Detective Conan Forum

Reduci, Cos'è successo dopo il Mystery Train?

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ran e shinichi
view post Posted on 16/3/2015, 21:33     +1   -1




Già, anche a me Kyosuke non va giù...
Francy
 
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Neiro Sonoda
view post Posted on 21/3/2015, 22:35     +1   -1




CITAZIONE (marty shin×ran @ 16/3/2015, 20:52) 
No, mi spiace Neiro, ma Kyosuke non riesco a farmelo piacere XD.
Martina

CITAZIONE (ran e shinichi @ 16/3/2015, 21:33) 
Già, anche a me Kyosuke non va giù...
Francy

Troppo perse dietro a Shin :D
Anch'ioooo
 
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Neiro Sonoda
view post Posted on 22/3/2015, 19:38     +1   -1




Ma chissà come mai avrò cambiato avatar…? :shifty:
Godetevi l’aggiornamento!!





Capitolo 19
Ciò che un’impronta può dimostrare


“… E questo è tutto” concluse ansiosamente il dottor Agasa.
Conan lo scrutò per un lungo istante, le sopracciglia aggrottate nella sua tipica espressione concentrata. “La descrizione che ci hai fornito su quel corriere sembrerebbe confermare la mia ipotesi, ossia che quell’uomo in realtà fosse Amuro. Non possiamo esserne certi, ma non avendoti mai incontrato è probabile che non sia stato molto meticoloso nel camuffarsi… In poche parole, i miei sospetti hanno una base discretamente solida”.
“Mi spieghi cosa cambia il fatto che si tratti proprio di Bourbon?” chiese Ai un po’ secca. Dal canto suo, il dottor Agasa appariva sempre più agitato.
“Meglio sapere con chi avremo a che fare per primo” si limitò a rispondere Conan. “Ora ascoltatemi bene: voi due dovete tornare a casa vostra e ispezionarla da cima a fondo, per scovare le altre microspie. Per scrupolo controllate pure il sotterraneo, anche se, ritenendo esatta la mia teoria, è piuttosto improbabile che ce ne siano… Amuro deve aver approfittato per piazzarle durante quei pochi attimi in cui è rimasto da solo in soggiorno”.
“D’accordo” accondiscese Ai.
“Agite con estrema discrezione. Non dovete assolutamente lasciar intendere che avete trovato le microspie… Cercatele senza fare alcun rumore sospetto e lasciatele lì dove sono. Chi vi ascolta non dovrà intuire che vi siete accorti di tutto, è chiaro?”
“Sarà una faticaccia!” esclamò il dottor Agasa impressionato.
“Non abbiamo scelta” replicò Conan con fermezza. “Mi raccomando, conto su di voi”.
“E se vengono a ucciderci?” chiese Ai senza giri di parole.
“Non preoccupatevi di questo… Io vi raggiungerò il prima possibile, appena avrò terminato un paio di faccende” assicurò Conan.
Ai emise un sospiro. “Kudo… non capisco cosa tu stia architettando, ma noi siamo spacciati. È solo questione di minuti prima che ci eliminino tutti… Magari a casa del professore ci sono pure delle telecamere”.
“Ne dubito” rispose Conan. “Il falso corriere non avrebbe avuto abbastanza tempo per installarle… Posizionare una telecamera in un punto strategico, dove possa riprendere le persone senza essere notata, non è un’impresa che si possa portare a termine in pochi minuti. Con le microspie è molto più semplice, visto che captano soltanto i rumori e le conversazioni: le puoi mettere ovunque, basta che siano nascoste”.
“Oh… è vero” riconobbe Ai.
“Non c’è tempo da perdere, dovete sbrigarvi. Haibara, appena avete finito mandami una mail, per informarmi delle stanze in cui si trovano le altre microspie. D’accordo?”
“Va bene, Shinichi” rispose il dottor Agasa al posto di Ai, dirigendosi assieme a lei verso l’uscita della libreria.
“E un’ultima cosa: non vogliamo fornire ulteriori informazioni a chi ci spia, quindi evitate di chiamarmi col mio vero nome” aggiunse Conan serio.
“E se Bourbon sa già tutto?” obiettò il professore.
“Non possiamo dirlo con certezza… Meglio non rischiare”.
“Allora restiamo così… Dottor Agasa, andiamo” concluse Ai asciutta.

Sonoko insistette per accompagnare Ran a casa e lei intuì che non si trattava di un gesto di semplice cortesia: di certo la sua migliore amica voleva approfittarne per farle un interrogatorio su quello che era successo con Kyosuke. La cosa più strana era che lui aveva fatto finta di niente e risposto con naturalezza, ma al tempo stesso con evasività, alle insistenti domande di Sonoko, poco dopo che lei era uscita dal negozio con Masumi e lo aveva visto mentre stava per baciare Ran. Sembrava non essere affatto a disagio ed era riuscito abilmente a portare il discorso su un altro fronte, cosicché all’apparenza ognuno aveva dimenticato quella strana scena. All’apparenza.
Ran si era sentita in imbarazzo per tutto il tempo. Non sapeva cosa pensare… Kyosuke era interessato a lei, oppure aveva soltanto cercato di farle capire che secondo lui Shinichi la ricambiava? O, più semplicemente, era stato un banale scherzo e non andava preso tanto sul serio?
“Ran?” La voce di Sonoko suonò stranamente esitante. “Ora possiamo parlare? Siamo sole”.
Sì, probabilmente la stanza da letto era un posto abbastanza sicuro, visto che Kogoro si trovava nell’ufficio al piano di sotto e Conan era dal dottor Agasa. Ran si sedette sul proprio materasso a gambe incrociate, scrutò Sonoko per qualche istante e disse piano: “Va bene”.
“Non sono qui per farti il processo, davvero… Vorrei solo sapere che diavolo succede”.
“Ti capisco”.
“E allora racconta, che aspetti?”
Ran annuì. Se all’inizio Sonoko sembrava ansiosa di ricevere una notizia su cui spettegolare, adesso era chiaro che si era resa conto del suo turbamento e sperava di aiutarla in qualche modo. In fondo, era pur sempre la sua migliore amica e Ran sapeva quanto tenesse a lei. Si interessava alla sua felicità, anche se questo a volte si traduceva in domande e battutine scomode…
“Kyosuke mi ha chiesto… cosa c’è tra me e Shinichi” esordì.
Sonoko sbatté le palpebre, sorpresa. “Gli avevi parlato di lui?”
“Esatto. Anzi, diciamo che mi ha tirato fuori la verità” ammise Ran un po’ vergognosa. “Ha insistito per sapere quali sono le mie intenzioni e mi ha… incoraggiata a farmi avanti”.
Sonoko inarcò le sopracciglia. “Incoraggiata? E come, tentando di baciarti?”
Ran ridacchiò, a disagio. “Mi ha proposto di fingere che lui fosse Shinichi… e di dire ad alta voce quello che provo”.
“Quindi era una specie di recita” dedusse Sonoko. “Wow! Idea intelligente”.
“Resta il fatto che il suo atteggiamento mi ha colpito… Non me l’aspettavo”.
“Uhm”. Sonoko mise le mani dietro la schiena e studiò minuziosamente l’espressione dell’amica. Dopo una pausa di silenzio, azzardò: “Non è che Kyosuke t’interessa un po’, eh?”
Ran, colta alla sprovvista, non seppe che rispondere. Sonoko riprese: “Non ci sarebbe niente di male, sai… È un così bel ragazzo! Anzi, che dico, un figo da paura… e con quella sua allegria saprebbe come tenerti di buonumore”.
“Ah, questo è sicuro” commentò Ran.
“Oooh… allora ci stai davvero facendo un pensierino!” sentenziò Sonoko, riacquistando il tono argentino. “Perché non esci da sola con lui, una volta? Non devi sentirti in colpa verso Shinichi, in fondo non ha mai detto di essere innamorato di te, non c’è nulla di ‘ufficiale’ fra voi!”
Ran arrossì violentemente. “Ma dai, Sonoko! Cosa dici?” protestò.
“Dico che forse stai dando una svolta alla tua vita! E potrebbe essere un buon segno”.
Ran scosse il capo, senza replicare. Aveva un’espressione strana sul volto… un misto di dolcezza e malinconia, che Sonoko non riuscì a decifrare. E ancor meno fu in grado di interpretare la situazione una certa persona che si era ritrovata a origliare la conversazione.
Conan si era diretto all’Agenzia Investigativa dopo aver spedito una mail molto importante col cellulare: voleva sincerarsi che Ran e Kogoro stessero bene e dare anche una controllatina alla casa, sebbene fosse quasi sicuro che lì non c’erano microspie. Entrato nell'ufficio, aveva incontrato Kogoro e si era rivolto a lui per ricevere notizie di Ran.
“È rientrata da poco assieme a Sonoko, ora sono tutte e due in camera sua” aveva risposto con noncuranza l’investigatore, fumando una sigaretta.
“Rientrata? Vuol dire che era uscita?” aveva chiesto Conan incuriosito.
“Sì, con Sonoko, quella maschiaccia di Sera e un tizio che non avevo mai visto. Mi è stato detto che è il fratello di un amico di Ayako Suzuki, ma non so…”
“Il fratello di un amico di Ayako? Cioè la sorella di Sonoko?” Conan era saltato su come punto da una vespa.
“Proprio così” aveva confermato Kogoro, stringendosi nelle spalle. “Immagino che tu lo conosca… È un tipo a posto, vero?”
Ancora lui!, aveva pensato il piccolo detective. Perché, per una ragione o per l’altra, deve sempre ronzare attorno a Ran?!
“Be’, io vado un momento di sopra” si era limitato a dire, senza curarsi di smentire o meno Kogoro. E così aveva fatto, per poi ispezionare attentamente le stanze… Non era potuto entrare in quella di Ran per non disturbare lei e Sonoko, ma nemmeno aveva ignorato i loro discorsi, ascoltandone una parte oltre la porta socchiusa.
Sonoko insinua che Ran possa provare interesse per quel Kyosuke… ma non può essere! È me che lei… Oppure no?, si era chiesto ansiosamente Conan, dimenticando per un attimo i gravi problemi legati all’Organizzazione. Aveva ripensato ai propri timori, confidati a Heiji quel giorno all’ospedale, e alla reazione di Ran quando Kyosuke le aveva telefonato al bar…
Perché, Ran? Io credevo… Rispondi a Sonoko, di’ che non t’importa nulla di quel tipo…
Ma, all’affermazione di Sonoko ‘stai dando una svolta alla tua vita e potrebbe essere un buon segno’, Ran non aveva dato alcuna risposta. Conan si era sentito talmente sconfortato da desiderare di rimanere lì per sempre, appoggiato al muro e immobile come una statua. Per fortuna il cellulare che gli vibrava in tasca, annunciando l’arrivo di una mail, lo aveva distolto dai pensieri cupi.
Devo concentrarmi sul piano… Siamo tutti in pericolo e se non mi sbrigo le cose precipiteranno…
Perciò si era rimesso in azione, cercando di mettere da parte la sconvolgente idea che Ran non gli volesse più quel bene speciale che tanto gli scaldava il cuore… L’ultimo argomento che avevano affrontato lei e Sonoko, quando lui era passato una seconda volta davanti alla camera con la porta accostata, era stato un viaggetto da fare fino a uno dei lidi più belli di Kamakura.
“Ti lascio il volantino pubblicitario… La spiaggia che c’interessa è segnata” aveva detto Sonoko gaia. “In una giornata di sole potremmo prendere il treno e andarci, no?”

Kogoro faceva zapping da un canale all’altro, aspettando il suo programma preferito. Sonoko era andata via, mentre Conan era in giro per casa e Ran si trovava probabilmente nella propria camera. Il pomeriggio stava trascorrendo in maniera piuttosto normale, ma solo in apparenza; d’altra parte, l’investigatore non poteva certo immaginare i dilemmi in mezzo a cui si stava dibattendo il giovanissimo ospite che abitava, assieme a lui e a sua figlia, all’Agenzia Mouri. Nemmeno quando lo vide entrare nel suo ufficio tutto affannato, Kogoro sospettò qualcosa… Era fin troppo impegnato ad attendere l’inizio della sua trasmissione del cuore.
“Io devo andare!” annunciò Conan in fretta. “Farò molto tardi, probabilmente mi fermerò a dormire dal professore… anzi, sicuro. Non c’è bisogno che mi chiamate, va bene?”
“Mmh?” Kogoro si voltò verso il piccolo detective. “Hai detto che vai dal dottor Agasa?”
“Sì, rimango lì per la notte” ribatté Conan impaziente. “Vorrei provare la sua nuova invenzione assieme a miei amici”.
“Capisco” borbottò Kogoro, tornando a guardare la televisione. “Vai pure”.
“Non telefonate” ribadì Conan. “Starò benissimo, non dovete preoccuparvi”.
“Ah, io non mi preoccupo di certo… e nemmeno Ran, se sa che sei dal professore”.
Conan ebbe un lieve sussulto udendo il nome della sua amica d’infanzia. Era quasi riuscito a dimenticare la conversazione tra lei e Sonoko, udita attraverso la porta… e ora il sospetto che quel Kyosuke potesse aver suscitato l’interesse di Ran tornò prepotentemente a insinuarsi dentro di lui. Scrollò la testa, quasi volesse scacciare tutto come una mosca fastidiosa, e disse lentamente: “Hai ragione. Non si preoccupa per me”.
“Comunque sia, vedi di non cacciarti nei guai con quei tuoi amichetti ficcanaso” lo avvertì Kogoro in tono perentorio.
Conan annuì. “Ricevuto. Per favore, di’ a Ran…”
Cosa? Che non voglio essere dimenticato? Che ritengo praticamente impossibile un cambiamento così repentino dei suoi sentimenti? Che non sopporto l’idea di perderla?, pensò con amarezza. Poi ricordò il piano che doveva seguire, un piano pericoloso e per alcuni versi troppo avventato, che avrebbe potuto far diventare quel giorno l’ultimo della sua vita. Non voleva essere pessimista, ma sapeva bene che stava per compiere qualcosa di estremamente rischioso… Desiderava con tutte le sue forze sconfiggere gli Uomini in Nero e tornare dalla sua amica d’infanzia, parlarle finalmente a cuore aperto, tuttavia non poteva essere sicuro al cento per cento che ce l’avrebbe fatta. Sospirò pesantemente.
“Di’ a Ran che, anche se me ne vado, non sarà sola” mormorò, e uscì rapidamente dall’ufficio. Kogoro, che lo aveva ascoltato, sia pure per metà, aggrottò la fonte udendo quella strana risposta. Cosa prendeva a quel moccioso, adesso?
Non ebbe la possibilità di rifletterci a lungo, perché il telefono squillò istericamente, distogliendolo dai suoi pensieri. L’investigatore afferrò la cornetta con un gesto scocciato e disse: “Pronto?”
“Sono Megure… T’interessano alcune informazioni su quel tuo allievo?”
Kogoro sobbalzò: non si aspettava proprio che l’ispettore potesse avere importanti novità! "L'avete trovato?” domandò con il cuore in gola.
“No, purtroppo. E le notizie non sono incoraggianti… Se vieni alla centrale, te ne parlerò con calma” replicò Megure, distruggendo immediatamente le speranze del suo ex collega.
“Maledizione! D’accordo, vengo subito” assicurò Kogoro. Al diavolo il programma televisivo! Riagganciò e corse a riferire a Ran l’accaduto.
“Se vuoi posso accompagnarti” si offrì lei con gentilezza. “Conan è andato via di nuovo, giusto?”
Kogoro annuì. “Già… Adesso che ci penso, mi ha chiesto di portarti un messaggio, prima” rammentò, corrugando la fronte per la seconda volta.
“Un messaggio?” ripeté Ran. “Quale?”
“Era un po’ strano… Qualcosa come: ‘Anche se io me ne vado, tu non sarai sola’”.
Ran restò basita davanti a quelle parole. “Sei… sei sicuro?”
“Non ho capito neanch’io dove intendesse andare a parare… ma adesso non ha importanza. Voglio andare subito alla centrale” rispose Kogoro risoluto. “Se vuoi davvero venire, ti conviene sbrigarti”.
Ran distolse gli occhi da quelli di suo padre, guardando l’arredamento della camera con aria assente. Sul comodino troneggiava ancora il cellulare di Shinichi, da quel giorno in cui si erano incontrati… Le sembrava passata un’eternità da allora.
Shinichi… che sta succedendo?
Avrebbe voluto averlo accanto ed essere certa che stesse bene. Avrebbe voluto sapere se si era messo sulle tracce di quei criminali con i nomi in codice di alcolici, cosa contava di fare per fermarli e se aveva davvero una pista facile da seguire, oppure stava peccando di presunzione. Avrebbe voluto chiedergli perché sembrava non volersi far aiutare da nessuno… e se le aveva mentito, nascondendosi dietro le sembianze di Conan.
‘Anche se io me ne vado, tu non sarai sola’.
Perché il suo ‘fratellino’ aveva pronunciato quella frase? Ran cominciò ad avvertire una sorta di pericolo dietro la misteriosa affermazione riferitale da suo padre. Per un attimo, provò uno sgomento tale da non riuscire a reagire in alcun modo: la gola le si bloccò e i suoi arti parvero paralizzarsi, come se qualcosa l’avesse pietrificata.
“Allora, Ran? Hai deciso di venire?” la sollecitò Kogoro, ignaro dei processi mentali e delle sensazioni della figlia.
Lei si riscosse bruscamente. “Sì… vengo” assentì, ma la sua testa era da un’altra parte. Meccanicamente, senza rendersi nemmeno conto di quello che faceva, mise in tasca il cellulare di Shinichi e si avviò verso l’uscita della propria stanza.

“Quindi non avete trovato alcun indizio?”
Kogoro e la figlia erano seduti di fronte alla scrivania dell’ispettore Megure, che aveva appena iniziato a riferire le ultime scoperte dei suoi agenti. Le novità si rivelarono tutt’altro che piacevoli: Tooru Amuro sembrava proprio essersi volatilizzato nel nulla, nonostante le ricerche accurate della polizia.
“È impossibile che sia scomparso così! Dannazione, dovete trovarlo!” inveì Kogoro alla fine, picchiando un pugno sulla scrivania.
L’ispettore Megure lo guardò severamente. “Non possiamo farci niente” dichiarò. “Takagi, Sato e gli altri hanno tentato il possibile per rintracciarlo… Deve aver in qualche modo previsto le nostre mosse”.
“Accidenti, che uomo subdolo!” imprecò Kogoro con rabbia. “Prima si finge mio amico, poi rapisce mia figlia e salta fuori che è un criminale incallito…”
“Cerca di calmarti” ordinò Megure imperioso. “Non serve fare così… Come ti ho già spiegato, i pochi indizi in cui ci siamo imbattuti sembrerebbero confermare una fuga di Amuro dal Paese. È evidente che non possiamo più agire in alcun modo contro di lui”.
“E se fosse un trucco?” obiettò Kogoro. “Magari è ancora qui in Giappone, sotto il nostro naso, e si nasconde così bene da non farsi trovare!”
“Cercheremo di appurarlo” rispose Megure. “Non so dove arriveremo, ma…”
“E la pistola?” incalzò Kogoro interrompendolo. “Vi ha portato a qualcosa?”
L’ispettore scosse la testa. “A che vuoi che ci servisse un’arma nuova nuova e senza la minima traccia?” replicò. “Anche se quella pistola appartenesse ad Amuro, non ci può portare da nessuna parte… Non vi sono impronte digitali sopra, tanto per cominciare, per cui cosa pretendi di dimostrare? E comunque, l’uomo che l’ha impugnata e ha sparato a Heiji Hattori era incappucciato, oltre a portare i guanti…”
Ran, che fino a quel momento aveva ascoltato senza grande interesse, immersa com’era nei suoi pensieri, sentì il suo cuore saltare un battito. Alcune parole pronunciate da Megure avevano fatto scattare un interruttore nel suo cervello e capì che forse era vicina a una verità importante.
Impronte digitali… e dimostrare? Ma certo!
“Mi scusi, ispettore…” esordì incerta.
Megure si voltò verso di lei, un po’ sorpreso. “Cosa c’è?”
“Si potrebbe fare un confronto di impronte digitali… per me?”
Kogoro strabuzzò gli occhi. “Figliola… che storia è questa?”
“Non c’entra niente con la faccenda di Amuro” precisò Ran, “ma ci terrei ad avere una risposta, se è possibile”.
Megure sembrava ancora perplesso. “Di che si tratta?”
“Ecco, dovreste confrontare le impronte che sono rimaste su un cellulare con…” Ran s’interruppe: quale oggetto toccato da Conan poteva utilizzare? Non ne aveva alcuno sottomano…
“Con…?” fece eco l’ispettore, mentre Kogoro continuava a strabuzzare gli occhi.
“Per favore, lasciate che torni a casa un momento e vi porterò tutto quello che serve” dichiarò Ran balzando in piedi. “Faccio subito!”
“Ran! Che diamine…?” Suo padre era sempre più disorientato.
“Fidatevi! È una cosa importante!” E senza aggiungere altro, Ran si fiondò fuori dall’ufficio dell’ispettore Megure. Chiamò un taxi, tornò all’Agenzia Investigativa e si precipitò dentro, col cuore a mille e la bocca secca per l’emozione.
Qualcosa che è stato sicuramente toccato da Conan, qualcosa che è stato sicuramente toccato da Conan…
Con una buona dose di frenesia, andò alla ricerca di un oggetto che potesse fare al caso suo. Le sudavano le mani e sentiva lo stomaco contrarsi per il nervosismo. Forse era finalmente vicina… Vicina alla prova che avrebbe confermato o distrutto la sua tesi. Ricordò l’occasione in cui Kazuha aveva perso il suo amuleto e loro due si erano ritrovate a parlare, anche se per breve tempo, di quello che era successo durante il caso del villaggio Higashi-Okuho; il confronto delle impronte era stato determinante per dimostrare l’innocenza di Shinichi, accusato ingiustamente. E per farlo, Heiji si aveva chiesto alla polizia del villaggio di controllare un pezzo di catena contenuto nel suo portafortuna, che Ran sapeva per certo essere stato toccato da Conan. Già allora si era chiesta se fosse soltanto un’altra coincidenza oppure no…
Lo saprò… Finalmente lo saprò… Appena avrò quel che mi serve…
In camera di Conan, sul pavimento, trovò inaspettatamente la spilla realizzata dal dottor Agasa per la Squadra dei Giovani Detective. Era la sua, non c’erano dubbi… L’ultima volta che gliela aveva mostrata, Conan le aveva fatto notare una piccola ammaccatura sul lato sinistro.
Questa ce l’ha… dunque appartiene proprio a lui! È quello che ci vuole, pensò Ran. Recuperò la spilla e la intascò, poi corse fuori dalla stanza. In men che non si dica, era di nuovo in viaggio verso la centrale di polizia, le frasi dette una volta da Shinichi che le rimbombavano in testa.
’Il segno immutabile per tutta la vita che ogni essere umano riceve dal Cielo, sin dalla nascita… La traccia che costituisce la prova più sicura nelle indagini… L’impronta digitale’.
“Ran, vuoi spiegarmi cosa stai combinando?!” sbraitò Kogoro in preda all’agitazione e alla confusione, non appena sua figlia rientrò nell’ufficio di Megure col fiato grosso.
“Ho quello che ci serve!” annunciò lei ansimando. “Ecco qui”. Porse all’ispettore il cellulare di Shinichi e la spilla di Conan, tirandoli fuori dalle tasche dei jeans.
“Quindi bisogna fare un confronto di impronte digitali fra questi due oggetti?” domandò Megure.
“Esatto. Se la mia teoria è giusta, dovrebbero corrispondere… Ovviamente troverete anche le mie, su entrambi”.
“Ma… ma quella non è la spilla del moccioso con gli occhiali?” esclamò Kogoro. “Cosa c’entra con il cellulare? Che non è neanche il tuo, ora che ci penso…”
“Papà, basta. Ripeto, questa faccenda non c’entra con Amuro, ma io voglio delle risposte. Esiste una verità…” affermò Ran, gli occhi brillanti e le mani in continuo fremito, “che credo mi sia stata taciuta troppo a lungo”.
“Esiste una verità?” L’ispettore Megure inarcò un sopracciglio, poi sorrise benevolo. “Lo sai… Shinichi Kudo, il tuo caro amico, parla quasi così” commentò in tono accondiscendente. “Ammetto che i tempi in cui mi stava alle costole durante le indagini ogni tanto mi mancano”.
Kogoro storse il naso. “Lasciamo perdere quel ragazzino! È anche colpa sua se mia figlia è stata…”
Ran fulminò il padre con un’occhiataccia. “Non parlare a vanvera, papà, d’accordo?” intimò. Si rivolse all’ispettore: “Potete prendere le mie impronte… Risulterà che sono presenti sia sul cellulare che sulla spilla, dato che li ho toccati entrambi. Oltre alle mie, dovrebbero esserci quelle appartenenti a una sola persona… Se non corrispondono, vorrà dire che ho sbagliato e che il proprietario del cellulare non ha mai toccato la spilla in vita sua”.
“Si può sapere di chi stai parlando?” sbottò Kogoro irritato.
“Per favore, papà… non fare domande. È una questione che sostanzialmente riguarda solo me” disse Ran in tono definitivo.
L’investigatore sbuffò, accomodandosi meglio sulla sedia. “Sarà. Spero solo che tu non finisca di nuovo nei guai” bofonchiò.
“Starò sempre attenta, promesso” assicurò Ran abbozzando un sorriso.
“Be’, se davvero dobbiamo fare questo confronto chiamo gli agenti” intervenne Megure. “Scoprirai questa verità, che a quanto sembra per te è così importante”.
Ran annuì, tesa. Non era mai stata tanto vicina alla conferma o alla demolizione totale dei suoi sospetti… Ciò la agitava enormemente, ma lei era anche determinata nel suo proposito. Nei minuti che seguirono, s’impose sempre più spesso di rimanere calma e non perdere mai il controllo… tuttavia, quando fu il momento dell’annuncio dei risultati, non poté trattenersi e si alzò in piedi di scatto.
“Ebbene?” domandò, stritolandosi le mani e avvertendo il battito del proprio cuore rimbombarle nelle orecchie.
“Su entrambi gli oggetti sono state rinvenute le sue impronte digitali, signorina” la informò un agente.
“E…?”
“E risulta che, oltre a lei… li abbia toccati la stessa persona”.

Edited by Neiro Sonoda - 3/8/2015, 00:29
 
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marty shin×ran
view post Posted on 23/3/2015, 01:01     +1   -1




Ciao bella, come state?
Sonoko, buttati in un burrone per favore. Non la sopporto.
Vero è che nemmeno Ran sa che Conan = Shinichi, ma perlomeno non dice cose del tipo :"stai dando una svolta alla tua vita e potrebbe essere un segno".
È un personaggio che non riesco a digerire accidenti.

Wow, che svolta. Ran ora sa tutto.
Non so se aspettarmi una tragedia o un lieto fine.

Lo so, lo so. Sono melodrammatica, ma è nel mio carattere.
Baci
Martina
 
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ran e shinichi
view post Posted on 23/3/2015, 15:54     +1   -1




Ciao Neiro!
Ho letto questo capitolo tutto d'un fiato, mi è piaciuto, ma, se nello scorso capitolo ho amato Sonoko per la sua interruzione, adesso l'ho odiata XD... Bhe, nn vedo l'ora di scoprire cosa ha in mente il poccolo Kudo XD, chissà cosa trama XD... E adesso Ran sa la verità... chissà come reagirà, nn me lo so mai immaginare. Ora vado, nn vedo l'ora che aggiorni, un bacio...

Francy <3
 
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Neiro Sonoda
view post Posted on 28/3/2015, 20:13     +1   -1




Ah-ah, ragazze... vi adoro!
Però povera Sonoko... Non giudicatela tanto in fretta solo per una frase che ha detto!
Be', bando alle ciance, adesso! Vi lascio al mio aggiornamento, buona lettura :)




Capitolo 20
Lo scontro si avvicina


L’antica villetta era circondata da un immenso giardino, pieno zeppo di alberi di ogni tipo. Il viale che conduceva al portone d’ingresso, oltre il vecchio cancello nero, era fiancheggiato da cespugli di rododendro, che crescevano disordinatamente ed erano riusciti a ritagliarsi un po’ di spazio, accanto ai vari tronchi coronati da lunghi rami nodosi e foglie. L’abitazione aveva un aspetto trascurato: l’enorme battente, fatto con legno di quercia, era impolverato e scrostato, mentre l’intonaco color ocra dei muri esterni appariva decisamente sporco. Alcune persiane erano chiuse, altre no, ma s’intuiva facilmente che la villa non veniva occupata da diverso tempo… Perfino il cancello suggeriva l’idea che la casa fosse abbandonata, arrugginito com’era, anche se ciò non sminuiva l’eleganza delle punte di ferro e dei riccioli che ne caratterizzavano le sbarre. A tutto questo si aggiungeva l’aspetto selvaggio del giardino, dove sia gli alberi che le varie erbacce e i cespugli crescevano incontaminati, senza che nessuno si curasse di domare ciò che poteva intralciare il passaggio di un eventuale visitatore.
La villetta era isolata dalla zona urbana di Tokyo, avrebbe potuto costituire un’oasi di pace per chiunque desiderasse un po’ di tranquillità e meno rumori ‘cittadini’ attorno a sé. Certo era abbastanza difficile immaginarla come teatro di uno scontro a fuoco… ma in quella giornata imprevedibile era proprio lì che molti destini, intrecciati inesorabilmente fra loro, dovevano subire una svolta. Terribile e sanguinosa.

Vermouth ricevette Bourbon in una stanza ben arredata, con enormi vetrate da cui si poteva godere di una bella vista della città.
“Buon pomeriggio” lo salutò tranquillamente, mentre avvicinava alla bocca un bicchiere contenente un cocktail. Lui fece un rigido cenno d’assenso.
“A cosa devo il piacere?” proseguì Vermouth con voce suadente, passandosi una mano fra i capelli biondo platino, che quel giorno portava sciolti sulle spalle.
“Ci sono un paio di cosette su cui dobbiamo discutere” dichiarò Tooru Amuro, muovendo qualche passo in avanti.
“Davvero?” chiese Vermouth con noncuranza, posando il bicchiere sul tavolino di fronte alla sua comoda poltrona.
“Credo che non ti farà piacere sapere che ti trovi nei guai… La tua voglia di comportarti da buona padrona che accoglie l’ospite verrà accantonata” replicò Amuro in tono di scherno. La sua interlocutrice non parve minimamente turbata da quelle affermazioni e sorrise, quasi divertita.
“Ho seguito la mia nuova pista” continuò Amuro “e ho scoperto qualcosa di molto importante. Una verità che tu conoscevi, ma hai taciuto”.
Vermouth alzò le sopracciglia ritoccate. Non ebbe alcuna reazione di sgomento o timore… Non era da lei mettersi in agitazione per quelle che, ancora, avevano tutta l’aria di semplici allusioni.
“All’inizio non volevo crederci… poi però ho compreso ogni cosa. C’è soltanto un motivo per cui tu hai mentito, a me, al Boss e agli altri” disse Amuro, lanciando un’occhiata tagliente alla donna a pochi passi da lui. “Questo motivo… si chiama Conan Edogawa. Non è così, Vermouth?”
Scese un silenzio pesante, fatto di sguardi insistenti e penetranti. Vedendo che la sua compagna non si decideva a rispondere, mantenendo un’espressione indecifrabile, Amuro prese di nuovo la parola: “Sembra assurdo… eppure tu stai proteggendo il segreto di Sherry, tornata misteriosamente bambina. E tutto ciò solo perché c’è di mezzo quel ragazzino che abita con Kogoro Mouri”.
Vermouth schiuse le labbra, come per dire qualcosa… e scoppiò a ridere. Amuro, che si aspettava una reazione differente, strinse i pugni.
“Smettila di fingere!” sbottò irritato. “Io so che è così… Ai Haibara, una degli amichetti di Conan Edogawa, è in realtà la scienziata Sherry, traditrice della nostra Organizzazione! Non è morta sul Bell Tree Express e il moccioso la sta proteggendo assieme a quel vecchio inventore che si chiama Agasa!”
Vermouth incrociò le braccia, seguitando a tacere. Amuro riprese, sempre più infervorato: “Quello che è successo sul treno dev’essere stato un trucco ben organizzato… Sherry è viva e tu lo sai da settimane! Ma non hai voluto rivelare nulla, altrimenti quel ragazzino sarebbe finito nei guai… Ho visto la sua foto tra le tue cose, Vermouth. Devi smetterla di tramare contro di noi e confessare quel che hai in mente! Perché sei così interessata a Conan Edogawa? Chi è in realtà quel moccioso?”
Vermouth studiò l’espressione di Amuro con precisione. Non sembrava né sconvolta né spaventata dall’esito di quella conversazione… D’altro canto era un’attrice e sapeva come mascherare le emozioni scomode. Sorrise di nuovo, con perfidia. “Ma quanto sei perspicace, Bourbon…” commentò.
“Ti conviene iniziare a tremare, mia cara” replicò lui brusco. “Presto ti denuncerò agli altri membri dell’Organizzazione… Immagina come sarà contento Gin”.
“Non ne avresti mai il coraggio”.
“Ah no?” Amuro assunse un’aria beffarda. “E cosa te lo fa pensare?”
“Ad esempio, il fatto che durante tutto questo tempo sei rimasto con me… Gin lo sa, quale credi che sarà la sua reazione? Di certo sospetterà che anche tu eri a conoscenza del fantomatico segreto di Sherry e che mi hai dato manforte”.
Amuro sbatté le palpebre, colto alla sprovvista, ma riacquistò subito il tono di scherno: “Non la passerai liscia, credimi… e io assisterò alla tua fine”.
“Mmh… molto interessante” disse Vermouth con sufficienza, alzandosi dalla sua poltrona.
“Convincerò Gin che dico la verità!” esclamò Amuro di getto, l’espressione decisa e sicura. “Se vuole, potrà anche ascoltare le conversazioni trasmesse dalle microspie che ho piazzato… Già una volta Sherry e quel moccioso si sono traditi ed è così che io ho scoperto il loro segreto”.
“Hai messo delle microspie a casa della ragazzina che abita col professor Agasa? Molto astuto” osservò Vermouth con benevolenza.
Amuro era sempre più irritato da quell’atteggiamento. Si aspettava che lei trasecolasse e cercasse di convincerlo a tacere… L’aveva sottovalutata, quella donna era piena di risorse e non perdeva mai il controllo. Eppure lui era sicuro del fatto suo! Le cose non potevano che essere andate così, Vermouth aveva protetto Sherry solo perché non voleva che Conan Edogawa finisse nel mirino degli Uomini in Nero… Era impossibile che, stando quasi sempre alle costole di quel moccioso e avendo cercato a lungo l’ex scienziata dell’Organizzazione, non fosse riuscita a scoprire la verità.
“Ti pentirai dei tuoi errori, Vermouth. Informo subito Gin dell’accaduto… anzi, prima vado ad ascoltare qualche altro bel discorsetto” affermò Amuro, facendo un ultimo tentativo per sbloccare la situazione.
“Fai come ti pare… Non è affar mio” rispose la donna, dandogli le spalle e avvicinandosi alle vetrate della stanza con passo sinuoso.
“I tuoi segreti ti porteranno alla tomba… Questo atteggiamento distaccato non ti salverà” proclamò Amuro trattenendo la rabbia. “Non appena parlerò con Gin…”
Vermouth si voltò, gli occhi accesi da uno strano luccichio, le labbra incurvate in un sorriso inquietante. “Non ti conviene rischiare così, Bourbon. Credimi, so quello che dico… Anche tu hai dei segreti, inoltre: dietro tutte le tue insistenze per vedere il filmato della morte di Shuichi Akai si nasconde qualcosa, non è vero?”
“Me l’hai già chiesto l’altra volta… ma non sono tenuto a risponderti” puntualizzò Amuro, con una nota di asprezza nella voce. “Ad ogni modo, le mie indagini vengono fatte sempre allo scopo di portare vantaggi alla nostra Organizzazione… Non mi sognerei mai di ostacolare i disegni del Boss o di altri. Al contrario di te”.
Vermouth alzò le spalle, indifferente. “Tu non sai nulla di me” replicò.
“Può darsi” annuì Amuro, “ma una cosa è certa”.
“Quale?” domandò lei, appoggiandosi una mano sul fianco.
Il suo interlocutore le si avvicinò, al punto da sfiorarle quasi il naso con il proprio. “Sono io che ho il coltello dalla parte del manico, Vermouth” sussurrò, gli occhi freddi colmi di autocompiacimento. “Renditene conto… e accetta la sconfitta”. Si allontanò da lei, intenzionato ad andarsene e a portare a termine i suoi piani, ma udì un ultima frase che lo bloccò per un paio di secondi.
“Ti sbagli, my darling”. Vermouth aveva parlato con l’aria di chi sa qualcosa che l’altro non può nemmeno immaginare, un’espressione quasi sadica sul volto abilmente truccato. “Sì, ti sbagli” ripeté, mentre Amuro infilava la porta. “E non sai quanto”.

Sulla strada di ritorno verso l’Agenzia Investigativa, Ran Mouri era silenziosa. Suo padre aveva cercato di chiederle ulteriori chiarimenti sulla faccenda del confronto delle impronte ma, resosi conto, che lei non aveva intenzione di rispondere, ci aveva rinunciato. In fondo Ran era una brava figlia, non c’era ragione di sospettare che stesse facendo qualcosa di sbagliato o pericoloso… Doveva fidarsi di lei e lasciar cadere l’argomento.
Dal canto suo, Ran non sapeva bene a quale emozione cedere. Soddisfazione, per aver finalmente confermato quei sospetti che la assillavano da una vita? Non riusciva a provarla. Indignazione, per il fatto che Shinichi le avesse mentito? Nemmeno, se non per pochi istanti. Vergogna, al pensiero di aver raccontato a quello che credeva un bambino di sette anni cose che non avrebbe mai detto con facilità al suo amico d’infanzia? Anche questa sensazione l’aveva dominata per un paio di minuti (Oddio, quella volta alle terme mi ha addirittura vista senza niente addosso) ed era svanita.
Smarrimento, ecco cosa provava. Aveva l’impressione di vivere in un sogno, oppure dentro la vita di qualcun altro… Tutto era surreale, incredibilmente surreale.
Già in passato si era convinta che Conan fosse Shinichi, ma questa volta era diverso. Aveva ricevuto una prova che niente avrebbe mai potuto demolire, nemmeno il trucco più ben costruito di questo mondo… Per la verità non sapeva ancora spiegarsi cosa fosse successo alla sua recita scolastica, quando aveva visto Conan e Shinichi nello stesso posto, ma era chiaro che il suo amico d’infanzia, astuto com’era, doveva aver coinvolto qualcuno nella propria ingegnosa strategia, per distogliere completamente lei dai suoi sospetti.
Sentì una fitta al cuore. Perché Shinichi aveva rivelato il suo segreto ad altre persone e non a lei? Non aveva avuto fiducia o per qualche strano motivo era stato costretto a mentirle? Ripensò all’agitazione che aveva letto negli occhi di lui, quel giorno all’ospedale… Shinichi aveva avuto paura per qualcosa, ne era certa. Poi si era affrettato a riprendere il suo classico atteggiamento sicuro e controllato, promettendole che non le sarebbe accaduto nulla di male. E che avrebbe catturato senza problemi quei criminali coi nomi in codice di alcolici.
“Forse Kudo sta pretendendo un po’ troppo da se stesso” aveva commentato Masumi Sera, il giorno in cui poi avevano sparato a Heiji. “C’è il rischio che s’imbatta in qualche pericolo mortale”.
Ran aveva pensato la stessa cosa. E adesso, dopo aver scoperto il segreto di Shinichi, non aveva idea di come avrebbe reagito rivedendo Conan. Si sarebbe arrabbiata con lui? Oppure, essendo conscia del rischio che stava correndo, lo avrebbe perdonato subito? Non lo sapeva neppure lei.
Fece un profondo sospiro, tirando fuori il cellulare di Shinichi, che le era stato restituito assieme alla spilla dei Giovani Detective. Inaspettatamente le sgorgarono le lacrime… Le asciugò in tutta fretta, senza farsi vedere da suo padre.
Piangere non serve a niente, si rimproverò. Volevi la verità? Ora devi accettare le conseguenze del tuo gesto. Shinichi ti ha mentito, probabilmente perché non voleva coinvolgerti in quello che stava passando. Infatti sostiene di non aver alcun bisogno d’aiuto, ma in realtà starà provando a risolvere una situazione difficile e spinosa… o queste sono preoccupazioni eccessive?
Forse sì, stava esagerando. Ma Masumi la pensava come lei… perché?
‘Anche se io me ne vado, tu non sarai sola’.
Ran trasalì. Le parole che Kogoro le aveva riferito risuonarono nella sua testa, pronunciate dalla voce di Shinichi. Lo stomaco le si chiuse e le mancò il fiato, come se le avessero sferrato un pugno… Lui stava andando a combattere contro quei delinquenti! Ecco il motivo per cui le aveva fatto arrivare quel messaggio, parte del suo animo aveva preso in considerazioni la possibilità di non uscire vivo da quell’impresa.
No… Shinichi, perché?!
Doveva chiamare la polizia, chiedere aiuto… ma come avrebbe fatto? Non sapeva nemmeno dove fosse lui, certamente quella di andare dal professor Agasa rappresentava soltanto una copertura e la sua meta era un’altra…
Nel corpo di un bambino di sette anni contro dei criminali incalliti?! Non può essere, spero almeno che abbia ripreso le sue vere sembianze…
Avrebbe voluto urlare, correre da lui, dovunque fosse… però doveva cercare di controllarsi e agire con lucidità. Per essergli di appoggio.
Il suo animo si riempì di determinazione, mentre si sforzava di respirare con calma. Innanzitutto, doveva scoprire se Shinichi si era messo in contatto con la polizia per ricevere supporto… Si augurava che fosse così, non poteva essere tanto incosciente da agire da solo in una situazione del genere.
Devo essere forte… Non posso crollare e devo farlo per lui! Ha bisogno di una mano…
Era convinta che sarebbe stata sola in quella battaglia, non voleva coinvolgere nessuno che non fosse in grado di cavarsela contro dei delinquenti, perciò si sarebbe rivolta alla polizia. Aveva paura anche per suo padre, nonostante fosse un detective, quindi decise che non gli avrebbe detto nulla… Non immaginava ancora che qualcuno vicino a lei si sarebbe fatto in quattro per stare al suo fianco.
“Sera!” esclamò sorpresa quando vide la sua compagna di classe, accanto ai gradini esterni dell’Agenzia Investigativa con la fedele moto. “Che ci fai qui?”
“Volevo parlare con te” rispose Masumi. “Salve, signor Kogoro… Da dove venite tutti e due?”
“Oh… be’, è una lunga storia” Ran cercò di tagliare corto.
Masumi aggrottò le sopracciglia. “Cosa ti succede? Sembri strana” osservò.
“Non è nulla… Entriamo, dai”.
La giovane detective rimase in silenzio, insospettita. Alla fine trascinò Ran in disparte con una scusa e, piantandole in faccia uno sguardo indagatore, esclamò: “Mi dici che sta succedendo? Sei turbata, si vede”.
Ran fece un respiro tremante. “Shinichi è in pericolo” le uscì di bocca. “Gli uomini che erano implicati nel mio rapimento…”
Masumi afferrò l’amica per le spalle, interrompendola: “Ne sei certa?”
“No, ma…” Ran si bloccò, poi riprese con più fermezza: “Vieni in camera mia, Sera… Dobbiamo parlare con calma”. E si diresse al piano di sopra con passo svelto.

Edited by Neiro Sonoda - 2/8/2015, 14:53
 
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marty shin×ran
view post Posted on 29/3/2015, 00:26     +1   +1   -1




Ciao cara.
Se riesco per un attimo a distrarmi è anche grazie a voi.
Vermouth, qua la mano! Così va trattato Amuro.
Spero che si faccia male quel tipo.

Ran, devi aiutare Shin, perché voglio un finale felice!
Bravissima Neiro,
Martina
 
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Neiro Sonoda
view post Posted on 2/4/2015, 12:44     +1   -1




Sorpresa, sorpresa, sorpresa… un altro capitolo!!
Siccome l’altra volta ne ho postato uno relativamente breve, allora ho pensato che fosse giusto controbilanciare :D
Camomillatevi, perché questo è bello lungo, perciò consiglio di leggerlo piano piano, anche a causa dei diversi “stacchi” soprattutto per arrivare carichi/e e attenti/e all’ultima parte, un flashback chilometrico che spero chiarisca un paio di cosette! E preparatevi, perché da adesso in poi il ritmo inizierà a farsi sempre più serrato, con aggiornamenti che, se so organizzarmi e la fortuna mi assiste, diverranno più rapidi per rendere al meglio la suspense!

Be’, dopo questa sequela di consigli non posso che lasciarvi alla lettura… Mi auguro davvero che i miei sforzi abbiano prodotto qualcosa di ben riuscito!


Neiro





Capitolo 21
La storia di Masumi


“… Quindi Kudo ti ha mandato quel messaggio e tu ritieni che sia andato contro quegli uomini?”
“Temo di sì… Ho paura, Sera, ma non per me. Per lui, per la sua vita”.
Masumi e Ran parlavano da diversi minuti, sedute sul letto; la prima con un’espressione pensierosa e assorta, la seconda ansiosa e piena di tensione. La situazione stava mettendo a dura prova entrambe, ma le due ragazze manifestavano in maniera differente la loro inquietudine. Solo una cosa le accomunava: la volontà di agire prima che fosse troppo tardi.
“C’è una cosa che non capisco” disse infine Masumi con lentezza. “Perché Kudo ti ha spedito quello strano messaggio, se ti aveva chiesto di non contattarlo finché era impegnato a seguire la sua pista? Insomma, sembrava che non intendesse farti preoccupare, ma così ha ottenuto l’effetto contrario… È quasi come se volesse causarti ansia per la sua sorte”.
“È proprio questo che mi spaventa! Anche se…” cominciò Ran, indecisa su ciò che avrebbe voluto aggiungere.
“Questa storia puzza” decretò Masumi. “Lui non voleva coinvolgerti in alcun modo, Ran! Eppure quel messaggio, spedito a una persona come te, ha tutta l’aria di un SOS implicito… Com’è possibile che Kudo si comporti così? Non è logico. Sei sicura che sia stato proprio lui a spedirti l’sms?”
Ran si morse il labbro, a disagio. “Ecco, veramente…”
“Forse è una trappola. In fondo il suo cellulare era rimasto a te… Chiunque può averti contattato firmandosi ‘Shinichi’!” esclamò Masumi tutta animata. “O forse c’è sotto qualcosa che non hai voluto dirmi?”
Ran deglutì. Poteva fidarsi al punto da svelare l’importante verità che aveva appena scoperto, oppure no? Pensandoci bene, non è che lei e Masumi si conoscessero chissà quanto. Erano amiche, sì, ma tante cose di quella ragazza così intelligente e mascolina costituivano un vero mistero… Lei non conosceva quasi nulla della sua vita passata, ad esempio, visto che erano compagne di classe giusto da qualche settimana. Era una mossa saggia confidarle un segreto, per di più apparentemente vitale da mantenere, almeno se si considerava l’atteggiamento di Shinichi, che aveva cercato di nasconderlo perfino all’amica con cui era cresciuto?
“Allora?” incalzò Masumi. “Cosa c’è sotto?”.
Ran strinse i pugni. “Sera… in realtà non ho ricevuto alcun sms” confessò.
La giovane detective assunse un’aria sospettosa. “Perché mi hai mentito?”
“Te lo dirò… ma tu devi promettermi che non rivelerai a nessuno quello che sto per raccontarti” rispose Ran, un’espressione grave negli occhi chiari.
Masumi annuì. “Ti puoi fidare di me. Prometto che non ne parlerò ad anima viva. Adesso sputa il rospo”.
“Ecco… quel messaggio me l’ha riferito mio padre a voce. E a dirgli di farlo… è stato Conan, prima di andare dal professor Agasa. Perché, anche se non ha mai voluto confidarmelo, Conan… Conan in verità…” Ran strinse i pugni ancora più forte, tanto da farsi sbiancare le nocche. Masumi attese con pazienza che riuscisse a terminare la frase, rimanendo impassibile.
“Conan è Shinichi!” sbottò infine Ran. “Sono la stessa persona… So che può sembrare assurdo, fantascientifico, ma è così! Ne ho le prove, ho fatto il confronto delle impronte digitali!” Respirò affannosamente, sforzandosi di recuperare il fiato che, chissà come, le era mancato. Si rendeva conto che le sue affermazioni non suonavano molto convincenti, anzi, potevano apparire decisamente folli… tuttavia non sapeva in quale altro modo esprimersi.
Adesso Sera scoppierà a ridere, oppure mi dirà che sono pazza e vedo Shinichi dappertutto, pensò.
“Conan è Shinichi Kudo?” Masumi si alzò in piedi e infilò le mani in tasca. “Ne hai davvero le prove?”
La sua voce appariva priva di sorpresa. Non era la reazione che Ran si era aspettata, quella che avrebbe avuto chiunque di fronte a una dichiarazione del genere… Qualcosa non tornava.
“Sì, Sera, ne ho le prove” replicò, la fronte aggrottata. “Sono stata alla polizia, ho chiesto di fare il confronto e…”
“Molto bene. Finalmente ci sei arrivata, allora”.
Ran restò ancora più spiazzata davanti a quella risposta. “Tu… tu lo sapevi?” balbettò.
Masumi annuì, seria. “Ero venuto fin qui per chiederti delucidazioni su quello che è successo con Kyosuke… ma adesso non ha più importanza” mormorò. Emise un sospiro lungo e penoso, mentre il suo volto si adombrava. “Ci sono alcune cose che non sai… ed è giunto il momento che ti vengano spiegate”.

“Allora, Heiji: stasera andiamo a cena per festeggiare il tuo ritorno?” esclamò allegramente Kazuha, parlando al cellulare.
“D’accordo, come vuoi… Basta che sia un posto dove si mangia bene” rispose la voce un po’ scocciata del suo amico d’infanzia.
“Saremo soli, visto che i nostri genitori vanno tutti e quattro insieme a una cena di lavoro… quindi ti aspetto, vieni a prendermi” aggiunse Kazuha.
Dall’altra parte, Heiji sbuffò. “See… Tranquilla, non ti lascio a casa. Adesso però vorrei chiudere, se non ti spiace… Ho da fare”.
“Sì, be’, anch’io” precisò Kazuha. “Devo riordinare la mia stanza…” Non disse che, oltre a quello, voleva a tutti costi scovare un abito carino per quella sera.
È una vita che io e Heiji non andiamo a mangiare assieme… Vorrei che fosse una cena speciale, pensò.
“Allora a più tardi” concluse il detective dell’ovest. “Ciao, Kazuha”.
“Ciao”.
Dopo la conversazione telefonica, ognuno si dedicò a quel che doveva fare. Nessuno dei due aveva cattivi presagi sulla serata… ma per Heiji la cosa non durò a lungo. Ricevette una breve mail sul cellulare, che lo lasciò quasi sconvolto, e si tormentò a lungo su come comportarsi.
‘Siamo sulle loro tracce. Non provare a contattarmi in alcun modo, però augurami mentalmente buona fortuna’.

Era una bella giornata di sole e la città di New York, rumorosa e affollata come di consueto, appariva brulicante più che mai di turisti. Masumi Sera strinse tra le mani la macchina fotografica vecchio stile di sua madre, pronta a eseguire gli scatti che le sarebbero parsi più opportuni e a immortalare le immagini maggiormente pittoresche. Per questo era lì e doveva ammettere che non le dispiaceva: New York era una città di cui tutti parlavano, piena di posti interessanti e famosi, orgoglio degli Stati Uniti e teatro di innumerevoli vicende scritte nei libri o raccontate dai film. Sua madre, che aveva sempre sognato di andarci ma purtroppo aveva perso una buona occasione, a causa di un incidente sul lavoro, l’aveva spronata a recarsi lì e a ‘documentare’ la sua esperienza di viaggio nella maniera più efficace possibile.
“Mi raccomando, Masumi, fai del tuo meglio! Aspetto fotografie strepitose e racconti dettagliati!” le aveva detto prima di partire.
Lei si era limitata ad annuire, rispondendo un tiepido: "Sì, mamma".
Adesso che era nel bel mezzo di
Central Park, non poteva fare a meno di sorridere. Sua madre sapeva bene che lei era un asso a scattare foto, per questo aveva insistito… Certo, Masumi avrebbe preferito usare una macchina digitale, piuttosto che un vecchio catorcio di cui avrebbe dovuto far sviluppare il rullino, ma pazienza. L’importante era divertirsi e impegnarsi per la buona riuscita dell’impresa.
La passione per la fotografia costituiva una delle poche cose che Masumi aveva in comune con la mamma. Per il resto, la signora Sera era piuttosto diversa dalla figlia: decisamente più femminile, sia nell’aspetto che nei modi, nonché fermamente convinta che il mestiere di detective portasse più guai che altro. Masumi, invece, a soli sedici anni aveva già aiutato la polizia della sua cittadina durante alcuni casi particolarmente difficili, e sognava un giorno di aprire un ufficio investigativo tutto suo. Al momento, si accontentava di essere conosciuta per le sue doti nella scuola che frequentava, ma soprattutto era felice di fare qualcosa tanto appassionante quanto utile agli altri, nonché di mettere alla prova le sue capacità. L’America le piaceva e la riteneva il giusto trampolino di lancio per una sua futura carriera da detective, per questo aveva accettato di andare a vivere lì assieme ai suoi genitori, circa due anni prima.

Però non mi dispiacerebbe tornare a Tokyo ogni tanto, meditò, sistemandosi l’amato borsalino blu sulla testa.
In effetti, il Giappone le mancava. Dopotutto era nata e cresciuta lì, si era trasferita negli Stati Uniti solo a causa del lavoro di suo padre… Comunque, era certa che prima o poi avrebbe fatto una capatina nel suo luogo d’origine.
Si sedette su una panchina, indecisa se fotografare alcuni turisti che andavano in bicicletta e indossavano vestiti dai colori decisamente sgargianti. A sua madre sarebbero piaciuti moltissimo, ne era sicura.

No, meglio di no, stabilì. Se si perdeva in cose così futili avrebbe terminato il rullino molto prima del previsto!
Si abbandonò sulla panchina, sbadigliando. Certo che faceva caldo, anche se si era alzato il vento… Mentre si scostava alcuni ciuffi dalla fronte, vide uno scoiattolino scendere velocemente lungo il tronco di un albero, a una certa distanza da lei. Sollevò la macchina fotografica, pronta a premere il pulsante dello scatto, quando un basco femminile bianco, trascinato da un colpo di vento, atterrò sull’erba accanto all’animaletto, che ebbe un violento sussulto e fece per avvicinarsi di nuovo al tronco. Masumi era ormai decisa a fotografarlo, perciò si alzò in piedi, intenzionata a non lasciarsi scappare quella seconda occasione… e schiacciò il pulsante della vecchia macchina con rullino proprio nell’istante in cui un ragazzo bruno raccoglieva il basco da terra. Così immortalò anche lui assieme allo scoiattolino, che intanto era risalito fin quasi a metà dell’albero.

Accidenti! Non poteva arrivare qualche attimo dopo?, pensò Masumi un po’ infastidita. Vabbè, pazienza…
Il tizio che aveva fotografato per sbaglio si alzò in piedi, restituendo il basco alla ragazza dai capelli lunghi che lo aveva appena raggiunto di corsa. Lei gli disse qualcosa, forse per ringraziarlo, ma Masumi non riuscì a sentire a causa della confusione e dei rumori che caratterizzavano Central Park… A occhio e croce, entrambi sembravano avere più o meno la sua età ed erano certamente giapponesi; forse si trovavano a New York in vacanza. Parlavano animatamente e avevano tutta l’aria di due migliori amici… o magari erano due fidanzatini, chissà. Li avrebbe dimenticati abbastanza in fretta se non le fosse capitato di rivederli più tardi al tavolino di un bar, a poca distanza da Central Park. Mentre passava accanto a loro, diretta verso il bagno del locale, udì uno stralcio di conversazione.
“… Tu e la tua fissazione per Sherlock Holmes, Shinichi! Possibile che non pensi ad altro?” stava dicendo scocciata la ragazza, ricacciando indietro una ciocca di capelli castano scuro.
“Sai che voglio diventare un detective, Ran… È normale che abbia bisogno di un modello eccezionale come Holmes!” ribatté a quel punto il ragazzo che aveva raccolto il basco.
Masumi sorrise fra sé, allontanandosi.

Un aspirante detective come me… Interessante!
Per un attimo ponderò la possibilità di avvicinarsi e presentarsi – conosceva il giapponese a menadito e non avrebbe certo avuto difficoltà con la lingua – però ci rinunciò. Non era proprio il momento adatto, decise. Forse poteva farlo sorprendendoli prima che se ne andassero, e intanto avrebbe bevuto il suo frullato… Purtroppo, non appena si distrasse per qualche secondo, i due ragazzi lasciarono il bar. Si confusero in mezzo a una folla di altri turisti e sparirono ben presto alla vista.
Nei giorni seguenti, Masumi continuò a pensare a loro, ma non ebbe alcuna occasione di rivederli. Evidentemente si era sbagliata, avrebbe fatto meglio ad approfittare subito per conoscerli… Dovevano essersene andati ormai, ed era un peccato, perché Masumi aveva la netta sensazione che fossero due persone molto interessanti e il suo ‘sesto senso’ raramente cadeva nell’errore. Ad ogni modo, il suo soggiorno a New York si rivelò soddisfacente sotto diversi punti di vista e, quando lei tornò a casa, era pienamente felice dell’esperienza.
Venne poi il momento di far sviluppare le foto e la signora Sera rise come una matta vedendo quella in cui, oltre allo scoiattolino arrampicato su uno degli alberi di
Central Park, era stato immortalato un giovane turista giapponese che raccoglieva un cappello da terra. Anche Masumi rise e non disdegnò di esaminare con una buona dose di attenzione l’elemento indesiderato della fotografia, cosa che non aveva potuto permettersi di fare al momento dello scatto (e neppure al bar, dove in fondo gli era solo passata accanto un paio di volte). Era un ragazzo carino, con bei lineamenti: il tipo che molte sue compagne di classe non si sarebbero fatte scappare e dal quale avrebbero preteso come minimo indirizzo e numero di cellulare. Da lui trasudava un certo fascino, ma non era questo che aveva colpito Masumi, tutt’altro che propensa a perdersi nella contemplazione di un bell’esemplare di sesso maschile; no, a interessarle era ciò che traspariva dai suoi occhi. Intelligenza, sicurezza, determinazione… Esattamente le qualità che, secondo lei, doveva possedere un investigatore, oltre all’intuito e alle capacità deduttive. Così, mentre studiava minuziosamente i tratti del suo volto, caratterizzato da un naso dal profilo regolare e da due luminose iridi color del mare, nonché da un buon numero di ciuffi scuri e ribelli che ricadevano sulla fronte, non poteva evitare di pensare alle frasi che gli aveva sentito pronunciare al bar. ‘Voglio diventare un detective’… Proprio quello che spesso aveva detto lei!
Solo col trascorrere dei mesi la foto, mescolata in un cassetto assieme a molte altre, finì nel dimenticatoio; con essa anche i pensieri di Masumi riguardanti quel ragazzo, finché non si presentò un’occasione, inaspettata e quanto mai bizzarra, di riportare tutto in superficie. Nel corso del suo diciassettesimo anno di età, infatti, Masumi ricevette la notizia che suo fratello maggiore Shuichi potesse trovarsi in Giappone e questo sconvolse la sua vita: lui era andato via da diverso tempo, facendo perdere le proprie tracce e troncando totalmente ogni genere di contatto, sia con la sorella che con i genitori. Masumi ne aveva sofferto, essendo legatissima a Shuichi sin da quando era molto piccola, nonostante la differenza di età… e, presentatasi quindi l’occasione di rintracciarlo, lei promise a se stessa di non lasciarsela scappare. L’informazione le era giunta da un vecchissimo amico di suo fratello che, in viaggio negli Stati Uniti assieme alla moglie, aveva incontrato Shuichi per caso e l’aveva sentito dire qualcosa a proposito di un ritorno in patria. Per questo, quando Masumi si era imbattuta in quell’uomo qualche tempo dopo, le era stata riferita quella notizia. Lei aveva preso la solenne decisione di ritrovare suo fratello maggiore a tutti i costi, perciò mise da parte i suoi risparmi e chiese un aiuto economico anche ai suoi genitori, per poter tornare fino in Giappone e stare lì. All’ultimo minuto, si fece dare il numero di cellulare dell’amico di vecchia data di Shuichi e, nel momento in cui si preparava a partire, prese appunti sulla prima cosa che le capitava a tiro… cioè il retro della fotografia che immortalava lo scoiattolino di
Central Park e il ragazzo bruno, saltata fuori durante la messa a soqquadro del cassetto di casa che custodiva vari ricordi della famiglia Sera. Un numero utile venne perciò annotato, nella frenesia e nell’agitazione precedenti il viaggio, proprio sulla foto dell’aspirante detective giapponese che, mesi addietro, aveva suscitato l’interesse di Masumi. I casi della vita…
Lei partì per il Paese del Sol Levante, con la convinzione di essere sulla buona strada per trovare suo fratello. Sapeva che la sua ricerca sarebbe stata difficile, eppure non intendeva arrendersi. Giunse a Tokyo, visitò i luoghi che avevano caratterizzato la sua infanzia, aggrappandosi giorno dopo giorno all’idea che Shuichi fosse davvero lì, a qualche passo da lei, e che l’avrebbe rincontrato. Si sforzò di non cedere allo sconforto e ai cattivi pensieri, coltivando le proprie speranze… e ci riuscì, nonostante la situazione di grande incertezza. Ma non fu sempre facile.
Una sera, poco dopo essere arrivata in Giappone, quando ancora non aveva trovato un hotel fisso dove alloggiare, fece una passeggiata solitaria in una zona non molto frequentata del Quartiere di Haido. Si sentiva il cuore oppresso, le sue ricerche non avevano portato a nulla di buono… Appoggiandosi a un lampione fulminato, tenne gli occhi fissi sulla strada e sugli edifici di fronte a sé, poi tirò fuori dalla tasca due fotografie stropicciate. Una era quella con il numero di telefono del vecchio amico di suo fratello scarabocchiato sul retro; l’altra ritraeva Shuichi assieme a lei, parecchi anni prima.
La rabbia iniziò a montarle, pulsando nelle sue vene come veleno. Perché Shuichi se n’era andato via così?! L’aveva abbandonata, per inseguire chissà quale sogno oscuro a tutti, facendo come se lei e i genitori non fossero mai esistiti… nonostante avesse sempre detto che le voleva bene. Aveva tradito la sua famiglia e non si era mai curato di dare spiegazioni sulla sua sparizione, provocando sgomento e dolore a coloro che tenevano a lui. Evidentemente, non gli importava di nessuno se non di se stesso.
“Sei solo un bastardo!” Masumi gettò per terra entrambe le fotografie, gli occhi che bruciavano e il cuore sanguinante. Come aveva potuto credere di riabbracciare suo fratello grazie alle parole di un uomo, che aveva dimostrato di non possedere alcuna informazione, se non quella di un eventuale ritorno di Shuichi in Giappone? Cosa le aveva fatto pensare che bastasse così poco per ritrovare una persona cara? E perché, poi? Shuichi aveva trascorso anni lontano da lei, infischiandosene di quanto ciò la facesse soffrire… Non meritava alcun perdono e lei non doveva sprecare tempo nell’inutile tentativo di mettersi sulle sue tracce.
Nascose il volto fra le mani, affranta. Avrebbe voluto calpestare con tutte le sue forze quella foto inutile, scattata quando lui le era ancora accanto…
“Ma guarda un po’… Cosa ti affligge, mia cara?”
La voce morbida e suadente di una donna raggiunse le sue orecchie. Masumi lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi, non prima di essersi passata velocemente il dorso della mano sugli occhi umidi, e alzò lo sguardo: a pochi passi da lei c’era una sconosciuta che la osservava con interesse.
“Che cosa vuole?” non poté trattenersi dall’esclamare, in un tono brusco e per nulla educato.
La donna non si scompose. “Ti ho vista piangere e… Oh, credo che queste appartengano a te”. Le porse le due fotografie, ma Masumi non le prese.
“Non sono mie” mentì secca.
La sconosciuta fece un passo avanti, la scrutò e sorrise. “Ne sei proprio sicura? A me sembra che in una delle due sia ritratta proprio tu” osservò giudiziosa.
Masumi arrossì, a disagio. “Be’, io…” cominciò, senza avere la minima idea di come proseguire. La donna continuava a osservarla, in silenzio e sorridendo con calore. Aveva la sensazione di averla già vista da qualche parte… Era alta, formosa e aggraziata, vestita di scuro, con lunghi capelli chiari raccolti in maniera elegante sotto un cappellino nero. Non sembrava avere più di trent’anni e doveva essere straniera, benché parlasse fluentemente il giapponese… Quando l’aveva già incontrata?
“È vero, le foto sono mie” ammise Masumi con un sospiro. “Forse è meglio che me le riprenda…”
Il sorriso della donna si allargò. Aveva labbra carnose evidenziate da un rossetto cremisi e un viso dai lineamenti perfetti, animato da due occhi grigio-azzurro con le ciglia folte. “È dura stare lontani da chi amiamo, non è vero?” Indicò il volto di Shuichi, sulla fotografia che lo ritraeva accanto a una giovanissima e spensierata Masumi.

Di che s’impiccia questa qui?, pensò la ragazza con dispetto. “Probabile” si limitò a rispondere.
“Ma certo che sì” replicò l’affascinante sconosciuta. “Tu tieni molto a questa persona, vero?”
“Non è affar suo” sbottò Masumi, riprendendosi le foto con un gesto repentino. Non le importava di apparire scortese… e poi non le andava giù che un’estranea le facesse domande scomode.
“Hai ragione, non è affar mio” convenne la donna tranquillamente. “Il tuo dolore è una cosa personale… In ogni caso, è più che evidente che tu vuoi bene a quel ragazzo e che fino a non molto tempo fa voi eravate insieme”.
Masumi non disse nulla, intascando le foto. La donna continuò: “Per caso lui è scomparso e tu lo stai cercando? Purtroppo per te non lo troverai”.
“Cosa… cosa intende?” scattò Masumi, sentendo il proprio cuore accelerare i battiti.
“La persona che tanto vuoi riabbracciare… non c’è più” rivelò la donna in un mormorio cupo. “Ha perso la vita”.
Calò un silenzio carico di tensione. Poi Masumi esclamò: “Che sta dicendo?!”
“La verità, per tua sfortuna”.
“Lei… lei conosce quest’uomo?” incalzò la giovane detective col respiro mozzo.
“Naturalmente. Shuichi Akai, è così che si chiamava”.
Masumi sobbalzò. Akai… ovvero ‘rosso’, il colore preferito di suo fratello quando loro due erano bambini. Non era poi così assurdo che lui avesse adottato proprio quel cognome, ma perché? Aveva dunque cercato di cambiare identità?
“Cosa sa di lui?” domandò, gettando all’aria ogni cautela.
“Non molto, mi dispiace. So che ha fatto amicizia con le persone sbagliate… e questo gli è costato caro” affermò la donna con gravità.
“Non è possibile! Non può essere morto!” protestò Masumi con voce rotta.
“Ti assicuro di sì. E mi dispiace tanto…” replicò la sua misteriosa interlocutrice.
“La prego, mi dica tutto quello che sa. È importante per me”.
“Se è questo che vuoi, incontriamoci domani sera alle dieci al vecchio parco alla periferia di Tokyo, dove fioriscono i ciliegi. Sai come trovarlo, vero?”
“S-sì” balbettò Masumi sconcertata, “ma…”
“Allora abbiamo un appuntamento. E ti sarei grata se portassi anche la tua seconda fotografia, che ritrae lo scoiattolino e quell’adolescente che raccoglie il cappello” aggiunse la donna, una strana luce negli occhi. Senza dire altro si allontanò con grazia, i tacchi vertiginosi che picchiettavano sul marciapiede, lasciando Masumi completamente inebetita.

Accidenti, chi diavolo era quella?!
Non avrebbe voluto essere tanto incauta da fidarsi, ma non aveva altra scelta se desiderava informazioni in più sulla sorte di suo fratello… Fu così che l’indomani si recò all’appuntamento e la donna la accolse con benevolenza.
“Se vuoi scoprire con chi ha avuto a che fare Shuichi Akai prima di rimanere ucciso… ho la risposta che fa per te” annunciò a un certo punto. Porse a Masumi un’istantanea, che immortalava due ragazze abbracciate, e lei osservò con attenzione: la prima sembrava avere suppergiù la sua età, aveva lunghi capelli scuri che le ricadevano sulle spalle, un’espressione radiosa e occhi dolci, mentre la seconda, una bambina intorno ai dieci, undici anni, aveva un caschetto biondo-rame e un timido sorriso stampato in faccia.
“Chi sono?” volle sapere Masumi, accigliandosi.
“Coloro che hanno rovinato la vita al tuo adorato Shuichi” spiegò la donna. Estrasse una sigaretta dalla borsa e la accese rapidamente, per poi portarsela alla bocca.
“Non capisco… Come fa lei a sapere queste cose?” chiese Masumi sospettosa.
“Mia cara, non è importante come faccio a saperlo. Ora devi decidere quale sarà la tua scelta: hai la possibilità di vendicarti di chi ti ha strappato una persona a cui volevi bene”.
Masumi sbarrò gli occhi. “Che cosa dice?!”
La donna incrociò le braccia sul petto prosperoso, tenendo in mano la sigaretta ancora accesa. “Sto solo riportando la realtà” sentenziò.
“Io… io non riesco a credere che Shuichi sia morto! E anche se fosse, non cercherei vendetta”.
“Ah no? Meriteresti comunque una spiegazione per quello che è successo, non trovi?” ribatté la donna soave, continuando a fumare. “E lui non è più in grado di dartela”.
“Lei mente”. Masumi serrò i pugni, indietreggiando. “Scommetto che quelle ragazze non c’entrano nulla”.
“Sei libera di non credermi, se vuoi” disse la donna alzando le spalle. “Ma se Shuichi Akai non è più su questa terra la colpa è solo di queste due” – sbuffò un po’ di fumo – “… adorabili sorelline”.
“Io lo troverò!” gridò Masumi. “Lui non è morto!”
“Povera cara”. La donna scosse la testa, con commiserazione. “Non riesci ad accettarlo, vero?”
“Ora basta! Lei… lei è solo pazza!”
“Pazza sei tu, se rinunci a scoprire la verità”.
“Non conterò certo su un’estranea che è spuntata all’improvviso” replicò Masumi acida.
“Come vuoi. Allora ti consiglierei di affidarti a qualcun altro… Che ne dici del giovane detective che hai fotografato?” suggerì la donna con una punta di malizia.
“Io non… Un momento, come sa che è un detective?” Masumi sbatté le palpebre, incredula.
“Ho avuto a che fare con lui, in passato”.
“Le ha messo i bastoni fra le ruote?”
“In un certo senso” annuì la donna. “Vedo che sei perspicace”.
“Scommetto che lei è una poco di buono” disse Masumi. “Chissà quali scomodi segreti nasconde”.
“A secret makes a woman woman, my dear. Ricordalo sempre… e ad ogni modo, ti sarei grata se mi confidassi quello che sai sul ragazzo che hai fotografato assieme allo scoiattolo”.
“E perché mai?” obiettò Masumi a denti stretti.
“Perché io ti ho offerto una pista da seguire e ti ho rivelato parte della verità sulla fine di Shuichi Akai”. La donna spense la sigaretta con la punta della scarpa, dopo aver gettato a terra il mozzicone. “Merito una ricompensa”.
“Lei non saprà nulla da me”.
“Davvero? In questo caso te ne puoi andare”.
Masumi serrò nuovamente la mascella. “Si può sapere che cosa vuole? Qual è il suo vero obiettivo?”
“Sono molto interessata ai giovani detective, tutto qui. Poco fa leggevo…” – la donna tirò fuori dalla borsa un giornale spiegazzato – “le imprese di una specie di prodigio che ha avuto diversi scontri con il ladro gentiluomo dal mantello bianco”.
Masumi corrugò la fronte. “Di chi…?”
“Conan Edogawa. Un mocciosetto delle elementari che ha messo in difficoltà il famoso Kid. Non ne hai mai sentito parlare?” chiese la donna, scrutando la ragazza come se volesse leggerle fin dentro l’anima.
“Conan Edogawa? No, mai”.
“Uhm, peccato. Una personalità molto interessante per essere un ragazzino. Ha un vero talento investigativo… proprio come Shinichi Kudo”.
“Shinichi Kudo? E chi è?” si lasciò sfuggire Masumi. La donna la guardò di nuovo, con occhi penetranti.
“Davvero non lo sai? Be’, meglio così”.

Un momento… Ha detto Shinichi? Non è Shinichi il nome di quel ragazzo che ho fotografato per sbaglio e a cui questa qui sembra interessata?, pensò Masumi con un lieve sussulto.
“Shinichi Kudo… è il suo nome. Non è vero?” azzardò, mostrando la foto.
La donna annuì. “Esatto. Lui e Conan Edogawa hanno molto in comune… per esempio l’essere fan di Sherlock Holmes, il detective creato da Sir Arthur Conan Doyle. Buffo, vero?”

Dove vuole arrivare?, si chiese Masumi sconcertata.
“Comunque, mi sembra evidente che non sai nulla di Shinichi Kudo. Buon per me” concluse la donna, aggiustandosi il cappellino nero sulla testa.
“Cosa vuole da lui? E da quel bambino?”
“Niente che t’interessi. Tu pensa a rintracciare le artefici della morte di Shuichi Akai, sempre se vuoi arrivare fino in fondo. Non preoccuparti, una di loro si trova proprio qui a Tokyo” rispose la donna con leggerezza.
“Basta! La smetta con queste scemenze!”
“Vedrai, ti sarà tutto molto più chiaro se decidi di seguire la strada che ti ho indicato… e potrai farla pagare a chi ha rovinato la vita a una persona a cui tenevi” terminò la donna. Lanciò il giornale a Masumi, girò sui tacchi e sparì nel buio.


Edited by Neiro Sonoda - 3/8/2015, 00:33
 
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marty shin×ran
view post Posted on 2/4/2015, 21:32     +1   -1




Neirooo, come stai?
Questo capitolo mi ha rievocato un bel momento Shin x Ran.
Sera ha parlato con vermouth e, se ho ben capito, il motivo della fine di Akai sono Ran e Sonoko.
Comunque mi hai sorpreso: Bella trovata quella del viaggio a New York.
Un bacione
Martina
 
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ran e shinichi
view post Posted on 3/4/2015, 11:41     +1   -1




Ciao Neiro! Cm va? È da molto che non entravo nel forum e ho visto i tuoi aggiornamenti solo ora... bhe, come al solito scrivi benissimo e il capitolo è molto bello! Ib quello precedente ho, diciamo scoperto, come reaggirebbe Ran una volta sciperta la verità, secondo un tuo punto di vista. Anche quest'ultimo mi è piaciuto tanto, è bello 'l'incontro' a New York e la conversazione con vermouth. Le ragazze della foto sono Shiho e Akemy? Bhe ora scappo, baci...

Francy <3
 
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Neiro Sonoda
view post Posted on 3/4/2015, 16:01     +1   -1




Tutto bene, grazie, ragazze :)
Sono contenta di vedere i vostri commenti tempestivi... Eh, il riallaccio a New York mi è venuto naturale, è l'unico momento in cui Masumi potrebbe aver visto Shinichi! Altrimenti quando avrebbero potuto incontrarsi? Non ne ho proprio idea, così ho pensato a questa situazione
La reazione di Ran... eh, siamo in un momento particolare e ho immaginato che lei non riuscisse ad arrabbiarsi, ma ovviamente fra lei e Shin devono succedere ancora un paio di cosette ;)
Vermouth "spacca" sempre è comunque :P E per la cronaca, le ragazze in foto sono Shiho e Akemi... Pensavo si capisse al volo
Ma nessuno ha commentato Heiji e Kazuha?? Vabbè che gli ho dedicato due righe, ma...

Vi aspetto alla prossima, mi raccomando!
Francy, se sei interessata c'è un piccolo progettino mio qui ... Se hai qualche domanda in merito alla mia fanfic...
 
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marty shin×ran
view post Posted on 3/4/2015, 23:39     +1   -1




Ciao ragazze.
Ah, erano Akemi e Shio.... scusate non me ne ero accorta.
Cosa sono quelle due cosette che devono accadere a Shin e Ran, Neiro?
Spero nulla di cattivo.
Martina
 
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Neiro Sonoda
view post Posted on 5/4/2015, 16:29     +1   -1




CITAZIONE (marty shin×ran @ 4/4/2015, 00:39) 
Cosa sono quelle due cosette che devono accadere a Shin e Ran, Neiro?
Spero nulla di cattivo.

Eeeeeh... chissà! :P ;)
 
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marty shin×ran
view post Posted on 5/4/2015, 16:36     +1   -1




Neiroooo, perchè vuoi mettermi in ansia? XD
 
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Neiro Sonoda
view post Posted on 5/4/2015, 16:37     +1   -1




E' il sadismo degli aspiranti scrittori :P
 
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205 replies since 27/3/2014, 21:20   7224 views
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