Capitolo 23Fratelli, amici e persone amate
“… Perciò sei tornata in Giappone per cercare tuo fratello? E hai incontrato una donna misteriosa che sosteneva fosse stato ucciso?”
“Già. Ho sempre preso quelle parole con le pinze, ma ammetto che col tempo ho iniziato a considerare l’idea che lui potesse essere morto davvero… anche se, a mio parere, quelle ragazze nella fotografia non c’entravano niente”.
Ran e Masumi si trovavano ancora insieme ed era ormai passato il tramonto. La giovane detective aveva raccontato alla sua amica, con una breve sintesi, gli avvenimenti salienti degli ultimi due anni della sua vita: le informazioni inaspettate su suo fratello, la speranza di ritrovarlo, la comparsa dell’affascinante e inquietante donna bionda. Perfino il fatto che aveva visto a New York Shinichi, fotografandolo accidentalmente… L’unica cosa che non aveva rivelato era che una delle presunte colpevoli della morte di Shuichi Akai somigliava incredibilmente ad Ai Haibara; solo, sembrava avere almeno tre anni in più.
“Cos’è accaduto dopo che hai incontrato quella donna per la seconda volta?” chiese Ran interessata.
“Ho fatto delle ricerche su di lei” rispose Masumi. “Aveva una faccia conosciuta e anche la strana frase in inglese che mi aveva detto non mi era del tutto nuova… Tramite Internet ho scoperto che quella donna è Chris Vineyard, l’attrice americana figlia della grande Sharon Vineyard”.
“Chris Vineyard?!” Ran sbarrò gli occhi.
“Esatto” dichiarò Masumi annuendo. “Circa un anno fa, sulla tomba della madre, pronunciò proprio quelle parole… ‘A secret makes a woman woman’. Inoltre ho visto alcune sue fotografie ed è quasi identica alla persona che ho incontrato”.
Ran aggrottò la fronte. “Cos’è successo poi?” incalzò.
“L’ho vista qualche giorno dopo per la terza volta, casualmente. Oppure mi aveva fatto seguire, non ne ho idea… Ho cercato di affrontarla, dicendo che non mi sarei messo sulle tracce di quelle due ragazze, anche se mio fratello poteva essere morto a causa loro; inoltre, le ho confessato che avevo capito chi fosse in realtà”.
“E lei?”
“Ha riso. Una risata agghiacciante, che metteva i brividi” confidò Masumi in un sussurro roco. “A quel punto ho cominciato a sospettare che forse… forse era stata lei a uccidere mio fratello”.
Ran le prese la mano e la strinse, comprensiva. “Dev’essere stato terribile per te”.
“Gliel’ho chiesto” aggiunse la giovane detective. “Le ho chiesto se era stata davvero lei… e sai cosa mi ha detto? ‘Anche se fosse, io non agisco mai da sola, my dear. C’è qualcuno di molto potente a guardarmi le spalle’. Perciò ho capito che, con ogni probabilità, avevo a che fare con una vera e propria criminale… Ricordo di aver notato un rigonfiamento nella tasca del suo abito, segno che doveva nascondere una pistola”.
“Oh, mio Dio”. Ran scosse la testa, rabbrividendo impercettibilmente.
“È stata una sensazione orribile. Per un attimo, ho temuto che volesse ammazzarmi” ammise Masumi con gli occhi bassi, sottraendo la mano alla presa dell’amica. “Comunque sia, ho capito che non era una con cui si poteva scherzare… perciò, quando mi ha chiesto di non rivelare mai a nessuno quello che ci eravamo detti durante i nostri tre incontri, ho promesso che non l’avrei fatto. Mi sento un po’ vigliacco a ripensarci, ma…”
“Sera, avevi paura. Se quella donna ha realmente ucciso tuo fratello…”
“Non lo so, non so più niente” sospirò Masumi. “L’unica cosa che mi è stata chiara e che lo è anche ora è di non voler avere niente a che fare con lei. Considerate le sue parole e alcune notizie sospette sulla vita di Chris Vineyard, ho intuito che quella donna fa parte di una banda di criminali ben organizzata. So che mio fratello ha sempre avuto un certo senso della giustizia e non mi meraviglia che possa essersi messo contro gente del genere… L’avranno fatto fuori perché era a conoscenza di qualche verità scomoda”.
“Mi dispiace davvero… ma cosa c’entra Shinichi in tutto questo?” chiese Ran.
“Adesso ci arrivo. Chris Vineyard ha continuato a buttare allusioni sul suo conto, evidentemente intenzionata a capire se io avessi qualche rapporto con lui. Mi ha implicitamente messo in testa che tra Kudo, famoso detective liceale, e il piccolo Conan Edogawa, potesse esserci qualche legame. All’epoca del terzo incontro tra me e quella donna avevo appena conosciuto te, Sonoko e Conan; su quell’autobus, ricordi? Poi c’è stato il caso di omicidio all’hotel… Ho osservato con attenzione il comportamento di Conan sulla scena del crimine, quel giorno e in quelli a venire. Dopo il sequestro dell’Agenzia Investigativa, ero ormai convinto che Conan nascondesse qualche segreto legato a Kudo e il fatto che quest’ultimo avesse risposto al telefono al suo posto mi puzzava parecchio. Tu mi avevi raccontato che Kudo era passato un attimo dal professor Agasa dopo essere stato a casa propria, ma mi sembrava una coincidenza un po’ strana”.
“Sul momento è parso strano anche a me” confessò Ran. “Però, nella sua mail, Shinichi sosteneva di essere tornato a Tokyo per recuperare del materiale che gli serviva, e siccome l’abitazione del prof. è accanto alla sua… Non era così assurdo che ci fosse andato, no? L’unica cosa che mi dispiaceva era che avesse deciso di non venire a salutarmi, nemmeno dopo che la situazione di emergenza era finita”.
“Lo so che questa spiegazione sembra la più logica… tuttavia non mi convinceva. Ho deciso di tenere d’occhio Conan e il suo comportamento mi sembrava sempre più sospetto per un bambino di sette anni… Vogliamo parlare poi dell’espressione soddisfatta che aveva quando Kudo ha vinto la sfida con Heiji Hattori al ristorante?” Masumi si passò una mano fra i capelli e sospirò. “Alla fine, mi sono persuaso che Conan fosse Kudo sotto mentite spoglie” disse. “Dopo il caso di qualche settimana fa, quando siamo stati a casa sua e ci hai parlato di un’indagine a cui aveva partecipato il signor Yusaku… be’, ne ero praticamente certo. Mi dispiace non avertene parlato, mi sentivo in colpa a vederti con Conan, chiaramente ignara di questa verità che io avrei potuto svelarti… però non riuscivo a raccontarti tutto. Quella donna mi aveva fatto promettere di tacere e, secondo le mie ipotesi, Shinichi Kudo era nel suo mirino… Ho compreso che, se non ti aveva rivelato lui stesso il segreto della propria identità, forse era perché stava cercando di tenerti lontana dal pericolo e di proteggerti”.
“Sarebbe molto da lui” ammise Ran, abbozzando un sorriso stanco.
Masumi riprese: “Dopo il tuo rapimento, quando mi hai accennato il discorso fatto dai tuoi sequestratori e parlato del comportamento di Kudo in ospedale… ho intuito che Tooru Amuro doveva essere alleato di Chris Vineyard e che, insieme ad altri criminali, si trovava sulle tracce del tuo amico”.
“Per questo hai insistito per accompagnare Kazuha e raggiungere Heiji Hattori e Conan…” iniziò Ran.
“Temevo che finissero in guai seri. Quella gente non scherza… e io non volevo che loro ci avessero a che vedere”.
“Capisco”. Ran fece una breve pausa, intrecciando le mani in grembo e osservando il tessuto dei suoi jeans, un po’ consumato sulle ginocchia. Alla fine esclamò: “Hai più visto Chris Vineyard, dopo il terzo incontro?”
Masumi fece un cenno di diniego. “È sparita nel nulla. Io mi sono sistemato stabilmente in un albergo e non ho più avuto sue notizie, nemmeno durante qualche camminata solitaria, quando avrei scommesso che sarebbe ricomparsa”.
“E adesso pensi che Shinichi stia andando ad affrontare lei e i suoi compagni?” chiese Ran.
“Veramente sei tu che l’hai detto” fece notare Masumi. “A causa di quel messaggio che ti è stato riferito da tuo padre…”
Ran arrossì. “Già, è vero. All’ospedale, Shinichi mi aveva assicurato di avere una pista… e se la stesse seguendo realmente? Io voglio scoprirlo… perché temo che lui possa infilarsi in qualche pericolo”.
“Questo è poco ma sicuro, se va contro quei tizi. Credimi, se sono riusciti a liberarsi di mio fratello devono essere dei veri mostri… Senza contare quello che hanno fatto a te”.
“Dobbiamo aiutare Shinichi” concluse Ran determinata. “Per prima cosa chiameremo la polizia, per sapere se lui si è messo in contatto con l’ispettore Megure o con altre persone di sua conoscenza”.
“Se ha un briciolo di sale in zucca, dovrebbe aver chiesto aiuto alle forze dell’ordine, sì” replicò Masumi inarcando le sopracciglia scure.
“In secondo luogo, dobbiamo ottenere informazioni da Heiji Hattori. Sono certa che, a parte il dottor Agasa, è uno dei pochi se non l’unico a conoscere il segreto di Shinichi… quindi potrebbe essere al corrente di un suo eventuale piano per incastrare quegli uomini”.
“Credi che ti racconterebbe cos’ha in mente?” obiettò scettica la giovane investigatrice.
“No, ma gli chiederò se ha notizie di Conan, facendo attenzione alla sua reazione” dichiarò Ran. “Magari poi riesco a capire dov’è andato…”
“Sempre che Heiji Hattori lo sappia… Vabbè, come vuoi. Allora io vado subito a telefonare alla polizia, così intanto tu parli con quel detective di Osaka”.
“Farò in un attimo” promise Ran. “Dopo vorrei dire qualcosa anch’io agli agenti”.
“Perfetto” assentì Masumi, avviandosi verso la porta. “Magari a te daranno ascolto, visto che sei grande amica di Kudo e figlia di un ex poliziotto”.
“Sera…” la richiamò Ran, prima che la ragazza potesse uscire.
“Sì, dimmi”.
“Un’ultima domanda: mi descriveresti meglio quella donna, Chris Vineyard?”
Masumi, perplessa, obbedì. Quando ebbe finito di elencare tutte le caratteristiche che aveva notato, Ran emise un sospiro.
“Temo di averla incontrata anch’io” rivelò preoccupata. “Ha cercato di uccidere Ai Haibara, una notte di qualche mese fa”.
“Che?!” Masumi spalancò la bocca, incredula. “Voleva uccidere quella bambina?!”
“Proprio così. È successo molto prima che tu arrivassi in Giappone… Non so cosa volesse da lei e d’altro canto ho pensato solo ad aiutarla, in quel momento”.
Questo spiega perché ha tentato di convincermi a trovare la ragazzina… Voleva che mi sporcassi le mani al suo posto, facendomi credere che così avrei vendicato la morte di mio fratello, pensò Masumi.
Quello che non capisco è perché nella foto Ai Haibara sembri avere più di sette anni… almeno dieci. Sarà stato fatto qualche ritocco? O non era lei, ma una sua parente stretta?“Non ho mai visto Chris Vineyard” proseguì intanto Ran, “però la donna che hai descritto somiglia moltissimo a quella criminale che ha tentato di sparare ad Ai. Cosa pensi che possa volere da lei?”
“Non lo so proprio” disse Masumi. “Forse avevano un conto in sospeso”.
“Ma Ai è soltanto una bambina!” protestò Ran.
“Cosa vuoi che ti dica? Piuttosto, che ti risulti, Haibara ha sorelle maggiori?”
Ran sgranò gli occhi. “No… ma riconosco che non so molto di lei. Perché me lo chiedi?”
“Non ha importanza” tagliò corto Masumi. “Vado a telefonare alla polizia, tu chiama Heiji Hattori”.
“Uhm… d’accordo”.
Heiji andava avanti e indietro per la sua stanza, agitato come un animale in gabbia, le mani affondate nelle tasche e il volto pieno d’apprensione. Non faceva che pensare alla mail ricevuta dal suo migliore amico e si torturava mentalmente, chiedendosi cosa fare.
Kudo sa cavarsela e avrà certamente un piano… ma io non sono tranquillo. Perché non ha voluto coinvolgermi, nemmeno indirettamente? Io non sopporto di starmene qui ad aspettare…A lungo era rimasto con gli occhi fissi sul cellulare, sperando che gli arrivasse un altro messaggio… Niente. Alla fine si era rassegnato e aveva dovuto accettare l’idea che Shinichi avrebbe agito per conto suo, con l’aiuto dell’FBI, per cercare d’incastrare una buona volta gli Uomini in Nero. Aveva spento il cellulare e si era vestito per l’appuntamento con Kazuha, però non ce la faceva a mettere il naso fuori casa: si trovava ancora lì, nella sua stanza, misurandola a grandi passi sempre più frenetici, come un povero pazzo disperato.
Dannato Kudo… La prossima volta che mi tagli fuori così te ne farò pentire!Lanciò un’occhiata all’orario: doveva andarsene, o Kazuha gli avrebbe piantato un mucchio di grane. Riuscì a interrompere il suo assurdo e frustrato girotondo, uscì dalla stanza e corse verso l’ingresso.
DRIIN!
Il trillo isterico del telefono lo fece sobbalzare. Forse… forse Shinichi aveva provato a chiamarlo sul cellulare! E trovandolo spento…
Ma che sciocchezze! Kudo che arriva a cercarti sul telefono di casa perché intuisce che ti stai mangiando le mani per lui? Quello sarà tutto impegnato a godersi l’azione e il brivido del pericolo…Be’, comunque stessero le cose, lui doveva rispondere. Lasciò il portone d’ingresso accostato e si fiondò ad afferrare la cornetta: “Pronto?”
“Hattori, sei tu?” Una voce di ragazza, esitante e gentile al tempo stesso. Ran.
“Sì, cosa c’è?” esclamò Heiji, chiedendosi perché cavolo la ‘fidanzatina’ del suo migliore amico cercasse proprio lui.
“Sono Ran… Ho provato a chiamarti sul cellulare, ma risultava spento. Hai un minuto?”
“Certo” Heiji era sempre più perplesso. “Hai bisogno di qualche favore?”
“Non esattamente. Ecco, vorrei sapere… se per caso hai notizie di Conan”.
Il detective dell’ovest rimase sbalordito. “Di Conan?” ripeté.
“Siccome non riesco a contattarlo, mi chiedevo… mi chiedevo se a te avesse detto qualcosa che io non so” disse Ran titubante.
“Hai parlato col professor Agasa? Magari è solo andato da qualche parte, con Ai Haibara e gli altri suoi amici” replicò Heiji ostentando leggerezza, nonostante sentisse il cuore battere più forte e la mano gli sudasse attorno al ricevitore.
“Non è con loro” ribatté Ran, usando un tono secco e definitivo che lo stupì ulteriormente. “Sei sicuro di non saperne nulla?”
Heiji deglutì. Che diamine faceva adesso? Non voleva certo che lei si agitasse, tanto più che non sapeva nemmeno dove si trovasse Shinichi. Non smise di sfoggiare una falsa spensieratezza e si risolse a rispondere: “Forse è impegnato a provare un nuovo videogioco assieme al professore… Sai che in quei casi, con ogni probabilità, non risponderebbe al telefono”.
“Uhm”. Ran parve considerare l’ipotesi, ma Heiji non riuscì a capire se si fosse tranquillizzata o meno. Decise di correre ai ripari ed esclamò, con una fermezza di cui non conosceva l’origine: “Credimi, lui sta bene. Non hai niente di cui preoccuparti, Ran”.
Lei sembrava ancora dubbiosa. “Sicuro?”
“Ma sì! Cosa vuoi che possa combinare di tanto terribile un bambino?” ridacchiò il detective dell’ovest, con un’allegria del tutto simulata. “E adesso, se vuoi scusarmi, dovrei andare… Ho promesso a Kazuha che l’avrei portata a cena fuori”.
“D’accordo. Forse hai ragione, non devo stare in ansia”.
“Sei un po’ troppo premurosa, Ran. Finirai per viziare quel moccioso… Dammi retta, queste attenzioni sono inutili. Buona serata”.
“Anche a te” augurò Ran lentamente. “Salutami Kazuha”.
“Certo. Ciao” disse Heiji cordiale. Non appena ebbe riagganciato, il suo volto si fece scuro… Intanto, le parole dette da Conan alla stazione cominciarono a risuonargli nelle orecchie.
’Dovrai proteggere Ran. Io non voglio che finisca nei guai per colpa mia, lei deve starne fuori il più possibile, anche se dovesse succedermi qualcosa di brutto’…“Heiji”.
Qualcuno lo aveva chiamato. Il detective dell’ovest si voltò di scatto, trovandosi di fronte Kazuha, che lo fissava con uno sguardo pieno di disapprovazione, le braccia incrociate sul petto. Indossava un abitino rosso un po’ attillato, con le spalline sottili e la gonna sopra il ginocchio, mentre ai piedi portava un paio di sandaletti marroni col tacco basso.
“Che diavolo ci fai qui?” esclamò lui, colto alla sprovvista.
“Ti cercavo. E ho trovato la porta aperta”.
“Stavo per venire a prenderti” spiegò Heiji, “ma è suonato il telefono e…”
“Sei parecchio in ritardo, non ce la facevo più ad aspettare. Comunque… parlavi con Ran, non è così?” Kazuha aveva un tono insolitamente serio, quasi duro.
“Non ti hanno mai insegnato che è maleducazione origliare?” ribatté Heiji seccato. La preoccupazione per la sorte del suo migliore amico lo rendeva scorbutico.
“Non l’ho fatto apposta. Era impossibile non sentire” si giustificò Kazuha.
“Be’, tanto piacere. Adesso andiamo via, sto morendo di fame”.
Heiji mosse qualche passo avanti, ma Kazuha lo afferrò per un braccio, piantandogli in faccia due occhi carichi di determinazione. “Fermati” ordinò imperiosa.
“Che cavolo stai facendo?” sbottò nervosamente il detective dell’ovest.
“Ho sentito cos’hai detto a Ran… Ti riferivi a Shinichi, vero?”
“Sì”. La risposta uscì d’istinto dalle labbra di Heiji, prima che lui potesse pensare bene a quello che diceva.
Be’, in fondo è così… anche se Ran mi ha chiesto notizie di Conan…“Le hai assicurato che lui sta bene” proseguì Kazuha, “ma stavi mentendo”.
Heiji sussultò, preso in contropiede.
“L’ho capito dal modo in cui parlavi… Troppo in fretta, come se avessi la coda di paglia. Tu sai qualcosa che Ran non sa e non hai voluto riferirglielo, confessa!” esclamò Kazuha perentoria, come se si stesse calando nel ruolo di detective, tanto congeniale al suo amico d’infanzia.
“Si può sapere dove vuoi arrivare?” Heiji tentò di liberarsi da quella stretta così salda, che inspiegabilmente gli provocava una serie di caldi brividi lungo la schiena.
Le guance di Kazuha si erano imporporate. “È in pericolo, vero? Sta rischiando la vita da qualche parte… e tu lo sai!” insistette.
“Chi? Kudo?” Heiji riuscì finalmente a sottrarsi alla presa di Kazuha, mentre il cuore iniziava a martellargli contro la gabbia toracica.
“E chi altri? Proprio lui! Tu non vuoi dire niente a Ran, perché altrimenti si preoccuperebbe… e correrebbe in aiuto del suo ragazzo, infilandosi in qualche situazione pericolosa”.
“Che… che idiozie vai blaterando?!” insorse Heiji, cercando di suonare perplesso e infastidito, ma si sentiva a disagio e accaldato. Kazuha aveva colto nel segno, pur non sapendo nulla di quel che stava succedendo; a volte lo sorprendeva quella sua sagacia.
“È così, Heiji, è così! Perché voi… voi stupidi avete questa fissazione di proteggere tutti quanti, sempre, anche a costo di mentire in maniera spudorata!” sbottò Kazuha infervorata, il viso in fiamme.
“E adesso perché parli al plurale?” Heiji aggrottò le sopracciglia, confuso e impressionato da una simile reazione.
“Mi sto riferendo pure a te, Heiji Hattori! Tu, che quando corri appresso alle tue stupide indagini cerchi sempre di lasciarmi indietro, tu, che ti metti d’accordo con quell’altro investigatore da strapazzo per tenere Ran all’oscuro di qualcosa… Qualunque cosa possa spingerla ad andare a combattere per l’uomo che ama!” Kazuha fissava il suo amico d’infanzia, lo sguardo infuocato, le labbra contratte e tremanti, i pugni stretti. Heiji, completamente incredulo, sembrava aver perso la capacità di articolare qualsiasi suono.
“Se Shinichi fosse in pericolo, Ran vorrebbe saperlo. È giusto che sia così… perché lei lo ama! E non riuscirebbe a immaginare tanto facilmente la sua vita senza di lui. Allo stesso modo anch’io… Io vorrei sapere a cosa tu vai incontro e non potrei sopportare di perderti! Perché desidero starti vicina… Perché io ti amo, Heiji!” Kazuha pronunciò questa frase con estrema passione, il volto acceso da un ardore indescrivibile, il respiro affannoso, il petto che si alzava e si abbassava rapido.
“Quel giorno a Tokyo” riprese, “ti ho seguito perché avevo un brutto presentimento e non mii sbagliavo! Avresti potuto lasciarci la pelle in quell’edificio… Pensa a come mi sarei sentita! E sull’isola di Bikunijima? Ho cercato di salvarti… a costo della mia vita! Perché lo so, tu riusciresti a vivere senza di me… ma io no, dannazione!” Perle di lacrime si formarono sulle ciglia di Kazuha, mentre le sue ultime parole finivano in un singulto. Si passò il dorso della mano sugli occhi, sperando che la crisi di pianto passasse in fretta com’era sopraggiunta.
“Probabilmente non sono la persona che ritieni adatta a te. Il destino ci ha legati molto tempo fa, ma forse era giusto che tra noi ci fosse solo amicizia. A me sostanzialmente è sempre andata bene così, però… è da parecchio che ti considero molto più di un amico” concluse la ragazza di Osaka abbassando appena il capo.
Se il soffitto della sua stessa casa gli fosse crollato addosso, Heiji Hattori non avrebbe provato uno stupore più grande. Il discorso dii Kazuha lo colpì più forte di una scossa elettrica… Più forte di quanto lo avrebbero colpito due degli schiaffoni di lei, e Heiji sapeva per esperienza personale che quelli lasciavano il segno.
Non riusciva a muovere un muscolo né a pensare… Vedeva davanti a sé la sua amica d’infanzia, colei che gli era stata accanto per tutta la sua esistenza, più bella che mai con quel vestitino rosso e le guance infiammate. La coda di cavallo le accarezzava il collo, alcuni ciuffi ribelli le incorniciavano il volto, gli occhi color smeraldo erano lucidi di lacrime represse… Vedeva davanti a sé la persona a cui voleva più bene in assoluto, nonostante una parte di lui si ostinasse a negare questa verità da sempre. Perché sempre aveva voluto fare la figura del duro, di colui che non si affeziona più di tanto a nessuno, del detective che segue il suo istinto e bada alle sue indagini, salvando qualunque vita come se fossero tutte uguali… Aveva preteso ad ogni costo di interpretare questo ruolo, che in gran parte gli si addiceva, di fronte agli altri ma soprattutto di fronte a se stesso; ora si rendeva conto, con enorme chiarezza, di quanto fosse sciocco soffocare i propri sentimenti verso la persona che amava più di qualsiasi altra al mondo. Quando, mesi prima, lui e Kazuha avevano rischiato la vita su quell’isola, e lei si era dimostrata pronta a sacrificarsi pur di salvarlo, Heiji si era detto che mai, mai l’avrebbe lasciata morire. E mentre guardava il suo viso dolce, pallido per la paura e per lo sforzo di tenersi aggrappata a lui, solcato dalle lacrime, un impulso repentino si era affacciato nel suo cuore… Non solo quello di portarla in salvo, ma quello di baciarla… Stringerla a sé e asciugarle le palpebre, sfiorando i suoi occhi arrossati, che tanto chiaramente avevano espresso il suo terrore e, al tempo stesso, il desiderio di aiutarlo a qualunque prezzo.
Poi, però… tutto era rientrato nel consueto. Lui stesso aveva accantonato quell’impulso nei reconditi del proprio animo, subito dopo che erano riusciti a scamparla… fino a dimenticarlo. Con Kazuha si conoscevano da sempre, si vedevano ogni giorno, scherzavano e litigavano puntualmente; com’era possibile che nascesse qualcosa in più di quello che già esisteva tra loro? No, ipotesi assurda. Kazuha era la sua migliore amica. E tale sarebbe rimasta, fino alla fine dei loro giorni.
Eppure, nonostante questi pensieri… quando l’aveva vista abbracciata a quel Dogo Hoshikawa, si era infastidito terribilmente. E l’idea che potesse esserci una certa sintonia tra lei e Kunisue, il suo ex vicino di casa, gli era suonata assai sgradevole.
‘Io ti amo’.
Tutta quella spavalderia, quella sicurezza, quell’ostinazione a negare ciò che davvero provava per lei, che mai aveva vacillato e sembrava dar voce a un semplice sentimento di amicizia… ora si era impigliata nelle parole di Kazuha, cariche di energia, pronunciate con quella schiettezza che la contraddistingueva sin dalla più tenera età e che infine aveva prevalso anche sull’imbarazzo, sull’orgoglio e su tutto ciò che può impedire a una persona di dichiarare il proprio amore. E Heiji si rendeva conto di essere stato un vero stupido a non ammettere quanto fosse innamorato… Non aveva avuto lo stesso coraggio di lei, non era riuscito a riconoscere questa verità neppure con se stesso. Fino a quel momento.
“K-Kazuha…” chiamò con voce roca, esitante. Lei non rispose, mettendosi a fissare i propri sandali.
“Kazuha, io…” riprese Heiji, senza sapere cosa dire.
Guardami, per favore… Ti prego…“Heiji”. La ragazza alzò finalmente gli occhi, per incrociare quelli color acquamarina del suo amico d’infanzia. “Mi dispiace… Non volevo, però non ce la facevo più a tacere. Ho sentito quello che dicevi a Ran e… Immagino che tu, adesso, non voglia più andare a cena da nessuna parte”.
Non con me, aggiunse amaramente fra sé; comunque non espresse quella convinzione a voce.
Dille qualcosa… qualunque cosa!, pensò Heiji, quasi disperato. Ma lui non sapeva usarle, le parole. Non era bravo con i discorsoni e meno che mai si sentiva capace di farne uno in quel frangente… Strinse i pugni.
“Kazuha” ripeté per la terza volta.
“Senti, Heiji, so che non dovevo…”
“Maledizione, piantala!” esplose lui con rabbia. Di fronte a quella reazione, Kazuha trasalì come se si fosse scottata e non parlò più.
Heiji fece un passo verso di lei, afferrandola per le spalle. “Pensi davvero che m’importi così poco di te?!”
“Be’, mi consideri tua amica…” azzardò titubante la ragazza. “È quello che ero… cioè, che sono. Almeno credo”.
Heiji scosse il capo. “Certo che sei mia amica. Però…”
Che cosa? Ho fatto una cavolata, lo so… Quale sarà la tua opinione di me, adesso? Riusciremo a salvare il nostro rapporto?, si chiese Kazuha ansiosamente.
“… Però…” Heiji strinse forte le spalle della ragazza e deglutì.
Non sono bravo con le parole… Proprio no…Be’, in tal caso c’era solo un modo per esprimere ciò che realmente provava. Con uno scatto fulmineo posò le labbra su quelle di Kazuha, attirando a sé il suo corpo. Percepì chiaramente la sua incredulità, che tuttavia mutò ben presto in entusiasmo, portandola a ricambiare il bacio con calore… E fu allora che Heiji si sentì euforico e allo stesso tempo in pace con il proprio animo; perché si rese conto di aver fatto la cosa giusta e che non avrebbe potuto darle una dimostrazione migliore di quanto l’amava.
Ed ecco che ritornano concretamente sulla scena due personaggi che sono stati a lungo assenti, con un inaspettato risvolto sentimentale… Sì, perché chi pensava che li avrei lasciati da parte si è sbagliato
Loro sono sempre nel mio cuore
Vi aspetto per il prossimo capitolo, che spero non tardi ad arrivare… Ormai mi è presa la frenesia, capitemi! E, tempo e impegni permettendo, “Reduci” dovrebbe andare avanti a spron battuto, anche perché la battaglia contro l’Organizzazione è sempre più vicina
Ora scappo, aspetto commenti
Edited by Neiro Sonoda - 3/8/2015, 00:41