Detective Conan Forum

Thorns

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view post Posted on 13/8/2015, 21:35     +1   +1   -1
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Detective alle prime armi

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Salve a tutti, mi sono appena iscritta. Adoro DC da quando ero piccola e mi piacerebbe condividere con voi alcune idee, molto strane lo ammetto, che mi vengono in mente. Premetto che adoro la coppia ShinichixShiho e finalmente sono riuscita a scrivere qualcosa su di loro. Non so se resterà una one-shot o proseguirà oltre, però intanto ve la posto e vediamo che ne pensate :D
Ah, è la prima volta che condivido qualcosa che scrivo, quindi aspetto di sapere se vi è piaciuta o meno!

THORNS


I


Erano lì. Dopo attese snervanti, incertezze martellanti e tragiche certezze che si erano impadronite di giornate infinite, trascinate passivamente alimentando il terrore.
Erano lì. Entrambi. Insieme a quel terrore. Poteva sentire sul viso ogni singola sfaccettatura delle piccole pietre sul terreno, le punte che le graffiavano e le penetravano le guance. Inalava polvere, e la stringeva nei pugni chiusi. Le palpebre abbassate e le labbra insanguinate dischiuse. Un dolore lancinante alla caviglia.
Era lì. In quel luogo che si era rivelato la destinazione di tutti i suoi pensieri ansiogeni degli ultimi anni: un edificio nascosto tra i boschi privati di periferia, che celava abilmente il nucleo dell'Organizzazione criminale di cui aveva fatto parte. Organizzazione criminale. Crimine. Assassinio. Veleno. APTX4869.
Shinichi.
Sgranò gli occhi, affidandosi alle poche energie che le rimanevano in corpo per farsi forza sui gomiti e alzare il busto. Tentò di scorgere il ragazzino, ma la vista le era offuscata da un fumo denso, pesante, come era in quel momento la sua testa. Pesante. Finalmente riuscì a ricordare. Grilletto puntato su di lei. Gin. Un colpo. Caviglia destra. Dolore. Ricarica della pistola.
"Addio, Sherry".
Un'esplosione improvvisa, inaspettata, devastò l'edificio. Si sentì trascinare, impotente, tra le macerie del piano superiore, già rovinosamente crollato.
Buio.
Ancora non vedeva Shinichi, né vivo, né morto. Chissà se gli era toccata la sua stessa fortuna... Fortuna? Era viva...
E Gin? Gin aveva avuto lo stesso destino degli altri. Lo poteva vedere, qualche metro dietro di lei, disteso supino in una pozza di sangue. Che sia rimasto all'interno, Shinichi? Ruotò il volto in direzione della struttura in fiamme. Che strana soluzione era stata prevista per le emergenze. Distruzione totale. Il classico bottone rosso. Ma evidentemente, era un'operazione ancora da perfezionare: una bomba letale in via di sperimentazione, come lo era il suo veleno. Non aveva fatto il suo dovere, non era un lavoro pulito. L'ala ovest era parzialmente rimasta integra.
E se fosse..? Aveva lavorato sempre ad ovest, in laboratori dislocati dove cala il sole. Era quasi una legge. Forse per questo si sentiva sempre in sintonia con i tramonti, a strisce nere della tapparella abbassata. Anche lì, nell'ala ovest, ci sarebbe stato un laboratorio, ne era certa. Non era lontana dalla porta. Doveva entrare. Era solo qualche metro. Doveva alzarsi. Rinchiudendo un gemito di dolore tra i denti stretti, riuscì ad alzarsi gattoni. Iniziò a strisciare lentamente verso la porta, ma un eco lontano la giunse alle orecchie. Trasportava il suo nome, urlato disperatamente tra i detriti.
Era la sua voce, vero? Era in salvo. Sì, lo sapeva in fondo, che lui ne sarebbe uscito vittorioso. Lo sapeva fin dall'inizio che ce l'avrebbe fatta. Prima che potesse sforzarsi di gridare una risposta, lui arrivò, dietro di lei. Sgranò gli occhi in un sorriso. Era viva allora, sì, che sollievo che gli aveva dato. Dovevano raggiungere l'ambulanza, prima che arrivasse la polizia. Che brutta ferita che aveva alla gamba, le faceva male? Ma lui l'avrebbe aiutata. Lei era rimasta in silenzio, ma i suoi occhi verdi brillavano di lacrime trattenute per la gioia di vederlo vivo. Le disse di andare, serio, ma lei non poteva andar via così. Doveva farlo per lui, per provare a rimediare almeno a uno dei suoi tanti errori, per provare a regalare a se stessa il sollievo di un peccato espiato. Fu un colpo di tosse ad introdurre il suo rifiuto a seguirlo, rafforzato dal ritrarre il braccio al suo tentativo di aiutarla. Lo conosceva troppo per capire che, dietro l'apprensione, i suoi occhi nascondevano la profonda delusione di essersi lasciato sfuggire per sempre la possibilità di riappropriarsi della propria vita.
"Kudo, aspetta. Bisogna recuperare i dati in quel laboratorio, prima che bruci tutto. Probabilmente lì dentro c'è il necessario per realizzare un antidoto efficace al veleno". Sorrise, lei. Anche lui sorrise. Sorrise seguendo con lo sguardo il dito della bambina puntato a ovest, gli si illuminò il volto di felicità nel vedere quel piccolo edificio ancora in piedi, e lei si illuminò a sua volta, vedendo lui illuminarsi.
"Andrò io, allora. Non affaticare la gamba, aspettami qui."
Accettò, non poteva fare altrimenti. E gli diede le indicazioni per fargli trovare quello che cercava. Lo guardò allontanarsi correndo. Lo guardò allontanarsi da lei, sola tra le fiamme. Lo guardò correre verso la salvezza, la felicità. Lo guardò, e non potè fare a meno di chiuderlo per sempre nel suo cuore.
Si accasciò sul terreno. Era stanca e dolorante. Aveva bisogno di cure, il proiettile le pulsava nella caviglia causando fitte lancinanti. Qualche minuto più tardi scorse il bambino uscire, le braccia conserte per sorreggere un computer portatile e un raccoglitore. Si avvicinava ora. Lo guardava avvicinarsi a lei; lo guardava mentre la raggiungeva sorridente e lo vedeva allontanarsi.
"Qui c'è tutto ciò che mi hai chiesto, sono sicuro che farai un ottimo lavoro". Sorrise ancora, dolcemente.
"Te lo devo, Kudo."
"Andiamo ora. L'ambulanza dovrebbe essere arrivata. Ho dato indicazione ad Akai e ci raggiungerà non lontano da qui. Vieni, ti aiuto ad alzarti."
"Grazie, ne ho bisogno."
Raggiunsero l'ambulanza non senza sforzi. La raggiunsero insieme e vi salirono insieme. Affrontarono un viaggio lungo verso l'ospedale, governato da un silenzio che mantennero, insieme. Troppo spossati per parlare, troppe emozioni bloccavano la gola, come sempre succede quando qualcosa di grande ha una fine. E si era concluso qualcosa di veramente grande, un'esperienza stravagante e pericolosa, indelebile, che, loro due, volenti o nolenti, avevano vissuto insieme, avevano condiviso. Il silenzio quasi mistico fu profanato delicatamente da poche parole sussurrate.
"E' tutto finito." Tre parole che si dissolsero nella frenesia della portiera spalancata, tra infermieri e medici in attività, che si appropriarono della leggera barella su cui era distesa la bambina.
Tutto era finito? Per lei niente sarebbe finito. La sua vita di Ai Haibara era stata un'intensa attesa che la pistola di Gin le perforasse il cuore, liberandola dai rimorsi delle vite spezzate per mano sua; troppo fragile, troppo debole emotivamente per commettere un suicido. Lo temeva, Gin era il suo incubo, la sua ossessione, ma anche il suo giustiziere di espiazione. Come avrebbe potuto, d'ora in avanti, convivere senza via d'uscita con le sue colpe? Quale esito avrebbe avuto un'esistenza senza una famiglia a consolarla? Cosa sarebbe stato di lei una volta riprese le sembianze di Shiho?
Dunque, dov'era la fine che Shinichi predicava?



Edited by Withered Soul• - 4/5/2017, 00:49
 
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view post Posted on 4/5/2017, 00:12     +1   -1
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Ciao a tutti, torno dopo una prolungatissima assenza ^_^ Ho ritrovato nel pc del materiale che avevo buttato giù con l'intenzione di continuare la fic, ma tra università e impegni vari non ci sono mai riuscita :doh: . Vi propongo un altro capitolo, spero tanto che vi piaccia! Susu fatevi sentire :D

II


La convalescenza fu lunga, per lei. Il corpo di una bambina di otto anni era riuscito a stento a sostenere quelle ferite, resistendo su un terreno impolverato con un pezzo di piombo nel piede. Lui se l'era cavata, come sempre, in pochi giorni aveva ottenuto le dimissioni, uscendo di scena con una semplice lussazione alla spalla.
Convalescenza. Una parola così piena di ottimismo, una parola che fa pensare a un futuro, che ricorda che il peggio è passato e non c'è altro da fare che aspettare. Forse la sua non era una convalescenza, allora. Forse avrebbe potuto mettere in pausa le sue attività fisiche, ma come fermare il flusso di ricordi, emozioni, pensieri che le affollavano la mente? Se lo era sempre chiesta: si può lasciare l'anima in stand-by? Avrebbe preferito non sentire più nulla, avrebbe scambiato volentieri la sua emotività maledettamente penetrante con una sorta di salvifica apatia. In fondo, è devastante accettare di dover proiettare tutta la vita verso un futuro che il passato impedisce di assaporare, vivere sospesa tra i prima e i dopo senza mai riuscire a cogliere l'adesso. Mai. Quando era nel giro aspirava a fuggire, distrutta dal ricordo della sorella uccisa. Quando ne era scappata, attendeva la sua condanna, tormentata dal rimorso di ciò che era diventata. In ospedale, in quell'"ora" che non riusciva a percepire, era travolta dalla sua vita, ansiosa di svelare un futuro al quale non aveva immaginato di poter accedere e che, d'altra parte, le aveva solo complicato le cose.
Le visite erano assidue e piacevoli. Agasa andava a trovarla tutti i giorni, trattenendosi un paio d'ore, e ogni tanto era accompagnato dall'allegria dei tre piccoli detective, che la aiutavano come sempre a fuggire da se stessa. Sì, perché loro non sapevano nulla di quello che era accaduto, tutto era stato ancora una volta abilmente nascosto dietro la solite vecchie bugie. Anche Shuichi Akai, alcune sere, le teneva compagnia, assicurandosi sempre che non le mancasse nulla, cercando di fare per lei quello che non era riuscito nei confronti della sorella scomparsa. E anche Ran, mossa dal suo buon cuore, le aveva portato più di una volta qualcosa da mangiare, spiegando con un sorriso che alla sua età una bambina non dovrebbe sopravvivere con i pasti poco gustosi ed invitanti che servono negli ospedali. Anche Ran era andata a farle visita, ed era andata da sola.
La compagnia non le mancava mai, e anche quando stava per addormentarsi, era quasi sollevata nel sentirsi annunciare una visita. Eppure mancava qualcuno. Forse se ne accorse quando la piccola Ayumi si scusò dell'assenza di Conan, ma lui aveva avvertito che sarebbe andato con Ran, il giorno seguente. Forse se ne accorse quando la giovane Ran si scusò dell'assenza di Conan, ma le aveva giurato che era già andato il giorno prima, con i Detective Boys. Era sicura di non essersene accorta prima? No, non ne era sicura, ma c'era bisogno di troppo poco orgoglio per ammettere a se stessa la delusione di non vederlo entrare. Erano passate tre settimane dal suo ricovero. La sua mancanza risultò lampante, non solo a lei, ma anche alla persona che lo conosceva al punto da notare un'anomalia nel comportamento del giovane. Una sera, dopo, aver congedato i tre bambini, il dottor Agasa si avvicinò a lei.
"Shinichi mi ha promesso che verrà."
"Oh, non c'era bisogno di costringerlo dottore, la compagnia non mi manca." Un sorriso affabile, dolce, illuminò le iridi, tremolanti in dissonanza, che tradirono quelle parole.
"Non dire così, Ai. In queste settimane mi ha sempre chiesto di te, della tua salute. Lo sai che tiene a te, ed è stato lui, senza pressione, a promettermi che verrà, quando lo riterrà opportuno."
Rimase perplessa dalle ultime parole, ma non si sforzò a indagare oltre, e ritenne più saggio sorridere, ancora una volta. Rimase da sola nella camera bianca. Era passato il tramonto e si iniziava ad intravedere il velo di oscurità che presto si sarebbe impadronito del cielo. Aiutandosi con le stampelle, raggiunse la finestra, aprendo delicatamente le tende bianche che la coprivano. E come quando a teatro si apre il sipario e gli attori entrano in scena sul palco, lei iniziò a rimuginare sul suo futuro, sulla sua consapevolezza di essere in vita, incolpandosi di non essere in grado di cominciare a viverla, un vortice di pensieri tremendamente possenti che iniziarono a danzare nella sua mente, al chiaro pallore della luna piena.
Arrivò il giorno in cui venne dimessa. Agasa la scortò in macchina fino a casa, e la aiutò a entrare. Si guardò intorno, con un po' di malinconia, e scorse il materiale che il piccolo Conan le aveva procurato nel laboratorio dell'Organizzazione, appoggiato di fianco al computer di Agasa. Passò oltre, con lo sguardo e con i passi, raggiungendo il sofa sul quale decise di concedersi qualche minuto di riposo. Erano appena le quattro del pomeriggio.
"Dottore, ha avvisato qualcuno del mio ritorno a casa?"
Agasa, indaffarato com'era a rovistare in alcuni scatoloni a ridosso della libreria, si bloccò un istante e volse lo sguardo verso di lei. "Perché me lo chiedi, Ai?"
"Vede dottore, preferirei restare per un po' da sola, senza nessuno che interrompa il mio lavoro."
"Lavoro? Ai! Non avrai mica intenzione di tornare già a rintanarsi in quello sgabuzzino! Sei appena stata dimessa, dovresti riposare."
"Stia tranquillo dottore. Per le mie condizioni attuali, posso tranquillamente controllarmi da sola. Ho bisogno solo di aiuto per muovermi sulle scale, e per questo ci sono le stampelle." Ne piantò una sul pavimento e, agilmente, ignorando la fitta che le attraverso la caviglia, si alzò in piedi e sorrise.
"Visto?" Iniziò ad avanzare verso la scrivania, sotto lo sguardo preoccupato dell'anziano.
"Ai, non puoi.."
"Ho una questione da risolvere e ho intenzione di farlo il più presto possibile. Per favore, può portarmi queste cose al piano di sotto?" Chiese, indicando un raccoglitore di documenti e un computer portatile sulla scrivania. Sorrise di nuovo.
"Hai la testa più dura di quanto credessi."
"Io comincio a scendere, faccia pure con calma." Si avviò verso la porta del seminterrato, cercando di camminare con più disinvoltura possibile per evitare si preoccupasse inutilmente per lei. Posò la mano sulla maniglia.
"Ai.."
La bambina si voltò verso l'uomo.
"Oggi Shinichi verra qui."
Shiho non si mosse, non parlò, forse smise di vedere il dottore, si comportò come se quell'uomo non avesse mai detto nulla.
Abbassò la maniglia della porta. "Bene." E scomparve di sotto.
Il ticchettio della stampella sulle scale, che rimbombava a ogni passo, la accompagnò finché non giunse nel suo laboratorio, organizzato alla buona in quello scantinato. Si stava freschi li, sebbene dopo tante ore di lavoro il calore emanato dal motore dal computer surriscaldato iniziava a farla sudare. Si accostò al tavolo con il computer e schiaccio il tasto di accensione. La solita musichetta inserita dal dottor Agasa, allegra e frenetica, sancì l'illuminazione dello schermo.


Allora,quanto è carina la nostra Ai? :haibara: :wub: Spero non vi siate annoiati troppo :sick: Aspetto pareri :D Alla prossima!
 
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Sofia777
view post Posted on 4/5/2017, 14:15     +1   +1   -1




Ciao. Che dire bella storia, essendo shihoxshinichi non potrei dire altrimenti 😁 È scritta davvero bene e i personaggi sono perfettamente azzeccati. Spero che la continuerai e se così sarà di non dover aspettare la pubblicazione del prossimo capitolo come il precedente. Alla prossima.
 
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view post Posted on 4/6/2017, 16:23     +1   -1
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Eccomi con il terzo capitolo, spero vi piaccia! :D :D

III


Dopo qualche minuto era già seduta davanti al computer, circondata da fogli e penne. Accese anche il piccolo portatile dell'organizzazione, che fortunatamente era carico. Con grande stupore scoprì che i dati contenuti al suo interno non erano protetti da alcuna password, quindi riuscì a copiare il contenuto su un CD-ROM senza troppi problemi. Lo inserì nel suo computer e si mise a lavoro.
Il dottor Agasa al piano superiore aveva appena preparato il tè e stava per portarlo nel seminterrato. Ma il campanello squillò. Sapeva benissimo chi fosse. Posò la tazza di tè e corse ad aprire la porta.
"Shinichi, finalmente." Conan era apparentemente calmo, ma i pugni chiusi stretti nelle tasche fecero insospettire il vecchio scienziato.
"Non si libererà facilmente di me, caro dottore!" Esclamò, passando sotto il suo braccio ancora teso sulla maniglia della porta. Si ritrovò all'ingresso, iniziando a guardarsi freneticamente intorno.
"Lei dov'è?"
"Shinichi, mi ha detto che non vuole visite, non so se.."
" È di sotto vero?" Chiese retoricamente, dirigendosi verso la porta del seminterrato.
" Ma non..." Non fece in tempo a terminare la frase che Conan già si era precipitato per le scale. L'eco dei passi veloci sui gradini giunse presto alle orecchie di Ai, e senza che potesse evitarlo fu invasa da un inspiegabile senso di allerta. I passi si fermarono a metà delle scale.
"Dottore, la prego, ci lasci soli."
Ancora quella voce. Aveva qualcosa di diverso ora. Sapeva che c'era qualcosa di strano eh? Il ticchettio delle scarpe subito riprese e lo sentiva avvicinarsi. Come avrebbe dovuto comportarsi con lui ora? Disprezzo? Indifferenza? O doveva accoglierlo a braccia aperte dopo la sua lunga assenza? Non sapeva cosa fare e non aveva il tempo per capirlo. Non aveva più tempo per nascondersi ora. Né dietro un tavolo, nè dietro uno sguardo gelido. Non poteva perché ormai era lì, dietro di lei, e lo sentiva ansimare, la sua schiena era rimasta come unico ostacolo. Perché non diceva niente? Aspettava forse che si girasse? E perché poi lei si stava creando tanti problemi, perché non si decideva a guardarlo in faccia? Aveva continuato a picchiettare con le dita sulla tastiera.
“Come stai?”
Non si annunciò, sapeva che nonostante la sua indifferenza lei sapeva che era lì. E lei non si finse sorpresa dell’intrusione improvvisa, perché sapeva che lui era consapevole di essere percepito.
‘Come stai’. Esiste una domanda più semplice? Forse è proprio la sua semplicità a rendere sempre la risposta così complicata da dare, perché lascia aperte troppe possibilità; troppe per poter essere incanalate in un “bene” o “male” senza margine di errore.
“Bene.” Furono le sole lettere che scandì, il cui eco nella stanza si infiltrò negli gli attimi di silenzio tra i ticchettii della tastiera e i battiti del cuore nel petto. Le dita scivolavano senza pensare sulla tastiera, ma non stava scrivendo più niente di sensato. La sua presenza la agitava terribilmente, anche se in quel momento non riusciva a comprenderne bene il motivo.
Conan non le chiese di girarsi, né di guardarlo, restò solo fermo dietro di lei.
“Senti Ai, mi dispiace non essere venuto in ospedale.”
Prevedibile, fin troppo, e questo pensiero le fece scappare un sorriso amaro.
“Non devi preoccuparti, Kudo. La compagnia certo non mi è mancata, se è questo che ti preme sapere.”
Al contrario questa risposta lo spiazzò, e la sua indecisione su come comportarsi si rivelò in quell’istante di ritardo con il quale arrivò la risposta:
“Mi fa piacere che non ti sei sentita sola. Davvero.”
Quanti giri di parole riteneva opportuni prima di arrivare al dunque? Ma perché diavolo restava fermo lì dietro? A che stupido gioco stavano giocando. Un tiro alla fune con i silenzi per capire chi sarebbe stato il primo a cedere. Se ci fosse stato qualcuno a cadere. Eppure era strano dover giocare proprio con lui. Shinichi era sempre stato limpido nei suoi confronti, non aveva mai dimostrato, tranne in rare occasioni, la volontà di nascondere in parole non dette i suoi stati d’animo. Questa era sempre stata la sua di volontà, era sempre stata lei tra i due quella a crittografare gesti e parole. Anche pensieri, a volte. Ma era così confortante apprendere che lui riusciva a leggerli e a comportarsi di conseguenza. In fondo, i codici erano i suoi preferiti, no?
Sentì una mano appoggiarsi dolcemente sulla sua spalla. Maledisse la sua mancanza di prontezza nell’autogestirsi quando si ritrovò a sussultare a quel tocco.
“Posso parlarti?”
Che tono strano avevano quelle parole, pronunciate a testa bassa in modo che il ciuffo gli coprisse gli occhi.
“Ti ascolto.” Esordì pacatamente, con gli occhi di vetro fissi sullo schermo.
“No Ai, devi guardarmi! E devi guardare anche questa.” Cacciò dalla tasca una foto e la piantò sulla tastiera. Shiho sgranò gli occhi.
“Tu…Tu come…” provò a chiedere, ma la risposta già le giunse chiara nella sua mente. Era stata colpa sua, lei lo aveva mandato in quel laboratorio, lei aveva fatto in modo che la stessa persona che era quasi riuscita a purificarla la facesse sprofondare nuovamente nel ricordo…in quel ricordo. Fissava quel pezzo di carta, sentiva i suoi occhi inquisitori puntati su di lei, non riusciva a muoversi, si sentiva soffocare. Doveva liberarsi di quel nodo alla gola che non la faceva respirare, ma tutto ciò che riuscì a cacciar fuori furono gocce salate, che si staccavano come cristalli bianchi dalle ciglia chiuse per approdare su due volti vicini, molto vicini, sciogliendone il colore.
“Non sono qui per giudicarti, Ai. Volevo solo sentirmelo dire da te, e riuscirò a darmi pace.”
Quella reazione, che lui stesso aveva previsto a quel suo gesto, il vederla così concretamente davanti ai suoi occhi, aveva fatto crollare tutte le sue certezze scrupolosamente costruite di aver fatto la cosa giusta mostrandole quella foto. Ogni cristallo che cadeva dai suoi occhi gli trafiggeva il petto.
“Sei davvero sicuro che vorresti sentirlo!?” sbottò alzandosi dalla sedia, con la mano sudata sulla tastiera che rinchiudeva nel pugno quella foto, ignorando la fitta che le trapassò la caviglia. Aveva gli occhi patinati da una superficie di lacrime ancora non espulse e le guance rigate da quelle che già avevano mostrato apertamente al ragazzo quello che provava. Quel gesto l’aveva portata alla stessa altezza del piccolo Conan e finalmente riuscirono a guardarsi negli occhi. Ma non potevano vedere bene, non in quel momento sospeso in una tensione così fitta da ostacolare anche la luce di uno sguardo. Però lui voleva sapere, voleva capire cosa c’era in quel momento dietro quegli occhi verdi, e voleva che fossero loro a dirglielo.
<ti prego Ai, parlami.> fu l’unico pensiero che la vocina nella sua testa quasi urlò, riassumendo in quelle parole il luccichio che comparve nei suoi occhi azzurri. E lei sembrò sentirlo quel pensiero, perché tutta la tensione muscolare nella quale aveva incanalato la rabbia cedette per un attimo, quanto bastò al detective per scorgere un velo di paura nei suoi occhi. Paura di cosa?
Sapeva di non poter obbedire a quel pensiero, quindi preferì voltarsi e provare a correre verso la porta. Stava di nuovo scappando, cercando di sfuggire al suo passato per non dover ancora una volta affrontare i suoi ricordi; sapeva che non sarebbe mai finita, ma non pensava che gli eventi glielo avrebbero confermato così in fretta. D’altra parte, dove ci si può mai rifugiare per nascondersi da se stessi?
Ancora una volta fu lui a impedirle di scappare. La teneva ferma per un polso e lei non si girò, né oppose resistenza. Si limitò ad affidarsi passivamente alla speranza che lui non affondasse ancora di più la lama nelle sue ferite ancora aperte.
Shinichi stringeva le dita intorno al suo polso, guardava il suo braccio teso in modo da tenersi il più possibile lontana da lui, seppur non volendo sfuggire alla sua presa. Voleva affrontare la situazione con risolutezza, ma farle anche capire che di lui poteva, doveva continuare a fidarsi.
“Lo amavi, Ai? Tu hai mai amato Gin?”

Eccoci qui alla fine del capitolo. Spero che non sia noioso :lol: Alla prossima! :3
 
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Sofia777
view post Posted on 7/6/2017, 20:26     +1   -1




Ma tu mi vuoi proprio male...... cooooosaaaaaa ma che ca ma che ca ☹️

Basita....
Ai tu non puoi amare quella merdaccia. Tu ami Conan 🌝😍 e su questo non ci piove.

Apparte le mie sclerate bel capitolo; non vedo l'ora di sapere cosa succede😀
Non tenermi troppo sulle spine. Ciao ciao
 
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view post Posted on 8/6/2017, 12:09     +1   -1
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CITAZIONE (Sofia777 @ 7/6/2017, 21:26) 
Ma tu mi vuoi proprio male...... cooooosaaaaaa ma che ca ma che ca ☹️

Basita....
Ai tu non puoi amare quella merdaccia. Tu ami Conan 🌝😍 e su questo non ci piove.

Apparte le mie sclerate bel capitolo; non vedo l'ora di sapere cosa succede😀
Non tenermi troppo sulle spine. Ciao ciao

Sono contenta che ti piaccia :D :D Aggiornerò il prima possibile, esami permettendo :cry: :cry: :cry:
 
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icon12  view post Posted on 16/6/2017, 11:36     +1   -1
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Eccomi :D Personalmente questa è la parte che preferisco, ho cercato di inserire tutti gli aspetti che mi fanno amare questa coppia :wub:

IV


Una smorfia di disprezzo si disegnò sul viso della bambina, che approfittò dell’occasione per stringere le palpebre più che poteva sugli occhi, con l’intenzione di fermare le lacrime. Cosa poteva dirgli? Ormai quella foto che li ritraeva in quel momento così intimo era passata per le sue mani e lui gliel' aveva sbattuta in faccia senza un minimo di delicatezza, senza dimostrare, a dispetto delle sue parole, un minimo di apprensione. Questi pensieri iniziarono a prendere il sopravvento nella sua testa, il pensiero che nemmeno lui in fondo riuscisse a capirla le fece sentire un vuoto incolmabile nel petto, quel senso di smarrimento che si prova quando anche l’ultima illusione alla quale ci si aggrappa disperatamente inizia a sgretolarsi. D’altra parte, era più confortante pensare che avesse agito in quel modo perché non era in grado di percepire le sue emozioni, che lo avesse fatto con la perfetta consapevolezza delle conseguenze che quel gesto avrebbe avuto sul suo stato d’animo.
Nei minuti di silenzio che accompagnarono queste riflessioni, Conan era rimasto immobile. Aveva allentato la presa, cercando di scrutare tra i suoi pensieri. Sarebbe bastato un sguardo per chiarire qualsiasi equivoco. In quel momento, negli occhi del detective c’era tutta l’apprensione che Ai aveva creduto esserle stata negata, tradita dall'immagine di Gin in quella foto che le aveva ricordato di dover cercare del marcio in chiunque. Ma lei continuava a coprirsi il volto con la frangia e lui non voleva essere frainteso. Lasciò il suo polso.
“Scusami Ai. Non volevo essere così duro, è solo che non sapevo come affrontare questa situazione. Ho trovato quella foto quando ho portato qui il raccoglitore con i dati su cui lavoravi, è scivolata ai miei piedi quando l’ho appoggiato sul tavolo. Non…non credevo che aveste condiviso così tanto, e non sapevo se fosse giusto chiederti spiegazioni. Proprio ora, che tutto è finalmente finito...”
<tutto finito…ancora quella frase. Sei proprio uno stupido, Shinichi>
“Ho deciso di aspettare, ma finché non avessi preso una decisione non sarei riuscito a far finta di nulla, capisci? Lui…lui era un assassino!”
Queste parole le passarono fulminee attraverso ogni vena: quell’accusa rivolta a “lui” aveva il sapore di qualcosa di diverso. Che Gin fosse un assassino lo sapevano bene entrambi. Forse quello che Conan voleva dirle davvero era altro. Come hai potuto aver condiviso dei sentimenti con lui? Era un’accusa rivolta al suo modo di amare una persona? O forse rivolta proprio a lei? Quante cose doveva ancora imparare il giovane Shinichi.
Ai alzò il viso dalla penombra e si girò verso di lui, fissandolo negli occhi con i suoi ancora lucidi, e sorrise. Era un sorriso particolare, un misto tra tenerezza e amarezza. Era uno di quei sorrisi che solo lei riusciva a disegnare con le labbra, riuscendo a far parlare gli angoli della bocca ancor prima di aprirla.
“Non riesci proprio a capire che non esiste una distinzione netta tra angeli e demoni, vero Shinichi?”
Il piccolo detective non rispose. O meglio, cercò la risposta a quella domanda fissando la scienziata, quel suo sorriso, così maledettamente suo, quegli occhi dall’essenza indefinita, finché non scomparvero quando Ai gli diede nuovamente le spalle restando immobile nella penombra della stanza.
“Non sono venuto per avere una risposta. Per quanto disprezzi il fatto che lui fosse un assassino, preferirei sentirti dire che lo amavi e che sei stata felice; che…non ti ha fatto del male, anche se so che non è così”
Vide Ai alzare la testa al soffitto, forse per impedire alle lacrime di ricominciare a scorrere.
“Non puoi liberarti di quello che è stato Ai. Ora che non hai più niente da temere, vorrei solo vederti felice.” disse serio, guardando le sue piccole spalle avere un sussulto.
“Non devi ostinarti a voler affrontare tutto da sola. Perché quando certi ricordi diventano troppo pesanti da poterli sostenere da sola devi ricordarti che ci sono sempre io al tuo fianco.”
Quelle parole così inaspettate, così calde, che senza saperlo confutarono ogni singola ipotesi oggetto dei suoi frenetici pensieri di qualche minuto prima, riempirono nuovamente quello spazio vuoto che le era rimasto in corpo. Non riusciva a gestire le emozioni che quella piccola grande attenzione da parte del detective le aveva procurato, ma era certa che voleva voltarsi per guardarlo. Si girò verso di lui.
Conan, rimasto fermo in attesa di un riscontro, fu confortato da quel gesto e glielo dimostrò con un sorriso.
“Allora, mi prometti questo, Ai?”
Cos’è che doveva promettergli? Di ricordarsi che lui era al suo fianco? Come poteva dimenticarlo. Ma come poteva dirgli che questo non sarebbe stato sufficiente?
<le stampelle…> Si accorse in quel momento che fino ad allora era rimasta immobile al centro della stanza senza alcun tipo di aiuto; forse era stata la rabbia a tenerla in piedi, e l’agitazione le aveva fatto trascurare il dolore. Ora che aveva scaricato queste emozioni, il rendersi conto di quella sua condizione di precarietà fisica oltre che mentale, le causò un’improvvisa debolezza alla caviglia, che le fece perdere il controllo della gamba. Crollò sulle ginocchia con un verso di dolore.
“Ai!” urlò Conan sporgendosi verso di lei. “Che ti succede?”
Si massaggiò il piede, mentre alzò la testa per rispondergli, con la fronte aggrottata, cercando di racimolare un minimo di consapevolezza di se.
“Evidentemente non riesco ancora a tenermi in piedi a lungo.”
“Sei proprio un’incosciente, non dovresti sforzarti così. Su appoggiati, ti aiuto a rialzarti.” Si accovacciò accanto a lei in modo che potesse allungare un braccio intorno al collo. La mano di Ai scivolò senza intoppi sulle spalle del piccolo Conan, finché non incastrò il gomito intorno a collo. Raggiunta quella posizione che avrebbe reso più stabile la risalita, Conan fissò con le dita della sua mano quella di Ai sulla sua spalla. Si rialzò e trascinò in piedi anche lei.
La mano di Ai aveva stretto quella spalla con una forza forse eccessiva rispetto a quella necessaria per consentire all'operazione di andare a buon fine. E probabilmente, quella camicia tenuta così stretta tra le sue dita fu una risposta più eloquente di qualsiasi altra parola alla domanda del piccolo detective.
Dal canto suo, Conan non mancò di notare quella pressione su di lui, di interpretare quel suo ennesimo codice, e di acquisire con sollievo e un sorriso quel messaggio silenzioso che l’amica gli stava mandando.

Spero vi sia piaciuto, buona giornata a tutti :D
 
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Sofia777
view post Posted on 16/6/2017, 21:25     +1   -1




Che belloooooooo. Un bacino potevi metterlo è 😏😏😏😏😏. Mi sarei aspettata una risposta da Ai comunque alle domande di Conan; ma d'altronde la storia non è mia quindi non ci metto bocca. Alla prossima ciao.
 
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view post Posted on 17/6/2017, 08:51     +1   -1
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CITAZIONE (Sofia777 @ 16/6/2017, 22:25) 
Che belloooooooo. Un bacino potevi metterlo è 😏😏😏😏😏. Mi sarei aspettata una risposta da Ai comunque alle domande di Conan; ma d'altronde la storia non è mia quindi non ci metto bocca. Alla prossima ciao.

La risposta arriverà :rolleyes: diciamo che per ora è un discorso in sospeso ma in futuro ne riparleranno.
Per il bacio purtroppo si deve aspettare -_- ma OVVIAMENTE ci sarà :wub: Mi sento un po' Gosho con Ran e Shin (leggi:qualsiasi altra coppia in DC) in questo momento, chiedo perdono
 
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8 replies since 13/8/2015, 21:35   548 views
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