Mi sono fatta attendere, lo so… Spero di ricompensarvi a dovere con questo capitolo, che peraltro avevo in cantiere da un po’
Capitolo 17Rottura dell’equilibrio
TOC-TOC!
Una bussata un po’ incerta raggiunse le orecchie di Heiji, steso comodamente sul suo letto d’ospedale, in attesa della visita di Kazuha. Il ragazzo ebbe un lieve sussulto, ma s’impose di mantenere un atteggiamento normale ed esclamò, con tono calmo e fermo: “Avanti!”
Kazuha entrò titubante. Prima di salutare il suo amico d’infanzia, deglutì rumorosamente: “… Ciao, Heiji”.
“Ciao” rispose lui tranquillo. “Ran ti ha detto che volevo parlarti?”
Kazuha annuì, poi incrociò le braccia sul petto. “Avanti, spara”.
Aveva ritrovato il suo temperamento da ragazza tosta, come c’era da aspettarsi. D’altro canto, Heiji ricordava di averla vista in lacrime molto raramente… Era più la tipa che stringeva i pugni ed era disposta a menar schiaffi nei casi estremi, si disse con un sorrisetto.
“Volevo parlarti dell’altro giorno… Credo di essermi espresso male”.
Kazuha studiò attentamente l’espressione dell’amico. Sembrava convinto di quello che diceva… Si sentì più bendisposta nei suoi confronti, anche perché, in tutta franchezza, stava ancora male al pensiero del loro litigio. “Spiegati meglio” esortò, con una leggera nota d’impazienza.
“Non volevo dire che per me sei soltanto un peso“ ammise Heiji sincero. “E nemmeno che l’unica cosa di cui m’importa sono le indagini. Certo, sono un detective, ma… per me esistono anche gli amici, ecco”.
“Mmh”. Kazuha schioccò la lingua, indecisa su cosa replicare. Heiji continuò: “Mi ha punto sul vivo il fatto che tu sostenessi che non sono in grado di badare a me stesso… Immagino sia stata una frase dettata dalla rabbia”.
“Be’…” – Kazuha giocherellò con l’estremità del suo nastro per capelli – “diciamo di sì”.
Dettata dalla rabbia… ma soprattutto dallo spavento che mi hai fatto prendere, Heiji, pensò.
“Il problema è che ci siamo scaldati tutti e due… però non ne valeva la pena” affermò il detective dell’ovest. “Non sei d’accordo?”
Forse era un modo un po’ grossolano di accomodare la faccenda, ma il lato più amichevole e conciliante di Kazuha apprezzò lo sforzo di Heiji. In fondo, l’aveva perfino mandata a chiamare… Un principio di sorriso si dipinse sulle sue labbra e lei esclamò: “Sì, sono d’accordo”.
“Bene! Allora mettiamoci una bella pietra sopra… Accetti le mie scuse, non è vero?” chiese Heiji allegramente. Tutto sommato, notò, era stato più facile del previsto sistemare le cose.
Kazuha fece un rapido cenno d’assenso e per qualche minuto nessuno dei due parlò. Poi Heiji si alzò a sedere, tenendosi il fianco. “Quando hai intenzione di tornare a Osaka?” domandò.
“Tra qualche ora prendo lo Shinkansen” lo informò Kazuha con un’alzata di spalle. “Perché?”
“Fammi un favore, passa a casa mia e di’ ai miei genitori che sto bene… Quando sono stati qui mia mamma era agitata”.
“E la biasimi?” commentò Kazuha.
“Certo che sì! Sa da un pezzo quanto sia rischioso il mio lavoro, dovrebbe aspettarsi determinate cose…”
“Quello che tu chiami ‘lavoro’ è soltanto una tua ossessione, Heiji” gli fece notare Kazuha. “O stai insinuando di essere un detective di professione?”
“È come se lo fossi” ribatté lui ostinato. “In ogni caso, non è la prima volta che mi caccio nei guai”.
Lei si sedette sul bordo del letto, intrecciando le mani in grembo. “A proposito di questo…” esordì.
“Cosa?”
“Ti dà fastidio che io ti venga sempre dietro?”
Kazuha aveva parlato in tono brusco. Heiji aggrottò la fronte.
“Perché me lo chiedi?” obiettò, mentre avvertiva una strana sensazione alla bocca dello stomaco. Evidentemente, la loro discussione di venerdì non era così facile da seppellire, non del tutto.
“Mi sembra lecito, dopo quello che mi hai detto”.
Heiji trasse un respiro profondo. “Kazuha…” attaccò, senza avere la minima idea su come proseguire.
Lei si voltò a guardarlo dritto negli occhi. “Sì?”
“Non è che mi dia fastidio… È che in certi casi preferisco… preferisco sbrigarmela da solo” riuscì a replicare Heiji. “Tutto qui, davvero”.
Sciocco! Perché non le dici che ti preoccupi per lei?! Ti è così difficile ammetterlo?, si rimproverò nella sua testa.
“Oh”. La risposta di Kazuha, ignara dei processi mentali di Heiji, fu un semplice monosillabo.
“Non hai una grande predisposizione per alcune cose” aggiunse il ragazzo, ostentando un tono leggero. “Non riusciresti a essermi d’aiuto, ma semplicemente perché non sei una detective come me. Capito?”
Le sopracciglia scure e sottili di Kazuha si sollevarono. “Una volta hai detto che per te sono come un’allieva” osservò, e Heiji avvertì una sgradevole sensazione di calore al viso.
“Sì… l’ho detto. Ma sta di fatto che in determinati campi sei carente” ribatté.
“Perché ogni tanto urlo di fronte ai cadaveri?” suggerì lei, scettica e divertita.
“Ti pare poco? Un buon allievo-investigatore dovrebbe essere meno impressionabile” si affrettò a puntualizzare Heiji. “Comunque sia, non parliamone più… Mi sono stancato”.
“Be’, per tua fortuna mi hai chiesto scusa, quindi possiamo lasciar cadere l’argomento” concesse Kazuha. “Quanto a me… cercherò di essere meno invadente in alcuni casi, forse è meglio”.
Più che altro, cercherò di non tormentarmi a furia di preoccupazioni… e non so se ci riuscirò, ammise con se stessa.
“Sì, ma io spero di non rischiare di nuovo la pelle!” esclamò Heiji con enfasi. “Altrimenti…”
“… Rimpiangeresti il mio aiuto?” lo punzecchiò Kazuha.
“Naah… semplicemente non voglio lasciare il mondo così presto”.
Risero entrambi e Kazuha si sentì rasserenata. La loro amicizia era salva e tanto bastava. Sarebbe stato sciocco aspettarsi qualcosa di più… Doveva ripeterselo ogni volta, però.
“Adesso puoi andare, se ti va… Immagino che tu voglia trascorrere un po’ della domenica con la tua amica Ran” disse Heiji.
“Oh, Ran avrebbe bisogno di un’altra persona con cui trascorrere la domenica… e non solo” dichiarò Kazuha con aria saputa. “Si vede che
lui le manca, ma purtroppo le ha chiesto di non contattarlo…”
“E per una buona ragione, Kazuha, non dimenticarlo” sottolineò Heiji con fermezza.
Lei si strinse nelle spalle. “Mi dispiace soltanto che Ran si trovi in questa situazione… e di averle detto che Shinichi sembra pensare agli affaracci suoi e basta”.
“Tu le hai detto questo?” Heiji alzò gli occhi al cielo. “Kazuha, non ti rendi conto che entrambi stanno passando un momento difficile? Ti ci metti anche tu, a seminare zizzania!”
“Non era mia intenzione! È che…”
Mi sono sentita abbandonata e rifiutata da te, Heiji, così ho scaricato le mie frustrazioni su Ran, ingiustamente…“Per favore, non farlo più. Ran e Kudo hanno già abbastanza problemi al momento” sentenziò il ragazzo di Osaka. Kazuha strinse forte le dita della mano sinistra con la destra e annuì per la terza volta.
“Mi auguro che tu abbia chiesto scusa” aggiunse Heiji severo.
“Sì, l’ho fatto. Non che siano affari tuoi” replicò un po’ secca la sua amica d’infanzia.
“Ho a cuore l’interesse di Ran, sai”.
“Veramente? E da quando, se è lecito chiedere?”
Il detective dell’ovest ridacchiò. “È una ragazza speciale, con cui è facile legare… Pensavo te ne fossi accorta, visto che siete così unite”.
“Lo so” rispose Kazuha sdegnosamente, “ma ho sempre pensato che a te importasse molto più del tuo fantomatico migliore amico che di lei. Se la ferisce sei sempre pronto a difenderlo… anche quando non se lo merita”.
“Non è così… Perché mai essere dalla parte di Kudo dovrebbe significare disinteressarsi alla felicità di Ran? Sai quanto lui le voglia bene”.
“È vero” riconobbe Kazuha con una punta d’invidia. “Devo dire che, nonostante tutto, mi è sembrato davvero affezionato a Ran… e d’altra parte, anche se loro negano, è un po’ come se fossero fidanzati, non trovi?”
A differenza di noi, purtroppo, aggiunse fra sé, ma non lo disse.
“Già” confermò Heiji in tono accondiscendente. “Inoltre, sono certo che tu ti sei fatta un’alta opinione delle capacità di Kudo” non poté fare a meno di precisare, rammentando con un certo fastidio tutte le volte in cui Kazuha gli aveva consigliato di chiedere aiuto a Shinichi, se era in difficoltà durante le indagini.
“Più che altro del suo fascino” corresse Kazuha con un occhiolino. “È una persona che riesce facilmente ad attirare gli sguardi su di sé”.
Heiji sbuffò, indispettito. “Attenta a quello che dici, o Ran potrebbe ingelosirsi”.
“Ran qui non c’è. E comunque ho solo detto la verità” ribatté Kazuha con un sorrisetto.
Sta cercando di farmi irritare o cosa?, si chiese Heiji nervosamente.
“Be’, giacché la pensi così… non dovresti dubitare di lui” constatò.
“Che c’entra! Mica il fascino è una garanzia di sincerità…”
“Fascino, figuriamoci. Come se Kudo ne avesse poi così tanto… Non farmi ridere”.
A quel punto Kazuha si lasciò sfuggire un risolino. “Sempre in competizione nonostante tutto, eh?”
“Be’… ho il mio orgoglio di detective da difendere, non dimenticarlo”.
“Sarà”.
“Non ‘sarà’. È così e basta” tagliò corto Heiji.
Kazuha si alzò lentamente in piedi. “Come vuoi. Ora vado, tu riposati un po’. A proposito, tra non molto non dovresti mangiare?”
“Sì… per così dire” replicò lui, pensando con rimpianto alla cucina di sua madre. Perfino la mensa scolastica era meglio del cibo dell’ospedale, che purtroppo non sapeva di niente.
“Rimettiti presto” augurò Kazuha, dando al suo amico d’infanzia un buffetto sulla spalla. “Se riesco, mi faccio un giretto a Tokyo la prossima settimana, va bene?”
“Bah. Per allora spero di essere fuori di qui” si limitò a borbottare il ragazzo di Osaka.
Dieci giorni dopo il ricovero di Heiji Hattori, nella tarda mattinata, il professor Hiroshi Agasa attendeva l’arrivo del materiale per la sua nuova invenzione. Al suono del campanello si precipitò ad aprire, con l’impazienza stampata sul volto.
“Salve” esclamò, rivolto al corriere. “Allora era vero che doveva arrivare oggi”.
“Eh, già” rispose quello. “Ecco qui il suo ordine”.
“Aspetti un attimo, porto tutto giù nel sotterraneo” disse il dottor Agasa in fretta. Afferrò il pacco che gli veniva porto, con entrambe le mani, e si diresse rapidamente verso le scale. Giunto nel suo laboratorio, trovò un posto per lo scatolone e non resistette alla tentazione di aprirlo per guardarci dentro.
Bene! Con tutti questi strumenti potrò finalmente realizzare il mio nuovo progetto, pensò entusiasta, mentre già immaginava il momento in cui si sarebbe messo a lavoro. Non vedeva l’ora di cominciare.
Più tardi, non appena il corriere fu andato via, il dottor Agasa si accinse a organizzarsi il resto della giornata. Ai sarebbe andata a pranzo con Ayumi, Genta, Conan, Mitsuhiko e la maestra Kobayashi, in onore del compleanno dell’insegnante; perciò lui poteva mangiare all’orario che preferiva e, prima, iniziare ad avviare il lavoro per la sua nuova creazione. Canticchiando, tornò nel laboratorio per prendere tutto ciò che gli serviva… completamente ignaro di cosa passasse per la testa dell’uomo che gli aveva consegnato il pacco. Un misterioso sorriso si era infatti dipinto sul suo volto, quando era uscito dalla casa dello scienziato… e questo sorriso sarebbe apparso piuttosto familiare alla donna chiamata Vermouth, così come a diversi altri membri dell’Organizzazione degli Uomini in Nero.
Ran, Kogoro e Conan salutarono calorosamente Heiji in partenza.
“Mi raccomando, riguardati” disse Ran stringendogli la mano.
“E non cacciarti nei guai” consigliò Kogoro.
Il giovane detective dell’ovest sorrise. “Tranquilli, starò attentissimo”.
“Salutaci tanto Kazuha e i tuoi genitori” aggiunse Ran cordiale. “Scommetto che tutti e tre ti aspettano con ansia…”
“Probabile” annuì Heiji. Poi il suo sguardo si posò su Conan. “Ehi, piccoletto, fa’ il bravo in mia assenza” lo punzecchiò, gli occhi che brillavano.
“Ah-ah. Che spiritoso” commentò lui, infilandosi le mani in tasca.
“Bene, ora è meglio che andiate. Sono le due passate, avrete fame” osservò Heiji allegro. “Tanto il mio treno arriva fra poco”.
“Sì, hai ragione” convenne Kogoro. Lui e Ran si avviarono rapidamente verso l’uscita della stazione, dopo un ultimo saluto, mentre Conan restò indietro.
“Hattori… ti informerò di eventuali novità, d’accordo?”
“Ovvio. Tieni sempre gli occhi aperti, amico”.
“E un’ultima cosa…” esordì Conan lentamente.
“Dimmi” rispose Heiji, chinandosi per essere alla stessa altezza del piccolo detective.
“Visto che hai assicurato a Ran che siete amici…” – Conan fece una leggera smorfia – “e che ti preoccupi per lei, dovresti farmi una promessa”.
Il ragazzo di Osaka sgranò gli occhi. “Kudo… guarda che io volevo solo stuzzicarti un po’, non ho proprio interesse nei suoi confronti. Per carità, non le auguro alcun male, anzi, però…”
“Idiota! Non mi riferisco a quello che pensi tu” ribatté Conan seccamente. “Intendevo dire che… se io dovessi infilarmi in qualche pericolo a causa dell’Organizzazione e Ran si comportasse come hanno fatto Kazuha e Sera, tu dovrai prendere in mano la situazione. Nel caso non possa intervenire personalmente, e tu invece ne abbia l’occasione… dovrai proteggere Ran. Io non voglio che finisca nei guai per colpa mia, lei deve starne fuori il più possibile, anche se dovesse succedermi qualcosa di brutto. Hai capito?”
Heiji scosse la testa. “Sei proprio uno sciocco, Kudo” replicò con fermezza. “Non sei solo in questa lotta, io ti darò sempre una mano e ce la faremo a incastrare quei bastardi… Vedrai, non ti accadrà nulla e presto potrai tornare dalla tua Ran”.
Conan storse il naso. “L’importante è esserne convinti, eh?” Il suo tono sembrava quasi di commiserazione verso Heiji… Per tutta risposta, lui gli arruffò i capelli, pur sapendo che non gli sarebbe piaciuto: era chiaro che non aveva preso sul serio quell’uscita.
“Ci vediamo, Kudo. Non farti prendere dai cattivi pensieri” si raccomandò poi il detective dell’ovest, alzandosi in piedi. Conan si limitò ad accennare un sorriso e corse a raggiungere Ran e Kogoro, che stavano tornando indietro dopo essersi accorti che lui non era con loro.
Grazie, non poté fare a meno di pensare, rivolgendo idealmente a Heiji il proprio senso di gratitudine. Ancora una volta, dovette ammettere, il suo sedicente migliore amico era riuscito a rassicurarlo e a infondergli coraggio… Forse non aveva tanto torto a definirsi ‘una spalla a cui appoggiarsi’.
“Allora, Conan: vuoi andare a raggiungere i tuoi amici e la maestra Kobayashi al
Ristorante Colombo?” chiese Ran, distogliendo il suo ‘fratellino’ dalle proprie riflessioni.
“Cosa? Ah, no, ormai avranno quasi finito di mangiare… Preferisco pranzare con voi e poi andare dal dottor Agasa”.
“Come vuoi” accondiscese Ran gentilmente. Circa una mezz’ora dopo, Conan arrivò nei pressi della casa del professore e s’imbatté in Ai, probabilmente di ritorno dal
Ristorante Colombo.
“Ehi! Sei venuta fin qui da sola?” esclamò.
“Avevo voglia di stare un po’ con i miei pensieri” spiegò lei con voce neutrale. “Ayumi e gli altri sono stati ciarlieri ed espansivi come al solito, mi serviva un attimo di calma”.
“La maestra è rimasta contenta?” chiese Conan, mentre si avviavano entrambi verso l’ingresso.
“Molto… Peccato che tu non sia venuto, le sarebbe piaciuto vedere i Giovani Detective al completo”.
“Volevo, ma poi è arrivata la notizia delle dimissioni di Hattori dall’ospedale” replicò Conan. “Ho pensato di accompagnarlo alla stazione con Ran e Kogoro”.
Lui e Ai erano ormai nell’atrio. In capo a qualche attimo, la piccola scienziata intascò la sua copia delle chiavi di casa e andò a sedersi sul divano. “Il professore sarà impegnato nel laboratorio… Aspettava il materiale per una nuova invenzione” disse cambiando argomento.
“Lo so, sono venuto apposta per vedere di che si tratta” spiegò Conan, che era rimasto in piedi.
“Uhm… non pensavo che nelle situazioni di emergenza t’interessassi a cose talmente banali” lo sbeffeggiò Ai sorridendo.
“Molto divertente” sbuffò Conan. “E comunque non mi pare che ci troviamo ancora nell’emergenza vera…”
Ai assunse un’espressione strana. “Se ti dicessi una cosa… mi crederesti?”
“In linea generale sì, anche se sei propensa a fare scherzi di cattivo gusto” rispose Conan con una scrollata di spalle, rammentando il loro primo incontro. Ai prese una rivista che era stata lasciata da lei stessa sul divano e la sfogliò con aria assente, indecisa se proseguire.
Scommetto che Kudo se ne verrà col suo classico ‘non ti preoccupare, penserò io a tutto’, si disse.
“Allora, di che si tratta?” incalzò Conan impaziente. “Guarda che se hai un problema puoi dirmelo…”
“Ho avuto… un brutto presentimento, giorni fa. Quando il tuo amico di Osaka è stato ferito” confidò Ai, tenendo lo sguardo basso e voltando una pagina della sua rivista.
Conan alzò le sopracciglia. “Quella è stata la giornata dei brutti presentimenti” commentò. "Probabilmente anche Sera e Kazuha l’hanno avuto, ecco perché mi hanno seguito”.
“Comunque sia… ho come la sensazione che presto saremo in pericolo” continuò Ai con voce atona, sempre senza incrociare gli occhi dell’amico. “Magari LORO scopriranno…”
“Cosa? Che tu sei Sherry?” Conan scosse la testa. “Haibara, sono convinti che tu sia morta nell’esplosione sul Mystery Train, lo sai bene”.
“Sì, fino a qualche tempo fa ciò mi tranquillizzava. Ma negli ultimi tempi, dopo il rapimento e tutto il resto…” ammise Ai, senza terminare la frase.
Conan sospirò. “Guardami in faccia, per favore” disse.
Ai obbedì, abbandonando la contemplazione della pagina della rivista. L’espressione di Conan era decisa e rassicurante, come già altre volte.
“Ho promesso che ti avrei sempre dato una mano. L’Organizzazione al momento non ti cerca più, quindi sei al sicuro… Non devi stare in ansia. O forse hai avuto di nuovo un semplice incubo su Gin?” azzardò il piccolo detective, accennando un sorriso.
Ai riuscì a tirarne fuori uno a sua volta, altrettanto abbozzato. “Sarà come dici” borbottò infine, tornando a concentrarsi sulla lettura. “Non ho avuto nessun incubo, in ogni caso”.
“Meglio così” rispose Conan. “Non voglio che t’impressioni inutilmente”.
“Io non mi
impressiono” ribatté subito Ai. “Sono solo prudente”.
“E pessimista”.
“Tu invece sei ingenuo e incosciente”.
Conan si sentì sollevato all’idea che l’amica si fosse rincuorata. Di solito, quando era preoccupata o giù di morale, si chiudeva in silenzi cupi… Se riusciva a trovare un modo per rimbeccarlo, era chiaro che il momento di sconforto era passato.
“Be’, speriamo che la nuova invenzione del prof. sia qualcosa di utile e interessante” aggiunse poi Conan, chinandosi per togliere un pelucco rimasto sulla sua pantofola. Fu allora che gli caddero gli occhi su un punto preciso sotto il divano… e si accorse con orrore che vi era posizionata una microspia.
Edited by Neiro Sonoda - 2/8/2015, 21:18