiene in tasca i guanti di cui si era servito per maneggiare il telefonino di Kurosu e il veleno. Intorno alle tre, ricevendo la chiamata della vittima, la signorina Furumura ha sentito vibrare il proprio cellulare e si è precipitata nel bagno degli uomini, come d'accordo. A quel punto ha trovato il cadavere".
Il signor Matsumoto stava tremando violentemente. Non riusciva a sostenere lo sguardo di nessuno dei presenti, tanto meno quello penetrante di Amuro. Deglutì.
"Lei ha commesso questo omicidio per vendicare la morte di sua sorella, suicidatasi circa un mese fa" riprese il cameriere biondo. "Non è forse così? Lo confessi".
Scese un silenzio carico di trepidazione. Kogoro fece cenno agli agenti e all'ispettore di stare zitti, aspettando ansiosamente che Matsumoto dicesse qualcosa. Amuro, dal canto suo, sembrava più che convinto dell'imminente resa del colpevole; infatti...
"È la verità, sono stato io" mormorò alla fine il signor Matsumoto con voce roca. "Ho dovuto farlo... Quel verme non meritava di vivere!" aggiunse rabbioso, stringendo i pugni.
La signorina Furumura taceva, fissando l'amico del suo fidanzato, le labbra serrate. Matsumoto continuò: "La morte di Tamako... Kurosu non ha versato una lacrima, dopo. Eppure era sua moglie! Ma a lui non importava... Le ha comunicato di volerla lasciare perché preferiva un'altra donna e non ha provato il minimo rimorso sapendo che Tamako si era suicidata, pur con la consapevolezza che lei l'aveva fatto per la disperazione di essere stata abbandonata!” Il signor Matsumoto si passò il dorso della mano sugli occhi, frustrato e affranto. "Non potevo permettere... che colui che ha causato la morte di mia sorella... continuasse a vivere e fosse felice senza di lei" sussurrò poi, scrollando la testa con fare disperato. "Era mio dovere intervenire..."
"Basta così. Il resto alla centrale" disse Takagi serio, mentre due suoi colleghi ammanettavano il colpevole. Un attimo dopo, la polizia abbandonò rapidamente il Caffè Poirot.

"È stato Taisaku". Masumi parlò senza esitazione, sotto lo sguardo stupito degli amici di Sonoko.
"Ehi! Come fai a dirlo?" obiettò Ayako sbattendo le palpebre. Inizialmente, la risposta fu soltanto una scrollata di spalle.
"Semplice deduzione" aggiunse poi Masumi. "Il braccialetto è nascosto nel taschino della sua camicia... Non è vero, Taisaku?"
L'interessato assunse un'espressione risentita. "No, è un'assurdità" replicò.
"Be', in tal caso non ti dispiacerà darcene una prova" commentò Masumi, sorridendo astutamente. Taisaku non si mosse e Hiroshi, spazientito, gli infilò una mano nel taschino.
"Ehi! Che stai..."
"C'è il cellulare... e il bracciale di Kyoko, proprio come sostiene Sera" affermò il fratello di Kyosuke.
"Oh, grazie al Cielo!" Kyoko si precipitò a riprendere il suo tesoro, mentre Ayako esclamava stupefatta: "Come lo hai capito, Sera?"
"Ho notato che Taisaku, quando stava per tirare fuori il cellulare per informarci sull'orario, ha esitato e ha guardato il suo orologio da polso... Questo mi ha fatto supporre che stesse nascondendo qualcosa nel taschino" spiegò Masumi. "Dato che la sua camicia è bianca, se il cellulare fosse stato tolto, ci saremmo accorti subito della presenza di qualcosa di scuro... ovvero il braccialetto".
"Sei in gamba!" esclamarono Kyosuke e Hiroshi in coro. Taisaku s'imbronciò.
"Perché l'hai fatto?" lo interpellò Kyoko con voce dura. "Sapevi quanto fosse importante per me..."
"Certo, solo perché te l'ha regalato Hiroshi! Non fosse stato per questa ficcanaso che mi ha scoperto, io avrei ridotto in pezzi quello stupido braccialetto, così non l'avresti mai ritrovato!" E con queste parole aspre e scorbutiche, Taisaku uscì dalla stanza di Kyoko, urtando di proposito la spalla di Hiroshi. Kyoko si fece scura in volto.
"Non badate a lui... È sempre stato un po' fissato, crede che tra me e Hiroshi ci sia qualcosa".
"Ma non è così" si affrettò a precisare il fratello di Kyosuke, sebbene il suo tono suonasse tutt'altro che convincente. "Noi... siamo solo amici".
"Be', direi che ci vuole un bel tè adesso". Ayako cambiò argomento, ansiosa di riportare completamente la pace negli animi. "Io lo bevo sempre molto presto... A voi va?"
"Perché no?" approvò Hiroshi. "Chissà che non abbia un'azione calmante su Taisaku..."
"Ti aiuto a prepararlo, Ayako" si offrì Kyoko.
"Allora io e gli altri andiamo di là, in salotto" disse Kyosuke. "Così telefono al mio amico..."
Ayako fece un cenno affermativo col capo. "D'accordo".
Il resto del sabato trascorse senza avvenimenti particolari. La sera, Sonoko insistette per organizzare una piccola festa; era allegra e spumeggiante come non mai, pienamente soddisfatta del suo 'incontro di tennis' con Makoto. Propose addirittura a Ran e Masumi di indossare due abiti eleganti che aveva portato con sé per ogni evenienza.
"Dato che voi siete sprovviste... Io ho già il mio e credo che mia sorella e Kyoko sapranno organizzarsi. Che ne dite?"
Masumi declinò l'offerta: "No, grazie. Non mi ci vedo con un abito da sera".
"Ma dai, per una volta... Il verde dovrebbe starti bene!" insistette Sonoko, agitando il vestito sotto gli occhi dell'amica. Era piuttosto corto e attillato in vita, con la gonna stretta, una scollatura circolare bordata d'oro e una cintura nera da portare come tocco in più, affinché l'insieme non apparisse troppo semplice. Masumi, però, non voleva saperne d'indossarlo.
"Non ho nemmeno la tua stessa taglia... Lascia che metta i miei vestiti".
"Ma che stai di..." Sonoko non riuscì a terminare la frase perché Ran tossicchiò sonoramente, assumendo un'aria di rimprovero e al tempo stesso un po' allarmata. "E va bene, se proprio pensi che non faccia per te..." si rassegnò la minore delle sorelle Suzuki, con un lungo sospiro.
Masumi annuì. "Vado in camera a vedere cosa posso recuperare. A dopo" salutò, allontanandosi in fretta.
Sonoko si rivolse a Ran: "Pensi che io l'abbia messa a disagio?"
“No, però è meglio non insistere. Certo, quel vestito le avrebbe donato…”
“… Se solo avesse un po’ di seno in più” completò Sonoko.
“Ehi! Non era questo che volevo dire!” protestò Ran.
“Però è il motivo per cui mi hai bloccato, poco fa. Non volevi che dicessi ad alta voce quanto sia scarso il décolleté di Sera…”
“Insomma, basta. Lei è carina anche così” ribatté Ran un po’ brusca.
“D’accordo, d’accordo. Allora, tu accetti il mio prestito? Ho un vestitino bianco che sembra fatto apposta per te” assicurò Sonoko.
“Be’… fammelo vedere, prima”.
“Ovvio! Eccolo qua”.
L’abito in questione aveva due sottili bretelline, il corpetto stretto ricamato, una gonna non troppo ampia che arrivava poco sopra il ginocchio e una rosa bianca di stoffa sul lato destro, all’estremità di una fascia cucita a mo’ di cintura.
“Me lo hanno regalato qualche anno fa, ma non l’ho mai messo, non è il mio genere… Ti piace?”
“Uhm, non c’è male. Piuttosto, come mai hai fatto scorta di tutti questi abiti da sera, Sonoko?” chiese Ran.
“Avevo già in mente da un pezzo l’idea della festa, ma non sapevo se metterla in pratica, così…”
“Uff… avrei dovuto immaginarlo”.
“E non dirlo con quel tono! Ci divertiremo un mondo, vedrai!”
Una volta abbellita adeguatamente la villa e sgomberato il salotto per adibirlo a pista da ballo, la festa poté cominciare. Ayako si era di nuovo data da fare in cucina e c’era un buffet delizioso, Hiroshi e Kyosuke si occupavano di animare l’atmosfera con la musica e perfino Taisaku aveva smesso di tenere il broncio, contagiato dal buonumore generale. Ran, che stava passeggiando per il salotto, il vestito bianco addosso e i capelli tirati su da un lato della testa con un fermaglio, aspettava impaziente che le sue amiche scendessero dal piano superiore.
Quanto ci mettono? Spero che Sonoko non ne stia combinando una delle sue…
Anche Makoto attendeva l’arrivo della sua ragazza, appartato in un angolo della stanza. Ran ponderò l’ipotesi di andare a parlare con lui per ammazzare un po’ il tempo, quando finalmente…
“Eccoci!” annunciò Sonoko con un sorriso smagliante. Indossava un mini-abito marrone aderentissimo, con la scollatura ornata di paillettes, abbinato a scarpe nere con i tacchi e a una fascia scura tra i capelli.
Oh-oh… Mi sa che Kyogoku non approverà un vestito così corto e appariscente, registrò mentalmente Ran. Dietro Sonoko fece capolino Masumi; tutti restarono a bocca aperta nel vederla con il famoso abito verde addosso e applaudirono entusiasti.
“È riuscita a convincermi” sospirò la giovane detective, una volta raggiunta Ran. “Alla fine ho dovuta dargliela vinta, anche se non volevo…”
“L’avevo pregata di non esagerare” rispose Ran. “È sempre la solita… Comunque, va detto che stai davvero bene. Gli stivali sono i tuoi?”
Masumi annuì.
“Be’, danno un tocco molto personale” commentò Ran con aria di approvazione. “Neri, alti fino al ginocchio…”
“Miei e si vede” concluse Masumi sorridendo. “Quanto al vestito, sono bastate delle spille da balia nei punti giusti…”
Le due amiche trascorsero gran parte della serata assieme; Sonoko era troppo impegnata con Makoto per far loro compagnia, mentre i due fratelli Shibata erano alle prese con chitarre e dischi di musica e Kyoko chiacchierava spensieratamente, sia con Ayako che con Taisaku. L’'incidente' del braccialetto sembrava dimenticato.
“Che ne dici di andare a prendere una boccata d’aria?” esclamò Masumi a un certo punto. “Sto scoppiando di caldo…”
“Buona idea” assentì Ran.
Uscirono dal portone principale, camminando lungo il viale alberato. Ran, che aveva le spalle scoperte, iniziò a tremare dal freddo.
“Uhm… c’è un po’ troppa differenza di temperatura, non trovi?” osservò rabbrividendo.
“Sì, forse dovremmo rientrare… Guarda che belle stelle, però”.
Ran rovesciò la testa all’indietro e s’incantò a fissare la volta celeste, una distesa scura punteggiata di piccole luci bianche. “Hai ragione, è meraviglioso. Una sera di tanto tempo fa, quando ero bambina, io e Shinichi ci siamo divertiti a contare le stelle…” rammentò, con espressione nostalgica.
“È un peccato che non sia qui” ammise Masumi. “So che ci tenevi a rivederlo…” Lanciò un’occhiata in tralice all’amica, per studiarne la reazione. Ran abbassò lo sguardo.
“Sì, be’… siamo amici da anni…” si limitò a dire.
“È molto più di un amico per te. Non devi fingere il contrario” replicò Masumi con schiettezza. “Anzi, penso proprio che anche lui sia innamorato, sai?”
Ran arrossì. “D-di me?”
“E di chi altri, scusa?”
“Sera” – Ran trasse un lungo respiro – “tu non…”
“Non lo conosco abbastanza? È vero, ma so quello che mi ha detto Sonoko su di voi… Ran, lui ricambia i tuoi sentimenti, credimi”.
Scese un lungo silenzio. Masumi guardava Ran, come in attesa che confermasse quelle parole.
“Vorrei tanto” mormorò lei a un certo punto.
“Cosa?”
“Crederti” rispose Ran, giocherellando con la rosa di stoffa dell’abito che portava. “Però non sono più sicura di niente, ormai… L’unica cosa che so è che Shinichi si sta allontanando sempre più da me, perché mi nasconde qualcosa”.
Anche se a volte lo sento così vicino… ma è una sciocca illusione, basata su una teoria fantascientifica, pensò con amarezza. Masumi sgranò gli occhi.
“Allora è per questo che tu…”
“Ehilà!” La voce di Kyosuke fece sobbalzare le due ragazze, che si girarono e lo videro uscire dalla villa per raggiungerle. “Che combinate qui fuori? Adesso si balla!”
“Ballare?” esclamò allibita Ran, che aveva alzato di colpo la testa.
“Che ti aspettavi? È una festa in piena regola!” disse Kyosuke, fermandosi accanto a lei e a Masumi. “Kyoko e Ayako si stanno già scatenando, sapete”.
“Buon per loro” fu il commento asciutto di Masumi. Kyosuke la fissò.
“Non vorrai dirmi che preferisci stare qui al freddo, vero?”
“No, ma…”
“E allora vieni, che aspetti?”
“D’accordo, verremo” cedette Ran. Kyosuke parve soddisfatto.
“Le mie due ragazze preferite… Sentite, posso chiamarvi per nome, invece che per cognome?”
“Oh”. Ran assunse un’espressione vagamente perplessa. “Certo, se vuoi… Per me va bene”.
“Ottimo! Allora… avrò il piacere di riaccompagnarti in sala, Ran” dichiarò Kyosuke pomposo, strizzando l’occhio e offrendo il braccio. Poi tese l’altro e aggiunse: “Lo stesso vale per te, Masumi”.
“Ehi, vacci piano” lo avvertì lei. “Sono poche le persone che possono chiamarmi per nome”
Ran guardò l’amica, convinta che stesse scherzando, ma vide con stupore che aveva la faccia scura. Sbatté le palpebre, confusa.
“Una di queste… non so nemmeno che fine abbia fatto” udì che diceva Masumi in un bisbiglio cupo, mentre si allontanava in fretta in direzione del portone, lasciando Kyosuke totalmente sbigottito.
“Ehi! Che cavolo le prende?” si domandò il ragazzo ad alta voce, grattandosi la testa incredulo.
“Non ne ho idea”. Ran era disorientata quanto lui.
“Be’, spero che le passi. Noi intanto andiamo a ballare, ti va?”
Ran provò un’improvvisa sensazione di calore alle guance. Rifiutò il braccio di Kyosuke: “Io non ballo”.
“Vuol dire che sei già fidanzata?” chiese il ragazzo, un’ombra di delusione negli affascinanti occhi scuri. “Anche tu, come Sonoko…”
“N-no, certo che no!” balbettò Ran, presa in contropiede.
“Però c’è qualcuno che ti piace, dimmi la verità… Ogni tanto, ho visto un’espressione molto assorta sul tuo viso”.
“È solo un amico” si lasciò sfuggire Ran. “Ci conosciamo da una vita e…”
“Un amico, già. Come mio fratello lo è per Kyoko… Non farmi ridere”.
Il volto di Ran era in fiamme. Ormai non sentiva più tanto freddo… Kyosuke, invece, adesso sembrava divertito. “Come si chiama?” volle sapere.
“N-non…”
“Dai, dimmelo! Per favore, giuro che manterrò il segreto”.
L’espressione di Kyosuke era accesa di curiosità, il suo sguardo non mollava quello di Ran neppure per un istante; lei sospirò, rassegnata.
“Shinichi” confessò infine. Solo pronunciare quel nome le fece aumentare il battito del cuore.
“Uhm… bel ragazzo?”
I suoi occhi sono come l’oceano, pensò Ran. La sua voce è calda come un piumone in una notte di neve. A volte, un suo piccolo gesto è capace di rassicurarmi…
“Un po’ dispettoso” disse invece. Kyosuke scoppiò a ridere.
“E che c’entra, scusa?”
“Comunque è un amico. E basta” troncò Ran in tono definitivo, avviandosi verso l’ingresso della villa. Senza aggiungere altro, Kyosuke la seguì.
Ritrovarono Masumi, che sembrava tornata di buonumore, e alla fine Ran si decise a ballare un po’. Tutto sommato, fu una serata piacevole e divertente per ognuno dei presenti… Anche Makoto, nonostante il predicozzo fatto a Sonoko per il vestito troppo corto, fu felice ci passare altro tempo assieme a lei.
Dopo mezzanotte, quando andarono a dormire, Ran fu tentata dall’idea di chiedere spiegazioni a Masumi per il suo strano comportamento, ma ci rinunciò. L’amica sembrava serena e lei non voleva turbarla… Scambiarono perfino qualche battutina.
“Kyosuke ha scoperto che frequentiamo il Liceo Teitan e sostiene che la sua scuola superiore sia poco distante… Ha detto che ci verrà a trovare, quindi preparati a un suo corteggiamento serrato” scherzò Masumi, infilandosi nel letto.
“Uhm… non sono sicura di essere io la sua vittima. Sbaglio, o non staccava gli occhi da te, quando ballavi?” insinuò Ran, mentre si toglieva il fermaglio dai capelli.
Risero entrambe, si augurarono la buonanotte e spensero la luce. Qualche pensiero triste le aveva colte durante la giornata, ma per fortuna avevano trovato il modo di distrarsi.

Tooru Amuro finì di guardare il filmato e spense il suo computer portatile, per poi abbassare lo schermo.
Qui c’è qualcosa che non torna… ma non capisco cosa…
Forse era il momento di passare al contrattacco. Bisognava giocarsi il tutto per tutto e aspettare i risultati.
Sfrutterò quella persona… È l’unico modo per arrivare alla verità.
Tirò fuori il cellulare dalla tasca dei pantaloni e compose velocemente un numero.
“Pronto? Sì, Sakè, sono io. C’è una persona che devi tenere d’occhio su mio ordine, ti invierò una foto e alcune informazioni via mail. Sta’ attento che non ti becchino, non abbiamo a che fare con un bersaglio facile. Hai capito?”
La risposta affermativa, pronunciata da una voce roca e sgradevole, tranquillizzò Amuro, che chiuse la comunicazione e sorrise soddisfatto. Il momento di scoprire le carte sul tavolo era vicino.





Chi sarà mai l’obiettivo del nostro caro Bourbon? Aspettate e vedrete :D

Edited by Neiro Sonoda - 26/1/2015, 19:49
 
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Neiro Sonoda
view post Posted on 13/4/2014, 21:44     +1   +1   -1




Non c'è niente da fare, mi è venuta proprio la frenesia con "Reduci"... Casco male, visto che in questo periodo nessuno si fa vedere molto nella sezione Fanfiction... e rischio di guastare il senso di attesa generato dal capitolo 4 Siccome però ho battuto il 5 e non vedevo l'ora di postarlo... eccolo qui!
Buona lettura!





Capitolo 5

Imprevisti


“E così c’è stato un omicidio proprio al Caffè Poirot? Ed era presente il signor Subaru assieme a te?” esclamò Ai il lunedì mattina, al ritorno da scuola.
Conan annuì. “Per fortuna il caso è stato risolto in fretta e Amuro ha preso in mano la situazione. Il signor Subaru non si è fatto notare” spiegò.
“Uhm”. La piccola scienziata aggrottò la fronte, meditabonda. “E tu?” chiese all’improvviso.
“Io cosa?”
“Sei stato attento a non attirare gli sguardi di quel Bourbon, vero?”
“Ho fatto del mio meglio” garantì Conan. E non è stato facile, aggiunse fra sé.
“Bene” disse Ai con voce neutra. “Senti un po’, Kudo…” esordì poi, guardando Conan con una certa attenzione.
“Sì?”
“Quel Subaru… è molto bravo a fare deduzioni, giusto? Non sarà per caso… un detective in incognito che sta indagando sull’Organizzazione?”
L’espressione di Conan si rabbuiò appena. “Come mai t’interessa?”
“Be’, mi sembra più che lecito” ribatté Ai, senza smettere di scrutare l’amico come se stesse analizzando un composto chimico. “L’hai coinvolto nel tuo piano sul treno, no? Significa che ti fidi di lui”.
“Ti ho già detto che Subaru è dalla nostra parte, Haibara” replicò Conan un po’ secco..
“E ti sembra una risposta soddisfacente?”
“Che altro vorresti sentire, scusa?”
Ai fece un respiro profondo e si fermò sul marciapiede. “Ascoltami bene, Kudo: questa storia non mi piace affatto. Sono stanca di essere tenuta all’oscuro dei tuoi cosiddetti piani, specialmente se prevedono il mio diretto coinvolgimento. Sono stata chiara?”
Conan, che si era fermato a sua volta, alzò gli occhi al cielo. “D’accordo, d’accordo. Terrò presente la tua opinione, va bene?”
“Be’, me lo auguro”. Ai lanciò un’occhiata all’entrata della farmacia lì accanto e aggiunse, cambiando argomento: “Devo comprare alcune pastiglie per la gola per il dottor Agasa… Mi fermo qui”.
“Vuoi che ti aspetti?” propose Conan amichevolmente. “Tanto non ho fretta”.
Ai scosse il capo. “No, vai pure. A domani”.
“Sei sicura? Non mi garba che tu gironzoli da sola” disse lui, ma la risposta fa una risatina sommessa.
“Mica sono nata ieri. E poi la casa del prof. non è molto lontana da qui” affermò infine Ai, tornando seria.
Conan fece una piccola smorfia. “Come preferisci. Ah, più tardi devo passare dal dottor Agasa per cambiare la batteria del mio orologio-torcia… Ci vediamo dopo” esclamò. Ad un cenno di Ai, rispose agitando la mano e si voltò per andarsene.
La piccola scienziata lo guardò allontanarsi, appoggiata al muro adiacente alla farmacia, le mani affondate nelle tasche del cappotto. Un fugace sorriso si dipinse sulle sue labbra: anche se non l’avrebbe mai ammesso, le faceva piacere quando Conan si preoccupava per lei. Per molti anni, durante la sua vita, era stata abituata a stabilire rapporti freddi con le persone… Quando qualcosa non andava, le toccava arrangiarsi da sola, perché nessuno l’avrebbe mai aiutata senza volere niente in cambio, né tanto meno confortata. L’unica che era stata capace di mostrarle un modo di vivere alternativo era sua sorella Akemi, la quale, nonostante fosse cresciuta nel clima di illegalità e oscura segretezza che circondava l’Organizzazione, proprio come lei, aveva sempre un sorriso e una buona parola da rivolgerle. I suoi modi erano pieni di calore, la sua voce le infondeva serenità e speranza, speranza che un giorno sarebbero state entrambe libere dalla morsa degli Uomini in Nero. Akemi era stata un raggio di sole per Ai, la sola persona che l’avesse fatta sentire amata e avesse sempre tentato il possibile per starle vicina. Ogni tanto le aveva rivolto anche dei rimproveri, sia pure affettuosi, per cercare di spronarla a uscire dal guscio e diventare più socievole… ma Ai non c’era mai riuscita. Sapeva di non essere come sua sorella, sia per natura che per colpa delle circostanze, e aveva sempre continuato a mascherare le emozioni. Tuttora lo faceva, nonostante avesse la possibilità di lasciarsi andare, nonostante fosse attorniata da persone che le volvevano bene e l’avevano accettata, senza giudicarla minimamente in base al suo passato…
Be’, in realtà non era stato proprio così. Ricordava perfettamente il giorno in cui aveva conosciuto Conan e lui l’aveva accusata di essere un’assassina (al contrario del dottor Agasa, che l’aveva accolta amorevolmente sin da subito); quelle parole l’avevano ferita molto, anche se si era sforzata di non darlo a vedere. Eppure, non ci era voluto chissà quanto perché lui le offrisse il proprio appoggio e la propria protezione… come se non avesse mai pronunciato quelle frasi, come se lei fosse stata sua amica da sempre. La affascinava questo suo lato determinato e protettivo.
La affascinava e la sorprendeva, perché non avrebbe mai creduto che, dopo la morte di Akemi, qualcuno potesse prendersi cura di lei. Invece Conan lo aveva fatto e continuava a farlo, dimostrandole che non era rimasta sola al mondo e che esistevano ancora persone disposte a starle accanto, nonché a combattere contro coloro che tanto a lungo l’avevano sfruttata per poi togliere la vita a sua sorella come se niente fosse. Per la verità Ai non credeva che l’Organizzazione potesse davvero essere sconfitta, ma sapere che esisteva qualcuno pronto a lottare per distruggerla le dava coraggio. A suo modo, aveva sempre cercato di sconsigliare a Conan di andare allo sbaraglio contro gli Uomini in Nero, proprio perché temeva che fosse una causa persa; però, vederlo tutto animato quando si presentava qualche occasione di fronteggiarli faceva nascere nel suo cuore una piccola fiammella. Forse, si ripeteva nel suo intimo, non era una cosa tanto impossibile…
Naturalmente, si guardava bene dal dirlo a lui. Non voleva che, in tal modo, diventasse troppo sicuro di sé… Già lo era e questo non costituiva un fatto positivo, non sempre. Inoltre, lei era troppo avvezza a mantenere una barriera attorno a sé e quel discorso sarebbe potuto scivolare su qualcosa di decisamente imbarazzante… I suoi sentimenti per lui.
Lei stessa era confusa di fronte alle emozioni contrastanti che si agitavano nel suo animo quando si trovava con Conan. Certo, ormai aveva fatto l’abitudine alla sua presenza, dato che si vedevano praticamente ogni giorno, ma alcuni comportamenti di lui… la disorientavano. Rammentò l’occasione in cui le aveva prestato i suoi occhiali, assicurandole che in tal modo nessuno l’avrebbe riconosciuta… Glieli aveva adagiati sul naso con un sorriso complice, per poi regalarle un occhiolino e dirle: “Sono occhiali speciali, da fare invidia anche a Clark Kent!”
Sempre sorridendo a fior di labbra, Ai ricordò come il suo cuore, per un attimo, avesse pompato più forte dopo quelle dimostrazioni di affetto e sostegno… e come, quando Conan l’aveva portata faticosamente sulle spalle perché lei era ferita e semi-incosciente, si fosse sentita al sicuro, nonostante il dolore e lo sfinimento. Non avrebbe voluto essere in nessun altro posto in quel frangente, non senza di lui.
Eppure, c’erano momenti in cui non lo sopportava. Come adesso, per esempio. Perché si ostinava a tenerle nascosto chi fosse in realtà quel Subaru? Cosa sapeva di lui?
Sciocco… Sempre fissato a proteggere gli altri, cercando di tenerli fuori dalle situazioni potenzialmente pericolose, senza mai spiegare nulla, o quasi…
Faceva così con tutti, ormai lei lo aveva capito. Era il suo modo per esprimere il proprio affetto…
E io? Io come dimostro quello che provo per gli altri?
Be’, con Ayumi, Genta e Mitsuhiko era sempre cordiale… A volte un po’ distaccata, ma loro le volevano bene lo stesso. Ayumi, soprattutto, le era particolarmente affezionata, tant’è che lei la considerava ormai quasi una sorellina. Il rapporto con Conan era diverso, più complesso e sfaccettato, in quanto lui era a conoscenza dei suoi trascorsi e della sua vera identità, al contrario dei bambini. Per questo motivo Ai non sapeva bene come inquadrarlo…
Sono innamorata?
Più volte si era posta questa domanda, sebbene il lato più freddo e razionale della sua mente fosse portato a censurare interrogativi simili. Ad ogni modo, non era mai riuscita a trovare una risposta soddisfacente.
Forse ho bisogno di lui… ma è poi tanto diverso?
L’unica cosa sicura era che, negli ultimi tempi, si sentiva un po’ meno incerta sulle proprie gambe, nonostante la presenza di quel Bourbon… Si era abituata alla sua nuova vita, in poche parole, anche se la consapevolezza di costituire un bersaglio per l’Organizzazione era sempre presente dentro di lei; forse dipendeva dal fatto che, ora come ora, gli Uomini in Nero erano convinti che fosse morta nell’esplosione avvenuta sul Bell Tree Express. C’era solo da sperare che non scoprissero la verità, almeno per un bel po’…
Altre cose la turbavano, in tutta onestà; oltre ai vari interrogativi sulla reale identità di Subaru Okiya, la rendeva inquieta il pensiero di Masumi Sera, quella strana ragazza che aveva incontrato sul treno, amica di Ran Mouri. Aveva provato una brutta sensazione di fronte a lei e ancora non sapeva spiegarsi da cosa fosse originata… Si augurò di non rivederla tanto presto.
Be’, basta rimuginare… Sarà meglio che vada a comprare le pastiglie per il professore…
Come al solito spettava a lei curarlo, ma bisognava ammettere che l’anziano scienziato faceva lo stesso nei suoi confronti. Si preoccupava per la sua salute, per la sua sicurezza… per la sua felicità. Era la persona più vicina a un padre che Ai avesse mai conosciuto e, in fondo al cuore, lei serbava la convinzione di non poter più fare a meno di lui.
Entrò in farmacia, comprò ciò che doveva procurarsi e infine prese la strada verso l’abitazione del professore… Quella che ormai, a tutti gli effetti, era casa sua.

Conan stava percorrendo il tragitto verso l’Agenzia Investigativa Mouri quando s’imbatté in Ran, Sonoko e Masumi, che tornavano da scuola.
“Ehi!” le salutò, agitando la mano nella loro direzione. “Ciao!”
“Ma guarda, il moccioso!” commentò Sonoko, mentre Ran e Masumi sorridevano con aria complice al piccolo detective. Quando le raggiunse, Ran si chinò verso di lui, chiedendogli: “Com’è andata oggi?”
“Oh, tutto normale” assicurò Conan noncurante. “E voi?”
“Idem” rispose Ran tirandosi su. “Allora, torniamo a casa insieme? Sera, Sonoko, potete fermarvi un po’ da me se vi va”.
Sonoko stava per aprir bocca, ma un grido improvviso fece voltare bruscamente tutti e quattro: “Ehilà, ragazze!”
Kyosuke Shibata correva verso di loro, i capelli neri scomposti e un’uniforme blu addosso, probabilmente quella del suo liceo. Sorrise allegramente alle tre amiche, un sorriso talmente aperto e contagioso da spingerle a ricambiare all’istante.
Conan aggrottò le sopracciglia. “E lui chi sarebbe?” domandò, rivolgendosi a Ran.
“È Kyosuke Shibata, il fratello di un amico di mia sorella” spiegò Sonoko. “Ci siamo conosciuti sabato”.
“Eh, già” confermò Kyosuke. “Vi avevo promesso che sarei passato a farvi una visitina, no? Ero andato di fronte al vostro liceo, ma praticamente non c’era più nessuno, così…” Si sistemò rapidamente i capelli e osservò Conan incuriosito. “Chi è questo bambino? Il fratellino di una di voi?”
“In un certo senso” disse Ran. “Si chiama Conan Edogawa, vive a casa mia da qualche tempo”.
“È un po’ la nostra mascotte” scherzò Masumi, scompigliando i ciuffi ribelli di Conan, che si accigliò ancora di più.
Ehi, che vuole questa?
“Capisco. Be’, che ne dite di uscire insieme, stasera? Potremmo andare in qualche locale carino” propose Kyosuke, rivolto alle tre ragazze. “Io sono libero e voi?”
“Ottima idea!” approvò Sonoko con voce argentina. “Ci sto!”
“Ehi, ti sei dimenticata quanti compiti abbiamo?” la rimproverò Masumi. “Credo sia meglio fare un altro giorno” soggiunse, guardando Kyosuke. “Sai, con più calma…”
Sonoko s’imbronciò; era più che evidente che i compiti erano il suo ultimo pensiero, in quel momento. Kyosuke si focalizzò su Ran, forse sperando in una risposta positiva al proprio invito: “E tu che ne dici?”
“Be’, purtroppo abbiamo tanto da studiare, Sera ha ragione…”
“È proprio un no, sei sicura?” Kyosuke scoccò a Ran uno sguardo seducente e lei arrossì lievemente, con non poco dispetto di Conan.
“S-sono sicura”.
“Sarà per un’altra volta” rincarò Masumi.
“Uhm…” Kyosuke corrugò la fronte, soppesando l’idea. “Ma sì, avete ragione, tanto non abbiamo fretta. A presto, ragazze!”
Sonoko ricambiò il saluto. Ran stava per fare altrettanto, mentre lasciava la presa di una mano sulla cartella per ricacciare indietro una ciocca di capelli, finitale sul volto, quando Kyosuke compì un gesto del tutto inatteso. Afferrò con gentilezza il polso di Ran, le tirò su la manica della camicia bianca e scrisse rapidamente un numero di telefono sul suo avambraccio, prendendo una penna che teneva infilata sopra l’orecchio.
“Questo è il mio cellulare… e aggiungo anche il mio indirizzo e-mail” dichiarò, strizzando l’occhio a un’attonita Ran, che non era riuscita ad articolare alcuna frase di senso compiuto. “Chiamatemi, quando volete uscire. Ci vediamo!” Fece l’occhiolino anche a Masumi e a Sonoko, sbalordite quasi quanto Ran, e si dileguò in tutta fretta, sotto lo sguardo torvo di Conan.
“Che tipo!” ridacchiò Sonoko. “Faresti meglio a salvarti il numero e l’indirizzo e-mail sul cellulare, prima che si cancellino dal tuo braccio, Ran”.
“Cosa? Oh, sì, naturalmente” rispose lei, cominciando a camminare. La sua migliore amica la seguì assieme agli altri due, osservandola per un attimo, poi sentenziò: “Mi sa che Shinichi deve cominciare a preoccuparsi”.
Conan trasalì. Le guance di Ran s’imporporarono all’istante e lei protestò: “Sonoko!”
“Kyosuke mi sembra parecchio interessato a te… Non sei d’accordo anche tu, Sera?”
“Bah”. Masumi non pareva molto convinta e Sonoko la fissò, un po’ infastidita.
“Cosa intendi con quel ‘bah’?”
“Kyosuke è gentile con tutti” replicò la giovane investigatrice con un’alzata di spalle. “Se proprio devo parlare con onestà, non mi sembra che ci provi con qualcuna in particolare… e poi Ran ha altro a cui pensare, vero, Conan?”
“E questo che significa?” ribatté Sonoko. “Dato che Shinichi non ha voluto accompagnarla sabato scorso, è liberissima di distrarsi un po’… anche perché Kyosuke è un figo, parliamoci chiaro”.
Conan tossicchiò, visibilmente irritato. Sonoko se ne accorse ed esclamò: “Oh, cielo! Dimenticavo che il moccioso è un ammiratore di quel fanatico di gialli… Ora correrà a raccontargli tutto!”
“Non dirò niente a Shinichi” puntualizzò Conan, sorpassando le tre amiche e non riuscendo a evitare un tono leggermente aspro. “Però questi discorsi mi sembrano un po’ stupidi”.
“Che cosa vuoi capirne tu, di bei ragazzi! Sei solo un marmocchio!” rimbeccò Sonoko. “Inoltre, anche se andassi a raccontare tutto a Shinichi… in fondo se l’è voluta. Se ci avesse seguite alla villa, forse Ran non avrebbe legato così tanto con Kyosuke…”
Conan emise uno sbuffo, senza dire nulla. Masumi invece si bloccò, pronta a dirigersi dall’altra parte della strada.
“Io devo andare, ci vediamo domani, d’accordo? Ciao, Conan!”
“Ciao, Sera!” gridarono Ran e Sonoko, intanto che la ragazza si allontanava. Conan le fece un cenno col capo, in silenzio, troppo concentrato sulle proprie riflessioni per badarle più di tanto.
Quel tale non mi piace per niente… Farebbe meglio a girare a largo da Ran, pensò il piccolo detective corrucciato. Nel frattempo, Sonoko aveva cambiato argomento e si lamentava con Ran dei compiti assegnati alla loro classe, cosicché lui poteva continuare a rimuginare sull’impressione sgradevole che gli aveva suscitato quel Kyosuke…
“… Ti ho detto che non voglio più sentire questa storia!” Una voce infuriata fece sussultare sia Conan che le due amiche. In un appartamento poco distante da loro, una donna urlava a pieni polmoni e i suoi strilli si udivano chiaramente sopra i rumori della città, grazie a una finestra aperta. Ran e Sonoko si scambiarono uno sguardo, continuando a camminare; davanti a loro, Conan si limitò ad abbassare gli occhi sulle proprie mani, che teneva infilate nelle tasche dei pantaloni.
Guarda un po’ che gente, si disse.
“Mi hai rovinato la vita!” inveì la donna, sempre più isterica. “Fuori di qui!”
“Ehi, quanto fuo…” Sonoko s’interruppe bruscamente, lanciando un gridolino, mentre Ran esclamava in tono d’avvertimento: “Conan, fa’ attenzione!”
Lui alzò la testa, appena in tempo per vedere una lattina di tè freddo arrivargli addosso. Lo colpì poco sotto la clavicola destra, strappandogli un ‘ahi’ e piombando con un tonfo sul bordo del marciapiede.
“Conan!” Ran gli si accostò, visibilmente preoccupata. “Stai bene?”
Lui fece una smorfia, massaggiandosi la parte lesa. “Sì, tutto a posto”.
“Che razza di villani” bofonchiò Sonoko contrariata, chinandosi a raccogliere la lattina di tè. “Che dite, vado a riportargliela?” chiese indicando la finestra aperta, da dove provenivano i balbettii sconnessi di un uomo, probabilmente il marito della donna che aveva urlato.
“No, lascia perdere” consigliò Ran. “Andiamocene, prima che ci arrivi qualcos’altro addosso…”
In quell’istante, l’uomo spalancò la porta d’ingresso dell’appartamento: era un tizio piccolo e magro sulla quarantina, con gli occhiali sul naso e un’espressione terrorizzata. La donna, capelli bruni in disordine e fronte aggrondata, si affacciò invece dalla finestra.
“Vattene!” ordinò, minacciosa. Poi chiuse le imposte con un colpo secco.
“Tenga… e cerchi di non far arrabbiare sua moglie, la prossima volta” disse Sonoko, porgendo la lattina all’uomo. La linguetta era ancora da strappare, la bibita doveva essere nuova nuova. Il tipo annuì, spaventato, dileguandosi subito dopo.
“Bah!” borbottò Ran. “Per fortuna non hanno lanciato niente di eccessivamente pesante… Su, Conan, fammi vedere”.
“Dai, non serve…” cominciò lui, un po’ imbarazzato dall’esagerata vicinanza del volto di Ran, ma quei tentativi di allontanarla non servirono a nulla: lei gli scostò la felpa, mettendo a nudo la clavicola ed esaminando la parte di pelle sotto di essa.
“Per adesso c’è solo un po’ di rossore” constatò, “ma se ti fa male potrebbe formarsi un livido”.
“Non è niente… di grave” tagliò corto Conan, sentendosi vagamente a disagio. Avvertiva il respiro leggero di Ran sul collo e il profumo fresco e dolce dei suoi capelli gli riempiva le narici. “Andiamo a casa, forza”.
“Va bene” acconsentì lei, rialzandosi. “Sonoko, tu vieni con noi, giusto?”
“Ovvio. Così poi studiamo assieme”.
“E cerchi di ricordarti che per oggi non potremo uscire con Kyosuke”.
Sonoko annuì vigorosamente. ”Eh, già”.

Il giorno seguente, terminate le lezioni, Ran si diresse verso il suo armadietto per recuperare la sua roba e tornare a casa. Era sola, perché Sonoko doveva sistemare alcune cose con i compagni del circolo di tennis e Masumi si trovava in biblioteca a fare una ricerca.
“Vado via subito, Conan ha un po’ di mal di gola e preferisco essere nei paraggi se ha bisogno di qualcosa” aveva detto Ran alla sua migliore amica, prima che si separassero. Sonoko si era messa a sbuffare.
“Quando la smetterai di fare la mammina premurosa? Vabbè, torna pure a casa, se proprio vuoi. Ci vediamo domani, ricordati che una di queste sere dobbiamo uscire con Kyosuke”.
“Sì, sì” aveva detto Ran con rassegnazione.
Sonoko non cambierà mai, pensò mentre si toglieva le scarpe. Spero soltanto che il suo Kyogoku non si arrabbi più di tanto.
Uscì dal liceo, salutò un paio di studenti che conosceva e prese la strada che era abituata a percorrere ogni giorno. Era un pomeriggio grigio e nuvoloso, le vie di Beika apparivano rumorose e trafficate come al solito sotto il cielo plumbeo, che minacciava l’arrivo della pioggia.
Uffa, non mi piace il brutto tempo…
Ran svoltò in un vicolo sparuto che sbucava su una stradina secondaria. In genere per quel breve tratto non passava mai nessuno, e attraversarlo in solitudine, in una giornata come quella, non era il massimo; la ragazza emise un piccolo sospiro, stringendo la cartella… e all’improvviso qualcuno le arrivò alle spalle.
Ran non ebbe il tempo materiale per reagire in alcun modo: il misterioso individuo le puntò una pistola alla tempia, intimandole con voce rauca di camminare piano lungo il vicolo e non parlare. “Niente mosse false, ragazzina, o ti buco il cervello con una pallottola” sussurrò in tono di minaccia. Ran iniziò a tremare, colta totalmente alla sprovvista.
Chi è quest’uomo e cosa vuole?, pensò spaventata.
“So che pratichi il karate, ma non ti servirà in questa situazione… Ho i riflessi pronti io” bisbigliò al suo orecchio quella voce sgradevole, ruvida come i muri scrostati che delimitavano il vicolo. “Su, cammina. Se fai la brava non ti accadrà nulla di male”.
Ran guardò con la coda dell’occhio il suo assalitore e ciò che vide non la rassicurò per niente. E quella sensazione di freddo sulla tempia… era orribile, le toglieva il fiato. Non poté fare altro che obbedire agli ordini dell’uomo, camminando lentamente senza osare dire alcunché, il battito del cuore che le rimbombava nelle orecchie, le dita sudate serrate attorno al manico della cartella. Percepiva chiaramente lo spiacevole tocco della mano sinistra del suo assalitore sul fianco, cosa che la faceva rabbrividire.
Lasciami stare… Lasciami…
Erano arrivati quasi alla fine del vicolo; l’uomo mollò la presa su di lei, senza smettere di tenerla sotto tiro con la pistola, e premette uno straccio umido sulla sua bocca. Ran spalancò gli occhi, soffocando un grido, poi perse lentamente i sensi.

Edited by Neiro Sonoda - 3/8/2015, 15:33
 
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Neiro Sonoda
view post Posted on 27/4/2014, 18:01     +1   +1   -1




Capitolo 6
Pericolo mortale


“Ehi, Sera!” Sonoko fece un cenno a Masumi, che stava attraversando velocemente il corridoio. “Hai finito in biblioteca?”
“Sì. E tu dov’eri?”
“Assieme ai miei compagni di tennis” spiegò Sonoko con indifferenza. “Ran, invece, è già tornata a casa”.
Inaspettatamente, Masumi ebbe uno scatto repentino ed esclamò: “Cosa? Da sola?”
“Sì, perché?” chiese Sonoko, un po’ confusa da quella reazione. L’amica le piantò addosso uno sguardo inquisitivo, pieno d’urgenza.
“Da quanto se n’è andata?” volle sapere.
“Be’… più di un’ora, se non sbaglio” rispose Sonoko, quasi intimorita.
Masumi si appoggiò una mano sul lato della fronte, riflettendo.
Ieri… mi è parso che qualcuno ci seguisse, prima di arrivare a scuola. Credevo stesse pedinando me, visto che di sera ho notato una figura sospetta attorno all’hotel, ma forse ho sbagliato. Forse c’è solo un individuo malintenzionato che è stato dietro di noi per tutto il tragitto verso la scuola, e il suo obiettivo è Ran… Devo verificarlo subito…
Tirò fuori il cellulare dalla tasca e provò a chiamare Ran; purtroppo non ottenne alcuna risposta.
“Squilla… però niente. Cavolo!” borbottò Masumi fra i denti. Sonoko la guardava con gli occhi fuori dalle orbite, assolutamente stupefatta.
“Si può sapere che sta succedendo?”
“Temo che Ran sia nei guai” replicò Masumi concitata. “Proviamo a telefonare all’Agenzia Investigativa…”
“Nei guai?” ripeté Sonoko stranita. “E perché, scusa?”
Masumi la ignorò, accostando il cellulare all’orecchio e battendo nervosamente un piede a terra. Poco dopo udì la voce di Kogoro Mouri, bassa e un po’ seccata: “Sì, pronto?”
“Signor Kogoro, sono Sera… Ran è a casa?”
L’investigatore rispose con una certa sorpresa: “No, pensavo fosse ancora a scuola… Non è con te?”
Masumi si morse il labbro, indecisa. “Be’, per la verità…”
“Può darsi che sia dal professor Agasa, il moccioso con gli occhiali si trova lì” disse Kogoro, senza accorgersi dell’agitazione della sua interlocutrice. Masumi sussultò.
Forse mi sto sbagliando, Ran è con Conan e sta bene…
“La ringrazio, provvederò a telefonargli. Arrivederci”. Chiuse in fretta la comunicazione e avviò la chiamata per Conan, mentre Sonoko la osservava, ancora sbalordita.

“Ee… etcì!”
“Conan! Mettiti la mano davanti!” lo rimproverò Ayumi con sollecitudine.
“Hai ragione, scusa… Temo che il professore mi abbia attaccato il raffreddore” commentò il piccolo detective, prendendo un fazzoletto per soffiarsi il naso.
“Dottor Agasa, dov’è Ai?” s’informò Mitsuhiko, rivolgendosi all’anziano scienziato. “È sparita appena siamo arrivati…”
“Giù, nel laboratorio sotterraneo; tra un po’ dovrebbe salire. Intanto… ho una sorpresa per voi”.
“Cos’è? Qualcosa da mangiare?” chiese Genta, che aveva già l’acquolina in bocca.
“Un nuovo videogioco!” ipotizzò invece Mitsuhiko, entusiasta.
“Un indovinello!” disse Ayumi battendo le mani.
“Be’, temo che stavolta ci abbia azzeccato Genta” rivelò il professore con un sorriso. “È una torta! Me l’ha regalata un amico”.
“Wow! Faccela provare!” esclamò Genta impaziente.
“Certo! Ora vado a prenderla” assicurò il dottor Agasa.
Conan tossicchiò, lanciandogli uno strano sguardo. “Haibara non aveva detto di non mangiare dolci?”
“Suvvia, una piccola eccezione…” protestò il professore arrossendo. “Ne prenderò soltanto una fetta, promesso”. Raggiunse il frigorifero, aprendo lo sportello, e poco dopo reggeva una guantiera, con sopra un’enorme torta ricoperta di soffice panna. Ad Ayumi, Genta e Mitsuhiko brillarono gli occhi.
“Forza, mangiamola subito!” incitò il più goloso del gruppo, leccandosi le labbra.
“Io vado a prendere i piattini e le posate!” si offrì Ayumi con un sorriso.
Quando il dottor Agasa tagliò la torta, Ai entrò a passo veloce nella stanza, col suo camice bianco addosso. Aggrottò le sopracciglia, fissando uno a uno i presenti. “Mangiate?”
“E perché non dovremmo?” obiettò Genta, mandando giù un boccone di torta.
“Dai, prendi una fetta anche tu!” propose Mitsuhiko cordiale. “È buona, sa di liquore e panna…”
“No, grazie” rifiutò Ai. “Attenti a non esagerare… soprattutto qualcuno di mia conoscenza” aggiunse, scoccando un’occhiata obliqua al professor Agasa, che tossì, a disagio.
Dopo che ebbero finito di mangiare la torta, sotto lo sguardo vigile di Ai, si misero tutti a parlare di una possibile gita da organizzare nel finesettimana. A un certo punto, Conan sentì squillare il suo cellulare e si alzò da tavola, dov’era rimasto seduto assieme agli amici e al professore, per rispondere alla telefonata.
“Pronto?”
“Sono Sera… Ran è con te?” esordì Masumi dall’altra parte, senza preamboli.
“Ran? Credevo fosse a scuola” replicò Conan, facendo distrattamente un passo avanti. Alle sue spalle, Ayumi, Genta e Mitsuhiko tesero le orecchie, interessati.
“No, io mi trovo lì e Sonoko mi ha detto che lei è andata via prima… ma a casa suo padre sostiene che non ci sia…”
Conan avvertì un improvviso peso sullo stomaco e un brivido gelido gli percorse la schiena. La sua mano tremò impercettibilmente sul cellulare e la gola gli bruciò più forte, come se la preoccupazione avesse fatto peggiorare il suo raffreddore. “Hai provato a chiamarla?” domandò a Masumi.
“Non risponde! Ho paura che le sia successo qualcosa”.
Dannazione… Devo andare a cercarla immediatamente, pensò Conan.
“Tu percorri il tragitto che porta al liceo e vedi se trovi qualche traccia!” ordinò perentorio a Masumi. “Io vado a casa a controllare la sua stanza, magari c’è qualche indizio… Ci sentiamo più tardi!” Troncò bruscamente la chiamata e corse all’ingresso, senza nemmeno badare ai suoi compagni di classe e al dottor Agasa, che lo fissavano attoniti.
“Che succede?” chiese poi Ai. “Qualche problema?”
“Ran è sparita! Devo andare!” rispose Conan, infilando velocemente le scarpe.
“Ehi! Veniamo con te!” esclamò Mitsuhiko, mentre Ayumi e Genta annuivano con decisione.
“No! Voi restate qui” replicò brusco Conan, aprendo la porta. Non aveva tempo da perdere con loro adesso, era già abbastanza agitato.
“Ma…” cominciarono in coro i tre amici.
“Ehi, Conan! Vuoi che ti accompagni in auto?” intervenne il dottor Agasa. Inutilmente: lui era già scomparso.

Ran aprì gli occhi, ritrovandosi completamente al buio, la guancia a contatto con un pavimento gelido e polveroso; per un attimo si chiese dove fosse finita, poi le tornò in mente l’agguato che le era stato teso all’uscita da scuola. Risentì chiaramente il freddo metallo della canna di una pistola contro la tempia, una mano grande che cingeva rudemente il suo fianco e il ribrezzo che aveva provato quando le avevano premuto sulla bocca uno straccio, sicuramente imbevuto di sonnifero.
Ora era distesa su un fianco, legata strettamente da alcune corde robuste e, con tutta probabilità, si trovava in un luogo abbandonato. Anche se si fosse messa a gridare aiuto, era difficile che qualcuno la udisse.
Perché mi hanno rapita? Cosa può volere da me quell’individuo?, si chiese.
Non l’aveva visto bene in faccia perché le si era avvicinato da dietro e inoltre, osservandolo con la coda dell’occhio, aveva scorto una mascherina bianca e degli occhiali da sole, per cui era ovvio che fosse camuffato. In ogni caso, la sua voce non le aveva suggerito alcunché, doveva essere la prima volta che la sentiva. Insomma, doveva trattarsi di uno sconosciuto… e un delinquente.
Se solo fossi tornata a casa con Sonoko e Sera… forse non sarei finita in questa brutta situazione…
Aveva paura e non aveva idea di cosa aspettarsi. Poteva succederle di tutto… e nessuno sarebbe mai venuto a saperlo.
No, non devo pensare in negativo… Papà si preoccuperà non vedendomi rientrare… oppure no?
In effetti, non gli aveva riferito che sarebbe tornata a casa prima, si era limitata a dirlo a Sonoko. Ma quanto tempo era passato dal momento in cui era uscita da scuola? Non era assolutamente in grado di calcolarlo, visto e considerato che prima aveva anche perso i sensi.
Che cosa vogliono da me? Cosa?!
Si agitò furiosamente, nel tentativo di liberarsi dalle corde, ma fu inutile: era legata come un salame e non poteva che restare ad aspettare… Aspettare che qualcuno la aiutasse, in un modo o nell’altro.
Scommetto che mi hanno preso anche il cellulare… O mio Dio, che posso fare?
Il cuore le batteva forte, colmo di ansia e timore. Se soltanto fosse riuscita a vedere qualche squarcio del luogo in cui si trovava… Purtroppo non c’era nulla che potesse consentirglielo.
Si ritrovò a pensare a Shinichi: cosa avrebbe fatto lui, in una situazione come quella?
Ti prego, aiutami… Shinichi…
Però lui non c’era, non le era accanto; poteva contare solo sulle proprie forze e non era sicura che sarebbe bastato. Le lacrime affiorarono ai suoi occhi, scendendole silenziosamente lungo le guance, e Ran per un momento si sentì totalmente persa. Poi qualcosa nel suo animo la spinse a reagire: tirò su col naso, deglutì rumorosamente e provò di nuovo a mettersi seduta. Ci riuscì.
Bene… e adesso?
Respirò affannosamente più volte, sforzandosi di calmarsi e ragionare con lucidità. Dubitava di riuscire a mettersi in piedi… Ma allora cosa…?
Trasalì di colpo, udendo dei passi pesanti che rimbombavano a poca distanza da lei. Qualcuno la stava raggiungendo, probabilmente il suo sequestratore… Non poté impedire a una serie di violenti brividi di percorrerle il corpo, mentre la gola le si asciugava per l’inquietudine. Qualche istante dopo, un rumore secco raggiunse le sue orecchie e una luce accecante la investì in pieno viso, abbagliandola. Ran chiuse gli occhi, strizzando le palpebre, i passi che si avvicinavano sempre di più a lei.
“Vedo che ci siamo svegliate… Come stai, bambina?” La stessa voce roca che le aveva imposto di camminare piano in quel vicolo, minacciandola con una pistola, echeggiò nella stanza; Ran aprì lentamente gli occhi, che pian piano si abituarono alla nuova luminosità dell’ambiente, e si accorse che il suo rapitore aveva in mano una torcia elettrica. La puntava verso di lei, però non più sul suo volto, bensì sul suo corpo, imprigionato dalla morsa delle funi che la tenevano stretta.
“Bene, non ti sei liberata. Ovvio, sono un professionista nel mio campo” replicò l’uomo compiaciuto. Portava sempre la mascherina ma, invece degli occhiali da sole, indossava un cappello con la visiera ben calcato sugli occhi. Affondò le mani nelle tasche del suo lungo cappotto scuro e Ran immaginò un sorriso perfido increspare la bocca che lei non poteva vedergli.
“Co… cosa vuole da me?” domandò, sforzandosi con tutta se stessa di parlare in maniera spavalda, nonostante la voce le uscisse innaturalmente acuta. L’uomo scoppiò in una risata decisamente sgradevole.
“Tu sei soltanto un modo per arrivare a qualcun altro, ragazzina. Non preoccuparti, se fai come ti dico non ti accadrà nulla”.
Ran cominciò a tremare. ‘Un modo per arrivare a qualcun altro’? Che intendeva quel criminale? Forse voleva qualcosa da suo padre… o da Shinichi.
Io non gli dirò niente, costi quel che costi… Non permetterò che venga fatto loro del male…
Eppure, nonostante quel proposito fosse ben fermo dentro di lei, era anche terrorizzata all’idea di ciò che avrebbe potuto subire per colpa di quell’uomo. Magari l’avrebbe picchiata, o violentata…
Sentì che lo stomaco le si attorcigliava, come se dovesse vomitare da un momento all’altro; aveva la fronte imperlata di sudore e l’angoscia la soffocava, lentamente e inesorabilmente. Cercò di mandare giù il groppo che si era formato nella sua gola, ma le sembrava di non avere più saliva.
L’uomo si chinò, facendo leva sulle ginocchia per essere alla sua stessa altezza, e Ran riuscì a scorgere il luccichio malvagio nei suoi occhi scuri. “Allora, bambina, non vuoi sentire quello che ho da dirti?” le chiese, in tono falsamente gentile. Allungò la mano libera dalla torcia per toccarle i capelli e Ran sussultò, strisciando indietro nel tentativo di sottrarsi. Il suo rapitore esplose di nuovo in una risata, rauca e agghiacciante.
“Vedo che hai molta paura, eh? Ti farò cambiare idea, piccola… ma prima voglio delle informazioni sul conto di una certa persona. Sono sicuro che tu sei in grado di darmele; conosci Shinichi Kudo, non è vero?”
Ran sentì un peso tremendo gravarle sullo stomaco, però riuscì a rimanere in silenzio. Non aveva alcuna intenzione di obbedire a quel mostro e non avrebbe ceduto, mai.
“Ti ho fatto una domanda!” insistette l’uomo, la voce che si alzava pericolosamente. Serrò le dita attorno al mento di Ran, che non poté evitare la cosa in alcun modo e provò un moto di disgusto avvertendo quel tocco ruvido sul proprio volto.
“I-io… io non…” farfugliò, ordinandosi mentalmente di rimanere fredda e distaccata; il terrore si stava impossessando di lei e la faceva tremare incontrollabilmente. Ciononostante, rimase zitta e non aggiunse alcuna frase di senso compiuto a quei balbettii sconnessi.
“Forse non ci siamo capiti”. L’uomo mollò la presa sul suo viso ed estrasse la pistola dalla tasca del cappotto. La puntò alla fronte di Ran, con mano ferma e decisa, per poi concentrarsi sulla sua espressione impaurita e sconvolta. “Conosci Shinichi Kudo?” ripeté, con calma minacciosa.
“I-io… sì, lo conosco” rispose la ragazza con voce flebile, odiando se stessa per quello che stava facendo.
“Già. Lo sapevo, a quanto mi risulta siete compagni di classe. Non è vero?” La canna della pistola premeva contro la fronte di Ran, come se volesse bucargliela. In effetti, sarebbe bastato che il dito dell’uomo agisse un po’ più pesantemente sul grilletto affinché questo avvenisse…
“Sì, s-siamo… compagni”.
“E amici. Dico bene, ragazzina?”
“B-be’, veramente… il nostro rapporto… n-non è che sia così stretto…” azzardò Ran fiocamente, sperando con tutta se stessa di suonare convincente.
“Che stupidaggini stai dicendo?” sbottò l’uomo innervosito, sedendosi sul pavimento a gambe incrociate. “Sono anni che state sempre appiccicati… almeno a quanto risulta dalle foto scolastiche”.
Ran deglutì, un senso di nausea pressante alla bocca dello stomaco.
Deve aver frugato nell’archivio del Liceo Teitan, forse anche in quelli delle altre scuole che ho frequentato. Mio Dio, ma allora sa che io e Shinichi ci conosciamo da una vita e siamo praticamente cresciuti assieme… Cosa vorrà mai da lui? Ho paura…
“Insomma, tu e Kudo andate d’amore e d’accordo, giusto? Questo significa… che tu sai dov’è adesso. Non è morto, vero? Lo aiuti a nascondersi o qualcosa del genere!”
Non era la prima volta che insinuavano che Shinichi potesse essere morto, anche se Ran in quel momento non ricordava chi altri le avesse detto una cosa del genere. Forse doveva fingere che fosse così… Qualunque motivo si nascondesse dietro le intenzioni di quell’uomo di saperne di più su Shinichi, non doveva essere basato su buoni propositi.
“Non so che fine abbia fatto” rispose esitante. “Io… non lo sento né lo vedo da una vita”.
“Stai mentendo!” inveì l’uomo con rabbia. “Tu sai dov’è, avanti, sputa l’osso!”
Ran scosse ostinatamente la testa. Era terrorizzata, questo sì, non voleva morire… ma non poteva neanche permettere che quel criminale si mettesse sulle tracce di Shinichi. Se gli fosse successo qualcosa, non se lo sarebbe mai perdonato.
“Sei una bugiarda!” la aggredì l’uomo, assestandole un violento pugno nello stomaco con la mano che stringeva la torcia. Ran gemette e cominciò a tossire, mentre un dolore pungente la coglieva in maniera inaspettata.
Oddio, non ce la faccio più… Morirò, sì, è questo che mi succederà…
“Dato che non vuoi collaborare, te la farò vedere io”. L’uomo lasciò andare la torcia elettrica e tirò fuori un cellulare: quello di Ran.
“C-cosa…?” balbettò lei con voce soffocata, ansimando.
“Controlleremo tutte le e-mail e le chiamate che hai ricevuto di recente… e staremo a vedere se davvero tu e Kudo non vi sentite da una vita” disse l’uomo, senza smettere di tenere Ran sotto tiro con la pistola.
Oh, no… oh, no… Adesso scoprirà tutto… e forse cercherà di chiamare Shinichi… No!, pensò lei con le lacrime agli occhi.
“Ma guarda un po’, qualcuno ha provato a telefonarti” sentenziò l’uomo. “Quella ragazzaccia… Be’, potrei farla venire qui e poi occuparmi del resto…”
Ragazzaccia? Ran sbatté le palpebre, confusa. Di chi stava parlando?
“C’era il silenzioso e non me ne sono accorto… Oh, c’è una chiamata effettuata circa tre settimane fa e il destinatario è Shinichi, tombola! Non vorrai mica dirmi che si tratta di un’altra persona! Ora noi ci dedicheremo a un bel lavoretto…”
Ran non replicò; si sentiva morire e non era più in grado di trattenere le lacrime, che bagnavano copiosamente il suo viso e le facevano bruciare gli occhi. Il suo corpo era preda di un tremito convulso e lo stimolo a vomitare si faceva sempre più forte dentro di lei… Poteva solo sperare che Shinichi non cascasse nella trappola in cui stava per incappare.
“Uhm…” L’uomo assunse improvvisamente un’espressione assorta. “Forse è meglio sistemare prima la faccenda con quella ragazza, dopotutto l’ordine viene da un mio superiore… Ma sì, ai fatti miei penserò dopo. Preparati!” soggiunse imperioso, rivolgendosi a Ran. Le mostrò il cellulare e avviò una chiamata, ma non per Shinichi, bensì per Masumi Sera.
Lei?! Com’è possibile? Che intenzioni ha?!
“Tu dirai esattamente quello che voglio io” chiarì l’uomo, accostando il cellulare all’orecchio di Ran. “Mi hai capito?”
Sera… non rispondere, ti prego, si augurò lei disperata. Dopotutto, poteva essere ancora a scuola…
L’uomo sbuffò impaziente, aspettando che il suo obiettivo si decidesse a rispondere. Ran sperava il contrario con tutta se stessa, eppure una parte di lei avrebbe voluto che Masumi arrivasse fin lì per aiutarla.
Non essere sciocca, con ogni probabilità finirebbe legata come te… Non può fare nulla per darti una mano, a meno che tu non riesca a suggerirle qualche indizio tra le righe… ma cosa c’entra lei in tutto ciò?!
“Maledizione!” imprecò l’uomo. “È occupa…” Un rumore di passi lo fece trasalire, così violentemente che il cellulare di Ran gli cadde di mano. Ran invece sgranò gli occhi. Stava dunque arrivando qualcuno?
Il delinquente si alzò freneticamente in piedi, la pistola in pugno, recuperando anche la torcia. In quell’istante, la porta di fronte a lui si spalancò.
“Che cosa sta succedendo?” esclamò duramente una voce maschile. Ran non riusciva a vedere il nuovo arrivato, perché il suo sequestratore le stava davanti, coprendole la visuale; aveva i muscoli tesi come corde di violino e non osò muoversi di un centimetro per verificare chi fosse appena entrato, ma le parve di aver già sentito la sua voce da qualche parte.
“Ch-che ci fai qui?” L’uomo che aveva rapito Ran sembrava improvvisamente spaventato. “Avevamo detto…”
“Non importa. Chi c’è lì dietro?” lo interruppe seccamente il nuovo arrivato.
“N-nessuno”.
“Uhm… davvero?”
“Certo, perché dovrei mentire?” replicò frettolosamente il rapitore. Ran soppesò l’idea di far notare la sua presenza in qualche modo, ma decise di aspettare l’evolversi della situazione e restò col fiato sospeso, i nervi a fior di pelle.
“Bene, allora non ti dispiace se andiamo via di qui… Seguimi” si limitò a intimare il nuovo arrivato e Ran immaginò che si fosse appena voltato per andarsene. Udì i suoi passi allontanarsi e poco dopo anche l’uomo davanti a lei se la filò, chiudendo rapidamente la porta alle proprie spalle. Ran restò nuovamente sola, al buio.
Il mio cellulare dev’essere rimasto qui… però non si vede niente e sono legata, come faccio a prenderlo? Per di più non so nemmeno dove sono, a che scopo telefonare a qualcuno?
Cercò di calmarsi, anche se aveva la brutta sensazione di trovarsi in un tunnel senza uscita. Percepì la presenza dei due uomini al di là della porta, grazie al suono delle loro voci concitate… Non riusciva a togliersi dalla testa l’idea di aver già sentito la voce del secondo uomo, ma il suo cervello era troppo provato per lavorare come si deve. Senza riflettere, strisciò con fatica verso il punto in cui probabilmente si trovava la porta.
“… Come ti è venuto in mente?” Il nuovo arrivato sembrava arrabbiato; Ran tese le orecchie, il cuore in tumulto. “Non dovevi farlo… Badavi ai tuoi affaracci, non è vero? Nell’Organizzazione queste cose non sono permesse, Sakè, dovresti averlo capito”.
“Ma io… volevo saperne di più su Shinichi Kudo! Non è morto, come credono tutti! E la ragazzina è in contatto con lui…” protestò il rapitore di Ran, chiaramente agitato.
“Shinichi Kudo?”
“Esatto! Quel ragazzo che, stando al resoconto di Gin e Vodka, sarebbe dovuto morire…”
Il resoconto di Gin e Vodka?, pensò Ran aggrottando la fronte. La faccenda era sempre più intricata.
“Quindi tu, per saperne di più su di lui, hai rapito la ragazza invece di eseguire i miei ordini?!”
“Lei… lei conosce anche il tuo obiettivo e…”
Ran non riuscì a udire il resto della conversazione: un colpo secco e inatteso le fece capire che era appena stato sparato un proiettile. Rabbrividì, rendendosi conto che il suo rapitore era stato ferito… se non ucciso. Dall’uomo la cui voce le suonava conosciuta.
E adesso? Cosa ne sarà di me?, si domandò angosciata. D’istinto, si allontanò dalla porta, scorticandosi le mani sul pavimento ruvido e sconnesso, l’animo in subbuglio, il cuore stretto in una morsa dolorosa. Le forze la stavano abbandonando… Le corde le segavano i polsi, le braccia, le cosce, le caviglie; era esausta e completamente svuotata.
La porta si aprì di nuovo. Accecata per la seconda volta dalla luce di una torcia, Ran percepì qualcuno avvicinarsi a lei. Poi una specie di scossa elettrica la attraversò da capo a piedi e la ragazza si afflosciò, priva di sensi.

Ran sbatté le palpebre pian piano, mettendo a fuoco un intrico di rami e foglie di fronte a sé, sullo sfondo di un cielo azzurro cupo.
Dove sono?, fu il suo primo pensiero.
Il suo corpo era adagiato su una vecchia panchina di legno scuro e sopra la sua testa si protendevano i rami di diversi alberi di ciliegio… Si alzò a sedere, frastornata, e capì di essere nell’antico parco alla periferia di Tokyo.
Ci era stata qualche volta, in passato; era piuttosto lontano da casa sua e isolato dagli altri edifici della città. Una zona appartata, tagliata fuori dalla confusione e dalla presenza della gente…
Ran studiò i grattacieli in lontananza, in silenzio. Com’era arrivata fin lì? Certo non con le sue gambe, era evidente che qualcuno ce l’aveva portata. Ricordava di essere stata rapita e rinchiusa in un luogo buio, forse uno scantinato o qualcosa del genere… Un uomo voleva da lei informazioni su Shinichi e su Masumi, così aveva cercato di interrogarla e le aveva sottratto il cellulare. Per un folle attimo pensò di essersi immaginata tutto, ma il dolore alle mani le fece subito rammentare il momento in cui aveva strisciato per terra in preda al panico, scorticandosi i palmi… Stupita, si accorse che qualcuno le aveva sistemato delle fasciature di fortuna sulle ferite, strappando delle strisce di stoffa da un indumento, forse una camicia.
Sarà stato quell’uomo che è arrivato per secondo? Forse è lui che mi ha portata qui… Sono sicura che si trattava di qualcuno che conosco, ma chi? Parlava di un’organizzazione… e poi ho sentito uno sparo…
Tentò di richiamare alla mente tutti i particolari della conversazione fra i due uomini. Avevano parlato di Shinichi, che non era morto come credevano… E lo credevano perché due persone glielo avevano riferito.
Quali erano i loro nomi? Molto strani… Gin e Vodka, se non ho capito male. E sbaglio, oppure ho sentito anche il termine 'sakè'? Probabilmente sono nomi in codice…
Era evidente che il suo rapitore faceva parte di una banda di criminali. Ran deglutì, alzandosi lentamente in piedi e guardandosi intorno con aria circospetta… e sussultò, avvertendo il peso del cellulare nella tasca della gonna. Lo tirò fuori con mani tremanti: sì, era il suo, non c’erano dubbi. Lo trovò spento, ma non si soprese, ricordava che fosse in procinto di scaricarsi… Per evenienza, controllò la batteria e la scheda: erano al loro posto, senza il minimo danno. Si sentì un po’ più sollevata.
Sono stata liberata perché non ero il vero obiettivo, tanto più che quei tizi hanno avuto una discussione… però non capisco, perché medicarmi e portarmi qui? E poi, cosa volevano da Sera? E il mio rapitore è morto o no?
Una serie di interrogativi si affollava nella mente di Ran. Decise che la cosa migliore era tornare a casa subito, poi avrebbe pensato a come procurarsi eventuali risposte.
A giudicare dall’altezza del sole, fra non molto sarebbe arrivata l’ora del tramonto, il che significava che qualcuno poteva essersi chiesto dove lei fosse andata a finire… Doveva affrettarsi. Purtroppo quel giorno non aveva un soldo in tasca e non poteva nemmeno prendere uno straccio di autobus, quindi le sarebbe toccato andare a piedi. Considerato il suo scarso senso dell’orientamento c’era il rischio che si perdesse, però doveva assolutamente andar via di lì, perciò non sprecò altro tempo. Recuperò la cartella, che le era stata restituita e si trovava su un tappeto di foglie secche, accanto alla panchina dalla quale lei si era appena alzata, e s’incamminò.
Quanti passi macinarono i suoi piedi e per quanto tempo, non fu in grado di dirlo. Seppe solo che girò in lungo e in largo, attraversando le vie più affollate di Tokyo e chiedendo qualche informazione ai passanti. Quando giunse nel quartiere di Beika e arrivò nei pressi dell’Agenzia Investigativa, era sfinita e il sole stava tramontando.
Devo farcela… È l’ultimo sforzo…
Spiccò la corsa verso casa sua, ma inciampò e cadde rovinosamente sul marciapiede, graffiandosi la gamba. Si rialzò barcollando, raggiunse i gradini esterni dell’agenzia e si lasciò cadere lì sopra, respirando con affanno.
È solo un graffio… Tirati su, s’impose mentalmente. Non ci riusciva: nella sua testa seguitavano a scorrere le immagini di quello che era accaduto, facendola sentire debole e spaventata. Non era tanto il dolore fisico a tormentarla, quanto lo shock che aveva subito, e soprattutto la paura per la sorte dei suoi amici… Continuava a udire la voce del secondo uomo, che le era apparsa conosciuta, e le parole del suo sequestratore a proposito di Shinichi. ‘Quel ragazzo che sarebbe dovuto morire’…
È in pericolo, qualcuno lo sta cercando. Ora capisco, è per questo che non si fa mai vedere, non vuole finire sui giornali e tiene nascosta la sua partecipazione alle varie indagini… Quei criminali sono sulle sue tracce e lui sta rischiando la vita…
La preoccupazione invase il suo animo e Ran la avvertì distintamente, insidiosa e soffocante come un cappio che si serra attorno al collo di un impiccato. Perfetto, adesso si sentiva ancora peggio di prima.
Oh, Shinichi… dove sei, cosa stai facendo? Dimmi che stai bene, ti prego…
E Masumi? Perché mai quel delinquente ce l’aveva anche con lei?
È tutto così assurdo…
La testa di Ran girava, non le consentiva di pensare lucidamente. Il sangue colava vischioso lungo la sua gamba destra, la ferita bruciava. Le facevano male le mani e gli occhi pizzicavano, preannunciando l’arrivo di altre lacrime. Abbandonò il capo sulle braccia e, per l’ennesima volta in una sola giornata, perse conoscenza.

Edited by Neiro Sonoda - 26/1/2015, 19:52
 
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Neiro Sonoda
view post Posted on 30/4/2014, 15:20     +2   +1   -1




E finalmente siamo al tanto atteso capitolo 7
Tanto atteso da chi? Da me, naturalmente :D
Buona lettura!




Capitolo 7
Ferite del fisico e dell’anima


Conan procedeva a passo veloce lungo la strada verso l’Agenzia Investigativa Mouri, la gola in fiamme e la mente in tumulto, il cellulare stretto in mano. Il sole era basso sull’orizzonte e lui, intanto che camminava, si sforzava di rimanere lucido; eppure nel suo cervello si formavano continuamente immagini tremende, cariche di cattivi presentimenti.
Non può essere nelle LORO mani… Lei no… Ci dev’essere qualche altra spiegazione…
Sentì lo stomaco che si torceva al pensiero che Ran potesse essere finita tra le grinfie degli Uomini in Nero. Non riusciva a togliersi dalla testa quell’idea, malgrado non esistesse alcun indizio che potesse avergliela suggerita. Cos’era che gliela ripeteva incessantemente? Il suo istinto? Il suo cuore? O solo la paura che lei finisse nei guai per colpa sua, cosa che lo opprimeva da quando si era imbattuto per la prima volta in Gin e Vodka?
Ran... dovunque tu sia, aspettami. Se sei in pericolo non perdere le speranze, verrò io ad aiutarti...
Si fermò un attimo per riprendere fiato. Dannazione, il raffreddore gli toglieva le energie e perciò si stancava più facilmente... Provò di nuovo a telefonare a Ran, ma il cellulare di lei risultava spento.
Dove sei?, pensò Conan sconfortato, massaggiandosi distrattamente la clavicola destra. Come previsto da Ran, si era formato un piccolo ematoma violaceo nel punto in cui la lattina di tè freddo l'aveva colpito; se n'era accorto la sera prima, quando si era tolto i vestiti per andare a letto. Tuttavia, non era certo quell'insignificante doloretto a tormentarlo... Intascò il cellulare e cominciò a correre, deciso a raggiungere subito la sua meta, ma una violenta e improvvisa fitta al cuore lo fece sobbalzare.
Cosa diavolo...? No, non è possibile...
Una ben nota sensazione di calore bruciante lo invase dalla testa ai piedi, mentre il suo battito cardiaco accelerava bruscamente, mozzandogli il respiro.
Non capisco... Perché sto tornando adulto? Non ho preso alcun antidoto...
Ma certo, la torta! C'era del liquore dentro, forse qualcosa di simile al Paikal... Non poteva trasformarsi in mezzo alla strada, doveva andare a casa sua a recuperare degli abiti nuovi, così fu costretto a fare dietrofront. Fortunatamente, sapeva che il signor Subaru quel giorno era uscito e sarebbe rientrato tardi... Per la prima volta maledisse quella che in un'altra occasione gli sarebbe apparsa come una benedizione insperata: non voleva perdere tempo, desiderava scoprire cos'era successo a Ran... però non aveva scelta. Percorse il tragitto alla massima velocità che gli consentivano i suoi muscoli. Arrivato a casa Kudo, riuscì per qualche miracolo ad aprire la porta e a oltrepassare la soglia d'ingresso, dopodiché una fitta lancinante al petto lo fece cadere in ginocchio con un gemito soffocato. Sentì le spalle stirarsi dolorosamente e le gambe gli tremarono in maniera incontrollabile, mentre tutte le ossa del suo corpo sembravano sciogliersi e la fronte gli scottava come se avesse la febbre. Non riuscì a togliersi gli abiti da bambino, che iniziarono a stargli terribilmente stretti. Poi avvertì la stoffa della maglia tendersi, il tessuto dei pantaloni lacerarsi... Gli si strapparono tutti i vestiti e intanto il dolore alla gola aumentò considerevolmente.
Qualche istante più tardi, non appena fu in grado di reggersi in piedi, si alzò e si precipitò nella sua stanza, afferrando in fretta una camicia bianca e un paio di jeans. Li indossò, prese due scarpe qualunque, recuperò l'orologio spara-aghi, che era riuscito a togliersi tempestivamente prima di crollare in ginocchio durante la trasformazione, e corse fuori di casa intascando gli occhiali e i due cellulari che portava sempre con sé. Per fortuna la sofferenza fisica si era ormai ridotta a un semplice bruciore alla gola, causato dal raffreddore, e le sue gambe da diciassettenne erano piuttosto veloci. Arrivò all'Agenzia Investigativa in breve tempo.
Nonostante fosse convinto di essere preparato a qualsiasi eventualità, restò paralizzato di fronte allo spettacolo che si presentò ai suoi occhi: il corpo di Ran era disteso a pancia in giù sulle scale esterne, con accanto una lunga scia di sangue.
"Ran!"
La raggiunse rapido, il cuore che martellava furiosamente, la bocca secca e asciutta per la tensione, provando un moto di senso di colpa così forte da fargli venire la nausea.
"Ran, rispondimi! Ran!" Si inginocchiò accanto a lei, voltandola e prendendola fra le braccia. Era pallida, ma respirava. Aveva una lacerazione alla gamba destra, da cui continuava a colare il sangue che aveva imbrattato parte dei gradini, e le mani avvolte in alcune bende arrangiate, macchiate di rosso. Shinichi si augurò che le ferite non le facessero troppo male e si chinò immediatamente a esaminarle la gamba.
Non sembra grave... ma va medicata. Devo portare subito Ran in ospedale, pensò risoluto.
D'istinto, si strinse al petto il corpo esanime della ragazza. Come aveva potuto permettere che le venisse fatto del male? Forse non si era sempre ripromesso di proteggerla? Perché non le era stato accanto nel momento del bisogno, perché?!
Che cosa può esserle capitato? Chiunque sia stato non la passerà liscia... però io dovevo essere con lei. Non avrei mai dovuto lasciarla, questa è la verità... invece me ne sono andato appresso a quegli Uomini in Nero e per poco non ci rimettevo la pelle, così adesso lei chissà quanti guai ha passato, solo per causa mia...
Si accorse che stava tremando e un senso di frustrazione gli pulsava nelle vene come veleno. Avrebbe tanto voluto che lei si svegliasse, avrebbe voluto incontrare lo sguardo limpido e sincero dei suoi occhi meravigliosi e vedere il suo sorriso aperto... A quanto pareva, non era proprio possibile. Shinichi sospirò pesantemente, preparandosi ad alzarsi e a sollevarla... e, inaspettatamente, Ran si mosse.

La gamba le faceva male, era stordita e aveva le palpebre pesanti come pietre. Tuttavia esisteva qualcosa di stranamente gradevole in quella brutta situazione... un odore familiare che le entrava nelle narici, solleticandole appena, con dolcezza.
Non capisco... Che sta succedendo?
Si rese conto che il suo fianco destro era appoggiato a qualcosa... no, a qualcuno. Un indumento di tessuto leggero le accarezzava la guancia e due braccia la reggevano, nonostante sentisse ancora il freddo dei gradini sotto di sé. E quel profumo così piacevole... Senza riflettere, si aggrappò saldamente al corpo che le stava donando tepore e sicurezza, prima di realizzare che, a giudicare dalla familiarità dell'odore, poteva appartenere solo a una persona...
Shinichi?!
"Ran?" chiamò esitante lui in quel momento. "Ran, mi senti?"
Dev'essere un sogno... Non può trovarsi davvero qui, pensò lei. Eppure, il suono della sua voce sembrava così reale...
"Ran, apri gli occhi" la esortò lui, scuotendola appena.
Obbedì, certa che l'avrebbe visto e un attimo dopo si sarebbe svegliata, ritrovandosi da sola. Incrociò il suo sguardo teso e preoccupato, quelle iridi blu luminose e intense, inconfondibili...
"Come stai?" chiese Shinichi apprensivo.
"I-io... Tu..." Non riusciva nemmeno a formulare una frase sensata, tutto le appariva incredibile. Lui era esattamente come ricordava, solo un po' più pallido, forse a causa dell'ansia; Ran premette il volto contro la sua camicia bianca, sempre più convinta di sognare.
"Ti... ti porto subito in ospedale" disse Shinichi, una traccia di disagio chiaramente percepibile nel tono di voce. Ran sentì che la sollevava e cominciava a scendere i gradini; fu allora che iniziò a venirle il dubbio di essere perfettamente sveglia.
"Sei davvero... qui?" azzardò titubante.
Lui sbatté le palpebre, con espressione confusa. "Sì, certo" rispose poi. "Perché, credi che sia un fantasma o qualcosa del genere?" Rise lievemente, ma la preoccupazione restava visibile sul suo volto.
"No, io..." All'improvviso Ran si sentì tremendamente stupida e avvampò, ripensando al modo in cui si era abbandonata tra le braccia di lui. Percepiva il battito del suo cuore accanto alla propria guancia, il calore del suo corpo... Iniziò a girarle la testa.
"Sh-Shinichi... mettimi giù, per favore".
"Sei pazza? Con quella ferita alla gamba come fai a camminare?!"
"S-solo un attimo, ti prego". Non sapeva nemmeno lei perché gli avesse fatto quella richiesta; nel suo intimo, era tutta scombussolata.
Sospirando Shinichi la accontentò, premurandosi di sorreggerla, nel caso rischiasse di cadere quando appoggiava a terra il piede destro.
"Dai, non ce la puoi fare... Vieni qua" sbuffò in tono di rimprovero. Erano ormai arrivati alla fine della scalinata; si caricò Ran sulla schiena, passandole le braccia sotto le ginocchia, e lei arrossì di nuovo, sentendosi sfiorare inavvertitamente la parte inferiore delle cosce.
"Ch-chiami un taxi o qualcosa di simile?" domandò incerta, aggrappandosi timidamente alle spalle di Shinichi.
"Ovvio. Ti aspettavi che ti portassi fino al Policlinico Beika a piedi?"
Il rossore non accennava a defluire dalle guance di Ran, anzi, si intensificò quando lei udì quelle parole; anche Shinichi era un po' in imbarazzo, considerata la situazione, ma cercò di far finta di nulla.
"Non ci metteremo molto, in ogni caso. Stai tranquilla" aggiunse amichevolmente.
"Come... come mai sei qui?" chiese Ran, sforzandosi di usare un tono casuale.
"Be'... avevo pensato di passare a trovarti, visto che dovevo venire a Beika per prendere delle cose a casa mia"
"Ah".
"Mi dici che ti è successo? Non credo che tu sia caduta".
Ran trasalì involontariamente. "Ecco, io..." Ripensò a quello che aveva vissuto e si sentì di nuovo impaurita, quasi fosse stata ancora in pericolo. Istintivamente, si strinse forte a Shinichi, come se in quel modo potesse riacquistare un po' di sicurezza e ricevere conforto... Lui ebbe un sussulto avvertendo la pressione delle sue dita sul proprio livido, appena sotto la clavicola.
"Cosa c'è?" esclamò subito lei, accorgendosene.
"N-niente". Shinichi non poteva dirle che si era fatto male in quel punto... e comunque, non glielo avrebbe detto nemmeno se avesse potuto permetterselo senza problemi.
"Sei sicuro?" insistette Ran.
"Certo. Piuttosto, com'è che sei sul punto di strangolarmi?" scherzò lui, nonostante non avesse alcuna voglia di ridere.
"Io..."
"Ti è successo qualcosa di brutto, Ran?" Stavolta Shinichi usò un tono terribilmente serio.
"Preferirei parlarne... dopo, con più calma" ammise lei. "Ti dispiace?"
"Come vuoi. Ma... non è niente di tanto grave, vero?"
"No... Insomma, per fortuna ora è tutto a posto..." mormorò Ran con voce un po' debole. Shinichi decise di non chiederle altro, rendendosi conto che forse si stava stancando a conversare, ma l'agitazione lo divorava e il senso di colpa sembrava scavargli un solco al centro del cuore.
"Va bene, adesso non dire più nulla, non ti affaticare... Vedrai che presto saremo all'ospedale e ti medicheranno la gamba".
E se scopro che ti hanno fatto qualcos'altro, io... non rispondo delle mie azioni.

Shinichi aspettò che finissero di visitare Ran, andando avanti e indietro per uno dei corridoi del Policlinico Beika, la mente piena di pensieri a dir poco assillanti. Non riusciva a ragionare lucidamente e la cosa lo faceva infuriare... Nel suo cervello, vorticavano continuamente le stesse domande.
Che può esserle successo? Perché è ferita? Chi è stato e cosa le ha fatto?
Strinse così forte i pugni che gli sbiancarono le nocche. Proteggere coloro a cui teneva, Ran in particolare, aveva sempre rappresentato una priorità per lui. E adesso lei si era trovata in pericolo, inspiegabilmente... Shinichi non riusciva a togliersi dalla testa l'idea che fosse accaduto tutto per causa sua, che in qualche modo la ragione per cui individui ignoti se l'erano presa con Ran fosse collegata a lui.
Ignoti... o forse no. E se c'entrassero davvero gli Uomini in Nero?
Quel sospetto lo tormentava, provocandogli un'angoscia indicibile, che gli gravava addosso come se un peso gli stesse schiacciando la trachea.
Ma se fosse stata nelle loro mani, a quest'ora sarebbe... Oppure no?
Era come se avesse un macigno sul petto, qualcosa che rischiava di esplodere da un momento all'altro...
"Shinichi?"
Si voltò di scatto. Ran lo stava raggiungendo, zoppicando pian piano, la gamba avvolta in una lunga benda bianca. A quanto pareva riusciva a camminare, anche se doveva farlo con molta lentezza.
"Siediti" rispose subito lui, indicando una delle panchine di plastica del corridoio.
Ran obbedì. "Vedo che mi hai aspettata".
"Non dovevo?" replicò lui scherzosamente, prendendo posto a sua volta e cercando di mostrarsi tranquillo, almeno un po'. In realtà non lo era affatto, ma sperava di non darlo a vedere.
"Comunque non ho nulla di grave... La ferita alla gamba guarirà, basta che io faccia attenzione a non sforzarmi. Quanto alle mani, be', mi fanno male, però..."
Le frasi di Ran, pronunciate con tono falsamente spensierato, furono interrotte bruscamente da Shinichi: "Dimmi la verità, che ti è capitato?"
"Ecco..." Lei ebbe un piccolo sussulto e sgranò gli occhi di fronte a quella reazione: il suo amico d'infanzia era sempre stato un tipo razionale, controllato e coi nervi saldi, perché adesso sembrava così diverso? Aveva l'ansia stampata in faccia, quasi come se fosse... spaventato. O era solo Ran che vedeva la propria paura e il proprio sgomento, conseguenze inevitabili degli avvenimenti di quel pomeriggio, riflessi nei suoi occhi?
"Shinichi... che sta succedendo?" gli chiese, guardandolo intensamente.
"Mi sembra che sia tu a dovermelo spiegare" ribatté lui, una nota d'impazienza nella voce. "Perché sei ferita?"
Ran sospirò. "All'uscita da scuola... un uomo mi ha teso un agguato" rivelò flebilmente. "Sono stata rapita e rinchiusa in un posto buio, forse in periferia. Il mio sequestratore voleva... voleva avere qualche informazione su di te".
Shinichi allungò istintivamente una mano per stringere quella di Ran, ma si bloccò, un po' imbarazzato; concentrò la propria attenzione sul volto di lei, teso e inquieto, avvertendo chiaramente la sua agitazione.
Cosa ti hanno fatto? Dimmelo, ti prego...
"Hai visto quell'uomo in faccia?" si limitò a chiedere.
Ran scosse il capo. "Era camuffato. So che era vestito di scuro e aveva una pistola. Mi ha minacciata, per cercare di costringermi a parlare".
Sarebbe stato normale se lei si fosse arrabbiata... ma non c'era traccia di accusa in quei grandi occhi chiari, solo timore e preoccupazione.
"Mi dispiace" borbottò Shinichi. Sapeva che avrebbe dovuto comportarsi in maniera diversa, eppure gli veniva difficile. "Hai detto che era vestito di scuro... per caso di nero?"
Ran annuì stancamente. "Poi è arrivato un altro... Non l'ho visto in faccia, ma mi è sembrato di conoscere la voce. Sono andati via tutti e due e li ho sentiti parlare: hanno detto... hanno detto che tu saresti dovuto m-morire..." La voce iniziò a tremarle; questa volta Shinichi non riuscì a dominare i propri sentimenti e le afferrò le mani bendate, con delicatezza.
"Cos'hanno detto esattamente? Per favore, Ran, è importante".
"I-il mio rapitore... era convinto che tu fossi ancora vivo, anche se... anche se qualcuno gli aveva riferito che eri..." Ran scosse freneticamente la testa, le labbra che tremavano. "Shinichi, sei in pericolo" aggiunse poi, con più fermezza. "Quell'uomo voleva qualcosa da te, io ne sono certa!"
"Ran, spiegami bene tutto" insistette lui. "Non ho ancora capito..."
"Cosa c'è da capire?" s'infervorò lei. "Tu non sei più al sicuro... anzi, forse non lo sei mai stato, in questi mesi. Ti stai nascondendo da quei criminali, vero? Gin, Vodka, Sakè, eccetera..."
Shinichi spalancò la bocca. "Ran! C-come...?"
"Li ho sentiti" confessò lei in un bisbiglio. "Sakè è il nome in codice con cui hanno chiamato il mio rapitore... e Gin e Vodka sono quelli che gli avevano parlato della tua... della tua..."
"... Morte" non poté trattenersi dal completare Shinichi. Ran lo guardò angosciata.
"Allora..."
"Che cos'ha detto l'altro?" la interruppe il giovane detective. "Quello che ti è parso di riconoscere dalla voce..."
"Ha parlato di un'organizzazione... poi si è sentito un colpo di pistola e io... io, che ero legata, mi sono scorticata le mani sul pavimento nel tentativo di allontanarmi dalla porta".
"Non hai visto niente della stanza in cui ti trovavi o altro?"
"No, era tutto buio... È già tanto se sono riuscita ad ascoltare qualche brandello di conversazione oltre la porta chiusa".
Shinichi accarezzò lievemente i palmi fasciati di Ran. "E poi?" domandò, senza staccare gli occhi da lei. I loro volti erano poco distanti, il corridoio completamente deserto creava una cornice quasi surreale per quel momento, già di per sé insolito.
"B-be', qualcuno è... è entrato nella stanza in cui mi trovavo. M-mi ha stordita e portata fino al vecchio parco alla periferia di Tokyo..."
"Pensi che sia stato il secondo uomo?"
"C-credo di sì... sempre che mi conoscesse davvero. Io sono sicura di una cosa, la sua voce non mi è suonata nuova" ammise Ran. La distanza fra lei e Shinichi si era talmente accorciata da poterle permettere di avvertire chiaramente il suo respiro sul proprio viso. La temperatura del corridoio dell'ospedale sembrava essersi alzata in maniera inspiegabile e il cuore le batteva forte.
"Dimmi cos'è successo ancora" continuò lui. Il suo tono appariva più calmo, adesso. Ran cercò di rilassarsi, ma aveva ogni nervo del corpo in fibrillazione; Shinichi le era così vicino, troppo vicino...
"Mi... mi sono risvegliata proprio su una... panchina del parco" riuscì ad articolare. "Ho visto che accanto a me c'era la mia cartella... e avevo le mani fasciate. Forse... forse il secondo uomo mi ha lasciata andare perché non ero il suo obiettivo..."
"Lui voleva me, non è così?" sussurrò Shinichi. Ormai avevano abbassato entrambi la voce...
"N-no" balbettò Ran in un soffio. "In realtà, il mio rapitore ha detto qualcosa a proposito di Sera..." Le ultime parole le erano uscite di bocca frettolosamente, inciampando una sull'altra.
"Che cosa?!" Gli occhi di Shinichi si spalancarono e lui si allontanò rapidamente da Ran, senza però lasciarle andare le mani. Lei deglutì nervosamente.
"Penso... che l'obiettivo del secondo uomo fosse lei. Ma il mio rapitore voleva arrivare a te, ha cercato di sfruttarmi come esca per entrambi..."
"... E probabilmente è stato ucciso" concluse Shinichi. "Aveva disobbedito agli ordini". Mollò le mani della sua amica d'infanzia e puntò lo sguardo di fronte a sé, appoggiandosi i palmi sulle ginocchia. Aveva un'espressione indecifrabile, lontana e assorta.
"Shinichi, che significa questo?" incalzò Ran. "Cosa c'entra Sera in tutto ciò? E tu... non è vero che stai seguendo un caso difficile, in realtà ti nascondi da quegli uomini e intanto cerchi di indagare su di loro. Ammettilo!"
Nessuna risposta. Ran si accalorò.
"Per favore, guardami! Sono stata rapita... e per poco non rimanevo uccisa! Tu mi devi una spiegazione, Shinichi".
"Ran..." Lui trasse un lungo sospiro.
"Cosa?"
"La verità è che... che in questo momento..."
Non so dove sbattere la testa... Non voglio che ti capiti qualcosa di brutto, non me lo perdonerei mai...
"Hai bisogno di aiuto, Shinichi" lo interruppe lei. "Non credo che tu possa farcela da solo".
Lui sospirò di nuovo, ancora più forte. "Non devi pensare a me" esordì infine. "Me la caverò... La faccenda non è poi così grave".
"Che cosa stai dicendo?!" proruppe Ran incredula. "Certo che lo è..."
"Sono un detective, Ran. So quello che faccio... e conosco quegli uomini, so già come agire per fermarli" dichiarò Shinichi con il suo tono più sicuro e deciso. Stava mentendo spudoratamente e lo sapeva, ma non era in grado di trovare un'altra soluzione... Voleva che Ran si tranquillizzasse e non poteva certo raccontarle tutti i suoi guai.
"Sei sicuro?" insistette lei fissandolo.
"So che hai avuto paura... però non ti accadrà più nulla, te lo prometto" garantì Shinichi. Ran continuava a guardarlo, come se volesse leggergli dentro a tutti i costi... Shinichi si vergognò delle proprie menzogne, ma se non altro la promessa di proteggerla era un obbligo a cui intendeva tener fede, sempre, a qualsiasi prezzo. Su quello era stato sincero, non avrebbe assolutamente permesso che lei si trovasse di nuovo in pericolo.
"Shinichi... io non voglio che..."
"Shh". Lui posò inaspettatamente l'indice sulle labbra di Ran. "L'importante è che stai bene. Il resto lascialo a me... Ti chiedo soltanto una cosa".
"Di... dimmi pure".
"Per un po', cerca di non andare in giro da sola nei luoghi isolati, soprattutto quando è buio" disse Shinichi, tornando ad appoggiare la mano sul proprio ginocchio. "Preferirei che tu fossi più prudente, d'accordo?"
"Va... va bene".
"Comunque, non devi farti prendere dal panico... La situazione è sotto controllo, penserò io a tutto".
"Non mi faccio prendere dal panico!" protestò Ran. "Io..."
Ho paura per te, Shinichi. Tanta paura...
"So che sei una fifona... ammettilo" la punzecchiò lui, nel tentativo di alleggerire l'atmosfera. Il viso di Ran s'infiammò.
"Sei veramente antipatico!" accusò lei, ma intanto sentì il proprio cuore riscaldarsi: se Shinichi scherzava, forse la situazione non era così terribile.
Lui si abbandonò sulla panchina di plastica dell'ospedale, un'espressione molto più rilassata dipinta sul volto; stiracchiò le braccia e aggiunse: "Ti chiamerò quando sarà tutto sistemato... Tu, intanto, parla con Sera e mettila in guardia, è bene che sappia qualcosa di questa storia. Ed evitiamo di telefonarci, almeno per qualche giorno".
"Oh". Ran avvertì una punta di delusione. "Ma tu quindi... non resti?"
Shinichi scosse la testa. "Devo risolvere la questione... e non posso farlo rimanendo qui, credimi".
Ran annuì. "Sei sicuro che basti così? Non bisognerebbe parlare con la polizia o..."
"A questo non devi pensare. Ti ho già detto che farò io tutto il necessario" concluse Shinichi in tono definitivo. La sua amica d'infanzia si lisciò lentamente la gonna a pieghe della divisa scolastica.
"Come vuoi". Adesso era chiaramente più rassicurata e Shinichi si sentì sollevato. Forse non aveva combinato un pasticcio poi tanto grave...
"Solo un'altra domanda, Ran: sei arrivata da sola fino a casa tua?"
"Sì, dopo aver controllato se mi avevano restituito il cellulare... Sai, il mio rapitore ha cercato di telefonare a Sera, ma risultava occupato".
Probabilmente perché lei aveva chiamato me... Meglio saperne di più però, si disse Shinichi. "Ti spiace darmi un attimo il tuo cellulare?" domandò.
"È scarico" lo informò Ran. "Comunque, sembra che non abbia nessun danno, altrimenti avrei pensato che lo avevano rotto o qualcosa di simile..."
"Fammi vedere lo stesso" replicò lui. Ran estrasse il telefonino dalla tasca e glielo porse in silenzio, perdendosi poi nella contemplazione di Shinichi che lo esaminava. Le piaceva quel suo sguardo concentrato... In momenti del genere, lui era troppo preso da quello che stava facendo per accorgersi di essere osservato, il che le risparmiava una bella dose di sentimenti imbarazzanti.
"Sembra tutto a posto... tieni" disse lui infine, restituendole il cellulare.
Ran lo intascò. "Se mi viene in mente qualche particolare che potrebbe esserti utile... posso chiamarti?" azzardò timidamente. "Magari se capisco chi è il secondo uomo..."
"No, non serve. Ho già una pista da seguire, non mi occorre altro" si affrettò a puntualizzare Shinichi.
Meno avrai a che fare con me, meglio sarà... Mi dispiace, Ran, ma è l'unica soluzione...
"D'accordo. Ehm... adesso?"
"Ti riaccompagno a casa" rispose lui. Forse aveva parlato un po' troppo, si sentiva la gola secca... Si schiarì la voce. "O magari conviene che avvisi tuo padre, che non sa niente di questa storia e potrebbe preoccuparsi" soggiunse.
"Già, è vero! Meglio che lo chiami..."
"Prendi pure il mio cellulare, è carico".
"Grazie" mormorò Ran. Compose il numero dell'Agenzia Investigativa e attese.
"Accidenti, non prende bene qui... Chissà se mi allontano un attimo..." Si alzò con precauzione e percorse il corridoio, svoltando l'angolo che portava alle scale. Shinichi avrebbe voluto seguirla, per sorreggerla nel caso avesse rischiato di cadere... Non era molto tranquillo, considerato che lei aveva la gamba fasciata, ma non fece nemmeno in tempo ad alzarsi che le prime avvisaglie dei dolori precedenti alla trasformazione in bambino invasero il suo corpo.
Non adesso, per favore... Tutto, ma non questo...
Purtroppo non servirono a niente quelle preghiere: Shinichi capì che doveva allontanarsi in fretta, prima che tornasse Ran e scoprisse il suo segreto.
Perché sempre nel momento sbagliato? Sarebbe stato meglio se non mi fossi trasformato affatto...
Si portò una mano al cuore, stringendo i denti, sforzandosi di resistere. All'estremità del corridoio, dalla parte opposta all'angolo oltre il quale era sparita Ran, c'era il bagno. Shinichi usò le ultime energie che gli restavano per raggiungerlo e si chiuse dentro, mordendosi le labbra per non urlare.
Accidentaccio...
Poco dopo, tornò ad avere le sembianze di un bambino delle elementari e appoggiò la fronte ancora sudata alla porta fredda.
Perdonami, Ran.

Edited by Neiro Sonoda - 26/1/2015, 19:54
 
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ran e shinichi
view post Posted on 30/4/2014, 18:48     +1   -1




Ciao neiro, veramente bella la storia,specialmente l'ultimo capitolo. Aspetto con ansia il prossimo cqpitolo.
Baci ran e shinichi<3
 
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205 replies since 27/3/2014, 21:20   7224 views
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