| Volume più introvabile del Sacro Graal: ho perso un mese e mezzo solo per trovarlo, e quando l’ho finalmente acquistato avevo quattro esami all’orizzonte da preparare. Da qui il ritardo cosmico (ma ormai consueto) con cui commento questo numero 93. Ciancio alle bande, dunque.
La conclusione del caso al Poirot (file 1-2) concretizza purtroppo tutti i timori dell’esordio. L’incontro tra i due abbronzati ovviamente non porta da nessuna parte, dato che ad Amuro basta un’occhiolino e il suo sorriso migliore per convincere il nano a non spiattellare ad Heiji la sua identità. Difficile biasimare il nano: d’altra parte, come si può resistere all’occhiolino ammiccante alla Gabriel Garko? Eh, come? Il caso, a parte l’entusiasmo per il ritorno di una vecchia conoscenza del manga quale Scotch, presenta le ormai solite forzature. Oltre al fatto che viene risolto praticamente grazie al suggerimento di una che ha sentito lo strappo dello scotch dal cellulare, roba che neanche un X-Men. E il movente è un capolavoro: chi è che non pugnalerebbe uno solo perché forse è un ex della tua ragazza e non te l’ha detto? Voi non lo fareste almeno un tentativo? Ah, com’è facile entrare in empatia con i colpevoli di Gosho, con i loro moventi così umani e ragionevoli. Come se non bastasse, l’ennesimo pseudo-Akai della situazione, l’unico elemento in cui riponevo una pallida speranza per questo caso, si è rivelato essere nient’altro che il maggiordomo della riccona spasimante di Heiji di cui non ricordo neanche il nome, tanto mi sta a cuore. Il maggiordomo. Ora, non pretendevo di trovarci il boss dei mibbi, ma… il maggiordomo. Niente, non ho neanche la forza di commentare oltre.
Il caso successivo (file 3-5) è probabilmente il migliore del volume - non che ci volesse poi molto. Apprezzo lo sforzo di costruire attorno ad Eri un caso un po’ diverso, integrando questa volta in maniera intelligente la tecnologia. Peccato che, dopo le buone premesse, degenera sempre più, fra rapitori anche troppo stupidi (ma vabbè) e messaggi cifrati stantii, fino al finale da mani nei capelli, con Kogoro che si trasforma in Peter Parker e salva la sua donzella in difficoltà, con tanto di frasi ad effetto un filo maschiliste ma che ai giapponesi probabilmente piacciono assai. Non ho capito poi cosa c’entravano in questo caso gli ennesimi sospetti di Ran sull’identità di Conan. Già fa ridere in sé il goffo tentativo da parte di Gosho di indurci a prendere in considerazione anche solo per un istante l’idea che questi sospetti possano portare da qualche parte, come se dopo 93 volumi non avessimo capito che salterà tutto fuori solo alla fine; se poi li inserisci random, quasi svogliatamente, tanto per riempire delle vignette, non fai altro che depotenziarli ulteriormente. Ad ogni modo, chiudendo un occhio sulle varie storture, il caso si lascia leggere, e a tratti coinvolge pure. Certo, poteva essere un’ottima occasione per chiudere il tira e molla tra Kogoro ed Eri, ma perché privarsi delle imperdibili gag in stile Sandra e Raimondo, quando il manga è ancora così giovane e fresco?
È doveroso però non destabilizzare troppo i lettori. Per cui, dopo un caso un pelo diverso, è opportuno tornare su lidi più familiari. Lo dice il buon senso, lo chiede il Paese, lo impone l’editore. E cosa grida “Detective Conan” più di un campeggio? Un campeggio con salma, Genta che si sfonda di curry, potenziali mibbi che si scambiano occhiatacce e Ayumi presa in ostaggio (file 6-8). Lo sentite anche voi l’odore? È odore di casa. Il caso non presenta particolari guizzi, se non per le scene relative a Rumi, che pare non ci veda con l’occhio destro, così da rispettare anche lei lo schema per poter entrare a pieno titolo nel toto-Rum. Per il resto, soliti trucchi impossibili saccheggiati da Art Attack (con tanto di disclaimer per i più piccoli “non fatelo a casa!” affidato ad Ai), solita vittima simpatica come uno spoiler di Game of Thrones, solito colpevole passivo-aggressivo prevedibilissimo. Anch’io faccio fatica ad inquadrare il comportamento di Ai, prima apparentemente sospettosa e quasi spaventata dalla maestra, e poi improvvisamente piena di buone parole per lei. Così come resta da capire cosa nasconde nella tasca, la nostra maestrina più inquietante del Giappone. Basterà aspettare il volume 118.
Negli ultimi file (9-11) torna l’osakiano con le sue disavventure romantiche che i Promessi sposi in confronto sono un fotoromanzo. Evidentemente il nostro ha rivisto la sua posizione contrattuale e ha firmato un accordo con Gosho che prevede la sua ricomparsa ogni dieci file o meno. Sennò non si spiega. Siccome poi in questo volume non era ancora stato presentato nessun nuovo personaggio, ecco sbucare dal nulla un nuovo sosia di Kudo, perché le scenette romantiche di Heiji a quanto pare non ci bastavano. Gosho ormai sembra in preda ad una sorta di compulsione che lo spinge ad introdurre in continuazione nuovi personaggi riciclando character design nella maniera più spudorata possibile. Ci intravedo quasi della disperazione in tutto ciò, è come avere a che fare con un tossico. Ad ogni modo, il caso è brutto e senza il minimo appeal, scritto svogliatamente, lo scontro random Heiji-Okita è ridicolo nella sua pedante verbosità e clamorosamente fuori contesto, l’unica idea decente (il testimone cieco) è sprecata per lasciare spazio ai problemi personali di Heiji, Okita è l’ennesimo personaggio che non dice niente e dà l’idea di essere stato “assemblato” in fretta e furia, le indagini sono di una noia mortale. Gosho qui è talmente fuori fuoco che anche il momento della scoperta del cadavere è totalmente privo di pathos, ancor più che in altre occasioni. Ran che davanti al tizio imbrattato di sangue se ne esce con “Sta bene? Si faccia coraggio!” non si può proprio leggere, siamo oltre la demenzialità involontaria. Sì, manca la conclusione, ma non prendiamoci in giro: visti i personaggi (e le relative questioni romantiche) coinvolti non potrà certo finire meglio di come è cominciato.
Il 93 fa dunque un passo indietro (e forse non solo uno) rispetto al precedente, che già non era tutta ‘sta gran cosa, ma almeno era più centrato sui mibbi (o pseudo tali) e metteva fine alla storyline di Sera. Qui, tolto il caso di Eri che tutto sommato è piacevole (non da strapparsi i capelli, ma di ‘sti tempi ci si accontenta), torniamo nella piatta e ordinaria amministrazione. La comparsa di Kuroda e Rumi non ci lascia nulla di particolarmente esaltante o rilevante, se non la questione dell’occhio destro della maestra, unico minuscolo passo in avanti nella trama. Il resto è tutta una stupidissima pantomima fra Heiji, Kazuha, la nuova spasimante, Okita, il maggiordomo, e solo non si vedono i due liocorni. Una roba di una tristezza (e di una stanchezza) allucinante, che non ha nemmeno più senso commentare. È l’unico modo per conservare la sanità mentale.
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