Detective Conan Forum

Reduci, Cos'è successo dopo il Mystery Train?

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marty shin×ran
view post Posted on 5/4/2015, 16:44     +1   -1




Ah capisco , che gentile! XD.
Mi vendicherò XD.
 
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Neiro Sonoda
view post Posted on 5/4/2015, 16:47     +1   -1




Dai, aspetta almeno di vedere che succede :D
 
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marty shin×ran
view post Posted on 5/4/2015, 16:51     +1   -1




Neiro, quando mi dicono così(in particolare il mio migliore amico) succede sempre qulcosa XD.
Ricordi una strofa di "Così importante"? Diceva "... se fidarmi o non fidarmi di te".
Io ho lo stesso dubbio
 
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Neiro Sonoda
view post Posted on 5/4/2015, 16:52     +1   -1




CITAZIONE (marty shin×ran @ 5/4/2015, 17:51) 
.Ricordi una strofa di "Così importante"? Diceva "... se fidarmi o non fidarmi di te".

Te lo dirà il tempo... o forse rivelerò qualcosina nel topic della mia posta :)
 
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marty shin×ran
view post Posted on 5/4/2015, 16:54     +1   +1   -1




A proposito: hai ricevuto le mie domande?

P.S. :un giorno se ti va tido il mio numero per parlare su whatsapp
 
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Neiro Sonoda
view post Posted on 7/4/2015, 21:34     +1   -1




Cala l’oscurità… ;) :)




Capitolo 22
I cinque corvi


Era il tramonto. Il cielo si era tinto di calde sfumature color oro e arancio e il sole si preparava a sparire, per poi lasciare il posto al velo scuro della notte. L’aria era fresca e frizzantina, un venticello delizioso soffiava sulla città di Tokyo, accarezzando le cime degli alberi delle poche zone verdi e facendo sussurrare le foglie. Tooru Amuro guardava fuori dalla finestra, chiuso in un silenzio cupo, per nulla interessato a ciò che i suoi occhi di ghiaccio vedevano e interamente concentrato su quello che era accaduto durante la conversazione con Vermouth.
Come faceva quella donna a rimanere impassibile di fronte a tutto? Chiaramente si trovava nei guai più terribili, eppure… sembrava non avere alcuna paura. Fingeva? Oppure nascondeva qualcos’altro?
Amuro sospirò, sistemandosi il colletto della camicia e incrociando le braccia. Prima era sicuro che, dopo aver affrontato Vermouth, si sarebbe precipitato a informare Gin della clamorosa novità su Sherry… invece non aveva ancora agito. L’atteggiamento di calma e superiorità della compagna gli aveva in qualche modo guastato la festa e ora non sapeva bene come comportarsi.
Non posso sprecare un’occasione del genere… Se consegno Sherry, diventerò finalmente il preferito del Boss e potrò incontrarlo di persona. E anche Gin dovrà riconoscere che sono più abile di lui…
Basta, era giunto il momento di agire. Decise che avrebbe ascoltato un altro paio di conversazioni e poi avrebbe telefonato a Gin. Si pigiò rapidamente le cuffie sulle orecchie, pronto a carpire qualunque discorso pronunciato nella casa in cui abitava Sherry sotto mentite spoglie.
“… Sei sicura, Ai?” La voce del professor Agasa gli giunse forte e chiara. “Non vuoi che ti accompagni? Sta scendendo la sera”.
“No, nessun problema. Ho voglia di sgranchirmi un po’ le gambe” replicò la ragazzina che in realtà era l’ex scienziata dell’Organizzazione. Poco dopo tossicchiò e il dottor Agasa esclamò preoccupato: “Non vorrei che ti raffreddassi ulteriormente… Dai, vengo con te”.
“Non è necessario” rispose lei con voce roca. “La farmacia è qui vicino… Comprerò le medicine che servono e sarò subito a casa. Non credo serva prendere la macchina per così poco”.
“Be’, io posso venire anche a piedi” osservò il professore. “Mi sentirei più tranquillo…”
“Sono due passi, davvero. Faccio in fretta… e poi voglio stare un po’ sola”.
“Va bene, Ai, come desideri. Certo, se non ti fossi vestita così leggera stamattina! Faceva caldo, sì, ma poi la temperatura si è abbassata e, quando sei tornata dal pranzo con i tuoi amici e con la maestra, hai preso freddo. Senza contare la camminata fino alla libreria…”
“Lo so, lo so. Ma più tardi, se mi sento peggio, mi misuro la febbre”.
“Allora ti aspetto. Intanto scendo giù nel laboratorio”.
“A dopo” salutò Ai asciutta. Amuro udì i suoi passi allontanarsi, segno che si era diretta verso la porta d’ingresso. Poco dopo, anche quelli più pesanti del professore si affievolirono fino a sparire: doveva essere andato nel sotterraneo, dove non c’erano microspie.
“La bambina esce per andare da sola in farmacia?” rifletté Amuro a voce bassa. “Un po’ strano, direi… Del resto, non è molto lontana da casa sua e non credo che una tipa come Sherry si faccia problemi, anche perché è convinta che l’Organizzazione non sia più sulle sue tracce…” Si tolse le cuffie e tirò fuori il cellulare dalla tasca dei pantaloni, poi sorrise: era un’ottima occasione per acciuffarla. Certo, il vecchio si sarebbe allarmato non vedendola tornare e probabilmente avrebbe chiesto aiuto a Conan Edogawa… ma questo poteva definirsi un vantaggio. Se il moccioso fosse andato fino a casa del professore, esisteva la possibilità che facesse una chiacchierata rivelatrice con lui e Amuro avrebbe potuto scoprire cosa nascondeva. Perché quel bambino non era affatto normale… Forse, al pari di Sherry, era un adulto ringiovanito. Amuro era deciso a scoprirlo a tutti ii costi e, se fosse stato necessario, avrebbe mandato qualche ‘agente’ dell’Organizzazione dal professor Agasa, per catturare sia lui che il moccioso.
Scrisse un breve messaggio a Gin, chiedendogli di richiamarlo entro mezz’ora perché doveva parlargli, poi si preparò a raggiungere la sua meta: la farmacia dove un’ignara Sherry stava andando a procurarsi lo sciroppo per la tosse.

Vermouth sorseggiava l’ennesimo cocktail della giornata, seduta sulla sua poltrona preferita. La luce del sole calante inondava parte delle grandi vetrate della stanza e faceva sembrare rivestite d’oro le sue gambe nude accavallate, mentre il resto del corpo era avvolto nella penombra.
Maledetto Bourbon… ma avrà la sua punizione, ne sono certa.
Posò il bicchiere sul tavolino e si alzò, aggiustandosi la minigonna nera, i lunghi capelli biondi che ondeggiavano sulle spalle. Non avrebbe mai immaginato che il segreto della doppia identità di Sherry venisse scoperto così presto… Dunque la nuova pista di Bourbon riguardava il caro Silver Bullet, che tanto si affannava a proteggere quella sporca traditrice.
Proteggerla, già… e tutto questo andrà a discapito tuo, Bourbon. Anche se tu non lo sai ancora…
Un sorriso malvagio si dipinse sul suo volto, facendo apparire i suoi lineamenti perfetti da diva sotto una luce completamente diversa; se qualcuno l’avesse vista in quel momento, avrebbe provato di sicuro un certo disagio di fronte a quell’espressione.
Sì, Bourbon… presto arriverà la tua fine, non la mia, pensò con soddisfazione. Perché quell’uomo non aveva la minima idea delle persone con cui aveva a che fare… Aveva trascorso il suo tempo a sospettare di lei, sperando di coglierla in fallo, smanioso di diventare il preferito del loro Boss, e questo avrebbe fatto sì che si rovinasse con le proprie stesse mani. Naturalmente Vermouth non poteva negare che l’avesse sorpresa, scoprendo tanto rapidamente parte dei suoi segreti e rimanendo anche immune al suo fascino, però questo non cambiava le cose. Cercare di catturare Ai Haibara sarebbe stato il primo passo di Bourbon verso la disfatta, se tutto fosse andato come Vermouth immaginava. Forse stava facendo una scommessa troppo azzardata, ma ormai si era giunti al punto di rottura: lei lo sapeva e lo sapeva pure Shinichi Kudo, alias Conan Edogawa.
L’unica cosa di cui Vermouth si pentiva era di non aver agito in modo più efficace per catturare Sherry, e ucciderla di nascosto dai ‘colleghi’ dell’Organizzazione: chiaramente non era facile toglierla di mezzo senza coinvolgere il suo protettore, eppure qualcosa le diceva che avrebbe potuto fare di più. Impegnarsi, ecco. All’inizio si era divertita a manipolare quella ragazzina-detective, cercando di stimolarne il rancore, ma il giochino l’aveva stancata ben presto e si era resa conto che non le avrebbe mai permesso di riavere Sherry fra le mani, così aveva lasciato perdere. Però avrebbe potuto riprendere le redini della faccenda più concretamente… In questo aveva sbagliato, per come si erano messe adesso le cose sarebbe stato assai improbabile ottenere la possibilità di eliminare personalmente la maledetta traditrice.
Pazienza… Potrei avere dell’altro, se tutto va bene.
Quella serata sarebbe stata un salto nel buio, una scommessa rischiosa, una camminata sul filo del rasoio; eppure Vermouth non voleva perdersi lo spettacolo. In fondo, gli imprevisti rendevano la vita molto interessante, no?
Si sedette lentamente, abbandonandosi sulla poltrona. Avrebbe atteso con ansia gli sviluppi dell’impresa di Bourbon… Era certa che non ci sarebbe voluto molto prima che annunciasse a Gin e agli altri di aver trovato Sherry.
DRIIN!
Oh, qualcuno mi chiama… Sarà proprio Gin?, si chiese Vermouth, allungando la mano verso il cellulare. Si sbagliava: a telefonarle era Rena Mizunashi, alias Kir.
“Pronto?” Vermouth accostò il proprio smartphone all’orecchio.
“Salve”. La voce familiare di Kir le rivolse un breve saluto. “Hai da fare?”
“Al momento no. Perché?” chiese Vermouth con interesse.
“Vorrei che mi raggiungessi. Dovrei fare un sopralluogo nel vecchio appartamento dove abitavo, lì intorno ci sono stati movimenti sospetti… Puoi accompagnarmi?”
Vermouth rimase in silenzio. Kir sembrava non sapere nulla di Sherry… Bourbon non aveva ancora parlato, o semplicemente si era confidato soltanto con Gin?
“Allora?” L’ex presentatrice televisiva era in attesa di una risposta.
“Va bene” acconsentì Vermouth. “Ti raggiungo subito in moto”. Tanto valeva ammazzare il tempo in qualche modo, in attesa che arrivasse il bello.
“Ti aspetto” disse Kir con calma. “A più tardi”. E chiuse la comunicazione.

La figuretta di una ragazzina dai capelli biondo-rame, con un giubbotto azzurro addosso, pantaloni scuri e scarpe da ginnastica ai piedi, uscì da una delle farmacie del Quartiere di Beika. Tooru Amuro sogghignò, pronto all’azione; era il suo momento, doveva catturarla e portarla via. La osservò per un istante, corrugando la fronte: in effetti, dai lineamenti, somigliava vagamente alla Sherry che lui aveva incontrato sul Bell Tree Express e visto in alcune fotografie. Rimaneva un mistero come avesse fatto a salvarsi dall’esplosione del vagone merci… ma del resto era molto intelligente e di sicuro le erano stati dati gli aiuti giusti. Era assai probabile che in quell’occasione avesse utilizzato una ‘controfigura’.
Un’altra cosa che gli interessava riguardava il modo con cui era ringiovanita così tanto… Di almeno dieci anni, a occhio e croce. Aveva forse creato una sostanza che serviva allo scopo? E che legame c’era esattamente fra lei e Conan Edogawa?
Be’, risponderò più tardi a questi interrogativi, decise Amuro. Raggiunse il proprio obiettivo a passo felpato, arrivando alle sue spalle, e utilizzò subito una pistola stordente. La finta bambina perse i sensi e si afflosciò fra le braccia dell’uomo, proprio mentre il cellulare gli vibrava in tasca.
Bene, Gin… Rimarrai di stucco non appena ti rivelerò chi ho nella mia rete.

La Porsche nera 356 A sfrecciava lungo la strada, guidata da un uomo massiccio e corpulento, con gli occhiali da sole e un cappello scuro in testa. Accanto a lui, sul sedile del passeggero, un individuo con lunghi capelli biondo-argentei, che arrivavano fino a metà schiena e ricadevano in ciocche disordinate sul volto, parlava al cellulare. Entrambi erano vestiti completamente di nero.
“Allora, Bourbon: che cosa dovevi riferirmi?” L’uomo coi capelli lunghi sembrava vagamente impaziente.
“Innanzitutto dimmi dove sei, Gin” pretese Tooru Amuro dall’altra parte. “Ti trovi a Tokyo?”
“Nei pressi”.
“E cioè?”
L’uomo chiamato Gin scoprì i denti in un ghigno, pur sapendo che il suo interlocutore non poteva vederlo. “Avverto una certa urgenza nelle tue parole, Bourbon. Cos’è che ha il potere di agitare tanto una persona scaltra e abile come te?” C’era una chiara nota di scherno nella domanda.
“Agitare? Non sono agitato, sono… compiaciuto”.
“Ma davvero?” Gin sogghignò di nuovo.
“Se ti trovi nei pressi di Tokyo, allora possiamo incontrarci fra poco. So che un tuo lontano parente, ormai defunto, possedeva una villetta che ora è abbandonata…” disse Tooru Amuro con sicurezza. “Se non sbaglio si trova in una zona isolata, non lontano dalla città”.
“Vedo che hai fatto le tue indagini, Bourbon. In effetti, io e Vodka non ci metteremmo molto ad arrivarci, visto dove siamo”.
“Allora andateci. Io vi raggiungerò presto, ho una sorpresa per voi… Converrebbe avvisare anche il Capo, appena possibile” replicò Amuro.
L’espressione di Gin si fece sospettosa. “E perché mai vorresti avvisare proprio lui?” ribatté.
“La faccenda lo riguarda, credimi”.
“Uhm”. Gin estrasse un pacchetto di sigarette e un accendino dalla tasca dell’impermeabile nero. “Vedremo. Ti aspettiamo dove convenuto, Bourbon”.
“A presto” salutò Amuro e riattaccò rapidamente. Gin mise via il cellulare, senza parlare.
“Cosa succede, capo?” chiese l’uomo al volante, in apparenza tutto concentrato sulla strada, ma con una traccia d’ansia nella voce, segno che aveva prestato orecchio alla conversazione telefonica del compagno.
“Bourbon sostiene di avere qualcosa da farci vedere” si limitò a rispondere Gin, accendendosi una sigaretta.
“E cosa c’entra…”
“… Quella Persona?” completò l’uomo dai capelli lunghi. “Non ne ho idea, Vodka. Bourbon non l’ha mai incontrato, anche se è con noi da anni… Dubito che abbia ricevuto ordini da lui direttamente, non ha nemmeno il suo indirizzo e-mail”.
“Ma allora perché vuole avvisarlo?”
Gin non rispose, apparentemente immerso nella contemplazione del cielo serale. Le prime stelle erano già spuntate e il vento continuava a soffiare, giungendo fino a lui dal finestrino semiaperto.
L’uomo chiamato Vodka sospirò, abbassando appena il capo. “Che mi dici di Vermouth?” azzardò. “Quando qualcosa riguarda il nostro Boss, lei è sempre implicata”.
“Bourbon non l’ha nominata… anche se è strano, negli ultimi tempi loro hanno collaborato” disse Gin lentamente, fumando la sua sigaretta.
“Forse verrà e Bourbon non sentiva il bisogno di dirtelo” suggerì Vodka, sistemandosi gli occhiali scuri sul naso.
“Forse” accondiscese Gin. “Entrambi amano fare i misteriosi… e questo non mi piace affatto. Se credono di poter architettare tutto quello che vogliono, si sbagliano di grosso”.
“Ovvio”. Vodka annuì. “Comunque sia, credo che fondamentalmente Bourbon desideri acquistare un po’ di prestigio agli occhi del Boss… Sai quant’è ambizioso”.
“Povero illuso” commentò Gin. “Se è a questo che mira, non lo otterrà mai… Quella Persona sa già chi tenere maggiormente in considerazione”.
Vodka non parve del tutto convinto. “Bourbon però… aveva importanti conoscenze all’interno della nostra Organizzazione” osservò. “Questo senza dubbio lo ha avvantaggiato, non trovi?”
“È possibile… ma non significa che per questo gli venga riservato un posto d’onore” puntualizzò Gin.
“No, certo che no”. Vodka annuì nuovamente. “Allora, andiamo dove lui ci ha chiesto?”
“Sì. Sono proprio curioso di sapere cos’ha escogitato… Se sta combinando qualcosa di sconveniente sapremo come rimetterlo a posto”.
“Bene”.
“Speriamo in uno spettacolo entusiasmante” proseguì Gin, un brillio sadico negli occhi. “Altrimenti gliela farò vedere io per avermi creato un sacco di aspettative inutili”.
“Be’, cerca di non creartele, capo” consigliò Vodka.
Gin rise con freddezza. “Taci, che è meglio. E adesso svolta da quel lato” ordinò, indicando la strada. Il suo compagno obbedì senza fiatare e seguì tutte le indicazioni, fino ad arrivare in prossimità del cancello nero che circondava la villetta dai muri color ocra e il suo parco, abbandonato a se stesso.
“Ci siamo” annunciò Gin. “Basterà forzare l’entrata, le serrature sono piuttosto vecchie”.
Vodka parcheggiò ed entrambi gli uomini scesero dall’auto. Come previsto non fu difficile per loro forzare il cancello e, una volta percorso il viale che conduceva all’ingresso, venne fatto altrettanto col portone. Prima di varcare la soglia, Gin controllò se la lampada appesa al muro esterno, che si trovava alla sinistra del battente ed era collegata all’impianto elettrico dell’abitazione, funzionava a dovere.
Ma guarda un po’! Allora le voci su quel riccone stravagante che aveva in mente di acquistare questa villa erano vere, pensò Gin. I lavori all’impianto sono stati fatti… e anche alcune finestre sembrano essere state riparate o sostituite.
“Entriamo?” chiese Vodka, che si era fermato sulla porta ad aspettare il compagno.
“Sì, muoviti” intimò Gin.
Si ritrovarono nella stanza che fungeva da cucina e da soggiorno. La villa non aveva un atrio come ingresso, chiunque oltrepassasse la soglia si ritrovava in quell’enorme camera. C’erano due finestre, una grande e una piccola, entrambe vicine a un angolo, più un’uscita laterale formata da due vetrate munite di maniglie. Alcuni dei mobili che un tempo arredavano la stanza, compresa la cucina, erano stati addossati alla parete destra, accanto alla porta che conduceva a uno stretto corridoio su cui si affacciavano le altre stanze; apparivano tutti imballati in enormi sacchi di plastica trasparente. Il pavimento si presentava discretamente impolverato e la luce del lampadario metteva in evidenza le macchie sull’intonaco, nonché la numerose ragnatele sulla parte alta dei muri.
Vodka storse il naso. “Posticino confortevole. Era davvero di un tuo parente, capo?”
Gin gli rivolse un cenno d’assenso. “Lontano. Avevo sentito dire che un vecchio rimbambito con un bel po’ di soldi in tasca l’aveva comprata… ma i lavori sono stati appena avviati”.
“Bah”. Vodka infilò le mani nelle tasche del cappotto. “Non ci si può neanche sedere… o che ti risulti ci sono sedie nelle altre stanze?”
“Che ne so?” fece Gin noncurante. “Possiamo anche restare in piedi, Bourbon arriverà presto”.
“Se lo dici tu” borbottò Vodka. “Allora aspettiamo”.

Edited by Neiro Sonoda - 3/8/2015, 00:35
 
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marty shin×ran
view post Posted on 8/4/2015, 00:01     +1   -1




Ciao bella, come stai?
Amuro, giuro sul mio cane, che pagherai. Grrrrr, non lo sopporto.
Ora cominciano i guai, vero?
Bacioni
Martina
 
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ran e shinichi
view post Posted on 8/4/2015, 17:49     +1   -1




Ciao Neiro! Come va?Passatea bene la Pasqua? Il capitolo mi ha messo in tensione, una parola tirava l'altra e ti devo confessare che nn vedo l'ora di arrivare al dunque... però una cosa mi stranizza, Shiho sapeva della cimice e non credo che avrebbe detto a gran voce che stesse uscendo, secondo me c'è sotto qualcosa... è il piano che ha 'ideato' shin? In realtà nn è Ai colei che è stata rapita? Sono curiosa di sapere come continua. Bhe, concludo ripetendoti per la milionesima volta che amo il tuo stile di scrittura e che è sempre piacevole leggere un tuo capitolo... Ora vado, finisco di studiare scienze, baci...

Francy <3
 
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Neiro Sonoda
view post Posted on 8/4/2015, 19:27     +1   -1




Se davvero sono riuscita a comunicare tensione e senso d'attesa... be', me ne compiaccio! Infatti era proprio quello che volevo... Ormai lo scontro finale si avvicina sempre di più e staremo a vedere come lo affronterà il nostro Shinichi! Sul suo piano ovviamente non posso dirti nulla, né posso spiegare cosa prevede Vermouth per il resto della serata, ma posso "tranquillizzati" sul prossimo aggiornamento che, se tutto va bene, potrebbe arrivare entro il finesettimana. Mi raccomando, stai in allerta!! ;) :D

P.S. Pasqua tutto bene... Grande abbuffata di cioccolato, fra le altre cose ;) Spero anche per te!
 
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Neiro Sonoda
view post Posted on 12/4/2015, 14:44     +1   -1




Capitolo 23
Fratelli, amici e persone amate


“… Perciò sei tornata in Giappone per cercare tuo fratello? E hai incontrato una donna misteriosa che sosteneva fosse stato ucciso?”
“Già. Ho sempre preso quelle parole con le pinze, ma ammetto che col tempo ho iniziato a considerare l’idea che lui potesse essere morto davvero… anche se, a mio parere, quelle ragazze nella fotografia non c’entravano niente”.
Ran e Masumi si trovavano ancora insieme ed era ormai passato il tramonto. La giovane detective aveva raccontato alla sua amica, con una breve sintesi, gli avvenimenti salienti degli ultimi due anni della sua vita: le informazioni inaspettate su suo fratello, la speranza di ritrovarlo, la comparsa dell’affascinante e inquietante donna bionda. Perfino il fatto che aveva visto a New York Shinichi, fotografandolo accidentalmente… L’unica cosa che non aveva rivelato era che una delle presunte colpevoli della morte di Shuichi Akai somigliava incredibilmente ad Ai Haibara; solo, sembrava avere almeno tre anni in più.
“Cos’è accaduto dopo che hai incontrato quella donna per la seconda volta?” chiese Ran interessata.
“Ho fatto delle ricerche su di lei” rispose Masumi. “Aveva una faccia conosciuta e anche la strana frase in inglese che mi aveva detto non mi era del tutto nuova… Tramite Internet ho scoperto che quella donna è Chris Vineyard, l’attrice americana figlia della grande Sharon Vineyard”.
“Chris Vineyard?!” Ran sbarrò gli occhi.
“Esatto” dichiarò Masumi annuendo. “Circa un anno fa, sulla tomba della madre, pronunciò proprio quelle parole… ‘A secret makes a woman woman’. Inoltre ho visto alcune sue fotografie ed è quasi identica alla persona che ho incontrato”.
Ran aggrottò la fronte. “Cos’è successo poi?” incalzò.
“L’ho vista qualche giorno dopo per la terza volta, casualmente. Oppure mi aveva fatto seguire, non ne ho idea… Ho cercato di affrontarla, dicendo che non mi sarei messo sulle tracce di quelle due ragazze, anche se mio fratello poteva essere morto a causa loro; inoltre, le ho confessato che avevo capito chi fosse in realtà”.
“E lei?”
“Ha riso. Una risata agghiacciante, che metteva i brividi” confidò Masumi in un sussurro roco. “A quel punto ho cominciato a sospettare che forse… forse era stata lei a uccidere mio fratello”.
Ran le prese la mano e la strinse, comprensiva. “Dev’essere stato terribile per te”.
“Gliel’ho chiesto” aggiunse la giovane detective. “Le ho chiesto se era stata davvero lei… e sai cosa mi ha detto? ‘Anche se fosse, io non agisco mai da sola, my dear. C’è qualcuno di molto potente a guardarmi le spalle’. Perciò ho capito che, con ogni probabilità, avevo a che fare con una vera e propria criminale… Ricordo di aver notato un rigonfiamento nella tasca del suo abito, segno che doveva nascondere una pistola”.
“Oh, mio Dio”. Ran scosse la testa, rabbrividendo impercettibilmente.
“È stata una sensazione orribile. Per un attimo, ho temuto che volesse ammazzarmi” ammise Masumi con gli occhi bassi, sottraendo la mano alla presa dell’amica. “Comunque sia, ho capito che non era una con cui si poteva scherzare… perciò, quando mi ha chiesto di non rivelare mai a nessuno quello che ci eravamo detti durante i nostri tre incontri, ho promesso che non l’avrei fatto. Mi sento un po’ vigliacco a ripensarci, ma…”
“Sera, avevi paura. Se quella donna ha realmente ucciso tuo fratello…”
“Non lo so, non so più niente” sospirò Masumi. “L’unica cosa che mi è stata chiara e che lo è anche ora è di non voler avere niente a che fare con lei. Considerate le sue parole e alcune notizie sospette sulla vita di Chris Vineyard, ho intuito che quella donna fa parte di una banda di criminali ben organizzata. So che mio fratello ha sempre avuto un certo senso della giustizia e non mi meraviglia che possa essersi messo contro gente del genere… L’avranno fatto fuori perché era a conoscenza di qualche verità scomoda”.
“Mi dispiace davvero… ma cosa c’entra Shinichi in tutto questo?” chiese Ran.
“Adesso ci arrivo. Chris Vineyard ha continuato a buttare allusioni sul suo conto, evidentemente intenzionata a capire se io avessi qualche rapporto con lui. Mi ha implicitamente messo in testa che tra Kudo, famoso detective liceale, e il piccolo Conan Edogawa, potesse esserci qualche legame. All’epoca del terzo incontro tra me e quella donna avevo appena conosciuto te, Sonoko e Conan; su quell’autobus, ricordi? Poi c’è stato il caso di omicidio all’hotel… Ho osservato con attenzione il comportamento di Conan sulla scena del crimine, quel giorno e in quelli a venire. Dopo il sequestro dell’Agenzia Investigativa, ero ormai convinto che Conan nascondesse qualche segreto legato a Kudo e il fatto che quest’ultimo avesse risposto al telefono al suo posto mi puzzava parecchio. Tu mi avevi raccontato che Kudo era passato un attimo dal professor Agasa dopo essere stato a casa propria, ma mi sembrava una coincidenza un po’ strana”.
“Sul momento è parso strano anche a me” confessò Ran. “Però, nella sua mail, Shinichi sosteneva di essere tornato a Tokyo per recuperare del materiale che gli serviva, e siccome l’abitazione del prof. è accanto alla sua… Non era così assurdo che ci fosse andato, no? L’unica cosa che mi dispiaceva era che avesse deciso di non venire a salutarmi, nemmeno dopo che la situazione di emergenza era finita”.
“Lo so che questa spiegazione sembra la più logica… tuttavia non mi convinceva. Ho deciso di tenere d’occhio Conan e il suo comportamento mi sembrava sempre più sospetto per un bambino di sette anni… Vogliamo parlare poi dell’espressione soddisfatta che aveva quando Kudo ha vinto la sfida con Heiji Hattori al ristorante?” Masumi si passò una mano fra i capelli e sospirò. “Alla fine, mi sono persuaso che Conan fosse Kudo sotto mentite spoglie” disse. “Dopo il caso di qualche settimana fa, quando siamo stati a casa sua e ci hai parlato di un’indagine a cui aveva partecipato il signor Yusaku… be’, ne ero praticamente certo. Mi dispiace non avertene parlato, mi sentivo in colpa a vederti con Conan, chiaramente ignara di questa verità che io avrei potuto svelarti… però non riuscivo a raccontarti tutto. Quella donna mi aveva fatto promettere di tacere e, secondo le mie ipotesi, Shinichi Kudo era nel suo mirino… Ho compreso che, se non ti aveva rivelato lui stesso il segreto della propria identità, forse era perché stava cercando di tenerti lontana dal pericolo e di proteggerti”.
“Sarebbe molto da lui” ammise Ran, abbozzando un sorriso stanco.
Masumi riprese: “Dopo il tuo rapimento, quando mi hai accennato il discorso fatto dai tuoi sequestratori e parlato del comportamento di Kudo in ospedale… ho intuito che Tooru Amuro doveva essere alleato di Chris Vineyard e che, insieme ad altri criminali, si trovava sulle tracce del tuo amico”.
“Per questo hai insistito per accompagnare Kazuha e raggiungere Heiji Hattori e Conan…” iniziò Ran.
“Temevo che finissero in guai seri. Quella gente non scherza… e io non volevo che loro ci avessero a che vedere”.
“Capisco”. Ran fece una breve pausa, intrecciando le mani in grembo e osservando il tessuto dei suoi jeans, un po’ consumato sulle ginocchia. Alla fine esclamò: “Hai più visto Chris Vineyard, dopo il terzo incontro?”
Masumi fece un cenno di diniego. “È sparita nel nulla. Io mi sono sistemato stabilmente in un albergo e non ho più avuto sue notizie, nemmeno durante qualche camminata solitaria, quando avrei scommesso che sarebbe ricomparsa”.
“E adesso pensi che Shinichi stia andando ad affrontare lei e i suoi compagni?” chiese Ran.
“Veramente sei tu che l’hai detto” fece notare Masumi. “A causa di quel messaggio che ti è stato riferito da tuo padre…”
Ran arrossì. “Già, è vero. All’ospedale, Shinichi mi aveva assicurato di avere una pista… e se la stesse seguendo realmente? Io voglio scoprirlo… perché temo che lui possa infilarsi in qualche pericolo”.
“Questo è poco ma sicuro, se va contro quei tizi. Credimi, se sono riusciti a liberarsi di mio fratello devono essere dei veri mostri… Senza contare quello che hanno fatto a te”.
“Dobbiamo aiutare Shinichi” concluse Ran determinata. “Per prima cosa chiameremo la polizia, per sapere se lui si è messo in contatto con l’ispettore Megure o con altre persone di sua conoscenza”.
“Se ha un briciolo di sale in zucca, dovrebbe aver chiesto aiuto alle forze dell’ordine, sì” replicò Masumi inarcando le sopracciglia scure.
“In secondo luogo, dobbiamo ottenere informazioni da Heiji Hattori. Sono certa che, a parte il dottor Agasa, è uno dei pochi se non l’unico a conoscere il segreto di Shinichi… quindi potrebbe essere al corrente di un suo eventuale piano per incastrare quegli uomini”.
“Credi che ti racconterebbe cos’ha in mente?” obiettò scettica la giovane investigatrice.
“No, ma gli chiederò se ha notizie di Conan, facendo attenzione alla sua reazione” dichiarò Ran. “Magari poi riesco a capire dov’è andato…”
“Sempre che Heiji Hattori lo sappia… Vabbè, come vuoi. Allora io vado subito a telefonare alla polizia, così intanto tu parli con quel detective di Osaka”.
“Farò in un attimo” promise Ran. “Dopo vorrei dire qualcosa anch’io agli agenti”.
“Perfetto” assentì Masumi, avviandosi verso la porta. “Magari a te daranno ascolto, visto che sei grande amica di Kudo e figlia di un ex poliziotto”.
“Sera…” la richiamò Ran, prima che la ragazza potesse uscire.
“Sì, dimmi”.
“Un’ultima domanda: mi descriveresti meglio quella donna, Chris Vineyard?”
Masumi, perplessa, obbedì. Quando ebbe finito di elencare tutte le caratteristiche che aveva notato, Ran emise un sospiro.
“Temo di averla incontrata anch’io” rivelò preoccupata. “Ha cercato di uccidere Ai Haibara, una notte di qualche mese fa”.
“Che?!” Masumi spalancò la bocca, incredula. “Voleva uccidere quella bambina?!”
“Proprio così. È successo molto prima che tu arrivassi in Giappone… Non so cosa volesse da lei e d’altro canto ho pensato solo ad aiutarla, in quel momento”.
Questo spiega perché ha tentato di convincermi a trovare la ragazzina… Voleva che mi sporcassi le mani al suo posto, facendomi credere che così avrei vendicato la morte di mio fratello, pensò Masumi. Quello che non capisco è perché nella foto Ai Haibara sembri avere più di sette anni… almeno dieci. Sarà stato fatto qualche ritocco? O non era lei, ma una sua parente stretta?
“Non ho mai visto Chris Vineyard” proseguì intanto Ran, “però la donna che hai descritto somiglia moltissimo a quella criminale che ha tentato di sparare ad Ai. Cosa pensi che possa volere da lei?”
“Non lo so proprio” disse Masumi. “Forse avevano un conto in sospeso”.
“Ma Ai è soltanto una bambina!” protestò Ran.
“Cosa vuoi che ti dica? Piuttosto, che ti risulti, Haibara ha sorelle maggiori?”
Ran sgranò gli occhi. “No… ma riconosco che non so molto di lei. Perché me lo chiedi?”
“Non ha importanza” tagliò corto Masumi. “Vado a telefonare alla polizia, tu chiama Heiji Hattori”.
“Uhm… d’accordo”.

Heiji andava avanti e indietro per la sua stanza, agitato come un animale in gabbia, le mani affondate nelle tasche e il volto pieno d’apprensione. Non faceva che pensare alla mail ricevuta dal suo migliore amico e si torturava mentalmente, chiedendosi cosa fare.
Kudo sa cavarsela e avrà certamente un piano… ma io non sono tranquillo. Perché non ha voluto coinvolgermi, nemmeno indirettamente? Io non sopporto di starmene qui ad aspettare…
A lungo era rimasto con gli occhi fissi sul cellulare, sperando che gli arrivasse un altro messaggio… Niente. Alla fine si era rassegnato e aveva dovuto accettare l’idea che Shinichi avrebbe agito per conto suo, con l’aiuto dell’FBI, per cercare d’incastrare una buona volta gli Uomini in Nero. Aveva spento il cellulare e si era vestito per l’appuntamento con Kazuha, però non ce la faceva a mettere il naso fuori casa: si trovava ancora lì, nella sua stanza, misurandola a grandi passi sempre più frenetici, come un povero pazzo disperato.
Dannato Kudo… La prossima volta che mi tagli fuori così te ne farò pentire!
Lanciò un’occhiata all’orario: doveva andarsene, o Kazuha gli avrebbe piantato un mucchio di grane. Riuscì a interrompere il suo assurdo e frustrato girotondo, uscì dalla stanza e corse verso l’ingresso.
DRIIN!
Il trillo isterico del telefono lo fece sobbalzare. Forse… forse Shinichi aveva provato a chiamarlo sul cellulare! E trovandolo spento…
Ma che sciocchezze! Kudo che arriva a cercarti sul telefono di casa perché intuisce che ti stai mangiando le mani per lui? Quello sarà tutto impegnato a godersi l’azione e il brivido del pericolo…
Be’, comunque stessero le cose, lui doveva rispondere. Lasciò il portone d’ingresso accostato e si fiondò ad afferrare la cornetta: “Pronto?”
“Hattori, sei tu?” Una voce di ragazza, esitante e gentile al tempo stesso. Ran.
“Sì, cosa c’è?” esclamò Heiji, chiedendosi perché cavolo la ‘fidanzatina’ del suo migliore amico cercasse proprio lui.
“Sono Ran… Ho provato a chiamarti sul cellulare, ma risultava spento. Hai un minuto?”
“Certo” Heiji era sempre più perplesso. “Hai bisogno di qualche favore?”
“Non esattamente. Ecco, vorrei sapere… se per caso hai notizie di Conan”.
Il detective dell’ovest rimase sbalordito. “Di Conan?” ripeté.
“Siccome non riesco a contattarlo, mi chiedevo… mi chiedevo se a te avesse detto qualcosa che io non so” disse Ran titubante.
“Hai parlato col professor Agasa? Magari è solo andato da qualche parte, con Ai Haibara e gli altri suoi amici” replicò Heiji ostentando leggerezza, nonostante sentisse il cuore battere più forte e la mano gli sudasse attorno al ricevitore.
“Non è con loro” ribatté Ran, usando un tono secco e definitivo che lo stupì ulteriormente. “Sei sicuro di non saperne nulla?”
Heiji deglutì. Che diamine faceva adesso? Non voleva certo che lei si agitasse, tanto più che non sapeva nemmeno dove si trovasse Shinichi. Non smise di sfoggiare una falsa spensieratezza e si risolse a rispondere: “Forse è impegnato a provare un nuovo videogioco assieme al professore… Sai che in quei casi, con ogni probabilità, non risponderebbe al telefono”.
“Uhm”. Ran parve considerare l’ipotesi, ma Heiji non riuscì a capire se si fosse tranquillizzata o meno. Decise di correre ai ripari ed esclamò, con una fermezza di cui non conosceva l’origine: “Credimi, lui sta bene. Non hai niente di cui preoccuparti, Ran”.
Lei sembrava ancora dubbiosa. “Sicuro?”
“Ma sì! Cosa vuoi che possa combinare di tanto terribile un bambino?” ridacchiò il detective dell’ovest, con un’allegria del tutto simulata. “E adesso, se vuoi scusarmi, dovrei andare… Ho promesso a Kazuha che l’avrei portata a cena fuori”.
“D’accordo. Forse hai ragione, non devo stare in ansia”.
“Sei un po’ troppo premurosa, Ran. Finirai per viziare quel moccioso… Dammi retta, queste attenzioni sono inutili. Buona serata”.
“Anche a te” augurò Ran lentamente. “Salutami Kazuha”.
“Certo. Ciao” disse Heiji cordiale. Non appena ebbe riagganciato, il suo volto si fece scuro… Intanto, le parole dette da Conan alla stazione cominciarono a risuonargli nelle orecchie.
’Dovrai proteggere Ran. Io non voglio che finisca nei guai per colpa mia, lei deve starne fuori il più possibile, anche se dovesse succedermi qualcosa di brutto’…
“Heiji”.
Qualcuno lo aveva chiamato. Il detective dell’ovest si voltò di scatto, trovandosi di fronte Kazuha, che lo fissava con uno sguardo pieno di disapprovazione, le braccia incrociate sul petto. Indossava un abitino rosso un po’ attillato, con le spalline sottili e la gonna sopra il ginocchio, mentre ai piedi portava un paio di sandaletti marroni col tacco basso.
“Che diavolo ci fai qui?” esclamò lui, colto alla sprovvista.
“Ti cercavo. E ho trovato la porta aperta”.
“Stavo per venire a prenderti” spiegò Heiji, “ma è suonato il telefono e…”
“Sei parecchio in ritardo, non ce la facevo più ad aspettare. Comunque… parlavi con Ran, non è così?” Kazuha aveva un tono insolitamente serio, quasi duro.
“Non ti hanno mai insegnato che è maleducazione origliare?” ribatté Heiji seccato. La preoccupazione per la sorte del suo migliore amico lo rendeva scorbutico.
“Non l’ho fatto apposta. Era impossibile non sentire” si giustificò Kazuha.
“Be’, tanto piacere. Adesso andiamo via, sto morendo di fame”.
Heiji mosse qualche passo avanti, ma Kazuha lo afferrò per un braccio, piantandogli in faccia due occhi carichi di determinazione. “Fermati” ordinò imperiosa.
“Che cavolo stai facendo?” sbottò nervosamente il detective dell’ovest.
“Ho sentito cos’hai detto a Ran… Ti riferivi a Shinichi, vero?”
“Sì”. La risposta uscì d’istinto dalle labbra di Heiji, prima che lui potesse pensare bene a quello che diceva.
Be’, in fondo è così… anche se Ran mi ha chiesto notizie di Conan…
“Le hai assicurato che lui sta bene” proseguì Kazuha, “ma stavi mentendo”.
Heiji sussultò, preso in contropiede.
“L’ho capito dal modo in cui parlavi… Troppo in fretta, come se avessi la coda di paglia. Tu sai qualcosa che Ran non sa e non hai voluto riferirglielo, confessa!” esclamò Kazuha perentoria, come se si stesse calando nel ruolo di detective, tanto congeniale al suo amico d’infanzia.
“Si può sapere dove vuoi arrivare?” Heiji tentò di liberarsi da quella stretta così salda, che inspiegabilmente gli provocava una serie di caldi brividi lungo la schiena.
Le guance di Kazuha si erano imporporate. “È in pericolo, vero? Sta rischiando la vita da qualche parte… e tu lo sai!” insistette.
“Chi? Kudo?” Heiji riuscì finalmente a sottrarsi alla presa di Kazuha, mentre il cuore iniziava a martellargli contro la gabbia toracica.
“E chi altri? Proprio lui! Tu non vuoi dire niente a Ran, perché altrimenti si preoccuperebbe… e correrebbe in aiuto del suo ragazzo, infilandosi in qualche situazione pericolosa”.
“Che… che idiozie vai blaterando?!” insorse Heiji, cercando di suonare perplesso e infastidito, ma si sentiva a disagio e accaldato. Kazuha aveva colto nel segno, pur non sapendo nulla di quel che stava succedendo; a volte lo sorprendeva quella sua sagacia.
“È così, Heiji, è così! Perché voi… voi stupidi avete questa fissazione di proteggere tutti quanti, sempre, anche a costo di mentire in maniera spudorata!” sbottò Kazuha infervorata, il viso in fiamme.
“E adesso perché parli al plurale?” Heiji aggrottò le sopracciglia, confuso e impressionato da una simile reazione.
“Mi sto riferendo pure a te, Heiji Hattori! Tu, che quando corri appresso alle tue stupide indagini cerchi sempre di lasciarmi indietro, tu, che ti metti d’accordo con quell’altro investigatore da strapazzo per tenere Ran all’oscuro di qualcosa… Qualunque cosa possa spingerla ad andare a combattere per l’uomo che ama!” Kazuha fissava il suo amico d’infanzia, lo sguardo infuocato, le labbra contratte e tremanti, i pugni stretti. Heiji, completamente incredulo, sembrava aver perso la capacità di articolare qualsiasi suono.
“Se Shinichi fosse in pericolo, Ran vorrebbe saperlo. È giusto che sia così… perché lei lo ama! E non riuscirebbe a immaginare tanto facilmente la sua vita senza di lui. Allo stesso modo anch’io… Io vorrei sapere a cosa tu vai incontro e non potrei sopportare di perderti! Perché desidero starti vicina… Perché io ti amo, Heiji!” Kazuha pronunciò questa frase con estrema passione, il volto acceso da un ardore indescrivibile, il respiro affannoso, il petto che si alzava e si abbassava rapido.
“Quel giorno a Tokyo” riprese, “ti ho seguito perché avevo un brutto presentimento e non mii sbagliavo! Avresti potuto lasciarci la pelle in quell’edificio… Pensa a come mi sarei sentita! E sull’isola di Bikunijima? Ho cercato di salvarti… a costo della mia vita! Perché lo so, tu riusciresti a vivere senza di me… ma io no, dannazione!” Perle di lacrime si formarono sulle ciglia di Kazuha, mentre le sue ultime parole finivano in un singulto. Si passò il dorso della mano sugli occhi, sperando che la crisi di pianto passasse in fretta com’era sopraggiunta.
“Probabilmente non sono la persona che ritieni adatta a te. Il destino ci ha legati molto tempo fa, ma forse era giusto che tra noi ci fosse solo amicizia. A me sostanzialmente è sempre andata bene così, però… è da parecchio che ti considero molto più di un amico” concluse la ragazza di Osaka abbassando appena il capo.
Se il soffitto della sua stessa casa gli fosse crollato addosso, Heiji Hattori non avrebbe provato uno stupore più grande. Il discorso dii Kazuha lo colpì più forte di una scossa elettrica… Più forte di quanto lo avrebbero colpito due degli schiaffoni di lei, e Heiji sapeva per esperienza personale che quelli lasciavano il segno.
Non riusciva a muovere un muscolo né a pensare… Vedeva davanti a sé la sua amica d’infanzia, colei che gli era stata accanto per tutta la sua esistenza, più bella che mai con quel vestitino rosso e le guance infiammate. La coda di cavallo le accarezzava il collo, alcuni ciuffi ribelli le incorniciavano il volto, gli occhi color smeraldo erano lucidi di lacrime represse… Vedeva davanti a sé la persona a cui voleva più bene in assoluto, nonostante una parte di lui si ostinasse a negare questa verità da sempre. Perché sempre aveva voluto fare la figura del duro, di colui che non si affeziona più di tanto a nessuno, del detective che segue il suo istinto e bada alle sue indagini, salvando qualunque vita come se fossero tutte uguali… Aveva preteso ad ogni costo di interpretare questo ruolo, che in gran parte gli si addiceva, di fronte agli altri ma soprattutto di fronte a se stesso; ora si rendeva conto, con enorme chiarezza, di quanto fosse sciocco soffocare i propri sentimenti verso la persona che amava più di qualsiasi altra al mondo. Quando, mesi prima, lui e Kazuha avevano rischiato la vita su quell’isola, e lei si era dimostrata pronta a sacrificarsi pur di salvarlo, Heiji si era detto che mai, mai l’avrebbe lasciata morire. E mentre guardava il suo viso dolce, pallido per la paura e per lo sforzo di tenersi aggrappata a lui, solcato dalle lacrime, un impulso repentino si era affacciato nel suo cuore… Non solo quello di portarla in salvo, ma quello di baciarla… Stringerla a sé e asciugarle le palpebre, sfiorando i suoi occhi arrossati, che tanto chiaramente avevano espresso il suo terrore e, al tempo stesso, il desiderio di aiutarlo a qualunque prezzo.
Poi, però… tutto era rientrato nel consueto. Lui stesso aveva accantonato quell’impulso nei reconditi del proprio animo, subito dopo che erano riusciti a scamparla… fino a dimenticarlo. Con Kazuha si conoscevano da sempre, si vedevano ogni giorno, scherzavano e litigavano puntualmente; com’era possibile che nascesse qualcosa in più di quello che già esisteva tra loro? No, ipotesi assurda. Kazuha era la sua migliore amica. E tale sarebbe rimasta, fino alla fine dei loro giorni.
Eppure, nonostante questi pensieri… quando l’aveva vista abbracciata a quel Dogo Hoshikawa, si era infastidito terribilmente. E l’idea che potesse esserci una certa sintonia tra lei e Kunisue, il suo ex vicino di casa, gli era suonata assai sgradevole.
‘Io ti amo’.
Tutta quella spavalderia, quella sicurezza, quell’ostinazione a negare ciò che davvero provava per lei, che mai aveva vacillato e sembrava dar voce a un semplice sentimento di amicizia… ora si era impigliata nelle parole di Kazuha, cariche di energia, pronunciate con quella schiettezza che la contraddistingueva sin dalla più tenera età e che infine aveva prevalso anche sull’imbarazzo, sull’orgoglio e su tutto ciò che può impedire a una persona di dichiarare il proprio amore. E Heiji si rendeva conto di essere stato un vero stupido a non ammettere quanto fosse innamorato… Non aveva avuto lo stesso coraggio di lei, non era riuscito a riconoscere questa verità neppure con se stesso. Fino a quel momento.
“K-Kazuha…” chiamò con voce roca, esitante. Lei non rispose, mettendosi a fissare i propri sandali.
“Kazuha, io…” riprese Heiji, senza sapere cosa dire.
Guardami, per favore… Ti prego…
“Heiji”. La ragazza alzò finalmente gli occhi, per incrociare quelli color acquamarina del suo amico d’infanzia. “Mi dispiace… Non volevo, però non ce la facevo più a tacere. Ho sentito quello che dicevi a Ran e… Immagino che tu, adesso, non voglia più andare a cena da nessuna parte”.
Non con me, aggiunse amaramente fra sé; comunque non espresse quella convinzione a voce.
Dille qualcosa… qualunque cosa!, pensò Heiji, quasi disperato. Ma lui non sapeva usarle, le parole. Non era bravo con i discorsoni e meno che mai si sentiva capace di farne uno in quel frangente… Strinse i pugni.
“Kazuha” ripeté per la terza volta.
“Senti, Heiji, so che non dovevo…”
“Maledizione, piantala!” esplose lui con rabbia. Di fronte a quella reazione, Kazuha trasalì come se si fosse scottata e non parlò più.
Heiji fece un passo verso di lei, afferrandola per le spalle. “Pensi davvero che m’importi così poco di te?!”
“Be’, mi consideri tua amica…” azzardò titubante la ragazza. “È quello che ero… cioè, che sono. Almeno credo”.
Heiji scosse il capo. “Certo che sei mia amica. Però…”
Che cosa? Ho fatto una cavolata, lo so… Quale sarà la tua opinione di me, adesso? Riusciremo a salvare il nostro rapporto?, si chiese Kazuha ansiosamente.
“… Però…” Heiji strinse forte le spalle della ragazza e deglutì.
Non sono bravo con le parole… Proprio no…
Be’, in tal caso c’era solo un modo per esprimere ciò che realmente provava. Con uno scatto fulmineo posò le labbra su quelle di Kazuha, attirando a sé il suo corpo. Percepì chiaramente la sua incredulità, che tuttavia mutò ben presto in entusiasmo, portandola a ricambiare il bacio con calore… E fu allora che Heiji si sentì euforico e allo stesso tempo in pace con il proprio animo; perché si rese conto di aver fatto la cosa giusta e che non avrebbe potuto darle una dimostrazione migliore di quanto l’amava.






Ed ecco che ritornano concretamente sulla scena due personaggi che sono stati a lungo assenti, con un inaspettato risvolto sentimentale… Sì, perché chi pensava che li avrei lasciati da parte si è sbagliato :) Loro sono sempre nel mio cuore :D
Vi aspetto per il prossimo capitolo, che spero non tardi ad arrivare… Ormai mi è presa la frenesia, capitemi! E, tempo e impegni permettendo, “Reduci” dovrebbe andare avanti a spron battuto, anche perché la battaglia contro l’Organizzazione è sempre più vicina
Ora scappo, aspetto commenti :)

Edited by Neiro Sonoda - 3/8/2015, 00:41
 
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marty shin×ran
view post Posted on 13/4/2015, 15:28     +1   +1   -1




Ciao bella. Ieri sera avrei voluto commentare, ma ho detto"La leggo più tardi.", poi, come al solito, la mia memoria da pesce mi ha fatto scordare e commento solo ora.
Mammia mia, che capitolo!
Mi hai veramente sorpresa: da quando sei così romantica?
Scherzo.
Mi ha fatto piacere una piccola parte dedicata a quegli altri due
Eh si Ran, ora tutto comincia a quadrare!
Aspetto il prossimo capitolo.
Baci,
Martina

Edited by marty shin×ran - 13/4/2015, 17:25
 
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Neiro Sonoda
view post Posted on 18/4/2015, 17:15     +1   -1




Ehi :) Grazie per aver commentato, come sempre.
Heiji e Kazuha non li dimentico mai :wub: Sono molto felice che ti sia piaciuta la scena dedicata a loro!
Ah, volevo anche scusarmi per la mia sbadataggine, l'altra volta avevo letto solo il commento di Francy senza fare caso al tuo... Comunque quando l'ho letto ho pensato che tu avessi proprio ragione a dire che ora cominciano i guai

Il capitolo 24 è già pronto, occorre solo fare un po' di revisione... Dovrei pubblicarlo entro stasera, spero che tu possa leggerlo presto :)
 
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Neiro Sonoda
view post Posted on 18/4/2015, 20:16     +1   -1




Come promesso...




Capitolo 24
Andare allo sbaraglio


‘Credimi, lui sta bene. Non hai niente di cui preoccuparti, Ran’.
Certo, come se fosse stato facile. Ormai lei era sicura che Shinichi stesse andando a rischiare la vita… e non poteva permettere che ciò accadesse senza intervenire in alcun modo. Dopo la chiacchierata con la polizia, apparve evidente che nessuno degli agenti della squadra di Megure era stato coinvolto in qualche ‘operazione’ in seguito a una soffiata di Shinichi, perciò Ran ipotizzò che lui stesse agendo da solo, con l’aiuto indiretto del professor Agasa. Questo non le piaceva per niente, anzi, la faceva sentire ancora più agitata: ora sapeva con assoluta chiarezza che non sarebbe semplicemente rimasta lì, ad aspettare che fosse tutto finito.
“Che intenzioni hai?” le chiese Masumi schietta. “Vuoi raggiungerlo?”
“Sì. O almeno vorrei sapere dov’è… Purtroppo non ne ho la minima idea. Ho provato anche a telefonare… al cellulare di Conan, ovviamente. Non risponde”.
“Esiste un solo modo per saperne di più” sentenziò Masumi. “Cioè andare dal dottor Agasa”.
“Lì non ho telefonato” ammise Ran, “ma a che servirebbe? So già cosa mi verrebbe detto… La cosa migliore è convincere di persona il professore a rivelarmi quello che sa”.
“Per curiosità, cos’hai ottenuto dalla conversazione con Heiji Hattori?”
“Un bel nulla” rispose Ran alzando le spalle. “Forse nemmeno lui è a conoscenza del piano del suo amico… però io ne ho abbastanza. Se quegli uomini sono davvero così tremendi, Shinichi non può farcela da solo. Stento a credere che non abbia chiesto aiuto alla polizia, ma a quanto pare conta di cavarsela… e io voglio essere al suo fianco, Sera. Sono stanca di essere tagliata fuori e se gli succede qualcosa non mi perdonerei mai di non aver cercato di stargli accanto”.
Le parole accorate di Ran non sorpresero Masumi: capiva bene quei sentimenti, anche se non era innamorata… Sapere che una persona cara sta rischiando la vita chissà dove non incita certo a stare al proprio posto. “Vai un attimo da tuo padre, digli qualcosa… Io prendo le chiavi della moto” intimò seria, ma con una strana nota di dolcezza nella voce.
“Sei sicura… di voler venire?” azzardò Ran.
“Che domande fai? Vengo eccome!”
Ran non aggiunse altro e corse a parlare con Kogoro. Poco dopo le due ragazze stavano scendendo rapidamente i gradini dell’Agenzia Investigativa, pronte a raggiungere la moto.
“Spero solo che la benzina ci basti fino a casa del professore” commentò Masumi. “Purtroppo sono un po’ a corto. Piuttosto, sei certa che il detective Kogoro abbia creduto alla scusa che gli hai propinato? Che c’è stato un cambio di programma, quindi stai andando a prendere Conan dal prof. e io ti accompagno per un pezzo?”
“Penso di sì” rispose Ran, accettando il casco di riserva che le veniva offerto. “Non è la prima volta che vado fin lì a sera inoltrata”.
Masumi notò la sua espressione pensierosa. “Non è che avresti voluto chiedergli una mano? In fondo è un investigatore…”
Ran scosse il capo, sistemandosi il casco. Si rendeva conto che stavano andando completamente allo sbaraglio ma, per parte sua, non riusciva a comportarsi diversamente… e preferiva che per il momento suo padre rimanesse all’oscuro di tutto, altrimenti c’era il rischio che le impedisse di agire. “Andiamo” si limitò a dire, con voce tiepida.
“Bene”. Masumi montò agilmente in sella, facendo segno all’amica di imitarla; poi accese il motore e partì con una sgommata. “Ehi! Non sei mai salita su una moto?” esclamò, accorgendosi che Ran si stringeva un po’ troppo forte ai suoi fianchi.
Lei arrossì e fu grata al casco che le copriva parte del viso. “Si vede così tanto?” chiese infine.
Masumi rise. “Solo un pochino”.
Ran sospirò, i capelli scuri che le svolazzavano sulle spalle a causa della brezza serale. L’amica la guardò in tralice da uno degli specchietti retrovisori.
“Ehi, vedrai che ce la faremo ad arrivare in tempo. O hai paura che a Kudo sia successo qualcosa d’irrimediabile?”
“Tu che dici? Mi pare ovvio”.
“Non essere così negativa, sai quanto lui sia in gamba… Io sono certo che sta bene”.
“Spero tu abbia ragione. Il fatto è che ormai prendo le sue affermazioni con le pinze…” Ran parlò a voce bassa, tant’è che Masumi la udì a stento al di sopra del rombo del motore e dei rumori della città. “All’ospedale mi aveva assicurato di avere tutto sotto controllo” aggiunse “e ora, all’improvviso, mi fa arrivare quel messaggio terribile tramite mio padre, come se una parte di lui temesse di andare incontro a una brutta fine. Nonostante ciò, continua a volermi tenere fuori dalla faccenda… Se io non avessi appena scoperto chi è Conan in realtà, non avrei capito il vero significato del messaggio. Chissà, magari domani mi sarebbe arrivata una tremenda notizia e io avrei pensato di non poter più rivedere il mio fratellino acquisito, ma sarei stata convinta che il mio migliore amico stesse bene, ignara di averli persi entrambi in sol colpo perché in realtà sono un'unica persona…”
“Per piacere, smettila” intervenne Masumi. “Non è da te buttarti giù così… So che in fondo al tuo cuore ce l’hai un po’ con Kudo, ma vedrai che vi chiarirete ben presto. E non sentirti in colpa per quello che provi, è il minimo che tu pretenda dei chiarimenti dopo quello che è successo, ma ciò non significa che i tuoi sentimenti verso di lui siano cambiati”.
Ran fece un sorriso malinconico. “Eh, no… Direi che questo è impossibile, ora come ora”.
Per il resto del tragitto, lei e Masumi restarono in silenzio; poi, proprio quando erano arrivate nel secondo blocco del Quartiere di Beika, in prossimità di casa Kudo, la moto cominciò a dare segni di cedimento.
“E dai, su…” borbottò la sua proprietaria. Diede gas, ma fu inutile: con un rumore sputacchiante il motore si spense, permettendole a stento di spostarsi accanto al marciapiede.
“È finita la benzina” disse Masumi corrucciata. “Dannazione, ero convinto che sarebbe durata almeno un altro po’…” Si tolse il casco, saltò giù dal sedile e intascò le chiavi della moto con un sospiro. “Be’, fa nulla. Proseguiremo a piedi, ormai siamo quasi arrivati”.
Ran si sfilò il casco a sua volta, scrollando la sua lunga chioma un po’ arruffata. “E la moto resta qui?” domandò, scendendo anche lei.
“Certo che no, la portiamo con noi. La lasceremo a casa di Kudo, nel vialetto davanti alla porta. Hai sempre con te una copia delle chiavi, no?”
Ran fece un cenno affermativo. “D’accordo. E ad ogni modo, possiamo sempre chiedere il favore al signor Subaru…”
Masumi s’impensierì. “Quell’uomo abita ancora là?”
“Sì. Perché me lo chiedi?” s’interessò Ran.
“Niente, è che… ha qualcosa che non mi convince” confessò Masumi, trascinando la moto lungo il marciapiede. Ran rimase lievemente disorientata da quella risposta, ma non disse nulla e cominciò a camminare.
Quando oltrepassarono il cancello di Villa Kudo, trasportando la moto, le due ragazze provarono un inspiegabile moto di inquietudine. Masumi lasciò il suo veicolo sul vialetto senza proferire parola, mentre Ran piantò le chiavi nella serratura e aprì la porta.
“Ehm, permesso? Signor Subaru?”
“Strano, non risponde” constatò Masumi, affiancando l’amica. “Eppure le luci sono accese, dovrebbe essere in casa…” Si liberò degli stivali neri e avanzò a grandi passi nell’ingresso, un’espressione guardinga dipinta sul viso.
“Forse è meglio se andiamo via e basta” suggerì Ran, togliendosi rapidamente le scarpe da ginnastica. Masumi non le diede retta e si diresse verso la biblioteca, quasi avesse ricevuto un avviso di chiamata.
“Ehi, Sera, aspetta!” protestò Ran. “Dove… Ah!” Trasalì e lanciò un urletto, avvertendo una mano posarsi sulla sua spalla. Voltandosi, si trovò faccia a faccia con una vecchia conoscenza. “S-signora, cosa ci fa qui?” farfugliò stupefatta.
“Potrei farti la stessa domanda, Ran. A quest’ora dovresti essere a casa tua, non credi?” osservò Yukiko Kudo in tono giudizioso, incrociando le braccia sul petto. “Comunque scusami se ti ho spaventata… Uscendo dal bagno qui accanto ho sentito la tua voce, stai cercando qualcuno oltre al signor Subaru?”
“Sì, la mia amica Sera, che è corsa in biblioteca…”
“Allora andiamoci” propose Yukiko. “Vieni, tesoro…” Condusse Ran nella stanza in questione e fu lì che ritrovarono Masumi, la quale lanciava strane occhiate a Subaru Okiya seduto in un angolino.
“Sera, perché sei entrata qui dentro?” esclamò Ran, in tono di leggero rimprovero.
“È che mi sono sentito osservato, perciò ho pensato di andare subito a controllare se ci fosse qualcun altro, a parte il padrone di casa. Piuttosto, chi è lei?” Masumi fissò Yukiko con aria interrogativa. “Ho l’impressione di averla già vista…”
“Sono Yukiko Kudo, madre di Shinichi. Tu sei Masumi Sera, vero? Mi hanno parlato di te… Si può sapere che siete venute a fare qui?”
“Vorremmo lasciarvi in custodia la mia moto” spiegò Masumi. “Stavamo andando da un’altra parte, ma è finita la benzina e così…”
La mamma di Shinichi si ravviò i riccioli. “E dove eravate dirette, se posso chiederlo?”
“A casa del…” cominciò Ran, interrompendosi bruscamente di fronte all’occhiataccia di Masumi.
“Non ha importanza. Andiamo” tagliò corto la giovane investigatrice, avviandosi verso la porta della biblioteca.
Yukiko studiò le espressioni delle due ragazze e trasse un respiro profondo. “State andando dal dottor Agasa? Spiacente, ma non potete. Vero, signor Subaru?”
Quest’ultimo fece un cenno d’assenso.
“Non riuscirete a impedircelo” obiettò Masumi. “È per una ragione importante e dobbiamo sbrigarci”.
Yukiko afferrò saldamente il polso destro di Ran. “Voi tornerete a casa, invece. Non possiamo permettere che vi accada qualcosa… Vi prego, datemi ascolto”.
“Sappiamo cavarcela da sole” ribatté Masumi con aria risoluta; a quel punto Subaru si alzò e la bloccò inaspettatamente da dietro.
“Mi lasci!” s’indignò lei, divincolandosi furiosamente.
“Saremo costrette a mettervi a nanna, se vi agitate così” minacciò la mamma di Shinichi, ma il suo tono era triste. “Su, fate le brave…”
Con un gesto improvviso, Ran si liberò dalla stretta di Yukiko e corse via dalla biblioteca; la donna si affrettò a seguirla, mentre Masumi colpiva Subaru con una delle sue mosse più efficaci e si precipitava anche lei fuori dalla stanza, chiudendo la porta dietro di sé.
“Ran, fermati!” ordinò Yukiko. Alle sue spalle Masumi la immobilizzò, per poi sferrarle una bella ginocchiata.
“Mi spiace, non potevo fare altrimenti” si giustificò la giovane detective di fronte allo sguardo attonito e sconvolto dell’amica. “Non dobbiamo permettere che ci blocchino”.
Ran annuì, ricomponendosi. “Sì, forse hai ragione”.
“Tornate indietro!” implorò Yukiko cecando di rialzarsi, frustrata e ansiosa insieme. Le due ragazze la ignorarono e presero a correre, proprio nell’istante in cui la porta della biblioteca si spalancava e appariva Subaru.
“Via, presto!” esortò Masumi concitata. Ran si stava precipitando con lei verso l’ingresso principale quando si accorse di una piccola luce rossa intermittente che proveniva dalla cucina buia. D’istinto, s’infilò lì dentro.
“Che cavolo fai?!” gridò Masumi, continuando a correre.
“Gli occhiali da inseguimento!” Ran li afferrò freneticamente e uscì dalla cucina, ma a quel punto si ritrovò a fronteggiare Yukiko. “Prendili!” urlò allora a Masumi, lanciando gli occhiali verso di lei. Quest’ultima riuscì ad afferrarli e aprì la porta di Villa Kudo. Subaru la raggiunse lesto.
“Ne ho abbastanza!” inveì Masumi a quel punto. Lanciando una sonora imprecazione, colpì l’uomo talmente forte che i suoi occhiali schizzarono sul pavimento e lui si afflosciò privo di sensi.
Yukiko sbarrò gli occhi. “Ma tu… sei davvero terribile!” gridò.
Masumi scrollò le spalle. “Felice che qualcuno se ne sia accorto”.
“Dovresti cercare di essere ragionevole” sbottò la mamma di Shinichi. “Entrambe dovreste… Cosa credete di fare?”
“Proprio ciò che tenta di fare una certa persona di nostra conoscenza” replicò Masumi. “Non è vero, Ran?” soggiunse, strizzando l’occhio all’amica.
Mi dispiace tanto, Yukiko, pensò lei. Stordì la donna con un colpo ben assestato e raggiunse Masumi.
“Andiamocene” intimò col fiato corto. “Abbiamo già combinato abbastanza guai qui”.

L’abitazione del dottor Agasa era buia. Nonostante il maggiolino fosse parcheggiato fuori dal cancello, sembrava che in casa non ci fosse nessuno.
“E adesso?” chiese Ran, dopo aver suonato al citofono. “Che facciamo?”
Masumi sorrise. “Non ti preoccupare, abbiamo un piccolo asso nella manica… Comunque, credo che il professore sia in casa e non ci abbia sentiti”.
“Possibile” convenne Ran. “Se è giù nel laboratorio sotterraneo… Scusa, di quale asso nella manica parli?”
“Di questo”. Masumi sorrise trionfante, tirando fuori un mazzo di chiavi dalla tasca dei pantaloni blu.
“Ehi! Dove le hai prese?” esclamò Ran strabiliata.
“Un piccolo souvenir che ho recuperato da Villa Kudo” spiegò Masumi orgogliosa. “Sicuramente ci sarà anche la chiave di questa casa… Penso che quei due la stessero tenendo d’occhio”.
“Intendi il signor Subaru e la mamma di Shinichi?” si assicurò Ran, mentre Masumi cominciava a fare un tentativo con la prima chiave.
“Già. Anche se, a mio parere, quello non era affatto il signor Subaru”.
“Noo? E come mai lo pensi, scusa?”
“Io l’ho visto solo una volta ma, stando a ciò che mi hai detto di lui, dev’essere un uomo molto più forte e più sveglio… Quel tipo si è fatto fregare da me per ben due volte, hai notato?”
“Be’, i tuoi colpi sono micidiali, Sera” osservò Ran.
“Sì, però… ti dico che per me non era lui. Non ha nemmeno parlato, tra l’altro; come se non volesse farci sentire la sua voce”.
“E allora, se non era Subaru… chi poteva essere?”
“Non ne ho idea” ammise Masumi. “È un mistero… Oh, guarda, ho trovato la chiave giusta! Lo dicevo, io…”
Poco dopo avevano oltrepassato il cancello, aperto la porta ed erano entrate in casa; accesero le luci e si guardarono intorno. Sembrava proprio che non ci fosse un’anima, perciò Ran indicò a Masumi il tragitto per il sotterraneo, sperando ardentemente che il professore si trovasse lì.
“Cosa… C-che ci fate voi qui?” balbettò lo scienziato, non appena le due amiche varcarono l’ingresso del laboratorio. Il suo volto paffuto e simpatico era carico di tensione.
“Abbiamo bisogno del suo aiuto” esordì Ran senza preamboli. “Può portarci in un certo posto?”
“Quale posto?”
Masumi estrasse gli occhiali da inseguimento dalla tasca del giubbotto e Ran li prese, avvicinandosi ancora di più al professor Agasa. “Dobbiamo seguire questo segnale” spiegò. “È molto lontano da qui, per cui ci serve un passaggio con la sua auto”.
La lucina rossa lampeggiava a intermittenza su una lente. L’anziano scienziato la fissò per un attimo, poi concentrò la sua attenzione sulle sue interlocutrici.
“Dove avete preso questi occhiali?” domandò a voce molto bassa. “E perché volete seguire la pista che indicano?”
“Crediamo che…” iniziò Ran, ma il dottor Agasa la fermò con un gesto della mano.
“Parla piano, per favore” supplicò in un soffio. “In modo che al piano di sopra non si senta”.
Ran sbatté le palpebre, senza capire. Prima che potesse continuare, Masumi la precedette: “Scommetto che lei sa cosa sta facendo Conan… È per questo che siamo venuti, vogliamo conoscere anche noi tutti i dettagli”.
Il professore scosse la testa. “No. È pericoloso stare qui, tornate a casa” consigliò, in un bisbiglio appena percettibile.
“Non lo faremo, non se Conan sta rischiando la vita. Ci dica la verità, forza”.
Il dottor Agasa emise un sospiro triste. “Io… io non posso prendermi una tale responsabilità. Vi prego, ascoltatemi… Non c’è nulla che possiate fare per Conan”.
“Se ci dicesse cosa sta combinando, forse…” replicò Masumi, parlando anche lei a voce bassissima.
“Insomma, non è niente d’importante…” tentò di minimizzare il professore. “Perché siete così agitate?”
“Noi?” Masumi si trattenne con grande difficoltà dal mettersi a ridere. “Lei è praticamente in un bagno di sudore… Ormai si è tradito e non ci può più ingannare: è lampante che è preoccupato per Conan”.
“Ma…”
“Siamo qui per una ragione precisa: vogliamo sapere cos’è andato a fare a chilometri e chilometri da qui e, in caso, essergli d’aiuto”.
“Non potete” affermò il dottor Agasa con gravità. “Fidatevi di me… e di lui. Entro domattina sarà tutto risolto”.
“Ma tutto cosa?” s’intromise Ran in un sussurro angosciato. “Perché nessuno mi dice mai chiaramente quello che succede? Io… ho bisogno di risposte! Cosa sta cercando di fare Conan?”
Il professore assunse un’aria decisamente sconfortata. “Ran, mi dispiace davvero, però io…”
“Lei ha la possibilità di dirmi la verità, almeno in parte. Per favore, lo faccia”.
“Non… non posso. Shi… cioè, Conan… ha un compito importante da portare a termine. Ha chiesto espressamente di non essere seguito e sono certo che se la caverà. Non chiedetemi altro e andate a casa”.
“Lei ha intenzione di lasciarci così?” ribatté Masumi secca, sforzandosi di non sbottare. “E se qualcosa nel piano di Conan va storto?”
“Non vi è permesso saperlo… né tanto meno è permesso a me. Non abbiamo altra scelta che stare qui ad aspettare, sperando che si sistemi tutto” disse il professore.
Le mani di Ran tremarono attorno alle stanghette degli occhiali da inseguimento. “Senta, io non sopporto più quest’attesa… Perché non ci dà informazioni più precise? Non capisce che…” Non riuscì a terminare la frase, avvertendo un nodo salirle alla gola.
Shinichi… Non posso pensare che sia in pericolo, non voglio che rischi di morire mentre io non sono con lui, si disse, quasi disperata.
“Ran, calmati. Lui è in buone mani” cercò di rassicurarla il dottor Agasa.
“Baggianate”. Masumi aveva parlato piano, ma ogni sillaba pronunciata da lei era colma di frustrazione e rabbia repressa. “Noi siamo qui perché vogliamo aiutare Conan… e lo faremo”.
“Ragazza mia, non credi che mi sia venuto un pensiero simile al tuo?” mormorò il dottor Agasa, rassegnato e comprensivo al tempo stesso. “Purtroppo, allo stato delle cose…”
“Non c’importa” lo interruppe Masumi brusca.
“Ah no?”
“No” ribadì la giovane investigatrice. “Almeno lei ha potuto fornirgli qualche ingegnosa invenzione che possa servirgli… Noi non siamo riusciti a dare alcun contributo alla sua ‘missione’. È per questo che vogliamo raggiungerlo a tutti i costi e, ripeto, sarà esattamente ciò che faremo. Ha capito?”
“A quale scopo?” insistette il dottor Agasa. “Non sapete nulla di quello che sta accadendo e rischiereste di combinare qualche pasticcio…”
“Perlomeno avremmo la coscienza a posto” puntualizzò Masumi aspra. “Cosa crede? Che io non abbia una mezza idea di quanto sia pericolosa quella gente? Ce l’ho eccome… ed è proprio per questo motivo che non ho intenzione di restare un minuto di più a girarmi i pollici, con la consapevolezza che Conan possa rimetterci la pelle da un momento all’altro. Ho cercato di scoraggiarlo dall’andare contro di loro, ma non ha voluto darmi retta; come pensa che dovrei comportarmi a questo punto?” Masumi strinse i pugni e respirò a fondo, mettendocela tutta per controllare il tono di voce, poi continuò: “Non voglio che la situazione precipiti ulteriormente. Ho già perso mio fratello ed è stato terribile… Non rimarrò in disparte anche in questa occasione, non m’interessa se è pericoloso!”
“Sera, calmati” intervenne Ran, appoggiando una mano sul braccio dell’amica che, per la prima volta da quando la conosceva, sembrava sull’orlo delle lacrime.
“Sì, hai ragione. Scusa, mi sono lasciato trascinare…”
“Dottor Agasa”. Ran puntò uno sguardo supplichevole sull’anziano scienziato, che scrollò la testa con fare desolato. “La prego”.
“Ran…”
“La scongiuro. Lui ha bisogno di aiuto… Io ne sono sicura”.
Il professore guardò gli occhi grandi della ragazza, lucidi di determinazione; le labbra tremanti, il volto pallido… Non riuscì più a dire di no.
“E va bene. Vado a prendere le chiavi dell’auto” si arrese con un sospiro.
“Vengo anch’io” si offrì Masumi.
“Sì, ma ricordati di non accennare a nulla di compromettente. Al piano di sopra…”
“... Ci sono delle microspie, lo so” completò Masumi. “L’ho capito”.
“E allora fai come ti dico: fingi di essere venuta con Ran a cercare Conan e che io vi abbia comunicato la scomparsa di Ai” sussurrò il dottor Agasa.
Masumi s’irrigidì. “A proposito, dove…?”
“Tu devi solo stare al gioco: lei non è tornata a casa dopo essere passata in farmacia e Conan sta tentando di ritrovarla, ecco perché nessuno dei due è qui. Chiaro?”
“Va bene” bisbigliò Masumi ed entrambi si accinsero a lasciare il sotterraneo.

Buio. Membra di piombò e palpebre pesanti. Un tessuto leggero e sintetico adagiato sulla parte inferiore del volto. Un tentativo di muoversi, aprire gli occhi e tornare alla realtà.
“Svegliati, Sherry, figlia di Hell Angel” esortò una voce maschile. “O forse dovrei chiamarti col nuovo nome che hai scelto, Ai Haibara?” Il viso di Tooru Amuro, alias Bourbon, comparve davanti agli occhi della ragazzina dai capelli biondo-rame, che aveva avuto un sussulto udendo quelle parole e si era affrettata a scuotersi dal torpore.
“Salve”. Il giovane uomo si produsse in un sorriso falsamente amichevole, un luccichio spietato negli occhi di ghiaccio che spiccavano sulla pelle abbronzata. “Non avere paura, non ti farò del male… Ti ricordi di me? Sono Bourbon”.
Lei tossì nella mascherina igienica che portava, alzandosi a sedere sul sedile del passeggero dov’era distesa. “Che cosa vuoi?” domandò, sfuggendo allo sguardo del suo sequestratore.
“Consegnarti all’Organizzazione, naturalmente. Ci hai giocati per bene sul Bell Tree Express, vero? Chi avrebbe mai potuto immaginare che ti eri trasformata in una mocciosetta delle elementari?”
Nessuna risposta. Amuro proseguì vivacemente: “Mi piacerebbe sapere chi hai mandato a morire al tuo posto… Il vagone merci del treno è saltato in aria”.
“Che cosa vuoi?” ripeté freddamente la finta bambina, senza ascoltarlo.
“Te l’ho già detto, Sherry. Forza, scendi”. Amuro la prese in braccio senza tanti complimenti e uscì dalla macchina, parcheggiata accanto a un vecchio cancello un po’ arrugginito. “Guarda cosa c’è, una Porsche” osservò con un ghigno, accennando alla bella auto d’epoca, nera come le penne di un corvo, che si trovava di fronte alla sua. “Gin è già qui, assieme a Vodka… Ti conviene prepararti psicologicamente all’idea, cara Sherry”.
Lei non reagì, ma il suo volto appariva teso. Amuro spinse il cancello, lasciato semiaperto, attraversò il viale senza smettere di tenere stretto il suo ostaggio e bussò forte alla porta. Ad aprirgli fu Gin in persona, i lunghi capelli biondo-argentei che ricadevano disordinatamente sul volto e gli occhi pieni d’impazienza.
“Eccoti finalmente, Bourbon” disse in tono glaciale. “Ma cosa…?”
“Questa bambina ci serve” replicò Amuro in fretta, mentre Gin si faceva da parte per lasciarlo entrare nell’ampio soggiorno dell’antica villetta. “Non indovinerai mai quello che nasconde”.
“Ha una faccia familiare” notò Vodka, avanzando. “Dov’è che l’ho già vista?” si chiese pensoso.
Gin si limitò a studiare l’ospite inaspettata con i suoi occhi gelidi, senza dire nulla.
“Ebbene?” Amuro si chiuse la porta alle spalle con un calcio, mettendo giù l’ostaggio e trattenendo con le braccia suoi eventuali movimenti. “Cosa vi dice il suo volto? Su, fate un sforzo… Dopotutto vi conoscete da tanto!” insinuò, scoccando a Gin un’occhiata quasi maliziosa.
Questi seguitava a tacere e Vodka lo guardava con insistenza, come in attesa di indicazioni. Amuro, chiaramente spazientito, avanzò nella stanza assieme alla ragazzina, trasse un gran respiro ed esclamò: “Signori…avete di fronte Shiho Miyano alias Sherry, la nostra traditrice. Ringiovanita misteriosamente”.
Dietro le lenti scure, Vodka spalancò gli occhi, colto alla sprovvista. Gin invece non batté ciglio, continuando a scrutare colei che, apparentemente, sarebbe dovuta essere una vecchia conoscenza. Poi fece qualche passo avanti, s’inginocchiò per essere alla sua stessa altezza e la fissò.
“Vodka” chiamò senza girarsi, “contatta immediatamente Vermouth e dille di venire qui”.
“Allora mi credi!” disse Amuro con enfasi. “Hai già capito che Ver…”
“Taci” lo interruppe Gin secco. Si alzò lentamente e distolse lo sguardo dalla ragazzina, che adesso sembrava agitata. “Vodka, fai come ti dico” comandò in tono autoritario.
“Certo, capo… Subito”.
Scese il silenzio, rotto soltanto del suono dei tasti del cellulare di Vodka. Dopo che questi ebbe concluso la sua breve conversazione telefonica con Vermouth, Amuro giudicò che fosse arrivato il momento di riprendere la parola. “Quella donna ci deve molte spiegazioni, Gin” affermò.
“Non è la sola” commentò l’uomo dai capelli lunghi. “Eh, no, non è la sola…” ripeté, quasi stesse parlando a se stesso.
“Ovvio” approvò Amuro. “Anche Sherry deve raccontarci un mucchio di cose”.
“Non lo farà, non adesso” tagliò corto Gin inaspettatamente, una strana luce nello sguardo.
“Che intendi?” chiese Amuro perplesso. “Perché non dovrebbe, ora che l’abbiamo presa?”
Gin si voltò a fronteggiarlo, gli occhi colmi di durezza. “Perché questa non è Sherry” dichiarò.

Edited by Neiro Sonoda - 3/8/2015, 00:46
 
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marty shin×ran
view post Posted on 20/4/2015, 23:18     +1   -1




Neiroooo.
Per colpa di questo capitolo mi sono mangiata anche le dita.
Ora c'è anche Yukiko...mmm... manca Kid XD.
Riguardo a lui mi sa che si è messo a fare Okiya.
Ran stava per farmi piangere, sai? Quella determinazione ,che la spinge a cercare Shin e si unisce al suo amore per lui, mi fa impazzire.
Conan=Ai non mi sarebbe nuova come situazione.
Al venticinquesimo capitolo,
Martina
 
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ran e shinichi
view post Posted on 21/4/2015, 07:15     +1   -1




Ciao Neiro!
Scusa se nn ho recensito il capitolo precedente, ma è da un po che nn entro nel forum.
Riguardo a questo... una parola tirava l'altra, l'ho letto tutto d'un fiato e mi hai messo tensione, voglio sapere che fine fa conan... bhe, e nn vedo l'ora di sapere cm va a finire con ran, sera e il dott. agasa... stanno andando veramente da conan o no? Se si come interverranno? E la reazione di shin? Ok, troppi interrogativi, non vedo l'ora di leggere il cappy 25, baci....

Francy < 3
 
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205 replies since 27/3/2014, 21:20   7224 views
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