Detective Conan Forum

Tuffo d'anima

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Il Cavaliere Nero
icon12  view post Posted on 3/6/2014, 20:57     +1   +1   -1




Salve ragazzi!
E' da un bel pò che non ci si sente, eh? :D
Ultimamente ho avuto la malsana idea di tornare a scrivere...e beh, dai tempi di Un Silenzio Controproducente, ho cambiato un paio di cose, ma spero vi farà piacere darci un'occhiata comunque!
Perciò, qualora vi andasse...buona lettura! :shin: Vi avviso che la storia è una what if: parte dal presupposto che Shinichi e Ran non si conoscono, nè sono amici di infanzia. Ma naturalmente si conosceranno...! ;)

Prologo – Private eye

Conciliare serietà e leggerezza: declinare l’intelligenza nelle sue forme più complesse, per poi abbandonarsi all’ironia più dirompente. Od anche unirle: scherzosa vivacità e orgogliosa facezia.
Da lungo tempo Ran si chiedeva se questo possibile, e infine non era giunta una risposta: semplicemente aveva deciso di provare a diventare una persona, una donna capace di scherzare e poi lavorare.
Ridere e riflettere.
Voleva crescere e faticare, e nel contempo mirare al suo futuro non come una meta, ma come un percorso. La sua vita non sarebbe stata finalizzata ad un obiettivo, non avrebbe passato tutto il suo tempo ad anelare qualcosa che poi, forse, non avrebbe raggiunto. Certo non si sarebbe sottratta alla fatica, ma l’avrebbe vissuta – nei limiti del possibile- con il sorriso sulle labbra.
Così voleva vivere; la realtà circostante però non pareva offrirle appigli solidi.
La sua migliore amica, Sonoko, non faceva che ricordarle come fossero sole, senza fidanzati, e per lei pareva un vero cruccio.
Suo padre, Kogoro, era impegnato nella risoluzione di più o meno difficili indagini al fianco dell’ispettore Megure e dei suoi agenti, ma negli ultimi tempi si profilava uno scontro ideologico tra la centrale di polizia e la questura cui rispondevano.
Cercava di essere ottimista, sperava di essere tanto forte da riuscirci. Qualche volta però l’incertezza ed il timore per il futuro vincevano la sua fermezza e si ritrovava a pensare cosa sarebbe successo; si immaginava tre o quattro anni nel futuro, e paragonava cosa le sarebbe piaciuto vedere a cosa credeva avrebbe probabilmente visto. Il sovvenire del tempo l’assaliva, e nei giorni più pesanti era debole e perciò non ne contrastava l’attacco.
Era ciò che le stava accadendo quando rientrò in casa, dopo gli allenamenti di karate che frequentava assiduamente da quando era una bambina. Pioveva a dirotto, i vestiti zuppi d’acqua le gelavano il corpo ed i capelli bagnati e grondanti le davano fastidio appiccicandosi attorno il collo e sulla fronte umidiccia.
Non appena si fu richiusa la porta alle sue spalle, tirò un sospiro di sollievo. E mentre si cambiava pensò bene di mettere il pigiama, dal momento che l’appartamento di sotto, e cioè dell’agenzia investigativa di suo padre, era avvolto dal buio, neppure un riflesso di luce che fuoriuscisse dalle finestre.
Sbuffò, accoccolandosi sul divano mentre ancora si frizionava i capelli con un asciugamano.
Era sera ed era a casa da sola; sua madre Eri aveva lasciato la casa da molto tempo, e sebbene non avesse ancora chiesto il divorzio, i due coniugi vivevano oramai come fossero realmente separati.
Nonostante tutto, Ran non biasimava sua madre: talvolta Kogoro irritava anche lei!
Sapeva che si volevano ancora bene, e perciò confidava nel loro buon senso: prima o poi l’orgoglio avrebbe ceduto il passo all’amore e sarebbero tornati insieme – e lei non perdeva occasione di accelerare le cose, quando possibile. Mai.
Reclinò la testa ma gli occhi le volarono sul tavolinetto in legno di fronte la poltrona, dove troneggiava il giornale di quel giorno. Lo afferrò per avere notizie della giornata: aveva corso da una parte all’altra –scuola, supermercato, casa, palestra- che non ne aveva avuta neppure una lontana eco.


Cadavere rinvenuto all’interno di un vecchio capannone abbandonato, due anni fa sede di una importante società informatica e programmatistica.
Il corpo senza vita, trovato dagli agenti di servizio la notte passata, appartiene ad una giovane donna di circa venticinque anni, capelli castani. La sua identità rimane ancora sconosciuta agli inquirenti, benchè si segua la pista di un delitto passionale poiché la causa della morte è un colpo di arma da fuoco che le ha trafitto il petto. Voci di corridoio affermano che la polizia abbia già coinvolto nelle indagini il detective privato Shinichi Kudo, fuoriclasse che…


Ma Ran interruppe la sua lettura . A leggere quel nome il cuore le balzò in gola: Shinichi Kudo!
Faceva lo stesso lavoro di suo padre: era un detective privato. Molto giovane eppure molto bravo, famoso nel Giappone per aver risolto ogni caso gli fosse capitato tra le mani. Ancor più noto, però, per i suoi metodi decisamente poco ortodossi, come Kogoro spesso li definiva. A Ran invece piaceva chiamarli anti-conformisti, meravigliosamente contrari eppure convergenti alla forma appannaggio del contenuto: ad esempio, per lungo tempo si era discusso di come avesse permesso a due criminali pluriricercati, evasi di prigione durante il trasferimento del carcere di una più modesta cittadina a quello di massima sicurezza della capitale, per correre a salvare la donna che avevano preso in ostaggio nella fuga.
“Li ha fatti scappare! Un investigatore che voglia dirsi tale non può permettersi di farsi sfuggire due malviventi del genere, sono sconvolto!” aveva commentato suo padre leggendo il giornale, ma il pensiero della figlia era agli antipodi:
-Ha preferito salvare la vita di una donna piuttosto che arrestare due uomini.-
Certo, avrebbe fatto meglio a fare entrambe le cose: trarre lei in salvo ed arrestare i criminali. Ma la totale perfezione non è di questo mondo, e di fronte alla necessità di scegliere lei aveva molto ammirato come Shinichi Kudo non avesse esitato neppure un momento a rivolgere le sue attenzioni all’ostaggio.
Aveva gioito però quando, due giorni dopo, la prima pagina di ogni giornale era stata di nuovo occupata da una sua foto, affiancata dalla didascalia: Kudo Shinichi blocca e permette l’arresto dei due fuggitivi nasakiani! *
Oppure, il caso in cui aveva impedito ad un serial killer di suicidarsi *; mentre si gettava da un parapetto lo aveva afferrato per la manica della giacca, riportandolo coi piedi a terra, pur immobilizzato.
Gridi allo scandalo: “Ma dove si è mai visto? Un altro delinquente ad ingombrare le prigioni, avrebbe fatto meglio a lasciarlo cadere…con tutto quello che ha fatto, poi? Non si merita di vivere!”
La reazione di Ran era stata invece opposta.
Lo stimava molto: anche perché, non esperta ma comunque conscia dell’ambiente di lavoro di suo papà, sapeva bene cosa questi particolari metodi e modi di pensiero comportassero: i commenti come quelli di suo padre, in primo luogo. La polizia che lo ostacolava, per lo più, a meno che non avesse a che fare con agenti particolarmente illuminati, come d’altronde lo era lui. Continui polveroni attorno alle sue gesta, polemiche, talvolta insulti – “Un ragazzino che finge di interessarsi ai suoi clienti e si riempie la bocca di parole come giustizia, senso civico e dovere, quando il suo scopo è la famosa triade: soldi, fama, donne” ; “Esaltato che si crede chissà chi, pieno di sé ed arrogante”; “Sbarbatello senza rispetto per le regole, le tradizioni, il buon costume, la legge stessa che crede di rappresentare e invece demolisce”; “Sedicente investigatore d’elite, si occupa solo di casi della statura della sua presunta abilità non riuscendo così a celare, pur ci provi, il suo snobismo e la sua aria da uomo di mondo”.
Dall’altra parte non mancavano voci, specie di autorità e protagonisti del mondo della giustizia e della legge, pronti a lodarlo e parlarne bene; avvocati, altri investigatori suoi colleghi, alcuni poliziotti non esitavano ad elogiarne la professionalità ed il buon cuore, l’impegno a tutto tondo e le capacità, fisiche come mentali, di rari eguali.
La sua personalità era complessa, e molto discussa; lo sarebbe stata comunque, ma il gran successo che di giorno in giorno acquistava attraverso giornali, riviste, televisioni e pettegolezzi ne aumentava il riflesso e le opinioni discordanti.
Ran conosceva le sue imprese a mena dito; ricordava il suo esordio, avvenuto all’estero: su un aereo diretto a Los Angeles aveva risolto il suo primo caso, e poi nella città si era occupato brillantemente di una seconda indagine; conosceva i dettagli della sua vita privata, pronta a recepire ogni informazione di tipo professionale o personale che i mass media avessero diffuso. Sapeva, ad esempio, che amava giocare a calcio, che era tifoso dei Tokyo Spirits, che sua madre era una famosa attrice e suo padre un grande scrittore –la sua opera più famosa, la saga del Night Baron; che però quando lui era ancora piccolo entrambi i genitori si erano trasferiti negli Stati Uniti per lavoro mentre lui aveva preferito rimanere in Giappone per terminare i suoi studi; che era stonato come una campana pur avendo un perfetto orecchio musicale…e mille altre dettagli colti qua e là da articoli, servizi di gossip, e interviste.
Eppure il termine fan era riduttivo per designarla; Ran non era propriamente una sua ammiratrice. Lo ammirava perché ne condivideva in tutto e per tutto l’idea di vita, i pensieri –o almeno quelli che credeva fossero i suoi pensieri: l’ideale di vivere serenamente, quasi alla giornata, ma non come invito alla rassegnazione, al contrario, come esortazione a cogliere dai giorni ciò che di più bello il destino ha da offrirti; la generosità che non cede il passo al rancore, alla vendetta o peggio ancora alla cattiveria, ma si nutre di nobiltà d’animo ed è tanto forte da porre al centro del tuo obiettivo l’altro, e non te stesso; il coraggio disinteressato, la speranza, l’ardore. Questo era il mondo per lei, e questo era Shinichi. L’universo riflesso nel particolare, la forza vitale compressa in una persona e pronta a deflagrare da un momento all’altro in un’esplosione di vita vissuta in ogni suo prezioso momento. Ne amava le risposte argute, forse saccenti ma puntuali¸ ai giornalisti che lo incalzavano con domande a trabocchetto; ne amava le repliche sincere, animose ai giornalisti che gli chiedevano senza malizia un commento o un pensiero su una data indagine o su un malfattore.
Inoltre, di certo non negava il suo aspetto: Shinichi Kudo era un bellissimo ragazzo. Non lo aveva mai visto dal vivo, neppure una volta: ma di certo tanto fascino non poteva essere contraffatto da un gioco di luci in una foto o da espedienti tecnici in una ripresa.
Era alto e slanciato, gli abiti non potevano nascondere ai suoi occhi da karateka un fisico sicuramente ben allenato. Capelli corvini spesso un po’ spettinati sulla fronte, la frangia che gli ricadeva sugli occhi esaltandone l’azzurro limpido, quegli stessi occhi che molto spesso in tv le erano parsi attraversati da una luce indefinibile, che insieme era intelligenza, ironia, sicurezza…in una parola, vita.
Le sarebbe piaciuto conoscerlo, ma era certa che non avrebbe saputo cosa dirgli. Non sperava in risvolti da film, il detective che si imbatte per caso nella ragazzina di turno che però è diversa da tutte le altre –ne doveva conoscere di donne!- e perciò se ne innamora pazzamente. Semplicemente, giacchè rappresentava una sorta di modello gli avrebbe fatto piacere che lui lo sapesse. Che fosse a conoscenza che, mentre trasgrediva un comma di una legge per evitare di usare un’esca, una ragazza lo ammirava e ne era fiera.
E che magari, quando le critiche superavano gli elogi e lui accendeva la televisione e vedeva i volti più noti dargli addosso, c’era comunque qualcuno che non l’avrebbe mai contestato: la sua caduta non sarebbe mai stata totale, rovinosa. D’altro canto, l’idea di poterlo conoscere la spaventava: e se lo avesse idealizzato? Se non fosse tutto quello che lei aveva creduto, se avesse solo proiettato sulla figura più opportuna una serie di idee e caratteristiche a lei care, e vedendolo il castello di carte sarebbe andato distrutto?
Non c’erano macchie sul suo nome, talvolta però dei fatti non erano chiari – specie a suo padre che, leggendo il giornale, commentava:
“Ma come ha fatto Kudo ad avere queste prove?”
“Come ci è entrato là dentro?”
“Come l’ha trovato questo tizio?”
Erano domande che galleggiavano in aria e non trovavano risposta. Kogoro alludeva a strani maneggi che non lo rendevano poi tanto dissimile dalle persone che davanti al mondo diceva di combattere, Ran si affidava al suo sesto senso –o alla sua idealizzazione?- e credeva che Kudo Shinichi avesse degli amici in polizia, o anche in forze della legge più forti, che gli passassero informazioni quando necessario. E che magari lui ne passasse a loro all’occorrenza: così Shinichi diveniva anche simbolo di taluni vincoli di fedeltà e amicizia che per lei erano sacri.
Sonoko la prendeva spesso in giro, quando la coglieva a divorare un articolo su di lui, o anche solo a pensare con occhi trasognanti e l’aria di chi si perde tra le nuvole:
“Kudo Shinichi, è vero? Ran, ma perché non ti concentri su qualcuno di reale? Ci serve un ragazzo, dobbiamo innamorarci!”
Ran voleva fidarsi. Era come se avesse deciso di sognare, ma sempre in presenza di ragione. Era perfettamente consapevole di abbandonarsi ad un’idea rischiosa, forse anche sbagliata: ma era un rischio che le piaceva correre, uno sbaglio che non le costava commettere.
Shinichi Kudo gli piaceva per la mente, il corpo, i modi.
Forse tutto l’astio e l’avversione che Kogoro esprimeva sul giovane collega quando ne leggeva le imprese doveva ricondursi a gelosia: sia quella propria di un padre che vede la sua bambina perdersi nel debole per un giovane uomo, sia quella proprio del detective che teme il confronto con un avversario potente; qualunque cosa si volesse dire su Kudo, i casi li risolveva. Li aveva sempre risolti. Tutti!
Non era mai caduto.
Kogoro non era simile a Shinichi; certo, era onesto e buono, non avrebbe mai permesso volontariamente a qualcuno di morire. Eppure, era molto più rigido nel rispetto delle regole, schematico nei ragionamenti, imprigionato nella convenzione del passato. Forse un po’ troppo ancorato alla vita di quando era giovane, ai metodi che vent’anni prima erano rivoluzionari, ma che vent’anni dopo erano divenuti abituali.
Era a cavallo tra due epoche: troppo fiducioso in quello che era stato per lanciarsi nel nuovo, troppo affezionato al suo lavoro per arenarlo completamente al vecchio e desueto.
Anni prima probabilmente era stato un abile investigatore, a suo modo innovativo e di mentalità aperta; ma col tempo, che fosse stato lui a cambiare, che fossero state le novità ad istituzionalizzarsi, Kogoro era divenuto un perfetto prolungamento del tipico sistema vigente, che magari accetta, a malincuore certo, ma comunque accetta di liberare un prigioniero per un vizio di forma.
Il rumore delle chiavi nella toppa la riscosse dalle sue riflessioni, e mentre il padre rincasava fradicio ancor più di lei, Ran si ritrovò a gettare il giornale più lontano possibile da lei, come si vergognasse ad essere sorpresa nella piena, ennesima, riflessione su Shinichi Kudo.
Gli corse incontro per aiutarlo a sfilare il soprabito bagnato, e dovette sopportarne le lamentele:
“Tutto il giorno in centrale, tutto il giorno! Per non scoprire niente…”
Da qualche tempo Kogoro Mouri era impegnato in un caso di rapina. L’ispettore Megure, da lungo tempo capo della centrale di Haido Choo, chiedeva la sua collaborazione per alcuni casi, sebbene per le indagini più difficili Kogoro stesso si trovasse spesso ad arrancare, incapace di sciogliere il nodo della matassa.
Nella banca centrale tra il quartiere di Haido e quello di Beika aveva fatto irruzione sabato mattina un rapinatore, la pistola alla mano e un enorme sacco di stoffa per raccogliere i soldi della refurtiva. Il suo complice l’aveva atteso in macchina, dall’altra parte della strada, e non appena quel sacco si era riempito l’altro l’aveva raggiunto, era saltato in macchina ed erano scappati insieme. Mentre gli agenti di turno accorsi cercavano di fermarli e gli sparavano contro le ruote, quelli mettevano in moto e se la davano a gambe.
L’automobile, prontamente rintracciata grazie alla ricerca della targa, era risultata ovviamente rubata; i soldi del furto non erano ancora stati spesi, o quanto meno non erano giunte segnalazioni di dispendio di banconote di alto valore di scambio.
“Riuscirete a prenderli, vedrai. Dovete soltanto avere pazienza: troverete quel qualcosa che vi porterà all’illuminazione, e poi alla risoluzione del caso.” Si morse la lingua quando si rese conto di aver utilizzato un termine –illuminazione!- caro a Shinichi Kudo. Lui parlava sempre di ‘momento di illuminazione, folgorazione che ti rende tutto il quadro più nitido, ti fa cogliere il bandolo della matassa e ti porta direttamente alla risoluzione dell’inchiesta’.
Fortunatamente Kogoro parve non accorgersene.
Sospirò, massaggiandosi la fronte: “Ho bisogno di una birra…”
“Ma papà!” lo riprese lei, pronta a ricordargli il viziaccio che aveva, ma fu interrotta:
“Quando sei rientrata?”
“Pochi minuti fa.”
“Così tardi?” si allarmò, all’idea che la sua bambina avesse percorso la strada di ritorno al buio, da sola, sotto la pioggia.
Ma soprattutto al buio, quando era già calata la sera: lavorare a stretto contatto con tante vittime, anche giovani donne, non lo aiutava ad essere un padre tranquillo.
“Sonoko mi ha accompagnata per un pezzo…”
“Sonoko sa sconfiggere i malintenzionati?”
“Lei no, ma io sì! Sono cintura nera, ricordi?” portò le mani ai fianchi, pronta a proseguire. Ma il padre detective tagliò corto:
“A che ora hai gli allenamenti, domani? Vengo a prenderti io.”

§§§

“Come mai non sei venuta con noi, Ran? Ieri sera ci siamo divertite un sacco!” la cintura marrone Yuki le lanciò scherzosamente addosso l’asciugamano, ma lei lo schivò con facilità.
“Oh, beh, avevo un po’ da fare…dovevo preparare la cena a mio padre!” borbottò, chiudendo con uno strattone la zip del suo borsone.
Entrambe si avviarono verso l’uscita, mentre una terza si aggiunse:
“Secondo me, ha ragione Suzuki quando dice che la tua cotta per quel Kudo è diventata una fissa! Non sei venuta con noi perché c’era qualche sua intervista in tv, non è vero?”
Lei si affrettò a negare: la profonda concordanza di idee con Shinichi Kudo rendeva la sua ammirazione per lui di natura sincera, e dunque intima. Non voleva che le sue amiche la vedessero come una specie di stalker fissata con un vip di alto bordo, ma non le andava neanche di mettersi a spiegare loro tutti i motivi per cui sentiva quel legame con lui. Addirittura, talvolta si era sentita così in comunione, anche solo spiritualmente con lui, da prendere l’abitudine di chiamarlo per nome quando lo pensava, quando ne parlava. Come fosse un suo amico.
Era una cosa che apparteneva a lei, e basta. Anche perché la risposta più plausibile, ed in effetti razionale, sarebbe stata: “Ma quale rapporto, Ran?! Sei matta? Quello è così tra preso tra poliziotte, modelle e attrici che non sa neanche che esisti!”
Ed era vero, in effetti. Ma lui le interessava anche solo come portatore di principi simili, identici ai suoi, in quel mondo che spesso pareva chiudersi a lei e alle possibilità che sperava di cogliere.
Si congedò in fretta dalle compagne di corso per rivolgere gli occhi alla porta della palestra, dove suo padre l’aspettava. Aveva detto la verità la sera prima, e aveva mantenuto la promessa: era andato personalmente a prenderla.
Ran sorrise, toccata: sebbene spesso Megure fosse severo e un po’ burbero, Kogoro non esitava un attimo se lei aveva bisogno di lui, anche si trattasse di una sciocchezza. Le voleva molto bene, era un buon padre: e Ran lo sapeva.
Fece per avvicinarsi a lui, quando scorse la porta aprirsi e fare il loro ingresso nella sala due agenti e l’ispettore stesso. Comprese immediatamente dalle loro facce scure come ci fossero novità sulla rapina e come i poliziotti avessero deciso di informare immediatamente Kogoro; e allora decise di fermarsi un po’ distante da loro, e si sedette sugli spalti più alti per concedere il tempo di parlare di quegli argomenti top secret.
Dall’alto li guardò, otto o nove gradini più in basso, discutere al posto dove lei, durante gli allenamenti, combatteva contro il suo avversario.
La porta si aprì di nuovo, e Ran pensò:
-Ecco, temo che dovrò aspettare parecchio…- ma non ebbe ulteriore tempo per lamentarsi.
Prima ancora che il suo cervello recepisse la situazione, il cuore prese a tamburellarle nel petto e un brivido le attraversò la schiena. Battè un paio di volte le palpebre per assicurarsi di aver visto bene, sporgendosi lievemente con la testa oltre le ginocchia per focalizzare meglio l’obiettivo a distanza.
Non ebbe alcun dubbio.
-Shinichi!-
Il giovane detective prodigio aveva fatto il suo ingresso nella palestra.



Precisazioni:


Nasakiani: della città di Nasako.

I casi citati en passant del serial killer, dell’aereo e Los Angels si riferiscono a fatti effettivamente creati da Gosho, ma che io ho un po’ adeguato alla mia narrazione. Diciamo che ho mantenuto un appiglio alla realtà e poi da lì ho tratto le mie conclusioni.
 
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view post Posted on 3/6/2014, 21:20     +1   -1
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Villa Kudo, salone con plasma a 5000"

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Te l'ho già recensita abbondantemente altrove ^_^
Brava!

Edited by 88roxina94 - 27/9/2014, 00:27
 
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Il Cavaliere Nero
view post Posted on 3/6/2014, 22:14     +1   -1




Questa fanfic è dedicata a chi mi ha spronato a scriverla :P

Edited by Il Cavaliere Nero - 27/9/2014, 00:24
 
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Neiro Sonoda
view post Posted on 4/6/2014, 14:29     +1   +1   -1




Un'utente storica del forum (con un figo di mia conoscenza nell'avatar) ha ricominciato a scrivere? Uhm, interessante... Appena ho un momento di calma leggo l'inizio di questa storia (se si tratta di Ran e Shinichi non mi tiro certo indietro!) :)

Edited by Neiro Sonoda - 11/7/2014, 20:50
 
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-Sakura
view post Posted on 4/6/2014, 15:52     +1   +1   -1




Non c'è neanche il minimo bisogno che ti dica che già la seguo su EFP.
E non c'è neanche il più lontano bisogno di dirti "TI AMO! AMO COME SCRIVI E AMO QUESTO CAPITOLO!".

Comunque ti devo ancora lasciare una recensione!
L'ho dimenticato, dannazione...

Edited by -Sakura - 5/6/2014, 15:17
 
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Il Cavaliere Nero
view post Posted on 4/6/2014, 22:55     +1   +1   -1




Vi ringrazio tanto, ragazze!! :D :wub: :wub: :wub:
 
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-Sakura
view post Posted on 5/6/2014, 14:16     +3   +1   -1




Gnn, dall'entusiasmo mi è scappata pure una O. Devo correggere!
Eppure ho riletto il messaggio un bel paio di volte!
...Comunque, dall'euforia mi sto pure rileggendo "Un Silenzio Controproducente".
Tanto non c'è da stupirsi! Lo sanno tutti che io ti adoro (e adoro anche 88roxina94, eh).

Forse, invece di lodarti, mi converrebbe recensire la tua fanfiction...
 
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Il Cavaliere Nero
view post Posted on 10/6/2014, 15:30     +1   +1   -1




Rieccomi! :P

Capitolo Primo – Shinichi Kudo

Shinichi Kudo era lì, a pochi metri di distanza da lei.
Il cuore non si decideva a frenare i suoi battiti, mentre la giovane karateka fissava l’attenzione sul ragazzo, con una mano nella tasca dei jeans e l’altra a reggere con fermezza dei fogli di giornale che mostrava all’ispettore, e che Kogoro cercava di leggere con buffi stiramenti del collo.
Parlava senza esitazione: Ran cercò di focalizzare l’attenzione sulle sue labbra per comprendere qualche parola, ma l’emozione glielo impedì.
Non si rese conto di fissarlo per lunghi istanti, che poi divennero minuti. Non gli staccava gli occhi di dosso, come se guardarlo così tanto insistentemente potesse servirle a stargli un po’ più vicina, a rubargli un po’ di quel meraviglioso effluvio di vita che, di lui, amava.
Voleva carpire ogni minimo gesto, ogni singolo movimento del volto, del corpo, nell’illusione che gli appartenesse un po’ di più: lo scorse passarsi una mano tra i capelli, spettinando ancora di più la frangia, e facendola ricadere sugli occhi. Da lontano non poteva vederli bene…le sarebbe così tanto piaciuto, scrutarlo da vicino! Le parve di scoprirlo ancora più alto di quanto la tv avesse mai mostrato; ed estremamente magro, oltre che elegante: indossava una camicia nera dentro ai pantaloni ed una giacca blu, e una meravigliosa cravatta rossa.
Shinichi tacque, e Megure prese la parola. I due investigatori lo ascoltavano attenti, suo padre aggrottava le sopracciglia mentre il ragazzo annuiva. Fu il turno di Mouri prendere la parola, e Kudo continuò a starsene lì, le braccia calate lungo i fianchi e il giornale che dondolava all’altezza del ginocchio.
D’un tratto, probabilmente sentendosi osservato, voltò il capo in direzione di Ran, puntando gli occhi sulle tribune; e lei avrebbe potuto reagire in mille modi…avrebbe voluto reagire in mille modi.
Ma vinse l’immediatezza; rapidamente si accucciò sotto lo spalto, nascondendosi alla sua vista.
-Ma che…?!- si rimproverò da sola, strizzando gli occhi.
Cercò di farsi coraggio, e convincersi che quell’occasione non le si sarebbe di certo ripresentata: conoscere Shinichi Kudo, vederlo da vicino, incontrarlo di persona, stringergli la mano!
-Signor Kudo, sono molto felice di conoscerla! Seguo le sue indagini…no, no, avrà avuto già mille fan a dirgli queste stesse parole! Vorrei differenziarmi un po’, lasciargli un segno…Kudo-san, piacere! Mi chiamo Ran, e da figlia di investigatore posso dirle che…ma cosa? No! Figlia di investigatore, sto presentando un curriculum? Kudo-san, piacere di conoscerla! Trovo ciò che fa molto bello. Non smetta, molte persone le devono molto. Ecco…sì, direi che così potrebbe andare bene. Mhm, forse…no…sì, così va bene!-
Prese un respiro profondo, chiuse gli occhi un’ultima volta prima di riaprirli ad issarsi sulle ginocchia contemporaneamente.
Per l’ennesima volta, non credette a quel che le si mostrava davanti: Kudo non c’era più.


“Non posso crederci! Non dirai sul serio, spero!” Sonoko Suzuki rideva a crepapelle da più di mezz’ora. Vissuta quell’esperienza troppo forte da gestire da sola, Ran stava attraversando la fase della sublimazione: non riusciva a distrarsi, e parlarne la faceva stare bene. Le dava l’impressione di aver quasi toccato con mano la realtà che acclamava dai quotidiani e dalla luce dei riflettori. E Sonoko era l’unica pronta a starla a sentire quando parlava, per ore ed ore, di Shinichi Kudo.
“Ma come ti è venuto in mente di nasconderti? Sono secoli che ti piace, dovevi approfittarne! Avresti fatto meglio a raggiungere tuo padre e presentarti…”
“Ah, sì? E così, su due piedi, che gli avrei potuto dire mai?”
“Ciao, sono una tua fan, piacere di vederti!”
“Ma tutti gli dicono così! Io avrei voluto che si ricordasse di me…dirgli qualcosa per cui, un domani magari, ai suoi colleghi avrebbe potuto raccontare di aver conosciuto una ragazza che gli è rimasta impressa per…”
“Oh, non ricominciare con queste idiozie! Quando si parla di quel tizio non ragioni più! Conosce talmente tanta gente…ma cosa vuoi che possa rimanergli impresso nello spazio di cinque minuti? Avresti potuto pugnalare qualcuno e poi atterrarlo con una delle tue fantastiche mosse di karate! La donna che uccide qualcuno davanti a lui e poi gli sfugge. Ti avrebbe ricordata di sicuro!”
“Non scherzare, Sonoko! Mi dispiace davvero non aver fatto in tempo a dirgli nulla…”
Ed era vero. Ma in fin dei conti era arrivata all’idea che, forse, era stato meglio così: il suo mondo idillico non era crollato, e questo le bastava. Inoltre, lo aveva visto dal vivo, e così accertato la sua avvenenza; anche se distante, si era segnalato per il suo fascino e la sua prestanza. Come se avesse emanato un’aura, Ran l’aveva colta tutta e raccolta per sé, decidendo di conservarla per il resto della vita. O almeno, fin quando se ne sarebbe ricordata ed il ricordo non sarebbe gradualmente svanito.
Si era fatta sera, e nei suoi abitudinari acquisti al supermercato aperto ventiquattr’ore su ventiquattro aveva implorato per la compagnia della sua amica, ricca ereditiera del gruppo finanziario Suzuki.
Parlarono ancora un po’, e la biondina l’accompagnò fin sotto casa; le chiese maggiori informazioni e lei gliele fornì volentieri: di fatto, da quel che aveva capito dalle telefonata che per tutto il pomeriggio Kogoro aveva ricevuto, Kudo aveva passato un’informazione di qualche tipo all’ispettore, riguardo il caso della rapina. Ma il padre si era ben guardato dal commentare in qualunque maniera quell’evento inaspettato, e subito l’aveva spedita ad acquistare qualcosa per la cena, ancora prima che, rimasti soli una volta giunti a casa, gli chiedesse spiegazioni più precise.
Si salutarono, e le fu estorta la promessa di ottenere più notizie da suo padre.
“Va bene. D’accordo…ma sì, ho detto che va bene!” lo sentì parlare quando raggiunge la porta dell’agenzia investigativa al primo piano. Aspettò di sentirlo pronunciare: “Arrivederci, ispettore.” prima di prendere un bel respiro ed entrare nella stanza con la busta tra le mani.
“Vuoi del sushi per cena, papà?” si finse indifferente e spigliata. “Oppure preferisci sashimi?”
Il detective le rivolse un’occhiata seccata, agganciando la cornetta del telefono.
“Cosa vuoi sapere del tuo amichetto?” tagliò corto, facendola avvampare.
“C-come dici, papà?”
“Conosci le mie perplessità su suoi metodi, e sulle ombre che avvolgono alcune delle sue indagini. Ammetto che ci ha fornito delle notizie interessanti…ma bisogna capire da dove provengono. Non mi fido, quello non mi piace.” Insistette, fissando la figlia negli occhi con fare determinato.
“Quali informazioni?”
“Il caso della rapina sarebbe collegato all’assassinio di una donna, il cui cadavere è stato rivenuto ieri in un capannone abbandonato.”
“La ragazza uccisa da un colpo di pistola?” subito le balenò alla mente l’articolo del giorno prima “Sui giornali c’era scritto che il movente passionale fosse il più probabile.”
“Per quello no. Crede fosse complice dei rapinatori. Questa mattina ha contattato l’ispettore Megure, che a sua volta ha voluto informare anche me. Quel ragazzino comunque sapeva che del caso della rapina mi occupo anche io, e quindi ci ha raggiunti per parlare personalmente con noi della faccenda. La polizia ora indaga per scoprire il suo nome…se il suo conto presenterà somme di denaro corrispondenti a quelle del furto…”
“Sulla base di cosa, Shin…Kudo- si corresse –pensa che quella ragazza fosse coinvolta?” poggiò la busta della spesa a terra, avvicinandosi pur tuttavia ancora un po’ titubante all’uomo.
“Il proiettile. Il proiettile che ha causato la sua morte è compatibile con la pistola impugnata dal rapinatore. Lo sappiamo perché in un momento d’agitazione ha sparato un colpo d’avvertimento contro una colonna della banca, e la scientifica è riuscita ad estrarla ed analizzarla. Una calibro ventotto.”
“Capisco…” fece per congedarsi, persa ogni speranza: Shinichi aveva telefonato a Megure per passargli il caso, Megure gli aveva detto che il loro consulente era Kogoro, così lui l’aveva raggiunto –ammirevole, l’impetuosità del suo temperamento! Aveva subito pensato Ran- per comunicarglielo de visu. Fine della storia, non l’avrebbe più rivisto.
Però, qualcosa la trattenne nella stanza: una sensazione.
Era come se…
“Tutto a posto, papà?”
L’uomo sollevò gli occhi dalla scrivania a quella che ancora soleva definire la sua bambina.
“Ti senti bene?”
“ Ikari Shima.”
“Chi è?” la ragazza iniziò a preoccuparsi. In realtà conosceva quel nome; ma sperava di sbagliarsi.
“Il capoquestore, Ran. Megure teme che potrebbe intromettersi nell’indagine, in qualche modo.”
“Perché dovrebbe?”
“Perché Kudo non piace ai piani alti.” Tagliò corto, con severità, come se rimproverasse lei dei metodi dell’investigatore più giovane.
“E il suo intervento potrebbe causarci dei guai.”

§§§

Si era svegliata ed aveva preparato la colazione in silenzio. Kogoro si era mostrato più docile della sera precedente, eppure non aveva toccato di nuovo l’argomento; e lei neppure.
Uscì di casa piuttosto presto, un’ora e mezza prima dell’inizio delle lezioni: l’atmosfera si era fatta irrespirabile, come se l’appartamento fosse ricoperto da una cappa che le toglieva il fiato. Stare lì dentro la metteva di cattivo umore, senza un motivo preciso.
Beh, in realtà il motivo preciso c’era eccome: perché suo padre insisteva a dare addosso a Shinichi?
Possibile non capisse cosa rappresentasse lui, per Ran? Un mondo fatto solo di bene e bellezza, dove chi merita di vincere vince e chi merita di perdere, perde.
Riferendosi a lui con termini tanto colmi di astio e sfiducia era come colpire con mano violenta tutti i sogni e le speranza della giovane che si affacciava allora alla Vita…Kogoro non offendeva Shinichi, feriva Ran.
La quale, tuttavia, non cambiava idea. Al contrario: sentire così parlar male di lui ne aumentava la stima!
Niente e nessuno gettava mai ombre sulla sua figura, per lei; nutriva del sincero affetto nei confronti di una persona che neppure conosceva. Non dal vivo, almeno.
-Anche dal vivo, ora…- si ritrovò a considerare mentalmente, sorridendo tra sé e sé mentre varcava il cancello della scuola superiore Teitan.
Le andava bene: l’aveva visto, aveva quasi raggiunto il mondo cui tanto aspirava.
Aveva sperimentato personalmente la sua genuinità: era stato pronto ad aiutare suo padre appena ne aveva avuto modo, pur non conoscendolo. Era davvero un comportamento da biasimare, quello?
Il detective era uscito dalla faccenda come ancora più magnanimo di quanto lo pensasse in passato, il suo legame con lui rafforzato.
Finalmente aveva sublimato l’esperienza scioccante del giorno precedente: era felice, nonostante tutto.
Talmente felice e su di giri da non ricordare che quel giorno le lezioni erano sospese.
Fu tentata di non tornare a casa prima delle sei canoniche ore mattutine; poi però ripensò a suo padre, e alla preoccupazione che palesemente lo turbava. Decise allora di rientrare, ma passando per il parco di Beika anziché la via centrale, diretta dall’appartamento al complesso scolastico. Ci avrebbe impiegato un po’ più di tempo e così avrebbe anche ricreato un po’ lo spirito; le piaceva molto passeggiare lì, o anche solo trascorrerci del tempo: si sentiva perdere nella natura, divenendo il nulla e il tutto allo stesso momento.
Costeggiò il piccolo lago interno al parco, fruendo dei suoni degli uccelli, del frusciare del vento tra le foglie e alzando gli occhi al cielo per contemplare le nuvole che parevano assumere delle forme alla sua attenzione.
Esitò prima di salire i gradini che l’avrebbero riportata a casa; ma prima di girare il pomello della porta, decise che avrebbe chiesto a suo padre delle spiegazioni. Si era calmata, questo era certo; ma si trattava di una calma ponderata, ferma e sicura, non della calma propria della resa.
“Quali ombre intendevi, ieri sera? Parliamone chiaramente, per favore, a cosa alludi quando…”
Ma le parole le morirono in gola, quando aprendo di scatto la porta si era ritrovata faccia a faccia con la persona che più in quei giorni occupava i suoi pensieri.
Vestito di pantaloni chiari e un cappotto di stoffa, Kudo Shinichi si era voltato nella sua direzione per scoprire di chi fosse quell’irruzione improvvisa nello studio di Kogoro, pur mantenendo la posizione in piedi di fronte la scrivania dell’uomo.
Lo vide e non riuscì a trattenere un: “Ohhhh!” pronunciato ad occhi spalancati, mentre percepiva nitidamente le sue guance accaldarsi. Comprese di essere divenuta paonazza, se ne vergognò: arrossì ancora di più. Non notò neppure l’ispettore Megure al fianco di suo padre, finchè questi non prese la parola:
“Buonasera, Ran-kun.”
“Che ci fai qui a quest’ora?” l’accolse scorbutico Kogoro, rivolgendole uno sguardo accigliato. Lei esitò un po’ prima di replicare, badando bene di focalizzare per bene il viso dell’uomo ed ignorare completamente Shinichi, nel tentativo di vincere l’afonia che l’aveva catturata appena messo piede nella stanza.
“C’è stato uno sciopero, e…”
“Allora porta a tua madre i documenti per la causa. Li ha scordati qui quando ti ha riaccompagnata a casa l’altro giorno.”
Quegli occhi e quel tono di voce celavano un neanche troppo segreto ordine categorico: “Vattene.” In altre circostanze li avrebbe ignorati, il carattere combattivo dei Mouri e dei Kisaki fusi in un singolo cervello; ma allora vinse la timidezza e il timore che i suoi sogni non coincidessero con il reale e, annuendo sommessamente, si richiuse la porta alle spalle.
Nella sue mente un tumulto: che fare? Perdere la seconda possibilità che il destino le concedeva? Sarebbe stata così ardita? Oppure sarebbe stata così ardita da parlargli, addirittura?
Chiuse gli occhi ed inspirò l’aria fresca del mattino, concentrandosi. Decise di svuotare la mente da una preconcetto o giudizio a posteriori, e concentrarsi solamente sulle emozioni: non cosa fosse giusto, meglio, ammirevole, utile fare; cosa la morale raccomandasse; cosa il buon senso chiedesse; ma cosa, al pensiero della sua realizzazione, le faceva sbocciare nell’animo una vera sensazione di benessere…Fece la sua scelta.
Quindi si sedette sul marciapiede subito dietro l’angolo dell’agenzia investigativa, decisa ad aspettarlo.
C’era una macchina blu metallizzata parcheggiata lì nei dintorni, e non l’aveva mai vista: ipotizzò appartenesse a lui, e prese a immaginare come conducesse le indagini. Di tanto in tanto si voltava nella speranza di vederlo scendere i gradini dell’edificio.
Cosa stava dicendo a suo padre? Che avesse saputo del suo astio e fosse andato lì per scontrarlo?
Che avesse scoperto qualcos’altro ancora su quella rapina e su quella povera ragazza?
Oppure il questore era venuto a sapere della loro collaborazione e Kudo gli stava chiedendo fiducia.
Sospirò, sconsolata: Kogoro non nutriva alcuna simpatia per lui, che lei sapesse. Qualunque cosa fosse venuto a fare, avrebbe miseramente fallito…Certo, che sfortuna aveva avuto! Se non fosse passata dal parco lo avrebbe incontrato, magari sotto casa addirittura. E avrebbe potuto dirgli sinceramente cosa pensava…
Rivedeva nella sua mente il volto di Shinichi girarsi nella sua direzione, e rivisse ancora e ancora il momento in cui vigliaccamente si era nascosta sotto gli spalti. Avrebbe dovuto invece mostrarsi, scendere dai gradoni…Questa audacia non era del suo carattere. Ma almeno avrebbe potuto –avrebbe dovuto- sorridergli! Lui le avrebbe sicuramente risposto con un altro sorriso, e lei avrebbe conservato un meraviglioso ricordo del loro incontro. Cosa custodiva ora, invece? Un bel nulla. Un atto di vigliaccheria e niente più.
Mentre flebili gocce di pioggia iniziavano a condensarsi e rovinare contro il suolo, Ran spostò con disillusione gli occhi sulla vettura blu…le mancò il fiato: non c’era più!
Si alzò di scatto, ignorando l’acqua che per la seconda volta in tre giorni le bagnava corpo e vestiti per raggiungere quel posto oramai vuoto.
“Accidenti!” piagnucolò, comprimendo le unghie sui palmi delle mani con fare stizzito.
Cosa avrebbe custodito di quel giorno? Un atto di vigliaccheria e un atto da stupida distratta!
-Non ci posso credere…- le balenò in mente, e qualche lacrima stava già per risalirle sino agli occhi quando una mano si poggiò sulla sua spalla.
“Papà, per favore…” il fiato le morì in gola.
Voltandosi, si ritrovò a specchiarsi in un oceano azzurro che, guizzando con curiosità da una parte all’altra del viso, brillava di viva intelligenza.
“Tuo padre è Mouri, non è vero? E’ ancora di sopra. Devi chiedergli qualcosa?” le disse con affabilità, togliendole la mano dalla spalla.
Lei cercò di dire qualcosa, ma dalle labbra uscì un balbettio quasi silenzioso.
“Ti ha chiesto di riportare a tua madre dei fogli, ma non mi pare tu li abbia presi!” motivò l’affermazione appena pronunciata, sorridendole.
Le sorrise. Automaticamente e senza rendersene conto, rispose al suo sorriso. Come se l’espressione di Shinichi avesse modellato di un’intenzionalità consequenziale anche la sua.
“Io…io sono Ran, piacere di conoscerla Kudo-san!” fu l’unica cosa che riuscì a pronunciare, pentendosene l’istante dopo aver chiuso la bocca.
-Qualcosa che gli resti impresso!- si ammonì in un moto di auto commiserazione.
Lui rise: “Sì, lo so.” Le disse, mettendola ancora più a disagio. Poi repentinamente, aggiunse: “Scusami, io mi sono immediatamente preso la libertà di darti del tu. Vuoi che ti chiami Ran-san?”
Scosse il capo con fermezza: “No no, non si preoccupi! Il tu va benissimo!”
“E allora usalo anche tu! Non credo di essere tanto più grande di te, non cercare di farmi sentire uno snob démodé che si è dimenticato di essere un ragazzo.” Sorrise di nuovo e a ruota lei fece altrettanto.
Annuì, le guance ancora un po’ accaldate che però erano ben celate dalle gocce di pioggia che le avrebbero comunque arrossato in volte per la reazione tra colore del corpo e freddo dell’ambiente circostante.
“Sta arrivando un temporale.” La ammonì e lei temette che fosse una maniera gentile per congedarla:
“Ho ancora qualche minuto!” si affrettò a rispondere, muovendo un passo in avanti. L’istante dopo credette di apparirgli irruenta, quindi fece un passo indietro. Non seppe più come comportarsi e fissò gli occhi sulle sue scarpe.
“Bene, giusto il tempo perché io possa parlarti!” ammiccò.
“Mi volevo scusare per poco fa.” Proseguì: “Sono piombato a casa vostra senza avvisare, mi è parso evidente che tuo padre ti ha cacciata da casa perché c’eravamo l’ispettore Megure ed io. “
La disinvoltura con cui si riferiva al poliziotto la faceva ben sperare in un probabile futuro successo dell’indagine.
“E mi pare evidente che se sei tornata a casa anziché rimanertene in giro è perché avevi voglia di stare tranquilla. Perciò…scusami, Ran!”
Pronunciò quella frase con la stessa naturalezza che sarebbe potuta appartenere a una Sonoko in ritardo all’ennesimo appuntamento mentre cerca di farsi perdonare dalla sua amica. Quell’atteggiamento tanto spontaneo e amichevole –che per tutti quei mesi aveva sperato gli appartenesse ma anche temuto gli fosse estraneo- la mise a suo agio, o almeno la rese più tranquilla per rivolgergli qualche parola.
“Non si preoc---“ il suo sguardo finto seccato la spinse a correggersi: “Non preoccuparti. Mio padre mi spedisce sempre da qualche parte…anche quando in tv c’è qualcosa che gli piace!”
Shinichi le sorrise di nuovo, stordendola. In futuro di quel dialogo si sarebbe mille volte rimproverata la probabile faccia da ebete tenuta per tutto il tempo.
“Perciò non devi portare quei fogli a tua madre?” s’informò.
Fece spallucce: “Non ora!” rincarò la dose per evitare la congedasse. E riuscì perfettamente nel suo intento:
“Allora ripariamoci da qualche parte, inizia a piovere seriamente ed io non ho portato l’ombrello.” Rise di se stesso: “Non lo porto mai, lo dimentico sempre!”
Prima ancora che Ran potesse replicare, le domandò: “Prendiamo insieme qualcosa al bar?”


Se lo ritrovava davanti a lei, con le braccia poggiate sul tavolo tanto piccolo che, se avesse allungato le dita le avrebbe sicuramente sfiorato le mani. Lo osservò quasi in trance versare un po’ di latte nella tazzina di caffè per macchiarlo, e poi rifiutare con un sorriso la bustina di zucchero che la cameriera gli porgeva.
Aveva scelto lui il tavolo, si trovavano in un angolo del locale, abbastanza isolato rispetto agli altri più grandi e decisamente invisibili alle vetrina che, loro dirimpetto, dava sulla strada affollata di passanti innervositi dal mal tempo.
Erano talmente vicini che quasi le sembrava di percepire le loro gambe sfiorarsi. Ad aggiungersi, anche lo scosciare della pioggia rapidamente divenuta temporale a rendere l’atmosfera quasi romantica.
Due fidanzatini che, colti nel loro incontro segreto dal fortunale, si rifugiano in un locale lontano da casa per nascondersi agli occhi degli altri e parlare in intimità.
Arrossì per l’ennesima volta quel giorno, rimproverandosi mentalmente: -Ma che diamine sto pensando?-
“Zucchero?” le domandò, offrendole la bustina. Accettò di buon grado, porgendo la mano per prendere la bustina, ma fu lui a versarle il contenuto nel cappuccino.
Arrossì ancora.
“Per…” si fece coraggio, dopo un respiro profondo: “Per quello che vale, vorrei dirti che sei un grande investigatore. Forse alcuni non lo riconoscono…ma fai del bene a tante persone. E questo è molto bello.” Disse tutto d’un fiato, rischiando di svenire per il desiderio di fissarlo in volto mentre parlava; voleva studiarne la reazione.
Shinichi permise alle labbra di assumere la forma di un’espressione gentile, ma anche un po’ arrogante: Ran riconobbe in quell’espressione una di quelle esibite alle macchinette fotografiche dei giornalisti che le fermavano in una foto…foto che Ran custodiva attentamente nel suo cassetto.
Così da vicino era ancora più bello di quanto avesse mai potuto immaginare: non trovava parole per descriverlo.
Gli occhi sempre illuminati da una luce fiera e forte, pronti a guizzare da una parte all’altra con grande rapidità. Appena entrati nel bar lo aveva visto scrutare nei minimi particolari ogni angolo del circostante, come se in neanche dieci secondi avesse esaminato e scansionato il suo raggio d’azione. E ad ogni occhiata corrispondeva un pensiero, lo si capiva da come atteggiava le labbra: di tanto in tanto notava qualcosa- a lei però sfuggiva cosa fosse in concreto questo qualcosa- che gli faceva mutare espressione; ora assumeva aria di scherno, ora di ilarità, ora di divertimento, ora di preoccupazione o presentimento.
Parlava con lei, si dimostrava gentile: ma era certa avesse il cervello affollato di idee, in pieno movimento.
Mille parole gli popolavano la mente, una sola usciva dalla sua bocca.
“Ti ringrazio. Mi fa piacere.” Nonostante le parole fosse di una banalità sconvolgente, ebbe l’impressione che parlasse sinceramente; non erano frasi di circostanza.
“Perciò…mi conosci?”
“Chi non ti conosce?” gli sorrise, timidamente. “Sei famoso, lo sai?”
“Sono discusso, direi.”
Era chiaro lo sapesse. Ran stessa in molte occasioni aveva trascorso tempo a pensare e dolersi per le critiche che di volta in volta lo toccavano, immaginando come dovesse sentirsi e desiderando con tutto il cuore fargli sapere che non aveva importanza, che lui era un grande uomo comunque.
Ma sentirglielo dire le fece effetto; inoltre non riuscì a decifrare la natura dei mille pensieri che si nascondevano dietro quell’unica affermazione. L’espressione del viso fu ambigua, incomprensibile.
“Però sono anche famoso, sì. Molto famoso.” Si fece sfuggire quasi sottovoce, parlando tra sé e sé; un sorriso borioso che lottava per manifestarsi nonostante le sue reticenze di una modestia spesso ignorata.
Tornò a parlare con voce alta, ed espressione distesa:
“Suppongo che tu mi conosca per qualcosa che ritieni positivo, però.” Ammiccò, roteando la tazzina per afferrare l’impugnatura tra indice e pollice.
Annuì: “Sì, certo. Io…”
“Tuo padre è un investigatore, devi sentire parlare di indagini tutti i giorni, scommetto.” La interruppe, quasi con fretta di arrivare al dunque.
“E’ da lui che sai di me, no?”
“Più o meno…” si ritrovò a rispondere, sorseggiando la sua bevanda per prendere tempo.
“Ti parla anche delle indagini?”
“A volte.”
“ E di questa rapina ti ha parlato?”
“Più che parlato, se ne è lamentato. Non riesce a venirne a capo.”
“Neanche dopo l’informazione che gli ho dato?”
“Della donna ritrovata morta nel capannone?” poi si morse la lingua, esitando. Perché tutte quelle domande?
Ebbe un dubbio e cercò di proteggere suo padre:
“Lui…lui non me l’ha detto, della-della donna dico. Sono io che ho sentito…”
“Non ti preoccupare, non c’è alcun problema. Non vedo perché non avrebbe dovuto dirtelo, sei sua figlia dopotutto. E mi pare di aver capito che tua madre non viva con voi.”
“Infatti…no.” Per un attimo il pensiero volò ad Eri, ma Shinichi riprese la parola:
“Quindi…non ha nessuna idea? Non ha parlato con l’ispettore, magari?”
“Non mi pare. Cioè sì, ne hanno parlato ma prima che li informassi tu.”
“E cosa dicevano?”
“Che era sicuro solo il numero dei rapinatori…sono due.”
“E basta?”
“Sì. Si lamentavano del fatto che non trovavano prove per arrivare all’identità di uno dei due, o indizi per almeno capire dove abbiano nascosto la refurtiva. Di più non so, perché arrivati a questo punto si innervosivano per lo stallo in cui si trovavano e iniziavano a battibeccare.”
“Capisco. E tuo padre non ha parlato con nessun altro?”
“Dell’indagine? Beh a parte me no, non mi sembra affatto. Ci sono alcuni agenti che stanno sempre al fianco dell’ispettore, Ruchichi e Mukumura*, ma quando parla con lui ascoltano anche loro quindi non ha bisogno di ripetersi.”
“ E con il questore non ha mai parlato?”
Ecco il punto, pensò Ran. Shinichi era preoccupato di poter essere escluso dall’indagine, come suo padre le aveva comunicato proprio la sera precedente.
Cercò di tranquillizzarlo:
“No, mai. A mio padre e all’ispettore il questore non piace più di tanto, in realtà…” ed era la verità.
“Non so perché, forse si tratta di antipatia a pelle.” Rise “Comunque so che quando possibile cercano di non comunicargli tutti i dettagli di un’indagine. Solo la risoluzione…a parte quando è necessario il suo permesso per qualche azione, però. In quel caso lo contattano!”
Shinichi la ascoltava con interesse: aveva gli occhi puntati su di lei e nemmeno il tuono che improvvisamente squarciò il cielo valse a distrarlo.
“Ne sei…sicura?” insistette.
“Certo!” asserì, ricambiando per quanto possibile il suo sguardo serio. Continuò a fissarla, prima di chiederle:
“In definitiva, possiamo dire che tuo padre ed il questore non sono affatto amici, perciò. Non si frequentano, non si vedono…lui non è mai venuto a casa vostra…”
“Mai. Gli unici ad aver messo piede da noi sono l’ispettore e gli agenti che ti ho già detto.”
La osservò ancora: quello sguardo fu tanto profondo da farla sentire nuda.
Per quel frangente gli occhi del detective persero l’allegria di chi si diverte a guardarsi intorno per mettere alla prova le sue abilità intellettive. Non esprimevano boria, ironia, sarcasmo: preoccupazione soltanto.
Un secondo dubbio assalì Ran, proprio quando Shinichi finalmente tornava ad essere sereno come le era parso all’inizio e, finalmente, sollevava la sua tazzina ancora piena.
“Molto bene.” Decretò, bevendo il caffè tutto d’un fiato.
Le passò un brivido per la schiena a vederlo bere in quel modo; era sciocca a pensare qualcosa del genere, ma quel gesto veemente le suggerì una natura impetuosa. Chissà se, con una ragazza…
Scacciò quei pensieri per dare voce ad uno più urgente:
“Mi hai chiesto di venire con te per sottopormi ad un interrogatorio, per caso?” il tono di voce era scherzoso, come l’espressione del volto. Ma Shinichi, da ottimo investigatore quale era, comprese subito che la ragazza parlava seriamente.
Poggiando la tazzina sul piattino curvò le labbra con fare spavaldo e divertito allo stesso tempo, mentre deglutiva.
La guardò negli occhi: “Sì.” Disse, semplicemente.
“C-come?”
“Non sai di…” lasciò la frase in sospeso, come se quella mezza allusione potesse farle venire in mente qualcosa. Ma così non fu.
“Di…?”
Sorrise di nuovo; ma stavolta fu un sorriso rivolto a se stesso, come a dirsi: “Come sei stato stupido, Shinichi Cosa mai sei andato a pensare?”
“Niente, niente.” Palesò soltanto questo: ancora un’espressione verbale per mille capovolgimenti mentali.
La ragazza ebbe l’impressione che Kudo avesse cambiato idea su qualcosa –ancora quel qualcosa non ben identificato!- tre volte almeno quella sera, quegli attimi di conversazioni con lei.
“Comunque…mi fa piacere. Mi fa piacere così, che non sia niente.” Le sorrise, di nuovo gentile come quando le aveva poggiato una mano sulla spalla. Ma stavolta le parve un sorriso diverso: più vero, più personale, non dovuto all’educazione e alla gentilezza ostentata di poco prima.
“Non lo finisci?” cambiò poi discorso, additando il suo cappuccino.
“Non credo mi vada più…” gli disse, un’espressione maliziosa dipinta sul volto, che voleva dirgli: “Cosa mi nascondi?”, e infatti Ran aggiunse subito:
“Mi hai portata qui per un interrogatorio, non per offrirmi da bere. Permettimi che il mio orgoglio femminile ne esca un po’ deluso, e soprattutto non affamato.”
Scherzava, era chiaro. Ma…
“Beh, oggi era spinto da una grande urgenza, alla quale non potevo sottrarmi.” Fu l’unica confidenza che le concesse, poggiando un gomito sul tavolo per avvicinarsi di più a lei.
“Ma ora quest’urgenza è risolta, non mi disturba più. Perciò immagino che potrei offrirti da bere per offrirti da bere. Senza nessun altro scopo. Di nessuna natura.” Precisò all’istante, conscio di cosa spesso implicasse l’affermazione Offriredabere quando rivolta ad una ragazza.
Sorpresa da quel rinnovato atteggiamento mordace, anziché gentile e premuroso, quasi fraterno tenuto sino ad allora, avvampò di colpo.
Ma lui non le diede tempo di replicare: “Ma non oggi. Vado un po’ di fretta, devo controllare alcune cose. Il lavoro mi chiama. “ sottolineò con il tono di voce, quel sorriso malizioso e sbruffone che non voleva cancellarsi di faccia.
“Perciò, se non ti dispiace…” si alzò in piedi “E’ ora di andare. Vieni, ti riaccompagno.”




Con una decisa spinta della testa rimandò tutti i capelli dietro le spalle, facendo spruzzare schizzi d’acqua persino sul vetro dello specchio di fronte a lei. Iniziò a pettinarli prima di asciugarli con il phon, il tepore del bagno dopo la doccia fatta a massaggiarle i sensi.
Pensava a Shinichi.
Nonostante i suoi timori, l’idea che in tutto quel tempo si era fatta di lui non era stata tradita. Certo, c’era qualcosa di quella conversazione che non aveva ben capito…ma le sensazioni provate le garantivano che era qualcosa di totalmente normale, proprio del suo mestiere. D’altronde, cosa avrebbe dovuto aspettarsi? Che avendola vista per strada si sarebbe follemente innamorato di lei?
Se l’avesse invitata per corteggiarla e magari avviare frequentazioni di dubbio tipo le avrebbe fatto piacere sul momento, ma l’istante successivo non ne avrebbe ricavato altro che delusione: Shinichi Kudo, il grande detective che aveva sempre stimato, scoperto come un misero tombeur des femmes che si fa grande della sua fama, con la quale tenta anche di irretire le ragazze che incontra sui marciapiedi, per caso.
No, grazie.
L’aveva voluta per un interrogatorio, un interrogatorio sulla rapina, sull’indagine, su suo padre, l’ispettore. Dal modo in cui l’aveva scrutata e in cui le aveva parlato, dubitava che quelle domande fossero davvero frutto di una preoccupazione strettamente personale- il timore che se il capoquestore avesse scoperto il suo coinvolgimento lo avrebbe allontanato dal caso.
“Sono discusso, direi. Però sono anche famoso, sì. Molto famoso.” Aveva detto con fierezza tipica di chi non teme gli altri, specie i piani alti. E se le parole non erano bastate, beh, il sorriso aveva fatto il resto.
Da quello aveva capito il suo orgoglio, la sua determinazione: e sebbene quel qualcosa continuasse a sfuggirle, era certa non fosse un qualcosa di brutto. Tutt’altro.
“Ran, sei ancora lì dentro? Quanto tempo ci metti? Guarda che anche io devo andare a dormire!” Oltre la porta chiusa del bagno Kogoro battè un paio di pugni contro la porta, riscuotendola dai pensieri.
“Ecco, ecco!” rispose, cercando il phon nel mobiletto accanto il lavabo. Mentre si spostava nella sua stanza per lasciare posto a suo padre, sorrise pensando alla figuraccia fatta poche ore prima.

“Mi dispiace ti sia bagnato per riaccompagnarmi.” Disse Ran con un lieve inchino di cortesia verso Shinichi, giunti entrambi i ragazzi di nuovo di fronte i gradini dell’agenzia investigativa.
“Mi sarei bagnato comunque, te l’ho detto…ho dimenticato l’ombrello. E poi sono pur sempre un investigatore. Una ragazza che, calato il sole, si aggira da sola per le strade mi suggerisce scenari poco gradevoli…Ho sempre a che fare con questo genere di cose.”
“Non sono cose carine da dire ad una ragazza.” Gli fece notare, rubandogli l’ennesimo sorriso. “
Comunque, mio padre dice sempre lo stesso.” Le parve una giustificazione, ma lui fece una smorfia buffa:
“Quanti anni ha tuo padre?”
“ Trentotto ”
“Bene. Quindi ragiono e parlo come un uomo di trentotto anni. Con tutto il dovuto rispetto per tuo padre, la cosa non mi piace troppo, sai?”
Risero entrambi.
“Comunque davvero, grazie. Con la macchina avresti fatto prima…”
“Non sono venuto in macchina. Non abito troppo distante da qui.” Sentire quelle parole le aveva provocato una capriola del cuore nel petto. Magari, se il destino fosse stato buono come spesso lo era stato in quei giorni, avrebbe potuto incontrarlo ancora…!
“Avevo visto parcheggiata qui sotto una macchina blu, e siccome non c’era mai stata prima avevo creduto fosse la tua.”
Un’espressione di divertita spavalderia gli si dipinse ancora sul volto. Kudo immediatamente collegò quell’affermazione alla prima vista che aveva avuto di lei, quel pomeriggio: gli occhi tristi a seguire una vettura che di gran carriera si allontanava, sotto la pioggia, un quarto d’ora dopo il suo ingresso nell’agenzia.
Era chiaro che lo stava aspettando, che voleva incontrarlo, che aveva temuto di non esserci riuscita e si fosse per questo motivo dispiaciuta. Ma pensò bene di non dirglielo, e sorrise soltanto.
“Prima che tu te ne vada…voglio dirti che mi ha fatto piacere conoscerti.” Aggiunse lei subito dopo, pensando –E che tu abbia conosciuto me…- confermando la sua deduzione.
“E che so difendermi da sola, non hai motivo di parlare come un uomo di trentotto anni. Anche al buio!”
Volevo sorprenderlo, lasciargli il ricordo d’una ragazza forte, dalla risposta pronta; ma fu lui a stupire lei:
“Lo so. Ti ho vista ieri, in palestra. Ero venuto per parlare con tuo padre e l’ispettore Megure, ma sono arrivato prima di loro e così ho deciso di aspettarli fuori per non creare tanto scompiglio. Per essere certo che non fossero arrivati a piedi mi sono affacciato, e ti ho vista combattere contro un gorilla di…quanti chili? Lo hai steso subito. Non sono bravo nelle arti marziali, ma so riconoscere un gran bel yokogeri* quando lo vedo. Non sapevo fossi la figlia di Mouri, ma mi sei rimasta impressa per la tua ottima tecnica. Oggi, quando sei entrata ti ho riconosciuta subito.”


Era stata contenta di sentirglielo dire. Non sapeva se l’avesse anche vista spiarlo e poi nascondersi e avesse taciuto per galanteria, anche se sperava semplicemente che non l’avesse notata.
Tuttavia, avrebbe ricordato per sempre quella frase: “Mi sei rimasta impressa.” Era quello che aveva sempre voluto, dopotutto…Certo, nel corso del tempo aveva sognato di lasciargli un bel ricordo di lei pronunciando qualche meravigliosa parola di incoraggiamento, o anche di stima, o addirittura di relativo a qualche inchiesta. Non era stato così…ma gli era rimasta impressa per qualcosa che amava fare, che era parte di lei: il karate. I suoi sogni, dopo quella rivelazione, erano mutati: ora chiudeva gli occhi e vedeva Shinichi che, rispondendo alla domanda di un suo collega, asseriva:
“Quando mi sono trovato davanti a quel tizio, mi sono ricordato di una ragazza che ho conosciuto un po’ di tempo fa. Aveva un’ottima tecnica di combattimento…il suo era un gran bel yokogeri! Pensando a lei, mi è venuto in mente di usare questa mossa per bloccare quel criminale. Quest’arresto è anche un po’ suo.”




§ §§ § § §§ § § §§ §




Precisazioni:

Ruchichi e Mukumura: personaggi di mia invenzione, nel manga non esistono.
Yokogeri: calcio rotante.
 
Top
Neiro Sonoda
view post Posted on 11/6/2014, 14:00     +1   +1   -1




Finalmente posso recensire il prologo con calma (e intanto è uscito il primo capitolo… che bello :) )
Dunque, innanzi tutto faccio i miei complimenti all’autrice per il suo stile, ricco e molto personale… Azzarderei “raffinato” in alcuni casi, quando vengono utilizzate parole e/o espressioni non consuete
In secondo luogo, l’idea che Ran e Shinichi non si conoscano è molto originale… ma la cosa che mi affascina terribilmente è come viene affrontata la cosa :woot:
La loro convergenza di ideale di vita assume una connotazione meravigliosa e suscita un fortissimo impatto sul lettore (o almeno su di me!), in quanto, pur non essendosi mai incontrati, risultano viaggiare entrambi sulla stessa lunghezza d’onda. Da quando li “conosco”, ho sempre pensato che Ran e Shinichi abbiano sostanzialmente lo stesso tipo di mentalità, nonostante le profonde differenze caratteriali… Sono vicini a livello psicologico, in altre parole, alla faccia di quelli che dicono che stanno insieme solo perché sono amici d’infanzia e l’autore ama questo genere di coppie, altrimenti non avrebbero nulla da spartire. Ecco, qui abbiamo uno Shinichi e una Ran che NON sono amici d’infanzia, eppure hanno la stessa concezione di vita e gli stessi ideali. Insieme faranno scintille, ne sono certa! Inoltre, la descrizione di Shinichi fatta attraverso gli occhi di Ran, che no conosce le “imprese” tramite i giornali, è davvero favolosa!
Complimenti, Cavaliere Nero :)

Edited by Neiro Sonoda - 11/6/2014, 23:31
 
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Il Cavaliere Nero
view post Posted on 11/6/2014, 23:39     +1   +1   -1




Io non so davvero come ringraziarti, sei molto gentile! Sono contenta che l'idea What If ed il mio stile ti piacciano, e ti ringrazio per il "raffinato" :P


CITAZIONE
La loro convergenza di ideale di vita assume una connotazione meravigliosa e suscita un fortissimo impatto sul lettore (o almeno su di me!), in quanto, pur non essendosi mai incontrati, risultano viaggiare entrambi sulla stessa lunghezza d’onda.

Io stessa non avrei saputo spiegarlo meglio xD E' esattamente quel che speravo di riuscire a comunicare, e sono ben lieta che la percezione che si ha leggendola sia questa. All'inizio temevo fosse una questione troppo...'eterea' per poterla concretizzare a parole, ed ho a lungo pensato di non esserci riuscita, o almeno non in modo chiaro!
Per coloro i quali sostengono che l'unico motivo per cui Shin e Ran si amano risponda a esigenze di trama...beh, eccezion fatta per Heiji, loro sono gli unici due personaggi a cui Gosho ha tenuto a dare una caratterizzazione di enorme bontà d'animo. Ran salva un'assassina e si chiede se non si sia macchiata le mani per osmosi, il giorno stesso Shin salva un pazzo criminale e gli risponde con una frase che a lei calzerebbe a pennello. E sto citando un solo esempio :P
E' evidente che entrambi posseggono la stessa concezione della vita, e non credo che l'uno abbia influenzato l'altra e che di conseguenza si siano innamorati, ma che al contrario entrambi l'abbiano sempre avuta e proprio per questo si sono innamorati. Si sono scoperti con gli anni! Ho voluto rappresentare questo nella storia. Qui in realtà Ran lo ha già scoperto, attraverso i giornali e i mass media; o almeno crede di averlo scoperto e spera che la sua idea, elaborata nel corso del tempo, su di lui sia giusta, e indaga in questo senso. Shin invece parte da zero, deve conoscerla a fondo...ma per un detective del suo talento, non è difficile capire una persona in poco tempo.
Questo è quello che volevo, e vorrei, focalizzare nella storia!

Ti chiedo scusa se mi sono dilungata ma la tua recensione mi ha entusiasmato xD Ti ringrazio ancora di vero cuore, mi ha fatto molto piacere leggere il tuo commento!
Un bacio!...e chiamami Cavy :P
 
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Il Cavaliere Nero
view post Posted on 26/6/2014, 20:45     +1   -1




Capitolo Secondo – Karate



Arrivò di gran fretta a scuola, con mezz’ora di anticipo sperando che la sua compagna di studi e migliore amica fosse già lì per poterle raccontare nei più minuziosi dettagli l’accaduto del martedì precedente.
Fremeva, fremeva per dirlo a qualcuno!
Di certo il ruolo di confidente non avrebbe potuto ricoprirlo suo padre: in quanto geloso della figlia, geloso del mestiere, irascibile ogni qualvolta il nome di Kudo venisse pronunciato. Sua madre era una donna, nonché un genitore, molto più aperto e nel cui giudizio Ran riponeva grande fiducia: ma era pur sempre, per l’appunto…sua mamma. Una sorte di sacro imbarazzo le impediva di aprirsi completamente a lei, come se avesse riservo a chiederle un’opinione per paura che potesse dissentire da una sua scelta o un suo giudizio.
Di Sonoko si fidava ciecamente; vero è che i suoi commenti erano spesso forse un tantino esagerati, ed ancora più spesso la ragazza tendeva ad indirizzare il discorso in battute spiritose, divertenti che però perdevano in contenuto e profondità. Ma aveva una certezza: la sua amica non le avrebbe mai mentito. Esattamente come il giorno precedente non aveva esitato neppure un attimo ad incalzarla: “Avresti dovuto parlarci, altro che nasconderti!” allo stesso modo le avrebbe detto se si era comportata in maniera corretta, se avesse avuto un atteggiamento fuori luogo, se la vicenda le quadrasse o meno.
Inoltre, parlare della cosa le sarebbe servito a metabolizzarla e digerirla: quell’incontro era stato allo stesso tempo una meravigliosa coincidenza ed una luttuosa tragedia. Erano passati tre giorni da quella sera, e ora dopo ora anziché scemare l’emozione aumentava: al pari di un eccitante, come una piccola barca a vela che, con le vele gonfiate dal vento taglia il mare ma, proprio quando l’aria si blocca un gorgoglio di onde sgorga dal ventre delle acque e la sospinge sino alla riva, i sentimenti di Ran erano stimolati più dal ricordo filtrato dalle sensazione che l’accompagnavano che dall’evento reale in sé.
Rivedeva il volto di Shinichi, molto più bello di quanto non avesse mai immaginato. E nonostante tutto non ricordava nulla nitidamente: mentre il fatto si svolgeva era stata completamente assorbita dal presente, aveva vissuto con pienezza e coinvolgimento d’animo ogni singola parola pronunciata. Si trovava nella medesima condizione di un sonnambulo che si sveglia dal suo sonno e non ricorda quasi nulla del sogno, se non qualche fuggente immagine, uno o due suoni familiari e una parola biascicata al pari di un sibilo di serpente. Unica certezza, unica rimembranza chiara di tre giorni prima: gli occhi.
Quegli occhi vivi, brillanti, superbi e gentili nello stesso momento.
Lo Shinichi reale l’aveva conquistata ancor più dello Shinichi della tv o dei giornali.
E poi la sua faccia tosta…!

“Mi hai chiesto di venire con te per sottopormi ad un interrogatorio, per caso?” il tono di voce era scherzoso, come l’espressione del volto. Ma Shinichi, da ottimo investigatore quale era, comprese subito che la ragazza parlava seriamente.
Poggiando la tazzina sul piattino curvò le labbra con fare spavaldo e divertito allo stesso tempo, mentre deglutiva.
La guardò negli occhi: “Sì.” Disse, semplicemente.


Avrebbe potuto intavolare mille scuse; la parlantina non gli mancava di certo e lei, fan sfegatata lo sapeva bene. Eppure dopo un sorriso enigmatico, che poteva voler dire mille cose – dal “Com’è scocciante questa mocciosa!” al “Però, niente male!”- le aveva detto solamente di sì, senza neanche motivare quella risposta.
L’aveva sorpresa, l’aveva meravigliata.
L’aveva ammaliata.
O comunque, qualunque altro effetto le avesse fatto, Ran non riusciva a levarselo dalla testa.
Tre giorni di ininterrotto sorridere tra sé e sé come una ragazzina innamorata di uno stupido metallaro da quattro soldi di una stupida boy band!
Parlarne con Sonoko, sperava, l’avrebbe aiutata a superare in qualche modo la cosa: e tornare a pensare a Shinichi moderatamente di meno. Non che prima il pensiero non volasse mai a lui, tutt’altro…! Ma non tutto il giorno, Kudo non era una fissazione.
Varcò la soglia dell’aula con passi ferini e, come capitava spesso, vide l’amica già in classe, seduta sulla cattedra con gli auricolari del suo fedele smartphone a darle ispirazione per delle improbabile mosse di danza pop. Suo padre l’accompagnava a scuola nei giorni di pioggia, ma questo richiedeva che la giovane ereditiera conformasse il suo orario e quello del signor Suzuki, con il risultato di arrivare in grande anticipo.
“Sonoko!” la chiamò a gran voce non appena la vide, quasi in un inconsapevole urlo liberatorio. Ma lei, ad occhi chiusi, era ancora intenta a gesticolare in tempo – o meglio, non in tempo- di musica e non la notò.
Di tutta fretta Ran si precipitò su di lei, volendo scrollarla per le spalle. Ma avendo percepito uno spostamento d’aria la ragazza aveva aperto gli occhi e si era alzata per andarle incontro, perciò il risultato fu una testata in piena fronte tra le due amiche, che caddero a terra rovinosamente.
“Cielo, Ran! Ma cosa…?” si lamentò la biondina, massaggiandosi il capo. La mora ignorò le sue lamentele e, ignorando il dolore, trillò: “Devo raccontarti una cosa!”


§§§

L’ispettore Megure era di nuovo a casa sua, lo capì dalla volante della polizia parcheggiata di fronte l’agenzia. Si guardò intorno nel tentativo di scorgere qualcosa che potesse comunicarle la presenza di Kudo, ma non fu così; nemmeno quell’automobile blu che in qualche modo l’aveva preannunciato era presente nei dintorni.
-No no no. Così non va bene!- si ammonì non appena comprese che di nuovo i pensieri si sbriciolavano davanti l’attacco del giovane investigatore.
‘Vuoi un consiglio, Ran?’ le aveva chiesto Sonoko dopo aver ascoltato la sua storia, commentata ampiamente da cenni degli occhi ed espressioni del volto.
‘A me questo tipo sembra un pallone gonfiato…ma non oso immaginare la tua reazione, ti è sempre piaciuto! E non interrompermi cercando di sostenere il contrario!’ l’aveva ammonita non appena lei aveva fatto per replicare.
‘Lo so, lo sappiamo tutti che hai un debole per lui! E’ come se io incontrassi Kimura Tatsuya*! Ma mi sorprende enormemente che non ricordi bene le cose, il suo aspetto ad esempio…’ aveva portato una mano sotto il mento, con fare interrogativo.
‘Non ricordi nemmeno se quando si è alzato gli hai guardato il sedere?' ma una sua risposta stizzita l’aveva interrotta.
‘Non fare la santarellina, Ran! Mi hai detto cinque secondi fa con gli occhi a cuoricini: E’ bellissimo, Sonoko!’ le aveva fatto il verso, cercando di imitarne la voce ‘E’ bellissimo e…oh, è bellissimo!’
‘Avevi detto se volevo un consiglio, non un profluvio di tue…’
‘Ah, già già. Beh, cerca di rivederlo!’ aveva scrollato le spalle, come fosse la cosa più normale del mondo.
‘Scusa? E come potrei fare?’
‘Dio, Ran, aiuta tuo padre nell’indagine! Cerca di informarti, origlia le telefonate, impicciati nel caso, poggia l’orecchio sulla porta! Hai sempre detto che Kudo non lascia mai questioni in sospeso, no? E oggi mi hai detto che ha passato a tuo padre un’informazione su non so cosa…e allora, aspetta che si intrometta ancora. E non appena si rifarà vivo…zac! Intercettalo e vai.’
E Ran come aveva recepito questo consiglio? Negandolo.
Non credeva fosse possibile vederlo ancora, non voleva illudersi e vivere in funzione di un obiettivo che mai avrebbe raggiunto. Perciò aveva deciso di non pensarci proprio più. Tagliare qualunque collegamento a Shinichi per un po’…finchè il suo debole, come l’aveva definito Sonoko, non fosse tornato nei binari anziché deragliare come un treno che al posto del carburante è mosso da materia incandescente. Una specie di terapia d’urto, insomma.
Questa era la decisione che aveva preso razionalmente. La scelta pensata.
Ma la scelta non pensata, quella che il suo inconscio aveva adottato già mentre Sonoko parlava, e di cui forse ragionevolmente non era ancora consapevole neppure lei era…sì, rivederlo. Rivederlo, rivederlo, e rivederlo ancora una volta.
Salì i gradini dell’edificio con il pensiero: -Non lo penserò più. Chissene importa se stanno parlando di lui, se lui è con loro, se ci stanno parlando al telefono…- ed elencava mille e mille possibilità mentre, allo stesso tempo, attenta a non fare alcun rumore avvicinava il capo alla porta chiusa. E sentiva discutere:
“Quindi ne siamo certi, ispettore. Voglio dire…non è un sospetto, o una diceria…”
“No, Kogoro. Purtroppo ne sono sicuro. Ho, naturalmente con procedura top secret e raccomandando loro la maggiore riservatezza possibile, incaricato personalmente i miei uomini più fidati, gli agenti Ruchichi e Mukumura, di cercare fondamento in questo senso. E ora lo sappiamo.”
Pensò alla rapina, pensò alla donna uccisa. Pensò a Shinichi.
E quando sentì la successiva affermazione di Megure, pensò doppiamente a Shinichi, comprendendo il motivo per cui l’aveva sottoposta a quell’interrogatorio improvvisato nel salotto di un bar di studenti.
“Il capoquestore Ikari è colluso con quell’organizzazione criminale.”

§§§

Spostò tutto il peso sul piede destro, per caricare il colpo oltre la spalla e allo stesso tempo prevedere un attacco dell’avversario e schivarlo. Ma il karateka di fronte a lei l’aveva vista spostare l’asse di equilibrio, perciò le tirò contro un pugno che non si aspettava e l’atterrò.
“Ops, scusa!” si chinò su di lei quando Ran piombò a terra. “Di solito questi colpi li eviti con facilità, non credevo di colpirti. Per questo ho usato tanta forza…” fece per offrirle la mano per aiutarla a tornare in piedi, ma il loro Sensei s’intromise:
“MOURI!” tuonò, avvicinandosi agli spalti con grandi falcate. “Sono tre giorni che poltrisci, che diamine ti prende?”
“Mi scusi, Koromi-sensei! Mi sciacquo la faccia e…”
“E te ne torni a casa, per oggi tu hai finito.”
“Come? No, sensei, le assicuro che…”
“Hai finito.”
Il tono perentorio con qui glielo disse, ed il modo in cui poi le voltò le spalle per concentrare la sua attenzione ad un’altra coppia di combattenti le fece capire che fosse inutile insistere. Col capo chino salutò soltanto con un cenno il suo compagno di corso e s’avviò nello spogliatoio.
Non riusciva più nemmeno a concentrarsi, accidenti!
Si cambiò in tutta fretta, ansiosa di tornare a casa. Per cosa, poi? Per pensare ancora a lui, e cercare di incontrarlo di nuovo? O per chiedere a suo padre delucidazioni su quanto aveva origliato?

“E che cosa si fa, ora? Intendo dire…lo denunciamo?” aveva proposto Kogoro, il tono della voce esitante.
“E a chi? Dovremmo scavalcarlo e rivolgerci direttamente al Capitano. Ma per poterlo fare dobbiamo avere le prove, le prove certissime e soprattutto al sicuro…non sappiamo chi sia dalla sua parte, perciò rischieremmo che non appena Ikari si vedesse recapitata l’ingiunzione di inchiesta riuscirebbe e farle sparire tutte. Non dobbiamo compiere mosse affrettate.”
“Cosa gli diremo, allora?”
“Per il momento, faremo finta di niente. Ti ripeto, non sappiamo ancora di chi fidarci o meno. Per questa ragione sto chiedendo la tua collaborazione, non è una questione facile…in più nella mia centrale siamo numericamente pochi, rispetto agli agenti della questura. Bisogna valutare tutte le possibilità. Siamo noi contro loro, Kogoro.”
“E’ stato Kudo a dirle che…” cercò di chiedergli l’investigatore, esternando un dubbio che aveva avuto da quanto aveva visto il giovane uomo varcare la soglia della palestra della figlia.
“Nessuno deve sapere che è stato lui a passarci l’informazione sull’inchiesta della rapina. Tutti conoscono i suoi metodi, Ikari potrebbe allarmarsi a saperlo in contatto con noi.”
“Cercherò di tenerlo lontano il più possibile per non essere costretto a mentire.” Sancì Kogoro, un piano di lavoro che non gli sarebbe risultato affatto sgradevole da attuare.



Ripensava alle parole dette seriamente e con tono preoccupato da suo padre qualche giorno prima:

“Tutto a posto, papà?”
L’uomo sollevò gli occhi dalla scrivania a quella che ancora soleva definire la sua bambina.
“Ti senti bene?”
“ Ikari Shima.”
“Chi è?” la ragazza iniziò a preoccuparsi. In realtà conosceva quel nome; ma sperava di sbagliarsi.
“Il capoquestore, Ran. Megure teme che potrebbe intromettersi nell’indagine, in qualche modo.”
“Perché dovrebbe?”
“Perché Kudo non piace ai piani alti.” Tagliò corto, con severità, come se rimproverasse lei dei metodi dell’investigatore più giovane.
“E il suo intervento potrebbe causarci dei guai.”



Che si riferisse a questo?
Shinichi era pericoloso perché era troppo onesto?
Quella notizia giunta così inaspettatamente era servita ad accrescere ancor di più la stima e l’ammirazione che Ran nutriva per lui, con il risultato che smettere di pensalo era assolutamente impossibile.
Cercare di incontrarlo una terza volta, forse, anche per chiedergli spiegazioni…
“Hai già finito gli allenamenti? Mi ricordavo che l’altro giorno fossi uscita dalla palestra un’ora più tardi.”
Una voce alle sue spalle interruppe le sue riflessioni: si voltò, rapita. Le sembrava appartenesse a…
“Shinichi!” si lasciò sfuggire, chiamandolo come lui le aveva suggerito ma anche come soleva fare nei suoi discorsi strettamente personali. Avvampò immediatamente quando, in tutta risposta a quel gridolino, le labbra del ragazzo si atteggiarono a sorriso spavaldo.
“Sì, sono io, tesoro!” sembrava dire con quell’espressione boriosa.
“Ran!” le fece il verso, schernendola.
Era appoggiato con le spalle al muro adiacente la porta, una gamba accavallata sopra l’altra e le braccia incrociate al petto. Cappotto blu di stoffa con i bottoni larghi, sciarpa nera a coprirgli parte del mento e…jeans scuri. Che gli fasciavano le gambe. E subito il pensiero di Ran volò a quella mattina in classe:

‘Non ricordi nemmeno se quando si è alzato gli hai guardato il sedere?'

Cercò di scacciare quel pensiero dalla testa, deglutendo più volte quando il ragazzo si issò sulle ginocchia e, tornato in posizione eretta, si incamminò verso di lei. Era così presa dai suoi disegni cerebrali che l’aveva superato senza neanche notarlo.
“Come mai sei qui?” poiché capì aggiunse repentina: “Mio padre oggi non è venuto. Vuoi che ti accompagni da lui?” sperò.
Shinichi le sorrise, ma non di quel sorriso gentile con cui l’aveva convinta –come se non ci sarebbe riuscito anche con un ghigno sadico!- a seguirlo in quel bar, bensì di un’espressione colorata, quasi maliziosa.
“Cercavo te, in realtà.” Le rivelò senza giri di parole.
“M-me?”
“Esatto. Devi correre a riportare qualcosa a tua madre anche oggi?” la sfottè di nuovo, quell’espressione che sul viso non gli traballava mai.
“No.” Rispose, atteggiando anche lei il volto del medesimo sorriso.
-Vuoi la guerra, eh?- pensò Ran, ma non infastidita, anzi: si divertiva a giocarci, la sua presa in giro aveva sapore amichevole, non snobistico. Un po’ come Sonoko!
“Ottimo. Avrei qualche consiglio…anzi, qualche consulenza professionale da chiederti, se possibile.” Sottolineò con il tono della voce oltre che con un guizzo dello sguardo quelle due parole.
“Posso offrirti un altro cappuccino? O stavolta ti deciderai a prendere un caffè come noi adulti?”
“Non metterò piede in nessun bar o locale insieme a te.” Meravigliò se stessa della risposta pronta e soprattutto dello stupore che istantaneamente si dipinse sul volto del giovane: per la prima volta aveva scalfito quella faccia da sbruffone che aveva sempre.
“…non voglio subire altri interrogatori.” Aggiunse.
Kudo si rilassò, tornando di nuovo a respirare normalmente.
“Oh, no. Certo certo, capisco.” Si passò una mano sotto il mento, pensieroso. Cinque istanti dopo le ammiccò:
“Allora, facciamo una passeggiata?”


§§§


A male pena riusciva a trattenere la gioia; tanto che un sorriso assolutamente visibile le illuminava il volto, e sebbene cercasse di trattenerlo non ci riusciva affatto. Il risultato era che molto spesso doveva voltare il viso dalla parte opposta, oppure mordersi un labbro, o fingere di tossire; alla fine stanca di cercare metodi di evasione si era semplicemente abbandonata all’espressione raggiante. Ma il motivo di tanto entusiasmo non era solo il fatto che di nuovo, nel giro di pochi giorni, si trovava da sola con Shinichi, quanto piuttosto il luogo che lui aveva scelto per la loro passeggiata: il parco di Beika. Il posto che Ran frequentava più spesso, quando si sentiva sola, in crisi, quando i suoi litigavano, quando il mondo la confinava per l’ennesima volta all’angolo.*
“Dove andiamo?” gli aveva chiesto, e lui senza esitare: “Dove vado io quando ho bisogno di riflettere con calma.”
Non lo aveva mai incontrato, in tutti quegli anni. Com’era possibile?
Si voltò a guardarlo: camminavano fianco a fianco, e non aveva più pronunciato parola da allora. O meglio, Kudo aveva provato a incominciare una conversazione, ma Ran era parsa assente: rispondeva con monosillabi e sussurri appena accennati. Certo lui non poteva immaginare fosse per l’esaltazione di quella scoperta che, ai suoi occhi, li rendeva ancora più simili di quanto non avesse già fantasticato per tutto quel tempo; anzi, quando la vide, con la coda degli occhi, tornare per la millesima volta in quel giorno a scrutarlo, prese coraggio e le disse:
“Non vorrei esserti sembrato troppo audace a portarti qui.” Confuse l’ardore per imbarazzo.
“E’ che davvero ci vengo spesso e lo trovo un luogo molto tranquillo, dove poter stare in santa pace. Non mi capita spesso…sai, quando vado in giro in borghese la gente mi ferma per la strada.” C’era sincerità in quel discorso, eppure Ran ci colse anche buona parte di boria.
“No! No, figurati!!” si affrettò a tranquillizzarlo: “E’ che sono rimasta sorpresa…anche io ci vengo spesso. Mi piace costeggiare il sentiero a fianco del lago…mi chiedevo come mai non ci siamo mai incontrati prima.”
“Beh, anche se ci fossimo incontrati io non ti avrei riconosciuta.” Si lanciò in una spiegazione, ma non azzeccò:
“Ti avrei riconosciuto io.” Lo corresse, lasciandosi sfuggire una parola di troppo.
Lui non replicò, accelerando un po’ il passo.
“Ecco…” disse lei, cercando di deviare l’argomento. “Di solito mi fermo…” fece per indicare un pesco prossimo a un sasso spesso sfruttato come panchina vista la sua regolarità. Ma fu interrotta dal ragazzo che la prese bruscamente per mano, esortandola: “Vieni!”
Arrossita e basita allo stesso tempo lo seguì lungo il viale, ritrovandosi poi a scavalcare una piccola staccionata in legno.
“Ma…” fece per bloccarlo, ma lui:
“Ehi. Sono un detective, ricordi? So cosa è illegale!”
“Ma io sono la figlia di un detective e di un’avvocatessa. So bene anche io cos’è illegale, lo so doppiamente bene!” gli appuntò dall’altra parte del cancello che lui già aveva scavalcato.
Lui scoppiò a ridere prima di afferrarla per la maglia all’altezza della vita: “E sei anche una fifona! Muoviti, Ran!” la attrasse a sé costringendola ad intrufolarsi in quello spazio d’erba, confusa anche dal trasporto con cui l’aveva chiamata per nome; come fossero amici di vecchia data, come si conoscessero ad sempre.
E poi la condusse lungo una discesa.
Ai loro occhi comparve la distesa d’acqua sormontata da un cielo limpido e sereno. Erano a pochi passi dalla sponda del lago, ed alcuni piccoli scogli permettevano di sedersi a ridosso delle onde e avvicinarsi ai cigni sulla superficie dell’acqua.
“Ecco perché non ci siamo mai incontrati.” Le spiegò, prendendo posizione su uno di quei massi. Con un gesto della mano la invitò a fare altrettanto, ma Ran esitò; i due scogli erano vicini…era davvero in imbarazzo, allora, e Shinichi non fraintese. Ma il tempo dell’ostentata gentilezza per carpirle facilmente informazioni era finito, perciò si comportò come il verso se stesso:
“ Paura di rimanere sola con me, Ran?” la incalzò con un sorriso spavaldo.
In effetti, erano soli nel raggio di almeno un chilometro.
Il silenzio che le attanagliava la mente le fece sentire ancora più nitidamente il battito accelerato del suo cuore.
“Paura che provi a…” fece per alludere, lasciando di proposito la frase in sospesa. E lei, desiderosa di lasciargli ancora un’altra volta un ricordo positivo di sé, qualcosa che potesse assicurargli un posticino imperituro della sua memoria, avrebbe potuto essere sincera e dirgli: “No, ma mi piacerebbe poterlo essere!!”
Eppure si fece coraggio e replicò:
“Paura di cosa? Sono una campionessa di karate.”
Credeva di aver avuto la risposta pronta e averlo sorpreso, invece lui quasi pareva aspettarsi quella risposta. Senza un attimo di esitazione e quel sorrisetto ancora dipinto sul volto le rispose:
“Lo so. Ti ho cercata per questa ragione.”
“Prego?”
“Hai ragione a non sederti. Perché in effetti dovresti mostrarmi qualche mossa di karate, ho bisogno di vederle dal vivo per capirne la dinamica.”
“Dovrei…” ricalcò la sua frase, portando le mani ai fianchi.
Lui ridacchiò: “Oh oh, ok.” Fischiettò “Non dovresti. Diciamo che potresti farmi questo favore. A buon rendere eh, s’intende.” Aggiunse repentino dopo, e lei si convinse all’istante; ignorò volontariamente quel luccichio corso nelle sue iridi al pronunciare ‘buon rendere’¸ impacciata all’idea che il giovane investigatore facesse battute maliziose sul suo conto. Su di lei. Con lei.
“Ok, quali mosse ti mostro?”


“Capito? Nella kake uke * il braccio sinistro deve stare esattamente, in proiezione, davanti al tuo naso.” Gli spiegò, lanciando nell’aria un pugno.
“Mentre la destra para con l’avambraccio interno il pugno dell’avversario, e poi…” mimò l’azione come se stesse affrontando un nemico invisibile “…gli afferri il polso con la sinistra e lo spingi indietro.”
Era passata una buona mezz’ora, forse anche un’ora, da quando Shinichi aveva iniziato a farle il nome di alcune mosse –per altro, molto approfondite e complesse. Non erano movimenti base, ma veri e propri procedimenti combattivi. Per l’ennesima volta l’aveva stupita, dimostrandosi molto esperto anche in quello; ad ogni sua spiegazione argomentava e adduceva repliche estremamente pertinenti, tutt’altro che superficiali. Probabilmente non combatteva personalmente –non si era mai alzato da quello scoglio- ma di sicuro ad occhio sapeva riconoscere un buon combattente. Le si era imporporato il volto tutte le volte che avevo pensato la considerasse tale, o almeno tanto brava da chiederle aiuto per quella strana indagine.
Gli aveva spiegato la kekomi, il teisho uchi e addirittura gli aveva chiesto yoko obi gere!*
“Però…” quasi come se ogni qualvolta pensasse di averlo più o meno inquadrato lui lo capisse e volesse dimostrarle il contrario, Shinichi si alzò appressandosi a lei.
“Se l’avversario risponde con i piedi?”
“Intendi, se da un calcio?”
“Esatto.” Si parò di fronte a lei, il volto tirato di chi si concentra anima e corpo su ciò che sta facendo. Qualunque indagine avesse a che fare con quel karate, doveva essere davvero urgente.
“Mettiamo che tu mi abbia bloccato, ok?” allargò le gambe per distribuire bene il peso e tenersi in equilibrio. Allungò le braccia perché il suo gomito fosse poggiato all’avambraccio di lei, che quasi prontamente gli afferrò il polso con la destra.
“Ok, sono bloccato, giusto? Ma se io…” e senza alcun preavviso sollevò in aria la gamba sinistra per un suki uke.
“Ehi!” pur colta alla sprovvista riuscì a pararlo, anzi gli impedì proprio di portare a termine quel calcio: mentre sollevava il piede ulteriormente lei ricambiò il colpo colpendogli con il ginocchio la coscia, rimandando così indietro il calcio che stava caricando contro di lei.
“Ah, perfetto! Mi fermi così.” Replicò come fosse appena successa la cosa più normale del mondo, conservando lo sguardo verso il basso. Quel mezzo combattimento li aveva avvicinati ancora di più e lui pareva non accorgersene…ma lei sì, eccome.
Deglutì a fatica e solo la sua eccelsa bravura nel karate le permise di parare un secondo attacco, stavolta una ginocchiata con la gamba libera.
“E così?” le stava chiedendo mentre lei per tutta risposta gli incastrava il ginocchio tra le gambe e, per evitare che provasse ancora a colpirla tentava proprio di allontanarlo da lei, facendolo ruotare sul posto con l’aiuto delle mani a contatto con le braccia di lui.
Shinichi, che una mossa del genere non se l’aspettava, si spostò come una piuma ritrovandosi a saltellare su un solo piede per mantenere l’equilibrio e non cadere a terra. Riuscì a rimanere in piedi solamente voltandole le spalle e sporgendosi un po’ in avanti.
“Così!” replicò lei ridacchiando per la vittoria e l’espressione sorpresa dipinta sul volto di lui; ma l’istante dopo la sua attenzione fu attratta da qualcos’altro.

‘Non ricordi nemmeno se quando si è alzato gli hai guardato il sedere?’

Le parole di Sonoko le tornarono subito in mente, quando Shinichi le offrì quella vista con estrema nonchalance. I jeans scuri rendevano quella parte del corpo ancora più evidente, e Ran non riuscì a distrarsi come qualche ora prima; peccato che Kudo aveva riacquistato subito l’equilibrio e, tornando in posizione eretta, si era di nuovo voltato verso di lei, cogliendola in fragrante.
Da seccata per essere stato battuto la sua espressione si mutò in divertita, o piuttosto maliziosa.
“Non sarò un karateka che tira calci in aria ma sono a mio modo in forma. Sono contento che tu l’abbia notato.”
“C-che?” si finse ignara, ma gli occhi erano divenuti due puntini.
“Che dici, eh, Ran? L’occhio di un’esperta lottatrice come te…quanto sono muscoloso da uno a dieci? Intendo lì, eh…”
“Se-sei bravo per non essere un karateka…” deviò il discorso, estremamente a disagio. “Ma…ma a cosa ti servono tutte queste informazioni?” cercò di distrarlo.
Lui, con le labbra ancora ad esprimere auto compiacimento, stette un po’ zitto; poi decise di lasciargliela passare e tornò serio.
“Non ne sono ancora sicuro.” Scrollò le spalle “Ma saperne qualcosa in più forse potrebbe tornarmi utile.”
“Per un’indagine?”
“Certo.” E mentre lei finalmente prendeva posto a sedere sul secondo scoglio lui, sorridendo già nel prefigurarsi la sua reazione pudica, aggiunse: “Non devo imparare nessuna mossa del corpo, di altri ambiti. Quelle le so tutto, e molto bene.”
Come previsto, lei avvampò; e lui rise tra sé e sé, soddisfatto d’essersi vendicato del quasi volo che gli aveva fatto fare con quella difesa.
“Fai attenzione a…non farti male. Cioè, se devi combattere contro qualcuno che è bravo nel karate…”
“Cercherò di evitarlo.” Disse, solo. Il che, ovviamente, lasciava intendere: “Se sarà necessario, non mi tirerò indietro.” E lei sapeva, ovviamente, che lui avrebbe risposto così, e che l’avrebbe fatto. Anzi, se fosse stato necessario, sarebbe stato lui ad attaccare per primo.
Le piaceva anche per questo.
Si girò per scrutarlo bene in volto, visto che prima era stata interrotta: lui aveva lo sguardo rivolto oltre il lago. Era davvero molto bello. Non solo gli occhi, non solo il sorriso, non solo il tono di voce e l’atteggiamento; anche la forma del viso era affascinante, perché armonica.
E poi di lui era sempre evidente l’attività cerebrale: una persona che guardava e subito pensava, un uomo capace di ragionare con una velocità portentosa.
Intelligente. Intelligentissimo.
Era improvvisamente calato il silenzio tra loro, oltre che il sole: alle loro spalle il tramonto era quasi del tutto ultimato e, oltre il lago, già era visibile qualche zona della città illuminata artificialmente.
Sì sentì in soggezione e come in dovere di far proseguire il discorso; aveva il terroro d’annoiarlo.
“Laggiù c’è casa mia.” Disse, pensando che Shinichi stesse osservando quei punti di luce oltre l’acqua.
“E tu dove…” si pentì subito, mordendosi la lingua: “Nel senso, non so se casa tua si veda da qui…ma di certo non è illuminata, no?” Di nuovo parlò prima di pensare.
“Cioè, io…non so, intendo dire…”
“Sì, hai ragione, casa è vuota ora. Non sono fidanzato.” Confermò, quell’eterna faccia supponente che stava imparando a conoscere come sua, sempre.
“Comunque il quartiere è quello…” additò una zona molto illuminata verso ovest.
“Abito in Beika Choo.”
“Oh, ma allora…noi…”
“Sì, abitiamo vicini.” Le sorrise “La palestra dove ti alleni…qualche anno fa giocavo a calcio, lì.” Le rivelò.
“Hai smesso?”
“Il calcio serviva a mantenere i muscoli che mi servono per fare il detective.* Ma comunque mi piace molto, sono tifoso dei Tokyo Spirits.”
“Lo so” stava per dire, ma si trattenne:
“La nostra zona è la più illuminata.” Si azzardò a dire, riferendosi ancora alla metropoli. E lui, subito:
“Perciò è la più inquinante.”
“Eh?”
Si fissarono per alcuni istanti, prima che Ran scoppiasse a ridere: “Scusami. Mi pare di capire che tu non sia molto…ehm…romantico…” si ritrovò a dirgli.
“Beh, se ti aspetti qualcosa di banale come: ‘la luce della città non è niente in paragone a quella che sprigiona la tua bellezza’…no, non sono romantico. Queste banalità mi danno il voltastomaco.”
Ran rise di nuovo, divertita; anche se un po’ quella notizia le dispiaceva.
A lei piacevano i ragazzi romantici…certo, non melensi: una frase del genere non sarebbe piaciuta neanche a lei, anzi l’avrebbe fatta ridere. Ma “La nostra zona è la più illuminata.” , “Perciò è la più inquinante.” Le pareva il polo opposto, altrettanto esagerato.
-Beh, qualche difetto deve pur averlo…- pensò, e senza che se ne rendesse conto quell’elemento negativo quasi andava a farglielo piacere ancor di più, perché lo rendeva una persona reale.
Ma presto Shinichi riprese la parola e, per l’ennesima volta, la stupì:
“L’inquinamento luminoso di Beika Choo minaccia molte conseguenze a livello ambientale. La più banale…guarda questo cielo. Credi che dal balcone di casa nostra sarebbe visibile?”
Ran allora sollevò gli occhi e, davanti a lei, si aprì uno spettacolo che raramente aveva visto, forse mai. Sembrava un film, o un montaggio del pc.
-Ok…Shinichi è anche romantico…- constatò, mentre le guance le si accaloravano.
Il trillo del cellulare intervenne ad interrompere quel momento idillico.
“Scusami…” si affrettò a rispondere nel tentativo di placare quel suono violento rispetto alla realtà circostante, come se si trattasse di un’interferenza dell’uomo sulla natura che la violenta, e le fa male.
“DOVE DIAVOLO SEI? SONO VENUTO A PRENDERTI IN PALESTRA E NON C’ERI!!” le urla di suo padre turbarono davvero la natura, molto più della suoneria.
Perfino Kudo le sentì, e si alzò per raggiungere il ricevitore e prendere lui la parola:
“Mi scusi, Mouri. Sua figlia è con me, le ho chiesto aiuto su alcuni tecnicismi di arti marziali.” Voleva tranquillizzarlo, ma Ran lo battè sul tempo:
“Scusami, papà! E’ che il sensei mi ha rimproverato oggi, perciò ero un po’ giù di morale e sono andata a fare una passeggiata nel parco di Beika. Sto tornando indietro!”
“Sempre in quel benedetto parco…” borbottò, ma parve essersi calmato una volta capito che stava bene e nessuna l’aveva rapita. “Fai bene. Sbrigati! Ti vengo incontro!”
“No, non ce n’è bisogn…” ma aveva già riagganciato.
Sbuffò, seccata e ripose il telefono in tasca. Quando rialzò la faccia Shinichi la stava fissando divertito.
“Mio padre non…non vuole che io…” si ritrovò a balbettare, non sapendo bene cosa dire. Avrebbe fatto la figura della ragazzina di fronte a lui! Stava scegliendo le parole nel cotone.
-Accidenti a te, papà!!-
“…frequenti me?” concluse la frase per lei. “Gli sono antipatico?”
“No no!” si affrettò a dire, mentendo. “Lui…lui non vuole che io frequenti nessuno.” Arrossì di colpo “Nel senso, è…è molto geloso e…”
“Anche io sono geloso.” Le sorrise. “Di natura, sono una persona gelosa. Perciò lo capisco…non ti preoccupare.”
Ricambiò il sorriso, rincuorata –e incuriosita. Shinichi aveva mai fatto scenate di gelosia ad una sua ex? Da lì, i pensieri moltiplicarono: quante ex aveva avuto? Erano belle? Oh, che domande sciocca, certo che erano belle…stavano con lui! Ma quanto belle? E cosa….
“Dai, ti accompagno a casa.” Interruppe il flusso della sua mente, porgendole una mano per aiutarla ad alzarsi. Lì per lì accettò di buon grado, poi ricordò le parole del papà: la stava raggiungendo!
“NO!” tuonò, meravigliandolo.
“Cioè…papà mi sta venendo a prendere…”
–Maledizione, papà!!- gemette di nuovo, salutando l’idea di poter stare anche un po’ di tempo con Kudo.
“Beh, possiamo andargli incontro insieme…”
“…e preferirei non ti vedesse.” Fu costretta a dirgli, incrociando le braccia al petto. Era chiaro che lui stava insistendo per galanteria ed educazione, non certo motivato da interesse nei suoi confronti. Ma almeno avrebbe potuto parlarci un altro po’, e invece…
“E perché?”
“ Ti ho appena detto che…”
“Che a tuo padre non sono antipatico io nello specifico.”
“Ma sei un ragazzo!”
“Ma sono un investigatore!”
“E’ meglio se non ti vede.”
“Che necessità hai di mentire su di me?”
“Mentire, che parolone! Non sto mentendo. Semmai è un’omissione.”
“Per la legge è quasi uguale.”
“Non usare questi sofismi con me!”
“Hai detto di essere figlia di un’avvocatessa e non lo sai?”
Quel repentino scambio di battute divertì entrambi anziché infastidirli. Si scoprirono a ridere come matti, quando il cellulare suono ancora.
“Sono all’entrata del parco. Dove sei? Non ti vedo!” la incalzò Kogoro.
“Arrivo!” fu la sua risposta, simultanea ad uno sguardo di intesa con il giovane detective che, in segno di resa, allargò le braccia.
“Sta bene. Ma in cambio, mi devi il tuo numero!”
“Scusa?” quasi gli rise in faccia, pronta a farsi beffe di lui:
“Un grande detective come te non conosce modo migliore per avere il numero di una ragazza?”
Fu il turno di Shinichi a ridere:
“Non voglio il tuo numero per quello che pensi tu. Mi hai appena interdetto dal rendere note a tuo padre le tue consulenze, ed io potrei avere ancora bisogno del tuo aiuto. Sei la massima esperta nel campo che io conosca, ma mi hai praticamente proibito di venire a cercarti a casa o in palestra. Come ti ritrovo, di grazia?”
A quelle parole Ran sentì scoppiarle il cuore dalla felicità: ok, le serviva solo per lavoro ma…lo avrebbe rivisto!
“Oh…d’accordo…” fu l’unica cosa che riuscì a dire, però, imbarazzato sebbene felice. Subito Shinichi si prese gioco di lui e della sua reazione pacifica:
“Ma se sei delusa…se preferisci che io ti telefoni anche per altri motivi, ben volentieri io…”
“Posso atterrarti di nuovo, se necessario.” Lo interruppe, ma non smorzò il suo sorriso malizioso.
“Non mi hai atterrato. Mi hai guardato il sedere.” Puntualizzò.
Colpita e affondata!
“Sei uno sbruffone!” gli fece la linguaccia prima di voltargli le spalle, adirata.
“Ehi, e il tuo numero?” la richiamò, ma lei non pose fine alla sua marcia:
“Scordatelo!” si finse arrabbiata.
Gliel’avrebbe dato. Le aveva detto di aver giocato a calcio nella sua palestra, e lei in quanto supplente del sensei in caso di emergenza aveva libero accesso ai registri di tutti gli sport, nominativi ed indirizzi compresi. L’avrebbe cercato, l’avrebbe trovato e gli avrebbe fatto una sorpresa. Per una volta sarebbe stato lui a rimanere a bocca aperta, gli avrebbe cancellato quel sorrisetto odioso –ma bellissimo!- dal volto.
Aveva trovato un filo che poteva legarla al suo investigatore per più di un giorno, e che aveva più sostanza del caso.
E per tutto il tragitto di ritorno insieme a Kogoro, Ran non potè smettere di sorridere. Pensava al suo piano geniale; e pensava a quello che le aveva detto Shinichi:

“Hai detto di essere figlia di un’avvocatessa e non lo sai?”

Un dettaglio così sciocco, pronunciato in un momento di fastidio, lui se l’era comunque ricordato.
Lei lo conosceva benissimo; e forse, pian piano, lui stava conosceva un po’ meglio lei.


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Precisazioni:

*Kimura Tatsuya: cantante di una famosa band, nell’universo di Conan, che poi viene eliminato. Episodio ‘La grande festa’. Volume 45, file 5.
* il parco di Beika: dove Ran si rifugia nel primo capitolo prima di tornare a casa e trovarci Shinichi.
*Kake uke: pugno e difesa di un pugno.
*Kekomi, teisho uchi e yoko obi gere: calcio all’indietro, pugno frontale e calcio in corsa.
Suki uke: calcio frontale.
*Il calcio serviva a mantenere i muscoli che mi servono per fare il detective: lo dice veramente nel manga, volume 1, file 1.
 
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Neiro Sonoda
view post Posted on 11/7/2014, 19:49     +1   +1   -1




Cavyyyyy... faccio una toccata e fuga per dirti che sto continuando a seguire la tua fic ed è bellissima ^_^ sempre piú sorprendente, il primo capitolo in particolare mi ha colpito tantissimo... L'incontro al bar e quel "sì" sfacciatissimo, o mio Dio :woot: Bello anche il secondo, continua così!
 
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Il Cavaliere Nero
view post Posted on 26/9/2014, 23:14     +1   -1




Come mi ha giustamente detto qualcunA :P, chi non muore, si rivede :D
E a questa qualcunA, grazie di cuore! :wub:


Capitolo Terzo – Indecisione

“Tu non sei normale, Ran.”
Dopo aver ascoltato a bocca aperta il racconto della sua amica, Sonoko Suzuki non trovò espressione migliore di questa, a suo giudizio, per delineare e descrivere l’operato della karateka.
“Ma perché?” la rimbeccò lei, gonfiando le guance. I ragazzi loro compagni di classe camminavano con passo veloce in direzione del cancello della scuola; suonata la campanella di fine lezione nessuno aveva più voglia di rimanere lì. E loro invece, battibeccando, si muovevano lente, quasi volendosi fermare nel centro del cortile per discutere meglio della faccenda.
“Perché? Lo ami da…quanti anni? Quattro forse, o di più? Collezioni giornali, articoli, vedi programmi tv che non vedresti mai e che anzi di solito schernisci, se sai di una sua ospitata o anche solo di un suo intervento di cinque secondi…ora finalmente ti capita a tiro, e che fai?!”
“Io non lo amo!” fu la prima cosa che, di quella frase, tenne ad obiettare. “Semplicemente…lo stimo molto…”
“Sì, stima! Stima è proprio il termine appropriato!” replicò la ricca ereditiera. “E proprio così che si dice quando si vorrebbe saltare addosso ad un ragazzo!”
“Io non voglio…!” fece per obiettare di nuovo, ma stavolta Sonoko non le concesse di prendere la parola:
“Senti, di solito è naturale che quando si incontra di persona chi si ha sempre stimato da così tanto tempo si provi qualcosa di speciale, per lui. Capiterebbe a chiunque! E’ come scontrarsi con i proprio sogni, e venirne inghiottiti.”
Ran la ascoltò senza interromperla, seppur rossa in viso:
-Ecco perché continuo a confidarmi con Sonoko…- sorrise tra sé e sé –Nonostante la sua apparente superficialità, possiede una sensibilità particolare…Ha occhio per certe cose…-
“Ma di solito quando capita questo il consiglio che la fan deve ricevere immediatamente è: la persona che hai di fronte è diversa da quella che credi, fa’ attenzione e vieni via prima di scottarti! Il tuo problema è che la situazione è all’opposto; a meno che tu non sia così tanto…” fece una pausa, prendendola in giro “…a meno che tu non lo stimi così tanto da non vederne i difetti, da come me ne hai parlato sembra abbastanza simile al dipinto che avevi fatto di lui…e allora? Magari non lo è affatto, è tutto il contrario e ti sta ancora mostrando il suo profilo pubblico…ma se non lo frequenti un po’, se non lo conosci meglio, come farai a capirlo?”
Paonazza in viso, la ragazza osò chiedere: “ E allora…come avrei dovuto fare secondo te?”
“ 348. 2719793. Questo è il mio numero, aspetto una tua telefonata…sono sempre disponibile per te! Dovevi rispondergli così.”
“Ma che dici? Sarei parsa interessata a lui.”
“E non lo sei?”
“Beh…lo avrebbe capito anche lui.” Eluse alla bene e meglio la domanda, ma la Suzuki era troppo esperta in quel campo per lasciargliela passare:
“E’ un grande investigatore, lo capirà comunque…sempre che non l’abbia già capito.”
“Credi sia possibile?” sbottò, sentendosi a disagio solo pensando che quella possibilità potesse concretizzarsi. Allora proseguì: “Vedi Sonoko, è per questo che non gli ho dato subito il mio numero! Non vorrei sembrare una ragazzina superficiale che è interessata a lui solo perché è famoso e lo considera un vip. Ho già pensato a tutto: mi ha detto di aver frequentato la scuola di calcio nella mia stessa palestra, dove mi alleno ora…La prima volta che sostituirò Koromo-sensei entrerò in ufficio e cercherò nei registri il suo indirizzo, poi gli lascerò il mio numero nella cassetta. Ma senza nome, per vedere se si ricorda e se capisce…o forse dici che è meglio con il nome? Per non sembrare vanitosa…e se pensasse che sono una facile? Se parlasse con i suoi amici e si dicessero che una che dopo solo tre giorni che lo conosce ha accettato di trascorrere tutto il pomeriggio in un angolo isolato del parco di Beika, anzi che al primo appuntamento già è andata con lui al bar…oddio, Sonoko, sto dando l’idea di una facile?”
Ran era una ragazza intelligente, oltre che molto dolce; e cercava sempre di seguire il modello di suo padre e di Shinichi, naturalmente, e cioè di adottare una forma mentis razionale. Ma quando si trattava del giovane detective non capiva più niente, entrava nel pallone: confusione totale.
Ma l’amica sorrideva sorniona: “Quindi è vero che sei interessata a lui, eh, ti sei tradita…”
“Dopo quella frase ho pronunciato almeno una cinquantina di parole!” le fece notare, sbuffando.
-Ma quando ci si mette, sa essere davvero molto superficiale…- proseguì la scia dei pensieri precedenti, attendendo una sua risposta.
“Mi pare che tu stia correndo un po’ troppo, Ran! Ragiona: se non fossimo tutti un po’ facili non faremmo mai amicizia. Rimanere sempre con la puzza sotto il naso, non sorridere mai, stare sulle proprie…ma che mondo sarebbe, tutto pieno di musoni saccenti e basta! Tu sei una persona solare, che ama stare tra la gente, disponibile ad aiutare chi è in difficoltà…noi che ti conosciamo bene, lo sappiamo. E se questo Kudo dovesse scambiare la tua magnanimità per piaggeria, o peggio…Beh, non sarebbe il grande detective che si vanta d’essere.”
“Sonoko…” colpita da quelle parole sincere, Ran si slanciò per abbracciarla. Mentre erano guancia a guancia, la biondina ridacchiò: “Ma comunque fare tutto questo casino per dargli il tuo numero…e se pensasse che sei una stalker?” le diede corda, colpendo precisamente il bersaglio nel centro.
“Voglio dire…tu ti alzi, ti lavi, esci per andare a capire chi ha ucciso il bel ragazzo che si guardava un film da solo in casa e aveva tante fan perché era affascinante, e nella cassetta delle lettere ti ritrovi un biglietto anonimo con un numero di telefono…”
“Dici??” ci cascò subito Ran, pensierosa. Sonoko scoppiò a ridere.
“Scherzi a parte, io aspetterei che contatti tuo padre. Sembrerà più sobrio.”
“E se non dovesse farlo?”
“Hai detto che ama indagare! Credi lascerà questa indagine?”
“Non lo so. Sembrava molto preso da questa che ha a che fare con il karate…”
“Mhm…” Sonoko fece per dire qualcosa, ma ad un tratto improvvisamente i suoi occhi brillarono.
Tacque di colpo, fissando gli occhi davanti a sé.
“Che c’è?” Ran colse subito il cambiamento della compagna, e si volse nella sua direzione di sguardo: “C’è Kyogoku?”
Makoto Kyogoku era un amico di Sonoko. Si erano conosciuti in palestra, quando la ragazza era accorsa a tifare per Ran durante una gara importante. Il giovane, karateka anche lui, soprannominato ‘Il principe dell’attacco’ l’aveva notata, e il caso aveva fatto il resto: incontratisi per caso durante una vacanza, erano diventati amici…*
Si piacevano, si piacevano moltissimo. Ma lui era estremamente timido; Sonoko cercava di sbloccarlo in qualche modo, di fornirgli l’occasione di agire: ma lui esitava, balbettava, s’irrigidiva.
“Non direi proprio…” sibilò pettegola, aprendo la cartella per strappare un pezzettino di carta da un quaderno.
“Cosa fai?”
“Tieni!” le porse foglietto e una penna “Scrivi qui il tuo numero e lanciaglielo!”
“Ma cos…” Anche Ran allora ebbe una folgorazione. Mise a fuoco un punto pochi metri avanti a lei, la colonna in marmo di fianco il cancello della scuola: ed eccolo lì, avvolto del suo charme.
Un piede poggiato sul muro alle sue spalle, per bilanciare la schiena contro la parete. Completo di pantaloni e giacca molto chiaro, gli risaltava il fisico allenato grazie anche al bianco della camicia. Occhiali da sole che le impedivano di capire se l’avesse visto o stesse guardandosi intorno, e capelli scompigliati dal vento abbastanza da darne l’impressione di ragazzo anti conformista e sicuro di sé- come poi effettivamente era- che tanto la faceva impazzire.
“Chiudi la bocca Ran, la bava ti sta colando sulla camicetta!” le sussurrò Sonoko, schernendola.
“Che…come…”
“Oh, non fare la timida proprio ora! E’ venuto lui a cercarti, e per la seconda volta in pochi giorni. Direi che sta correndo il rischio di sembrare uno facile pur di vederti, no? Perciò puoi, anzi devi, fare altrettanto!”
Quindi la afferrò per il polso e, fingendo disinvoltura s’avviò trainandola nella sua direzione.
Shinichi sorrideva, le braccia incrociate al petto: mentre loro si avvicinavano non si mosse di un millimetro, ma continuò a sorridere.
Le aveva viste. Le aveva viste da molto prima che loro si accorgessero di lui, e gongolava della sua fama.
Solo quando furono vicine, a circa un metro da lui, portò le braccia lungo i fianchi e, issandosi sul piede alzato tornò in posizione eretta.
Ran gli sorrise, e nient’altro, incapace di proferire parola.
Confusione totale.
“Kudo Shinichi, ma sei tu?” una ragazza in tenuta sportiva –quindi pantaloncini corti e maglietta bianca attillata- gli si avvicinò senza porsi tanti problemi.
Lui disse di sì semplicemente ampliando il sorriso.
“Mi fai un autografo? Sono una tua grande ammiratrice!”
“Ma certo.” Rispose, estraendo dall’interno della giacca un pennino con punta dorata.
La giovane gli offrì il braccio nudo.
“Qui?” le domandò lui, l’espressione compiaciuta ma divertita allo stesso tempo.
All’assenso di lei le fermò il polso con una mano, mentre con l’altra apponeva la firma sulla carne.
Ran, dapprima impressionata dalla sfacciataggine di lei, osservò quel movimento come rapita: nella sua mente già pensava a cosa avrebbe provato se il ragazzo l’avesse afferrata così come con quella ragazzina, e tenuto stretta: e poi se, con l’altra mano avesse impresso…
Scrollò la testa, volendo distrarsi; e si accorse che dietro il giovane si formava la coda, attorno a lui si andava pian piano componendo una ressa.
“Mi aspetti al nostro bar, signorina?” le disse allora lui, il sorriso sornione di chi sa che ne avrà da fare per un po’.
Quell’aggettivo usato con tanta nonchalance la fece tentennare.
-Nostro…-
“Ce n’è uno qui dietro l’angolo, con poca gente a quest’ora.” Le corse in aiuto Sonoko, vedendola in panne “Si chiama C’era una volta, ti aspettiamo lì. Va bene?”
“Ohhh” finse un’esclamazione sorpresa per la sicurezza dimostrata dalla biondina “Va benissimo.”




Avevano sadicamente scelto il tavolo di fronte la vetrata principale, e potevano vedere distintamente Shinichi, ancora di fronte il portone dell’edificio scolastico; firmava autografi e sorrideva alla miriade di ragazze, dai quindi ai diciannove anni, accorse intorno a lui non appena l’avevano riconosciuto.
“Ma guardalo…” Ran afferrò un pugno di arachidi dalla terza coppa divorata nel giro di sei, sette minuti.
“Lo stimi ancora, cara?” le fece la linguaccia Sonoko, poi ridacchiando: “E’ normale, è famoso e lo sa. Lo hai visto fare la stessa cosa mille volte, in tutti quegli articoli che ti leggi, e in tv, e…”
“Dal vivo fa un effetto diverso.” Terminò anche quella colpa, deglutendo intere le noccioline.
“Comunque, pare si sia liberato. Vi lascio soli!” le ammiccò, facendo per alzarsi dal tavolo ma Ran la bloccò:
“Non potresti…rimanere?” le domandò con un fil di voce, gli occhi ridotti a due puntini.
“Sonoko Suzuki!” con la velocità della luce Kudo le aveva raggiunte. In realtà quando si erano allontanate dalla confusione, le aveva seguito con lo sguardo e aveva visto chiaramente il tavolo che avevano scelto –e come lo avevano fissato per tutto il tempo. La cosa lo divertiva.
“O sbaglio? Sei la figlia minore del leader della compagnia Suzuki.” Con due falcate le raggiunse, poi: “Ma stavi andando via?” in riferimento al suo essere in piedi.
“No.” Rispose subito lei, pronta.
“Non sei la figlia di Suzuki?” la prese in giro, ridendo spavaldo. Di rimando, anche Ran si ritrovò a sorridere: adorava quel suo modo di fare canzonatorio, giocoso. La metteva subito di buon umore, comunicandole serenità e pacatezza.
“Sì, in persona. Ma non stavo andando via! Solo, mi chiedevo se non fosse meglio cambiare posto.”
“Concordo. Qui siamo in bella vista, non vorrei essere disturbato di nuovo. C’è una sola inferiore, vero?”
-Ma come diamine l’ha capito?- volle significare l’occhiata che Sonoko lanciò a Ran, che rispose con un sorriso che voleva dire: -Perché è lui!-
“Andiamo lì.”


“I signori desiderano…?” non appena i tre ragazzi furono scesi nella saletta sottostante la cameriera di turno aveva evidentemente riconosciuto il giovane e si era fiondata al loro tavolo. Se non altro, comunque, la sala era vuota.
“Tre frullati di mango, grazie.” rispose lui all’istante, mentre si sedeva di fronte le due ragazze.
“Subito, Kudo-san.” Gli fece capire d’averlo riconosciuto e, le guance paonazze. Non era una donna audace come le studentesse di poco prima, era timida, impacciata: ma era anche lei, palesemente, una sua fan.
“Spero vi piaccia il mango” disse quando la cameriera ebbe lasciato la sala. “E’ il frutto che richiede maggior tempo di preparazione, saremo in pace per almeno una decina di minuti.” Confidò.
Poi voltò il volto specificamente verso Ran, e le sorrise:
“C’era una volta…” finalmente si sfilò gli occhiali, gli occhi di un celeste accesso e limpido, rivelando di aver sempre tenuto lo sguardo fisso sulla Mouri.
Quell’improvviso diretto contatto visivo la fece arrossire, ma non abbassò il viso, sorreggendolo.
“…una ragazza che non aveva un numero di cellulare. E così il ragazzo fu costretto a cercarla a scuola.” Poggiò gli occhiali sul tavolo, portandoci anche i gomiti.
La fissò con espressione divertita per ancora qualche secondo, poi volse l’attenzione a Sonoko:
“Comunque, piacere, signorina Suzuki. Sono Shinichi Kudo.” Disse, e il suo sorriso fece trasparire la consapevolezza dell’inutilità di quella precisazione.
Infatti lei: “La tua fama ti precede.” Prese a dargli subito del tu, perciò lui fece altrettanto:
“Ti ha parlato di me Ran?” sfottè, ma la ragazza ebbe risposta pronta:
“Sì, le ho detto che c’era un tipo strafottente che mi infastidiva.”
“Strafottente…” ripetè lui, tornando a fissarla in quel modo negli occhi. Uno sguardo divertito e giocherellone, eppure profondo, che sembrava volerla distrare con l’apparenza di non essere serio, e invece metterla a nudo, scavarle nelle profondità dell’animo.
“Stai lavorando anche tu al caso della rapina?” Sonoko cercò di sviare i dubbi di Ran, ed estorcergli quindi se sarebbe o no tornato da Kogoro.
Fu inutile.
“Devo ancora deciderlo. O meglio, io ho deciso, ma c’è chi deve ancora deciderlo.” Lo disse con tono ironico, tranquillo: eppure Ran colse anche la polemica di quell’affermazione. Per lui lavorare era complicato, era un detective discusso, per quanto famoso, come le aveva detto lui stesso il giorno del loro primo incontro.
“E voi?”
“Prego?”
Shinichi rise: “State spiando tuo padre? Indagate anche voi, metodo vostro, al caso della rapina?”
Colpite e affondate.
Ma Sonoko tentò di negare: “A me le indagini non interessano. Ne so qualcosa solo perché Ran non fa che parlarne, ha lo stesso pallino del padre.”
-Ne parlo perché riguardano Shinichi…-la corresse nella sua testa, ma si guardò bene dal pronunciarlo ad alta voce. Delle inchieste in sé per sé non le importava niente.
“E tuo padre è contento?” rise di nuovo.
Ran tentennò, rispondendo con una frase di circostanza. Era più imbarazzata del solito: le accadeva perché i suoi sentimenti non erano più distinti, così come la situazione.
Prima aveva un quadro ben chiaro in mente: lei ammirava e forse aveva un debole per Shinichi, un detective famoso, poi incontrato una volta per caso, che aveva confermato l’idea che lei si era fatta a proposito: era un Uomo.
Ma in quei giorni le carte s’erano mischiate: Shinichi era anche un ragazzo accattivante, malizioso, sempre ironico e con la battuta pronta, oltre che con l’intelligenza fiera e scattante di chi, anche se pare distratto o attento ad altro, in realtà non si lascia sfuggire niente; e non era più solo Il detective, stava diventando il detective Shinichi, che la cercava, l’aspettava dopo gli allenamenti, la portava nel parco di Beika, addirittura l’andava a prendere a scuola. Ed il suo debole per lui si stava mutando in relazione al mutare del loro rapporto: lei era sorpresa, ammirata, meravigliata.
Aveva pensato di poterlo battere sul tempo, e aveva fatto un colossale buco nell’acqua: come se sapesse quali fossero i suoi piani, come se volesse dimostrarle subito come stavano le cose, e dirle: “Non sono mai io quello che subisce l’azione. Io la attivo, e la cavalco, e sono anche in grado di prevedere la corrispondente reazione.”
Proprio quando pensava di averlo inquadrato, almeno un po’, ecco che lui deragliava dal binario della previsione e della probabilità per approdare ad una nuova strada, inimmaginabile e del tutto inaspettata.
Shinichi Kudo era imprevedibile: ne era infastidita. Ne era impressionata, e colpita.
Ne era affascinata.
“Perciò sei qui per chiedere il numero a Ran?” dopo un paio di frasi di circostanza tra i due, Sonoko pensò bene di accelerare un po’ le cose, ed ignorò bellamente il calcione che l’amica le diede sotto il tavolo.
“No.” Quindi mise una mano nella tasca interna della giacca, traendone un foglietto di carta strappato, per poi poggiarlo sul tavolo, di fronte a lei.
“Sono qui per darle il mio.”
Due a zero! Di nuovo quel che pensavano fosse chiaro ed inevitabile si dimostrava tutto fuorché scontato, imprevedibile.
“Avrei qualcosa da dire a Mouri, e vorrei che mi aiutassi.” D’un tratto divenne serio, e l’espressione saccente si tramutò in professionale. Ma solo per un secondo:
“Visto che non può sapere dei miei contatti con te…” alluse alla sera precedente, quando la giovane gli aveva proibito di palesarsi di fronte suo padre “…vorrei sapere più o meno dove poterlo casualmente incontrare, e poterci scambiare quattro chiacchiere.”
“Quando anche l’ispettore è presente?” e non attese la replica di lui: “Certo, non appena la squadra viene in agenzia da papà ti telefon…”
“No.” La interruppe. “Ci penserà tuo padre poi a riferire anche a Megure. Io voglio incontrare lui soltanto.”
“Oh.” Si meravigliò, comunque prendendo tra le mani quel bigliettino scarabocchiato.
Shinichi c’era scritto sopra le cifre segnate a numero, e nient’altro: Shinichi, come fosse un suo amico d’infanzia e non una persona famosa conosciuta da neanche una settimana.
“Ci sono dei problemi?” s’allarmò, ricordando anche le parole origliate qualche giorno prima:

“Il capoquestore Ikari è colluso con quell’organizzazione criminale.”

Lui sapeva…?
“Assolutamente no.” Replicò, sicuro.
“Allora perché vuoi parlare solo con lui?”
“Perché odio la formalità.” Rispose, e lei non stentò a crederci: lo ripeteva spesso nelle interviste, quando gli chiedevano le ragioni della sua condotta poco convenzionale.
Eppure, Ikari…
“Tanto che avrei detto a te cosa riferirgli, e poi lui avrebbe deciso se rispondermi o no, di persona o sempre tramite te. Sono solo alcune mie osservazioni sull’indagine, niente più…Ma tu sei restia a far sapere che ci conosciamo.”
“Ah, perché vi conoscete? Nel senso…” Sonoko non perse occasione, e Ran le tirò un secondo calcio sullo stinco.
“Sì, beh…ci siamo conosciuti.” Parve esitare prima di rispondere, come se si stesse trattenendo dal fare una battuta che forse due diciassettenni non avrebbe gradito.
La cameriera fece di nuovo il suo ingresso nella saletta, un vassoio portato a stento per l’emozione di star servendo proprio lui: e infatti quando dovette offrigli il bicchiere le scivolò dalle mani, e quasi gli cadde addosso. Fortunatamente lui ebbe i riflessi pronti e l’afferrò al volo, portandolo sul tavolo.
Mentre lei si scusava e lui la rassicurava, Ran si estraniò di nuovo:
-Caspita, che agilità! Chissà se è sempre così agile…- e la mente fluttuava di nuovo nel campo della sensualità ipotizzata quando la giovane inserviente, timidamente gli chiese un autografo.
Shinichi piaceva moltissimo alle donne, era chiaro.
Le due ragazze si lanciarono uno sguardo d’intesa, poco prima di rimanere nuovamente tutti e tre soli.
“Non c’è mai un uomo a chiederti l’autografo?” Sonoko si beccò il terzo calcio da sotto il tavolo, e lui rise:
“E’ un modo elegante per dirmi che un tuo amico vuole il mio autografo?” portò la cannuccia alla bocca, ma prima di iniziare a bere aggiunse:
“I vostri fidanzati, forse?”
“Non siamo fidanzate.” Rispose Ran, subito, come se volesse subito fuorviare quel suo sospetto.
“Ah no?” se ne assicurò, e stavolta fu Sonoko a replicare:
“Tu lo sei?” sapeva bene che anche Ran glielo aveva chiesto pochi giorni prima, ma volle sondare per bene il terreno.
“No.” Rispose lapidario.
“Sicuro? Non parleremo certo con i giornalisti, sai! Se si tratta di un rapporto proibito, fazioni avverse, possibili avversari…”
Quarto calcio.
“Da quel punto di vista, la mia vita non è così avvincente.” Si lasciò andare una mezza rivelazione.
“Sei un maschilista? Uno di quelli da una notte e via?” Si aspettava l’ennesimo calcio di Ran, eppure la piedata non arrivò. Evidentemente, visto il fascino che palesemente esercitava sul genere femminile, quel dubbio s’era instillato forte in Ran, che ora non era più capace di ignorarlo, come invece per mesi aveva fatto.
“Mi stai chiedendo con quante donne sono stato a letto, Suzuki?” A domanda diretta, risposta secca. Shinichi non aveva peli sulla lingua, o tabù: e adattava perfettamente il suo registro e il suo comportamento all’interlocutore che aveva di fronte a sé.
Sonoko scrollò le spalle, un po’ in imbarazzo.
In quel momento, il telefono del ragazzo prese a suonare ed entrambe lo maledirono, salutando per sempre la sua risposta. Il giovane lo estrasse dalla tasca e scrutò il display per leggere il nome scritto sopra, quindi si alzò dal tavolo afferrando gli occhiali da sole.
Stava andando via, e si congedò da loro con uno sguardo di commiato.
-Vabbeh, il suo numero me l’ha dato…- pensò, stringendo forte in grembo quel foglietto di carta, l’unico contatto tra loro.
Ma, per la terza volta in quella mattina, Shinichi la stupì:
“Io credo che ogni persona che passa nella nostra vita sia unica. Lascia sempre un po’ di sé e si porta via un po’ di noi. Ci sarà sempre chi si è portato via molto, ma non ci sarà mai chi non avrà lasciato nulla. Questa è la più grande responsabilità della nostra vita*, sapere cosa lasciamo a chi incontriamo. Ma la responsabilità che dobbiamo a noi stessi è riconoscere cosa ciascuna persona può darci: della vanagloria, dell’ego, della superficialità, e di tutto quel che il sesso di una notte può comportare, non mi faccio nulla. Da un punto di vista spirituale, non mi sento arricchito da nessuna di queste possibilità.”




“Sarà pure un detective di fama internazionale, ma ti vuole abbordare con le stesse patetiche scuse dei ragazzini di quindici anni! Che bella frase da rimorchio, perché non aveva il coraggio di chiedertelo chiaramente: I vostri fidanzati, forse? Una fantasia che non ti dico.”
“Figurati se gli interessava sapere…” cercò di smorzare lì il discorso, ma l’ereditiera oltre la cornetta telefonica non volle saperne:
“Sì, gli interessa. Posso osare un parere, Ran?”
“Sentiamo” sospirò. Dalle occhiate che poche ore prima i due si erano scambiati, non le avevano dato l’idea di essersi troppo simpatici.
“E’ uno sbruffone, saccente, montato e pieno di sé che gongola della sua fama. E sa anche di essere affascinante, ci si atteggia ancora di più e se ne compiace. Bada bene a quel che succede, e a quel che farà con te.”
Ran scoppiò a ridere: “Ma cosa vuoi che faccia?”
“Portarti a letto!”
“Ma sei pazza?”
“Credi non lo faccia? I vip fanno sempre così.”
“Ma lui non è un vip! E’ un investigatore.”
“E’ la stessa cosa. E’ discusso e famoso quanto un vip. E gli piaci.”
“Ma che dici?!” il cuore di Ran perse un battito.
“Non dovrei dirtelo perché sei ossessionata da lui e dai tuoi ritagli di giornale disseminati in tutta casa, ma lo faccio perché…è meglio che tu lo sappia sin da ora, secondo me. Il compito di un’amica è quello di aprire gli occhi a chi li vuole tener chiusi: gli piaci. Fisicamente, almeno. Si capisce da come ti guardava.”
“Non mi guardava in nessun modo.” Cercò di tagliare corto. Eppure si alzò dal letto su cui era distesa e si precipitò all’armadio, aprendone l’anta per osservare il suo riflesso nello specchio: indossava ancora i vestiti dell’incontro. Si girò di profilo, scorgendosi sul vetro: si passò una mano sulla pancia, temendo fosse un po’ troppo gonfia; poi puntò gli occhi sul seno:
-Beh…questo…- si ritrovò a pensare con gli occhi ridotti a due minuscoli puntini – lo può aver apprezzato, è una bella parte del mio corpo…-
“Ti ha guardato in quel modo, fidati. Lo so capire, io. E non mi stupirei se con la scusa dell’indagine o di che so io cercasse di sedurti. Poi ti direbbe che tu sei grande e che hai scelto anche tu di fare quel che hai fatto, bla bla bla…attenta a te. Voglio dire, se decidi di starci, va bene. Ma devi esserne consapevole, non devi lasciarti abbagliare!”
“Smettila di dire idiozie, Sonoko!!” completamente rossa in faccia, tornò frontale allo specchio, ruotando un po’ la testa per osservarsi meglio.
Con tutte le attrici, donne di spettacolo e poliziotte che conosceva, possibile che…?
Una vibrazione del cellulare la fece trasalire, come se i suoi pensieri fossero stati trasmessi oltre il cervello lungo la linea telefonica.
“Scusami Sonoko, ho l’avviso di chiamata! Dev’essere mio padre, non è ancora rientrato.”
“Figuriamoci…non pensare di scapparmi! Ricordati bene quello che ti ho detto.”
“Non preoccuparti per me.” E nonostante tutto, lo disse con sincera gratitudine: sapeva che Sonoko parlava solo per il suo bene. O almeno, per quel che credeva fosse il suo bene.
Senza neppure visionare il display accettò la chiamata in entrata:
“Pronto?”
“Ciao, Ran. Perdonami il disturbo, a quest’ora. Hai cinque minuti per me?”
Si sentì soffocare all’istante.
“Sh-Shinichi!” non riuscì a trattenersi, palesando la sua sorpresa- e probabilmente il suo imbarazzo.
Lui, dall’altra parte, ridacchiò.
“In persona, signorina. Non mi hai fatto uno squillo dieci minuti fa?”
Ran tacque. Sì, l’aveva fatto. Presa una coraggiosa follia, aveva deciso di telefonargli…solo uno squillo. Dopo quell’affermazione repentina di Sonoko che aveva scatenato la pronta reazione del ragazzo:

“Mi stai chiedendo con quante donne sono stato a letto, Suzuki?”

si era ingelosita. Molto sciocco e infantile da parte sua, ma era stata un’invidia logorante che non aveva saputo controllare. Il pensiero era stato: -Vediamo se capisce che sono io…- e quando lui non aveva immediatamente ritelefonato o mandato un sms chiedendo chi fosse, o peggio facendo un nome femminile a lei sconosciuto, si era dimenticato d’averlo fatto. O forse il suo inconscio l’aveva rimosso.
Fatto sta che quelle telefonata non se la sarebbe mai aspettata.
“Eri tu, no?”
“E tu come l’hai capito?”
“Sono il miglior detective che tu abbia mai incontrato. Con tutto il rispetto per tuo padre, s’intende.”
Sbuffò. Poi si fece pensierosa: “Perché vuoi incontrarlo?”
“E’ molto importante per me, Ran.”
“Per caso, c’entra…” e si morse la lingua. Poteva dirlo? No, non poteva. Però…

“Tutto a posto, papà?”
L’uomo sollevò gli occhi dalla scrivania a quella che ancora soleva definire la sua bambina.
“Ti senti bene?”
“ Ikari Shima.”
“Chi è?” la ragazza iniziò a preoccuparsi. In realtà conosceva quel nome; ma sperava di sbagliarsi.
“Il capoquestore, Ran. Megure teme che potrebbe intromettersi nell’indagine, in qualche modo.”
“Perché dovrebbe?”
“Perché Kudo non piace ai piani alti.” Tagliò corto, con severità, come se rimproverasse lei dei metodi dell’investigatore più giovane.
“E il suo intervento potrebbe causarci dei guai.”



“C’entra…?”
“Shinichi, io…”
“Non voglio ingannarlo, Ran. E non sono complice di nessun cattivo progetto. Te lo assicuro. Te lo giuro.” La incalzò.
“C’entra con Ikari?”
“Chi ti ha fatto questo nome?”
“Non ti pare di pormi troppe domande?”
“Ne avrei ancora di più.”
“Tipo?” stavolta fu lei a incalzarlo. Odiava e amava allo stesso tempo battibeccare con lui. Come si conoscessero da anni e fossero amici di vecchia data che dopo anni e anni ancora litigano per le inezie.
“Tipo, perché una bella ragazza come te non ha un fidanzato?”
Deglutì saliva.

“E gli piaci!”

“E questo cosa c’entra con l’indagine, scusa?”
“Sei tu a non volerlo, Ran?”
“Non c’entra nulla con l’indagine, Shinichi.”
“Oppure sei innamorato di qualcuno che non si accorge di te?”
“Non ti riguarda.”
“Delusione d’amore?”
“Non parlerò di questo con te.”
“Sei fidanzata e vuoi tenerlo nascosto?”
“Non sono fidanzata.” Tenne a precisare.

“E gli piaci!”

“E innamorata?”
“Di che t’impicci?”
“Ti piace qualcuno?”

“Portarti a letto!”

Deglutì ancora saliva.

“E tu? Sei innamorato in questo momento?” riuscì a dire, pur rossa in volto. E poteva tranquillamente vedere il suo stesso imbarazzo riflesso sullo specchio di fronte a sé.
“La prima domanda da fare è se sono fidanzato.” La corresse.
“Non fare il detective saccente con me!”
“Ma lo sono!”
“Fidanzato?”
“Detective saccente! Ma se per prima cosa mi avessi chiesto se fossi fidanzato, ora non avresti avuto questo dubbio.”
“Di certo sei insopportabile.”
“No.”
“No cosa?”
“Non lo sono.”
“Innamorato o insopportabile?”
Rise: “Non sono innamorato di nessuna donna. Vuoi chiedermi anche tu ora con quante donne sono andato a letto, come la tua amica?”
Avvampò ancor di più e ringraziò il cielo di essere al telefono, così a lui invisibile e meno vulnerabile:
“Avrei detto con nessuna.” Lo punzecchiò, e lui scoppiò a ridere.
“E tu?”
“Non sono il tipo di domande che si fanno a una ragazza.”
“Hai diciassette anni. La risposta corretta è: Con nessuno, vuoi scherzare?!”
“Ripeto: cosa te ne importa?”
“Niente….” Rispose, ma il tuono fu piuttosto allusivo.
“Ran?! Sei in camera tua?” dall’altra parte dell’appartamento la raggiunse la voce di suo padre, e il cellulare quasi le cadde di mano.
“RAN?!”
“S-sì!” fu costretta a rispondere. E prima ancora che potesse inventarsi qualcosa, Kogoro le piombò in camera.
“Con chi parli?”
“E’ tuo padre, per caso?” le sussurrò Shinichi oltre la cornetta.
“Co-con Sonoko!!!” rispose con foga.
“Ohhh…” fischiettò Shinichi.
“D’accordo.” Rispose invece il padre “Hai già cucinato? Ho fame!”
“No…cioè sì, io…sì sì, devo solo riscaldare…ho fatto il ri-riso al curry con le polpette di gamberi…”
“Ottimo. Sbrigati allora, ti aspetto in cucina.” E lasciò la camera.
“Sei una ragazza bugiarda, eh? Buono a sapersi…” cinguettò Shinichi, facendola arrossire nuovamente: il suo tono era languido.
“Shinichi…”
“Ran.” La voce tornò seria. “Non ho cattive intenzioni. Te lo giuro. Mi faresti davvero un grande favore se…se mi accontentassi. Se soddisfacessi la richiesta di oggi pomeriggio.” Rimase vago, temendo che Kogoro fosse ancora nei dintorni e potesse sentirlo.
“Va bene.” Disse solo, prima di congedarsi.
“Ciao, Shinichi.”
“Ciao, Ran…salutami il tuo non fidanzato.” E non le diede il tempo di replicare, perché riagganciò. Lei si ritrovò a osservare come inebetita il cellulare tra le mani, uno strano sorrisetto divertito dipinto sul volto.
Poi si riscosse, e raggiunse il padre in cucina; mentre apparecchiava, lui le domandò:
“Vai a scuola domani?”
“Certo.”
“Portati le chiavi di casa, allora.”
-Lo faccio sempre….- pensò, ma si guardò bene dal contraddirlo.
“Domani vado alle corse dei cavalli.”















Precisazioni:
*Makoto Kyogoku: Ho cercato di rimanere fedele alla presentazione ed al carattere che ne da Gosho nel manga.
Ogni persona che passa nella nostra vita è unica. Lascia sempre un po’ di sé e si porta via un po’ di noi. Ci sarà sempre chi si è portato via molto, ma non ci sarà mai chi non avrà lasciato nulla. Questa è la più grande responsabilità della nostra vita: è la frase originale di Borges. Io l’ho riadattata e ampliata per contestualizzarla.
 
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Neiro Sonoda
view post Posted on 27/9/2014, 15:58     +1   +1   -1




Oh mio Dioooooooooooo *sta sclerando*

Va bene, calma. Un bel respiro profondo.
Cavy sei tornata! Spero di non essere risultata troppo insistente con te, comunque sono felicissima di aver visto il tuo aggiornamento!
Come al solito sei in grado di sorprendermi: mi aspettavo che la faccenda del numero di telefono non procedesse come immaginato da Ran, ma certo non pensavo che Shinichi le avrebbe dato il suo con tanta tempestività!
Shin, stai veramente bruciando le tappe con ‘sta ragazza :D
Ma andiamo con un minimo d’ordine
Sonoko mi fa morire! Bello l’accenno alla storia tra lei e Makoto, ma la cosa migliore sono ovviamente le punzecchiature a Ran
E si arriva alla fatidica “visione”:

CITAZIONE
Un piede poggiato sul muro alle sue spalle, per bilanciare la schiena contro la parete. Completo di pantaloni e giacca molto chiaro, gli risaltava il fisico allenato grazie anche al bianco della camicia. Occhiali da sole che le impedivano di capire se l’avesse visto o stesse guardandosi intorno, e capelli scompigliati dal vento abbastanza da darne l’impressione di ragazzo anti conformista e sicuro di sé- come poi effettivamente era-

Con gli occhiali da sole e la camicia bianca, tu vuoi farmi prendere un accidente, era roba da saltargli addosso ehm, da restare a bocca aperta!
E così le ragazze fanno la fila per chiedere gli autografi a Shin… vorrei ben dire! Una addirittura lo vuole sul braccio :woot:
Ran e Sonoko si dileguano, non prima di aver fissato un incontro al bar con lui. Per fortuna che Ran ha la sua amica, nei momenti in cui le mancano le parole, eh?
E poi…

CITAZIONE
Avevano sadicamente scelto il tavolo di fronte la vetrata principale, e potevano vedere distintamente Shinichi, ancora di fronte il portone dell’edificio scolastico; firmava autografi e sorrideva alla miriade di ragazze


Troppo bello quel “sadicamente”! Ma Shin vi ha capite, ragazze, che vi credete?
Si va alla sala inferiore, dove è possibile fare conversazioni senza essere disturbati. Ovviamente la cameriera cerca di flirtare con Shinichi, ma è così imbranata… Quanto la capisco, anch’io avrei rischiato di rovesciargli il frullato addosso.
A proposito, è vero che il frullato al mango è il più lungo da preparare? :shifty:

Fantastica l’interazione Shinichi-Sonoko… e Ran che mena calci sotto il tavolo
E naturalmente, quando ci si sbilancia, Shin sa come rispondere:

CITAZIONE
“Mi stai chiedendo con quante donne sono stato a letto, Suzuki?” A domanda diretta, risposta secca. Shinichi non aveva peli sulla lingua, o tabù: e adattava perfettamente il suo registro e il suo comportamento all’interlocutore che aveva di fronte a sé.

Anch’io voglio sapere con quante donne sei stato a letto Devo dire che la chiusura è epica, mi ha sorpreso davvero tanto.

Passiamo alla scena della telefonata…
La Suzuki va dritta al punto con i suoi “gli piaci” e “vuole portarti a letto”… Piano un poco, ragazza mia!
E Ran si guarda allo specchio, senza riuscire a evitare di chiedersi se Shinichi le ha notato il seno
Si tronca la conversazione con Sonoko perché sta squillando il cellulare… Mi pare giusto :D
E’ luiiiii… Ran stava per soffocare dall’emozione e io pure
L’altalena tra domande di Shin e affermazioni passate che risuonano nella testa di Ran è scritta benissimo… L’atmosfera risulta “carica”, quasi adrenalinica, ma al tempo stesso molto divertente.

Shin, ma sei un impiccione! Che t’importa se ha il fidanzato o no? Ci vuoi provare sul serio, devo dedurre!
Come al solito, il capitolo si chiude sul più bello… Aspetto il seguito!


Dunque dunque dunque… Commento serio (si spera):
il capitolo mi è piaciuto molto, ci sono un po’ di errori di battitura sparsi qua e là, ma lo stile è sempre buono. Interessanti gli interventi di Sonoko, che ovviamente vuole dire la sua sul rapporto che si sta “sviluppando” tra la sua migliore amica e l’affascinante detective
Ran non vuole risultare “come le altre”, ma farsi conoscere per quello che è, nonché evitare di lasciar trasparire il suo interesse… La capisco, credo che agirei anch’io allo stesso modo, e allo stesso modo avrei bisogno di un po’ d’incoraggiamento ogni tanto.
Shinichi… diciamo che si commenta da solo :D
Forse un po’ troppo malizioso in questo capitolo, ma non mancano le affermazioni serie e anticonvenzionali che lo contraddistinguono anche nel manga di Gosho.
Avanzamento degli eventi abbastanza rapido, ma non frettoloso; il senso d’attesa si “distribuisce” bene all’interno del capitolo.
Interessantissima la citazione “ampliata”… Da quale opera viene?
Complimenti, spero che anche il prossimo capitolo sappia colpirmi tanto positivamente :)


Eeee ShinichixRan da sempre e per sempre
:wub:

Fan della coppia, tutti qui, o la sezione Fanfiction sarà monopolio dei ConanxAi! :P ;)
 
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Il Cavaliere Nero
view post Posted on 10/6/2017, 23:38     +1   -1




Se a qualcuno ancora interessa... :P

Capitolo quarto - Fuoco di paglia?

Ferma ed immobile in attesa che il destino le si presentasse, e reclamasse inesorabilmente i suoi programmi; questa era la situazione tipo che da sempre aveva desiderato, con tutta l’anima, evitare: lasciarsi gradualmente invischiare in una frivola apatia* capace di distrarla e, soprattutto, frapporsi tra il suo presente e la sua meta. Voleva essere lei a decidere in quale direzione andare, e non che il vento la trasportasse come una foglia troppo debole per mantenere il legame vitale con l’albero, ma troppo forte per sgretolarsi con felice cupio dissolvi in mille minuscoli residui, al pari del polline d’un fiore di cui non resta altro che la lontana fragranza trasportata dalla brezza per alcuni metri, prima di svanire come non fosse mai esistita.

Ogni decisione era ponderata minuziosamente, nella consapevolezza che non esisteva alcun fato superiore, alcun destino, alcun progetto deterministico: nella disperata speranza d’essere lei a decidere della sua vita, ne traeva esaltazione ed angoscia allo stesso tempo. Perché consapevole dell’enorme potere, e così delle implicazioni da esso scaturite: lei era sola di fronte alle sue scelte, perché nessun altro le aveva prese al suo posto, da nessuno era stata condotta lì, in quel punto, se non dalle sue gambe: così sperduta, gettata nel mondo, sola e senza scuse, Ran era condannata ad essere libera. Nessun altro se non la sua propria coscienza legittimava la sua condotta.

Vasta libertà, spropositate possibilità, infinito rischio: l’oceano le si spalancava sulla cima degli eventi futuri e solo lei reggeva il timone della zattera. Merito per aver cavalcato l’onda anomala, colpa per essere incappata nel gorgo centrale della più feroce tormenta. L’orizzonte le appariva libero, anche se non era sereno.*

Il suo sogno era il suo scopo; ma nel suo sogno si contemplava tutto il suo mondo. Quella dimensione di valori e affetti, di amore in ogni sua forma- dalla più amichevole alla più erotica- che è tanto potente da straripare oltre l’anima stessa, stimolato non da secondi fini ma generato dall’abbondanza di serenità a risiedere nel cuore. Questo lei voleva essere, ricchezza aristocratica di animo e di forma, un sinolo di  forza spirituale e fermezza di carattere da possedere per se stessa ed elargire agli altri; questo voleva che fosse il suo mondo, persone imprevedibilmente pittoresche ma allo stesso tempo fermi nelle loro scelte, imponderabili e sicure.

Non riusciva quasi mai nei suoi obiettivi; l’ideale se stessa collimava raramente con la Ran reale; ogni decisione era seguita da indecisione: il dubbio di aver sbagliato, ed essere caduta nell’azione opposta a quella più sensata. I passi indietro, poi di nuovo avanti: devi indietreggiare, no! Devi continuare a testa alta.

E le persone che aveva intorno non le parevano di certo migliori; i più grandi affetti si prostravano ai piedi degli egoismi personali: i suoi genitori ne erano esempio. L’amore per lei o per la famiglia, per il loro progetto o qualunque fosse stata l’idea che di fronte all’altare avevano in qualche modo e con una certa intensità cullato non avevano impedito loro di prendere vie tanto diverse da vedersi raramente; il padre nell’agenzia investigativa a bere birra tra un caso e l’altro, la madre ad argomentare sentenze che vinceva quasi in toto. La regina del foro e il detective di Beika Choo.

Li amava: li stimava profondamente per alcuni lati del loro carattere, avrebbe compiuto i sacrifici estremi per loro. Ma non sentiva di poterli appoggiare in tutto e per tutto, alcune loro scelte, atteggiamenti, idee…un altro mondo.

C’era un’unica persona che le dava piena fiducia; che sapeva, ne era certa, fosse consapevole quanto lei del grave peso di una scelta, di ciò che essa comporta: che ogni nostro atto non è estraneo da ingerenze ed anzi, l’uomo che vede il tramonto d’un giorno ignora che per suo figlio sarà l’alba.

Ed era qualcuno su cui aveva da sempre riposto ogni speranza, una piccola luce a intermittenza, talvolta più flebile talvolta più forte, che mai scompariva del tutto dalla sua vita: non si trattava di un fuoco di paglia, era un’intesa di mente e di spirito.

Era Shinichi Kudo, e dopo averlo personalmente incontrato quell’intesa era diventata anche di corpo.

Il tono di voce sicuro e il brillare degli occhi a ricordarle ogni momento la sua tenacia.

Prese un respiro profondo prima di estrarre il suo telefono cellulare dalla tasca della gonna, quindi compose il suo numero….poi riagganciò.

-Meglio così…- pensò, avvampando, nella convinzione che a chiamarlo avrebbe dimostrato una eccessiva sfacciataggine.

Digitò un rapido sms:

 

Mio padre sta andando alle corse dei cavalli nel distretto di Fukuia, ma non so da quale spalto assisterà. La corsa inizia alle 11.30.

 

Poi lo cancellò, scuotendo il capo tra sé e sé.

No, non gli avrebbe inviato un sms.

Gli avrebbe telefonato.

 

 

§§§

 

 

 

“Ma chi si crede di essere?!” lo sbuffo seccato le arrivò chiaramente attraverso la cornetta del telefono senza fili, che reggeva tra orecchio e spalla.

Da mezz’ora continuava a sciacquare lo stesso piatto, che non solo era stato ripulito da ogni traccia di cibo, e di sapone; molto presto si sarebbe ossidato!

“Perché non vieni a vivere da me? Te l’ho detto mille volte…”

“…e io mille volte ti ho detto di no! Non posso  lasciare papà da solo, mamma! Si è dimenticato dell’apputnamento, ma avrà avuto di sicuro da lavorare e…”

“Da lavorare? Ran, da una settimana gli ricordo che oggi doveva venire qui in ufficio per ascoltare la mia cliente. Anzi, doveva esserne onorata! Anziché suggerirle di rivolgersi ad un detective con la d maiuscola, le ho combinato un incontro con lui! Gli trovo il lavoro, che lui non si merita! Se pensa di passarla liscia anche stavolta, si sbaglia…”

Sua madre, Eri Kisaki, era soprannominata La regina del foro. Era l’avvocatessa più stimata e riconosciuta, ma per questo aveva anche molti clienti, poco tempo libero, e una grande intransigenza.

Spesso si era chiesta come, all’inizio, lei e suo padre si fossero trovati: i loro caratteri erano quelli che molto gente avrebbe definito come incompatibili.

“Sono sicura che è stato trattenuto in centrale.”

“Rincaserà ubriaco fradicio, Ran.”

La ragazza posò il piatto, ma non chiuse il rubinetto dell’acqua; la mente continuava a pensare ad altro, sebbene le parole pronunciate alla madre fossero sensate.

Sperava che Kogoro stesse facendo tardi per via di Shinichi; che si fossero incontrati, si fossero parlati, si fossero alleati. Non era preoccupata, non per la salute del padre, quanto meno; ma era agitata, trepidante. Le sarebbe tanto piaciuto che anche l’uomo cambiasse idea su Shinichi, che finalmente capisse che bella persona era, e che…

“Suonano alla porta, mamma! Dev’essere lui!” cinguettò allegra, desiderosa di buone notizie, in quel senso.

“Oppure gli agenti che sono stati costretti a scortarlo a casa perché non infastidisse le ragazzine in minigonna.”

“Mamma…”

“Buonanotte, Ran. E pensa a quello che ti ho detto.” L’avvocatessa riagganciò senza darle tempo di rispondere.

In un lampo chiuse l’acqua e si precipitò alla porta, per accogliere suo padre, burbero come al solito.

“Quanto ci hai messo, che stavi facendo?”

“Ero al telefono con la mamma, papà! Ti sei dimenticato di andare da lei!”

“Non mi sono dimenticato, non ci sono andato e basta. Crede di farmi l’elemosina? Si sbaglia di grosso, non ho bisogno dei clienti che mi procura lei! Sono un grande investigatore, il migliore di tutti, e non ho bisogno di niente da lei!”

Questi erano Kogoro ed Eri.

L’uomo filò dritto in cucina, accucciandosi sul tatami con l’intenzione di mangiare immediatamente, ma, pur la tavola apparecchiata, i piatti erano vuoti.

“Non ceniamo questa sera?”

“Sì, papà. Ti faccio subito il piatto.” Sbuffò lei, rassegnata. In altre occasioni avrebbe insistito in favore di sua madre, cercando di fargli capire, anzi di ricordargli, quanto fosse orgogliosa; e come quello fosse il modo che aveva per dimostrargli il suo affetto, e la sua stima. Ma in quel caso c’era qualcosa che le premeva di più, perciò lasciò correre.

“Dove sei stato oggi?”

“Con l’ispettore, come al solito.”

“In centrale, quindi?”

“In centrale, sì.”

“Davvero?”

Il dialogo s’era svolto senza che si fossero guardati negli occhi; allora Ran trattenne la ciotola di riso tra le dita mentre Kogoro cercava d’afferrarla, in modo tale da costringerlo a sollevare lo sguardo.

Vacillò.

“In centrale. Sì.”

Ran sospirò, afflitta. Forse Shinichi lo aveva seguito di nascosto; forse aveva altri impegni e non era andato, forse aveva cambiato idea. Eppure quando l’aveva avvisato, lui era stato molto laconico, come se avesse deciso di raggiungerlo immediatamente:

“Bene, ho capito! Ti ringrazio di cuore, Ran.”

“…e poi tornando indietro ho incontrato il tuo amico.”

Il cuore ebbe un tuffo.

“Il mio…amico?”

Era avvampata.

“Quel ragazzino che gioca a fare l’investigatore.” Fece una pausa. “Abbiamo parlato un po’.”

“Di cosa?”

“Lavoro. Volevi ti offrissi in sposa?” la incenerì con gli occhi.

“Non essere sciocco, papà!”

Kogoro fingeva di non accorgersi, ma sapeva da quanto tempo Ran seguisse le gesta del giovane. Ignorava, certo, i loro rapporti, ma sapeva che lei nutriva un debole per lui. Lo sapeva benissimo;  e la cosa lo infastidiva molto.

“Abbiamo parlato un po’ dell’indagine. E poi mi ha dato il suo indirizzo, se dovesse servirmi.” Si fece sfuggire.

“Perché dovrebbe servirti?”

“Non ti riguarda, tu di indagini non ne capisci niente! E ora, lasciami mangiare.” Troncò il discorso, e inutile fu cercare di riprenderlo.

Ma nella mente della karateka si era fatta largo un’idea che, più avanti nel tempo, avrebbe sorpreso persino lei stessa; un’azione propria più di Sonoko che non di Ran. Ma forse per via dei suoi consigli, forse per il soggetto in questione, che di ora in ora le appariva sempre più affascinante, forse per ripicca contro suo padre, forse a causa di tutti questi fattori insieme…quella notte frugò silenziosamente nelle tasche di ogni pantalone, giacca e cappotto di suo padre finchè non trovò il suo biglietto da visita; l’indirizzo troneggiava in corsivo sotto il suo nome: via Beika 2/21.

 

§§§

 

“Avanti, avanti, Minnie! CAVALCA!” Ruggì Kogoro,  sbracciandosi come preso da attacchi epilettici dal più alto degli spalti: si rifugiava sempre lì, con un cappottone marrone in stile Commissario Maigret, e un paio di occhiali da sole bel calcati per coprirgli il volto. In realtà, era presumibile ritenere che, anche se si fosse seduto in prima fila a faccia ben scoperta nessuno l’avrebbe riconosciuto; o se l’avessero riconosciuto, quelli che in totale sarebbero andati a chiedergli l’autografo ed importunarlo sarebbero stati probabilmente due. Nel corso di due mesi. Ma a lui piaceva cullarsi in questa idea di necessario anonimato; e si conciava a quel modo, senza capire che così vestito di un abbigliamento tipico dei film d’azione di quart’ordine, che vantavano un cast di attori smarriti nel tempo e negli spot pubblicitari di patatine e mobili usati, dava ancora più nell’occhio; anche i fantini in gara alzando per un istante gli occhi l’avrebbero notato per pensare: "Ma quello...?".

“Ma lei non è il detective Mouri?”

Una voce alle sue spalle lo richiamò.

Si voltò con uno sbuffo seccato, quando dentro di sé il suo ego aveva preso a gonfiarsi di voli pirotecnici circa la sua fama e, soprattutto, il suo favore in tutto il Giappone.

“Oh…sei tu.” Rimase deluso quando si ritrovò di fronte Kudo.

Il detective più giovane era vestito in maniera estremamente normale; e lui, di cercare di passare inosservato, avrebbe avuto motivo. Ma non c’è nulla di più sfuggevole dell’ovvio*, e nessuno lo sapeva meglio di Shinichi: abbigliato normalmente, avrebbe attirato ancora meno l’attenzione.

Jeans neri e giubbetto in pelle da moto; occhiali da sole e casco sul braccio destro.

“Ti ho visto mentre scendevo le gradinate. Posso darti del tu, vero?”

“Preferirei di no.” Tagliò corto, tornando a rivolgere gli occhi sulla gara e dando a lui le spalle.

Shinichi rise.

Gli si affiancò, proseguendo:

“Ha ragione. L’età si rispetta.” Che voleva significare: Se ti do del tu, è perché sei più grande –vecchio!- di me, non certo perché sei migliore.

Mouri lo capì subito; si voltò con occhi infiammati verso il giovane, per rispondere a tono, ma vide sul suo volto dipinto un sorriso divertito; non derisorio, ma affabile.

Si sfilò gli occhiali per scrutarlo negli occhi:

“Ora ho la sua attenzione, Mouri-kun!”


L’uomo sospirò, piegando la bocca in una smorfia infastidita.

“Segue sempre le corse?”

“Sì. Mi piace venire qui.”

Poi, titubante se troncare o meno il dialogo, decise infine di proseguire.

“E tu, ragazzino?”

Shinichi sorrise tra sé e sé, notando che mai lo aveva chiamato per nome, né tanto meno per cognome. Gli appellativi erano: ragazzino, ehi tu, oh. Una volta, la prima volta in cui si erano incontrati, l’aveva addirittura apostrofato ‘sbarbatello’ con l’ispettore Megure; pensando di non essere sentito da lui, aveva detto all’omone: “Ma è sicuro che possiamo fidarci di questo sbarbatello?”

“Non vengo molto spesso, in realtà. A me piace il calcio. Ci ho anche giocato, fino a un paio di anni fa.”

“Eri bravo?”

“Non me la cavavo male.” Evitò di dire che era stato richiesto per entrare nei Tokyo Spirits, ma che aveva rifiutato perché riteneva il calcio utile solo all’allenamento necessario per inseguire i criminali. Aveva interrotto quando aveva cominciato ad imparare il Jeet Kune Do* , ma l'impossiblità del suo maestro a proseguire gli allenamenti l'aveva costretto di nuovo all'immobilità. I nemici si facevano più forti e lui doveva essere in grado di difendersi.

“Io non so andare a cavallo, ma mi piace guardarli. E mi piace anche scommettere.”

“L’avevo intuito…” ammiccò Shinichi, ricordando il modo scomposto con cui si stava sbracciando per tifare prima che lui lo salutasse. Ci fu una breve pausa; poi, Kudo pensò che fosse giunto il momento di testare le cose.

“Mouri. Ci sono alcuni punti dell’indagine che non mi sono molto chiari.”

“Parli della rapina?”

“Sì. Perché rapinare  di sabato mattina? Capisco ci sia poca gente, ma a maggior ragione: di solito più clienti significano più ostaggi. Perché rinunciarvi? E poi, leggendo i rapporti che l’ispettore Megure mi ha fornito, ho scoperto che dentro la banca è entrata una persona soltanto…la donna che è poi stata ritrovata uccisa nel capannone. Lo testimonia il fatto che il proiettile che l’ha uccisa appartiene alla sua stessa pistola, probabilmente il complice o gliel’ha sottratta, o gliel’aveva prestata in precedenza. Ma perché il complice l’ha aspettata in macchina? Perché non è entrato con lei? E quando poi ha sentito il colpo provenire dall’interno della banca- quel proiettile che abbiamo ritrovato conficcato nella colonna e che ci ha permesso il confronto- perché non l’ha raggiunta? Perché l’ha lasciata sola? Non è ragionevole. 

Se avesse voluto ucciderla avrebbe fatto meglio a fingere un incidente durante la rapina stessa, o a inscenare un incidente automobilistico. Perché freddarla in un vecchio capannone?”

“Forse credeva che così facendo il cadavere non sarebbe stato rinvenuto.” Kogoro cercò di seguirlo nei suoi ragionamenti, anche se il cervello di Shinichi lavorava più velocemente del suo.

“O almeno non subito. Hanno commesso la rapina di sabato mattina perché erano inesperti e non erano interessati agli ostaggi, ma solo ai soldi…e avere meno gente tra i piedi gli avrebbe potuto rendere l’opera più facile, nella loro opinione. E la donna è entrata da sola perché…beh, forse l’altro faceva da palo. Lei pensava di potersela cavare da sola e di non avere bisogno d’aiuto. E’ come hai detto tu, la spiegazione più probabile: si mettono d’accordo, si dividono i compiti, eseguono la rapina e durante la fuga litigano, allora lui la ammazza e poi scarica il corpo in quel capannone, convinto che, essendo abbandonato, nessuno l’avrebbe trovato, e il tempo tra la morte ed il rinvenimento gli avrebbe fornito il tempo necessario per scappare.”

“Non è detto. Non abbiamo ancora ritrovato l’automobile, forse la donna è stata uccisa nel capannone. Dovremmo perquisire la macchina con il luminol per essere sicuri che le abbia sparato lì dentro.”

“Certo, certo.” Si corresse in fretta Kogoro “è quello…è quello che intendevo.” Balbettò.

Il volto del ragazzo, da corrucciato e teso che era divenuto, tornò affabile.

“Comunque, speriamo di trovare presto qualche traccia che ci indichi la strada da seguire.”

Quella frase fu di troppo. Avendo parlato del capoquestore Ikari pochi giorni prima, Kogoro interpretò subito quell’affermazione in maniera singolare, e gli domandò immediatamente:

“Non ti fidi della polizia?” 

Ecco a cosa aveva portato quel discorso.

-Questo ragazzino sa che…?-

Kudo sorrise; fu un’espressione del volto malinconicamente distesa.

“Non di tutta.”

 

 

Ran non sapeva niente del dialogo avuto tra i due uomini, né sospettava fossero arrivati a parlare del capoquestore. Ma era curiosa…e preoccupata. Sino al giorno prima aveva avuto la certezza di poter conservare un legame con Shinichi in virtù del favore che lui le aveva chiesto: metterlo in contatto con suo padre. Ma quando quel contatto si fosse stretto con Kogoro direttamente, che ruolo avrebbe avuto lei? E se non lo avesse più rivisto? E se non ci avesse più parlato?

Per tutta quella mattina trascorsa a scuola, non fece che ficcare la mano in tasca per assicurarsi che il foglietto con l’indirizzo di Shinichi fosse ancora  in suo possesso –come se non lo ricordasse nitidamente a memoria. Ma quel biglietto da visita era qualcosa di reale.

E’ possibile concretizzare qualcosa che è di per sé intangibile? Felicità, speranza, sogni, paure…come li quantifichi? Come li rendi vivi, visibili ai tuoi occhi? Sono sentimenti e sensazioni che svaniscono in un lampo, così come all’improvviso sono comparsi.

Quel foglietto di carta era il suo legame concreto con Shinichi Kudo.

Stava tornando verso casa a lezioni concluse quando le squillò il cellulare.

“Ran! Sto andando dall’ispettore Megure, mangia pure qualcosa fuori con la tua amica riccona, se vuoi.”

“Perché? Ci sono novità sull’indagine?”

“Sì.” Non stava più nella pelle dal dirle le novità; e non certo per l’inchiesta in sé…

“Quel tuo amichetto si era lasciato sfuggire un indizio importantissimo! L’agente Furuya* questa mattina ha avuto un’illuminazione ed è andato in obitorio per riesaminare il cadavere della ragazza; le ha trovato addosso un cellulare che a lui, che ha esaminato il corpo quando è stato trovato, era sfuggito, evidentemente.” Sottolineava quella mancanza con boria e soddisfazione.

“Ne hanno estratto i tabulati e pare che l’ultimo numero chiamato appartenga ad un certo Oki Ruroshi. E’ proprietario di una villa piuttosto modesta ai confini della periferia. Andiamo a farci quattro chiacchiere.”

Non le diede il tempo di rispondere, proprio come sua madre aveva fatto la sera prima, che le riagganciò in faccia. Ma a lei non importò; pensò solo:

-Possibile che Shinichi non se ne sia accorto?-

Decise senza quasi rendersene conto di andare a casa sua: la mente le diceva di avvisarlo delle novità e ragguagliarlo dell’errore commesso, il cuore le suggeriva di utilizzare qualunque possibile pretesto per rivederlo.

Girò i tacchi e si diresse in via Beika; non era troppo lontana dalla sua scuola.

-Ok, Shinichi probabilmente non aveva visto quel telefonino. E con questo? Non gli è concesso un errore?

Quando qualcuno è bravissimo, le persone attorno a lui diventano ancora più severe: e gli sbagli che in altri sono immediatamente giustificabili, se commessi da lui diventano gravissimi. Non si è comportato da gradasso, reclamando di sua proprietà l’indagine e volendo tenere tutte le informazioni per sé. Appena ha sospettato che il caso dell’assassinio su cui stava lavorando e la rapina analizzata da mio padre e dall’ispettore potessero essere collegate, li ha avvisati subito, chiedendo la loro collaborazione. Anzi, offrendo la sua, di collaborazione. Non mi pare atteggiamento di una persona boriosa che vuole fare tutto da solo, con le sue forze. A papà è antipatico a prescindere…me ne dispiace molto. Ma è un errore soltanto, e come tale va computato.-

E non elucubrava questi pensieri per giustificare Shinichi ad ogni costo, o peggio ancora, per giustificare se stessa e difendere in un’ aurea cornice l’idea che si era fatta di lui. Lo pensava spontaneamente, senza volontà polemiche, senza risentimento; era una semplice considerazione che le occupò la mente finchè non raggiunge Villa Kudo: una meravigliosa abitazione in stile occidentale, dall’ampio cortile tutt’intorno, e un grande cancello ad isolarlo dalla strada, comunque poco trafficata.

Ne rimase affascinata; ma molto presto qualcos’altro attirò la sua attenzione.

“A presto, Hidemi.”

La voce di Shinichi.

Si affacciò oltre il cancello e vide il detective sulla soglia della porta, in camicia bianca e pantaloni eleganti. I piedi però erano nudi. Di fronte a lui una donna molto alta, e bella, avvolta in un tailleur elegante e molto raffinato, che le evidenziava le curve.

Gli stava dicendo qualcosa, ma parlava a voce talmente bassa che non riuscì a cogliere le parole; le dava  le spalle, perciò non fu capace di leggerle le labbra. Mentre si sporgeva di più, lo stomaco le si contorceva.

-Chi è questa donna?!-

Non pensò di avere a che fare con un detective…con Il Detective. Dopo cinque secondi che tentava di spiarli, lui si sentì osservato e mentre ancora la giovane gli parlava, lui volse gli occhi oltre le spalle di lei, e vide la liceale.

Contemporaneamente lui sgranò gli occhi e lei avvampò:

“Ran!” la chiamò, interrompendo la mora di fronte a lui che, allarmata, si voltò. La giovane la vide in faccia: era altrettanto bella. Un volto chiaro, gli occhi azzurri e meravigliosamente truccati. Le parve di conoscerla.

-Ma certo! E’ un’attrice…- realizzò, cercando nella sua mente il nome che la gelosia le impediva di ricordare.

Shinichi poggiò una mano sulla spalla della donna, e la rassicurò:

“E’ la figlia di un collega.”

Quella presentazione le diede sui nervi. Dal canto suo, Hidemi parve rasserenata.

“Buonasera, signorina…Ran, giusto?”

“Esatto.” Mugugnò a mezza bocca, i pugni distesi lungo i fianchi.

“Si è fatto tardi, io devo andare.” Tornò a rivolgersi al ragazzo, che le sorrise:

“Certo. Buona serata…e buon lavoro.” Aggiunse repentino, con un mezzo sorriso “Ti accompagno.”

E non curandosi d’essere scalzo, la scortò lungo il vialetto sino al cancello; le aprì galantemente la porta e la fece uscire.

“Arrivederci, signorina Ran.”

“Salve.” Le rispose seria, infischiandosene del sorriso gentile che l’attrice le aveva rivolto. Rimase immobile a guardarla andare via, salendo in una macchina blu metallizzata di gran classe.

“Alle coincidenze, io non credo.” La richiamò Shinichi, appoggiando la testa alla mano che ancora reggeva il cancello.

“Perché sei qui?”

“Chi è quella donna?”

“Perché sei qui?”

“Mhm…” Ran non rispose, tornando a guardare l’automobile guidata da lei che, proprio in quel momento, passava davanti alla villa. I due si salutarono di nuovo con un sorriso.

“E’ la tua amante segreta? Si è spaventata perché pensava che fossi una giornalista in caccia di scoop?” cercò di scoprire, nelle sue intenzioni quella di fingersi pettegola e sfacciata quando a muoverla era solo l’acuta e profonda gelosia.

Shinichi le regalò un sorriso impertinente.

“Vuoi entrare, Ran?” E, terza persona a non attendere una sua risposta, le diede le spalle facendole strada verso la porta.

Lo seguì, allo stesso tempo imbarazzata ed elettrizzata. Ma non riusciva a non pensare che Shinichi indossava una camicia bianca, sciattata e sbottonata di parecchio; ed era scalzo. E aveva appena salutato una bella donna, probabilmente prima entrata in casa sua.

La testa volò a quel che dentro quella casa poteva essere successo, a quel che poteva essersi consumato in quelle mura. E lo stomaco le mandò segnali di dolore.

“Scusami, non sarei dovuta piombarti qui all’improvviso.” Si decise a dirgli, mentre varcava la soglia dell’abitazione. “Avrei fatto meglio a telefonarti.”

“Non ti preoccupare.”

Chiuse la porta alle sue spalle con un colpo secco, e la guardò negli occhi:

“Hidemi non è la mia amante.” Le rivelò.

Ran arrossì; desiderò ardentemente che quell’affermazione accompagnata dall’azione decisa volesse nascondere qualcosa come: “Lei non è la mia amante, io non sono fidanzato e non ho nessuna donna a cui dovere fedeltà. Ed ora sei tu la donna che è qui, in casa mia, chiusa in casa mia.”

Ma scosse violentemente il capo, cercando di tornare coi piedi per terra.

“E chi è?”

“Un’amica.”

“E’ un’attrice.”

“Una cosa non esclude l’altra.”

“Le attrici sono sempre coinvolte in torbide relazioni con uomini famosi.”

“Mia madre era un’attrice.”

“Lo so.”

Le lanciò un’occhiata divertita, e lei si corresse: “Cioè…devo averlo sentito da qualche parte.”

Così battibeccando giunsero in salotto, dove Ran rimase a bocca aperta di fronte ad una libreria spaventosamente enorme. Solo allora ricordò che suo padre, Yusaku Kudo, era uno scrittore.

“Dimmi, Ran. Vuoi qualcosa da bere?”

Uno scrittore e un’attrice che l’avevano educato secondo i modi galanti e chic dell’alta borghesia cui la loro famiglia apparteneva.

“No, Shinichi. Ti ringrazio! Ma devo urgentemente parlarti.”

“Ebbene, dimmi.”

“L’ispettore Megure ha rinvenuto, per opera dei suoi agenti, un telefono cellulare sul corpo della donna uccisa. In base a quello sono arrivati ad un certo…Ruii…mh, non ricordo il nome preciso, ma comunque un uomo che possiede una casa in periferia, e sta andando da lui. Aspetta…Oki Rurushi!”

Shinichi era impallidito di colpo:

“Un cellulare?!”

Lei annuì.

“Mi pare che fosse l’ultima chiamata in uscita quella fatta a questo signore…”

In un batter d’occhio si infilò la giacca e prese il cappotto.

“Vai da loro? Non so di preciso l’indirizzo…”

“Non importa, potrò facilmente reperirlo con una telefonata.” Sembrava parlare più con se stesso che con lei, che avrebbe voluto in qualche modo rassicurarlo:

“Calmati, non è colpa tua. Ti sono venuta ad informare subito, sei al loro stesso passo, non preoccuparti!” ma temette di farlo innervosire, e non seppe partorire nient’altro. Quindi tacque.

Lo osservò muta mentre afferrava il casco e qualche altro oggetto dal cassetto della scrivania, posizionata di fronte quell’enorme libreria-biblioteca personale.

“Non vorrei sembrarti scortese, Ran, ma a meno che tu non voglia rimanere qui in casa mia da sola, sono costretto a chiederti di uscire.”

“Ma certo, ma certo! Scusami Shinichi!” fece retro font, con lui al seguito.

“Tutt’altro!” chiuse la porta di casa alle loro spalle, dopo aver afferrato le chiavi al volo. Calzò il casco, e si affrettò lungo il vialetto: “Sei stata molto gentile, oltre che utile, ad avvisarmi.”

Saltò in sella alla moto e mise in moto allo stesso tempo: “Grazie di cuore, Ran!” le gridò mentre partiva in direzione centro.

 

§§§

 

I poliziotti, con al seguito Kogoro, parcheggiarono proprio all’angolo della villa, piuttosto dissestata e simile ad un vecchio capannone.

“Che aria spettrale…” commentò Kogoro, slacciandosi la cintura di sicurezza. Fece per scendere dalla vettura, ma l’ispettore lo bloccò.

“Fermo, Mouri! Guarda.”

Di fronte al cortile incolto e colmo di erbacce, due macchine parcheggiata in mezzo al campo e, attorno, tre uomini a discutere. Tre brutti ceffi.

“Scendiamo silenziosamente senza farci vedere e stiamo pronti ad intervenire. Ma rimaniamo immobili per il momento.” Ordinò ai suoi uomini e, indirettamente, anche a Kogoro. Poi gli additò una chiavetta USB che l’uomo biondo tra i tre, reggeva tra le dita:

“Potrebbero esserci le prove della rapina, se quelli sono complici dell’assassino. Magari le registrazioni di video-sorveglianza della banca, o i dati che hanno usato per raggirare la sicurezza. Puntiamo a quella.”

Si accucciarono sulle ginocchia, celandosi dietro gli pneumatici.

“Non interveniamo, o potrebbero scappare e distruggere le prove. Non devono vederci.”

D’un tratto una mano afferrò Kogoro per una spalla, e lui trasalì.

“Che cosa ci fai tu, qui?!” sbraitò, tirandola per un braccio affinchè s’accucciasse anche lei.

“Mi hai fatto venire un infarto, ma che idee ti vengono?!” non attese la risposta: “Sei pazza, perché sei qui?” insistette, stringendo la presa.

“Io volevo…” balbettò lei, in difficoltà. Non aveva pensato ad una scusa, eppure non si sentì in colpa, né si pentì.

Era lì per Shinichi.

Avrebbe aiutato quel ragazzo coraggioso con le unghie e con i denti.

“…volevo essere d’aiuto.” Non mentì, omettendo il soggetto della sua frase.

“Aiuto in cosa?! Come hai fatto a sapere che eravamo qui?”

“Io…sono venuta in centrale, e Reika-san mi ha detto che…”

Era vero.

Ma intervenne l’ispettore: “Silenzio, Mouri, o ci scopriranno. Ran-chan, questo non è un gioco, non dovevi permetterti di venire sin qui. Ma oramai non puoi più andare via, perciò resterai, ma in silenzio.” Tornò a rivolgersi a Kogoro:

“Non dobbiamo farci vedere. Non si tratta soltanto della rapina, lo sai. Dobbiamo pazientare a capire a cosa, e soprattutto a chi, ci porteranno questi ceffi. La fretta non aiuta, ora non possiamo far altro che aspettare.”

L’uomo annuì, poi lanciò un’occhiata ammonitrice alla figlia.

“Ok ok…starò zitta! Promesso. Non dirò una parola e non farò rumore.”

Si volse dunque ad osservare la situazione: muniti di pistole armate e binocoli, gli agenti non staccavano loro gli occhi di dosso. Quei tizi, dal canto loro, comunicavano concitatamente tra loro; poi si diressero verso un vecchio armadietto, pur munito di combinazione. Dopo averlo aperto ne estrassero una scatola di cartone, e la poggiarono a terra. Quello più basso si rivolse al biondo, che annuì e tirò fuori dalla tasca una chiavetta USB.

Furuya scattò sulle gambe e mirò, la pistola pronta a fare fuoco; ma Megure velocemente gli pose una mano sul braccio.

“Non ancora!” sussurrò.

In quel momento, Ran percepì qualcosa. Non propriamente un rumore, fu piuttosto una sensazione. Non seppe il motivo, non lo comprese neppure quando ci ripensò a posteriori; eppure, per qualche ragione, si voltò verso sinistra, e le sue pupille si dilatarono: ecco Shinichi comparire dall’angolo opposto, proprio dirimpetto ai due uomini, a destra degli agenti di polizia, i quali, si accorsero della sua presenza soltanto quando udirono un rombo, forte e rapido, come fosse un tuono che squarcia velocemente il cielo, ma sancisce la fine del temporale.

Il detective sparò quel colpo con estrema precisione, le ginocchia leggermente flesse e un gomito ad angolo retto per reggere il rinculo dello sparo, mentre l’altro braccio, teso, aveva assicurato al proiettile di colpire in pieno il bersaglio.

Il colpo sfiorò l’uomo biondo, facendogli volare dalle mani la pennetta USB che gli agenti avevano puntato.  Non fece in tempo a voltarsi che un secondo sparo colpì il compagno col cappello, causandogli un graffio sulla guancia sinistra, per poi infrangersi sul metallo del capannone.

“Ma che diavolo sta facendo?!” Megure lo scrutò per lungo tempo, basito.

“Ama le entrate in scena, il tuo amico!” Kogoro la rimbrottò, lanciandole uno sguardo velenoso, quasi avesse sparato lei stessa. Il tono di voce era duro, intransigente:

“Possibile non capisca che così facendo capiranno di essere braccati e distruggeranno le prove?!”

Uno degli uomini vestiti di scuro ordinò qualcosa ad un altro del gruppo, che prontamente si diresse verso lo scatolone a terra estraendone un cellulare che, con decisione, calpestò sino a ridurlo in un grumo di circuiti e sensori.

“Maledizione!” gemette Megure, tutti gli agenti in allarme.

“Cosa facciamo, signore?” lo incalzò Furuya “Interveniamo anche noi?”

“A questo punto, tanto vale.” Si alzò in piedi, estraendo la pistola dalla fodera.

“UOMINI! Cercate di salvare almeno la chiavetta, recuperatela intatta!”

Come se l’avessero sentiti, provvidero a distruggere anche quell’ultima importante prova, dandola alle fiamme d’un accendino celato nelle tasche.

Lo scontro fu impari: un paio di proiettili volarono, qualche minaccia, un “Fermi, polizia!” che non valse alcun che. In poco tempo quel gruppetto di uomini saltò nelle due automobili scure, e scomparve dietro un grande polverone.

Nessuno provò a rincorrerli. Neanche Shinichi.

Ran, allarmata e con il cuore in tumulto, si voltò per scrutarlo: il braccio con l’arma lungo il fianco, l’altra mano sulla vita e lo sguardo  proiettato lontano, preoccupato. Prima che Kogoro la strattonasse rudemente verso la volante, riuscì a vederlo mordersi con violenza un labbro.

 

 

 

 

Seduta di fronte la macchinetta del caffè, al primo piano della centrale, la ragazza attendeva il padre da buoni tre quarti d’ora. Forse di più. Era ancora in riunione con Megure, e più di un agente si era allontanato dalla stanza timoroso, come se all’interno si stesse svolgendo un incontro concitato, nervoso.

Come se Megure fosse arrabbiato.

Nella sua mente in continuazione s’addensavano i colori a formare l’immagine di Shinichi, teso e nervoso, osservare la fuga degli uomini.

-E se anche avesse sbagliato?- ammise, per quanto le paresse strano.

-Perché si arrabbiano così tanto? Chiunque può sbagliare, e lui l’ha fatto in buona fede! Voleva arrestarli, e ha contato nelle sue capacità. Forse un po’ troppo…forse ha peccato di superbia. E con questo? E’ bravissimo, glielo riconoscono tutti. Non dovrebbero arrabbiarsi così tanto, non è giusto.-

Si ritrovò a difenderlo, senza esitazione. Sebbene, comunque, in lei una vocina le diceva che non poteva aver sbagliato; che doveva esserci qualcos’altro sotto, che l’apparenza fosse erronea.

…che Shinichi avesse agito di proposito nella maniera sbagliata…

Furuya uscì dalla stanza, il volto tirato e le labbra curvate in una smorfia di preoccupazione.

“Furuya-san!” lo chiamò Ran, scattando in piedi.

L’agente la notò solo allora, e si avviò verso di lei sorridendole cordialmente.

“Ran-san, tuo padre è ancora dentro. Credo ne avrà ancora per un po’…”

“Ma perché si arrabbiano tanto?” non finse neppure di essere poco interessata, le parole le travolsero la bocca inconsciamente.

Lui sospirò, grattandosi la testa. Evidentemente non poteva parlare. Eppure parlò:

“L’errore di Kudo è stato troppo grossolano…”

Fece per difenderlo, ma la prosecuzione le fece scivolare la borsa dalle dita.

“…per essere stato compiuto inconsapevolmente.”

“Bene!” sorrise, chinandosi per raccoglierla. “Aveva in mente qualcosa, dunque! Che piano?”

Furuya sospirò.

“Evitare che arrivassimo al vero mandante della rapina.”

“E perché mai dovrebbe impedirvi…?”

“Perché è loro complice.”

La borsa le cadde nuovamente dalle mani, ma lei non si chinò più a raccoglierla.

Rimase in silenzio per parecchi istanti, che divennero minuti. Come se stesse incassando il colpo.

Furuya interpretò quel silenzio come confusione; non sapeva del debole che lei nutriva per il ragazzo, e credette che la sua perplessità fosse originata dalla domanda: “Come può un investigatore, come è mio padre ad esempio, essere complice di criminali?” quindi decise di spiegarle le loro supposizioni:

“E’ evidente che si nasconde qualcuno di più imponente dietro questa rapina. Non mi perdo in dettagli, ma l’ispettore Megure ne è sicuro. Un pesce più grande che, per qualche motivo, dirige questo genere di reati, e ne trae profitto.”

Questo qualcuno, Ran lo sapeva, era il capoquestore Ikari.

 

“Tutto a posto, papà?”

L’uomo sollevò gli occhi dalla scrivania a quella che ancora soleva definire la sua bambina.

“Ti senti bene?”

“ Ikari Shima.”

“Chi è?” la ragazza iniziò a preoccuparsi. In realtà conosceva quel nome; ma sperava di sbagliarsi.

“Il capoquestore, Ran. Megure teme che potrebbe intromettersi nell’indagine, in qualche modo.”

“Perché dovrebbe?”


“Perché Kudo non piace ai piani alti.” Tagliò corto, con severità, come se rimproverasse lei dei metodi dell’investigatore più giovane.

“E il suo intervento potrebbe causarci dei guai.”

 

Possibile che fin da allora…?

“Ed è assurdo pensare che per così lungo tempo e in maniera così esponenziale abbia avuto successo nei suoi misfatti ed allo stesso tempo non si sia fatto scoprire, senza essersi avvalso dell’aiuto di qualcuno. Chiamali infiltrati, se vuoi, o spie…sono suoi complici, nei nostri ranghi, mischiati a noi, che fingono di volerlo arrestare ed in realtà lavorano per lui.”

Ran continuava a guardarlo perplessa ed allibita, e d’un tratto era impallidita.

L’agente continuò a non comprendere fino in fondo quella sorpresa dipinta sul suo volto bianchissimo, e si congedò con una semplice scrollata di spalle:

“Sai, probabilmente li paga bene. E ai tipi come Kudo…beh, li leggiamo tutti i giornali. Lo sappiamo che è un ragazzino arrogante, che si bea del suo successo e si fa grande della sua fama. Persone tanto famose hanno sempre qualche altarino da nascondere, e soprattutto il successo da loro alla testa. Non riescono a gestirlo. E senza rendersene conto, tradiscono la loro causa. Ad essere onesto, mi era parso strano che non avesse subito trovato quel cellulare addosso alla vittima…era in una tasca interna della giacca, facilissimo da rinvenire. Ora so che non ha sbagliato; l’ha visto eccome, ma l’ha tenuto nascosto.”

La porta della stanza si aprì, ed una giovane agente con i capelli raccolti in una coda di cavallo ne uscì.

“Karei-san! A che punto è, Mouri-san?” le domandò Furuya.

“Credo abbia quasi fatto, sta uscendo.”

“Oh, bene, Ran-san. Potete tornare a casa, aspetta ancora qualche minuto e vedrai che tuo padre uscirà.”

Si inginocchiò per raccoglierle la borsa, ma lei pareva assente.

“Che cosa…farete…ora?” riuscì a domandare, afferrando con mani tremanti il borsone.

“Ne prenderemo atto. Kudo se ne pentirà molto presto.” Rispose il poliziotto, deciso.

 

“Sono il miglior detective che tu abbia mai incontrato. Con tutto il rispetto per tuo padre, s’intende.”

 “Perché vuoi incontrarlo?”

“E’ molto importante per me, Ran.”

“Per caso, c’entra…” 


“C’entra…?”

“Shinichi, io…”

“Non voglio ingannarlo, Ran. E non sono complice di nessun cattivo progetto. Te lo assicuro. Te lo giuro.” La incalzò.

“C’entra con Ikari?”

“Chi ti ha fatto questo nome?”


“Non ti pare di pormi troppe domande?”

“Ne avrei ancora di più.”

 

Lentamente si sedette, anzi: cadde pian piano sulle sua gambe, e per fortuna trovò la sedia a bloccare il movimento.

Si sentiva mancare.

“Arrivederci, Ran-san. Due minuti e tuo padre arriva.”

Le importava davvero di aspettare suo padre?

 

“Io credo che ogni persona che passa nella nostra vita sia unica. Lascia sempre un po’ di sé e si porta via un po’ di noi. Ci sarà sempre chi si è portato via molto, ma non ci sarà mai chi non avrà lasciato nulla. Questa è la più grande responsabilità della nostra vita, sapere cosa lasciamo a chi incontriamo. Ma la responsabilità che dobbiamo a  noi stessi è riconoscere cosa ciascuna persona può darci.”

 

Le importava davvero di aspettare suo padre?

No, non le importava.

Non ci pensò due volte, anzi neanche una: non pensò affatto, le venne spontaneo, come spontaneo è lo scroscio di un’ onda sullo scoglio che ne limita la forza d’urto. Ma in lei avvenne l’esatto opposto:  l’energia che quelle idee, quel pensiero, quel modo di concepire la vita –che nel modo di fare e nella condotta di Shinichi vedeva da anni riassunta-  non fu arginata da nessun ostacolo, e divampò violenta.

In un batter d’occhio fu in piedi e, senza curarsi che di lì a poco suo padre sarebbe rincasato, probabilmente al fianco di sua madre per la mensile litigata riguardo la decisione di tornare o non tornare a vivere con loro, uscì in tutta fretta dalla centrale di polizia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Precisazioni d’autrice:

 

 

*Frivola apatia: espressione psichiatrica propria del dottor Massimo Recalcati.

* così sperduta, gettata nel mondo, sola e senza scuse, era condannata ad essere libera: espressione sartriana.

* L’orizzonte le appariva libero, anche se non era sereno: espressione di Nietzsche in Così parlò Zarathustra.

*Non c’è nulla di più sfuggevole dell’ovvio: frase-manifesto di Sherlock Holmes.

*Quel che ho scritto sul calcio, è vero. Conan racconta ad Ai di aver ricevuto, e rifiutato, la proposta di giocare con la squadra. Quel che invece riguarda il Jeet kune do- arte marziale intuita e sintetizzata dal celebre sifu Bruce Lee negli anni sessanta - è di mia invenzione.

*Agente Furuya: altro agente di mia invenzione.

 

 
 
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16 replies since 3/6/2014, 20:57   1259 views
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