Ciao a tutti, torno dopo una prolungatissima assenza
Ho ritrovato nel pc del materiale che avevo buttato giù con l'intenzione di continuare la fic, ma tra università e impegni vari non ci sono mai riuscita
. Vi propongo un altro capitolo, spero tanto che vi piaccia! Susu fatevi sentire
II
La convalescenza fu lunga, per lei. Il corpo di una bambina di otto anni era riuscito a stento a sostenere quelle ferite, resistendo su un terreno impolverato con un pezzo di piombo nel piede. Lui se l'era cavata, come sempre, in pochi giorni aveva ottenuto le dimissioni, uscendo di scena con una semplice lussazione alla spalla.
Convalescenza. Una parola così piena di ottimismo, una parola che fa pensare a un futuro, che ricorda che il peggio è passato e non c'è altro da fare che aspettare. Forse la sua non era una convalescenza, allora. Forse avrebbe potuto mettere in pausa le sue attività fisiche, ma come fermare il flusso di ricordi, emozioni, pensieri che le affollavano la mente? Se lo era sempre chiesta: si può lasciare l'anima in stand-by? Avrebbe preferito non sentire più nulla, avrebbe scambiato volentieri la sua emotività maledettamente penetrante con una sorta di salvifica apatia. In fondo, è devastante accettare di dover proiettare tutta la vita verso un futuro che il passato impedisce di assaporare, vivere sospesa tra i prima e i dopo senza mai riuscire a cogliere l'adesso.
Mai. Quando era nel giro aspirava a fuggire, distrutta dal ricordo della sorella uccisa. Quando ne era scappata, attendeva la sua condanna, tormentata dal rimorso di ciò che era diventata. In ospedale, in quell'"ora" che non riusciva a percepire, era travolta dalla sua vita, ansiosa di svelare un futuro al quale non aveva immaginato di poter accedere e che, d'altra parte, le aveva solo complicato le cose.
Le visite erano assidue e piacevoli. Agasa andava a trovarla tutti i giorni, trattenendosi un paio d'ore, e ogni tanto era accompagnato dall'allegria dei tre piccoli detective, che la aiutavano come sempre a fuggire da se stessa. Sì, perché loro non sapevano nulla di quello che era accaduto, tutto era stato ancora una volta abilmente nascosto dietro la solite vecchie bugie. Anche Shuichi Akai, alcune sere, le teneva compagnia, assicurandosi sempre che non le mancasse nulla, cercando di fare per lei quello che non era riuscito nei confronti della sorella scomparsa. E anche Ran, mossa dal suo buon cuore, le aveva portato più di una volta qualcosa da mangiare, spiegando con un sorriso che alla sua età una bambina non dovrebbe sopravvivere con i pasti poco gustosi ed invitanti che servono negli ospedali. Anche Ran era andata a farle visita, ed era andata da sola.
La compagnia non le mancava mai, e anche quando stava per addormentarsi, era quasi sollevata nel sentirsi annunciare una visita.
Eppure mancava qualcuno. Forse se ne accorse quando la piccola Ayumi si scusò dell'assenza di Conan, ma lui aveva avvertito che sarebbe andato con Ran, il giorno seguente. Forse se ne accorse quando la giovane Ran si scusò dell'assenza di Conan, ma le aveva giurato che era già andato il giorno prima, con i Detective Boys.
Era sicura di non essersene accorta prima? No, non ne era sicura, ma c'era bisogno di troppo poco orgoglio per ammettere a se stessa la delusione di non vederlo entrare. Erano passate tre settimane dal suo ricovero. La sua mancanza risultò lampante, non solo a lei, ma anche alla persona che lo conosceva al punto da notare un'anomalia nel comportamento del giovane. Una sera, dopo, aver congedato i tre bambini, il dottor Agasa si avvicinò a lei.
"Shinichi mi ha promesso che verrà."
"Oh, non c'era bisogno di costringerlo dottore, la compagnia non mi manca." Un sorriso affabile, dolce, illuminò le iridi, tremolanti in dissonanza, che tradirono quelle parole.
"Non dire così, Ai. In queste settimane mi ha sempre chiesto di te, della tua salute. Lo sai che tiene a te, ed è stato lui, senza pressione, a promettermi che verrà, quando lo riterrà opportuno."
Rimase perplessa dalle ultime parole, ma non si sforzò a indagare oltre, e ritenne più saggio sorridere, ancora una volta. Rimase da sola nella camera bianca. Era passato il tramonto e si iniziava ad intravedere il velo di oscurità che presto si sarebbe impadronito del cielo. Aiutandosi con le stampelle, raggiunse la finestra, aprendo delicatamente le tende bianche che la coprivano. E come quando a teatro si apre il sipario e gli attori entrano in scena sul palco, lei iniziò a rimuginare sul suo futuro, sulla sua consapevolezza di essere in vita, incolpandosi di non essere in grado di cominciare a viverla, un vortice di pensieri tremendamente possenti che iniziarono a danzare nella sua mente, al chiaro pallore della luna piena.
Arrivò il giorno in cui venne dimessa. Agasa la scortò in macchina fino a casa, e la aiutò a entrare. Si guardò intorno, con un po' di malinconia, e scorse il materiale che il piccolo Conan le aveva procurato nel laboratorio dell'Organizzazione, appoggiato di fianco al computer di Agasa. Passò oltre, con lo sguardo e con i passi, raggiungendo il sofa sul quale decise di concedersi qualche minuto di riposo. Erano appena le quattro del pomeriggio.
"Dottore, ha avvisato qualcuno del mio ritorno a casa?"
Agasa, indaffarato com'era a rovistare in alcuni scatoloni a ridosso della libreria, si bloccò un istante e volse lo sguardo verso di lei. "Perché me lo chiedi, Ai?"
"Vede dottore, preferirei restare per un po' da sola, senza nessuno che interrompa il mio lavoro."
"Lavoro? Ai! Non avrai mica intenzione di tornare già a rintanarsi in quello sgabuzzino! Sei appena stata dimessa, dovresti riposare."
"Stia tranquillo dottore. Per le mie condizioni attuali, posso tranquillamente controllarmi da sola. Ho bisogno solo di aiuto per muovermi sulle scale, e per questo ci sono le stampelle." Ne piantò una sul pavimento e, agilmente, ignorando la fitta che le attraverso la caviglia, si alzò in piedi e sorrise.
"Visto?" Iniziò ad avanzare verso la scrivania, sotto lo sguardo preoccupato dell'anziano.
"Ai, non puoi.."
"Ho una questione da risolvere e ho intenzione di farlo il più presto possibile. Per favore, può portarmi queste cose al piano di sotto?" Chiese, indicando un raccoglitore di documenti e un computer portatile sulla scrivania. Sorrise di nuovo.
"Hai la testa più dura di quanto credessi."
"Io comincio a scendere, faccia pure con calma." Si avviò verso la porta del seminterrato, cercando di camminare con più disinvoltura possibile per evitare si preoccupasse inutilmente per lei. Posò la mano sulla maniglia.
"Ai.."
La bambina si voltò verso l'uomo.
"Oggi Shinichi verra qui."
Shiho non si mosse, non parlò, forse smise di vedere il dottore, si comportò come se quell'uomo non avesse mai detto nulla.
Abbassò la maniglia della porta. "Bene." E scomparve di sotto.
Il ticchettio della stampella sulle scale, che rimbombava a ogni passo, la accompagnò finché non giunse nel suo laboratorio, organizzato alla buona in quello scantinato. Si stava freschi li, sebbene dopo tante ore di lavoro il calore emanato dal motore dal computer surriscaldato iniziava a farla sudare. Si accostò al tavolo con il computer e schiaccio il tasto di accensione. La solita musichetta inserita dal dottor Agasa, allegra e frenetica, sancì l'illuminazione dello schermo.
Allora,quanto è carina la nostra Ai?
Spero non vi siate annoiati troppo
Aspetto pareri
Alla prossima!