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Un eroe singolare, Breve analisi di una leggenda: Sherlock Holmes

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view post Posted on 21/9/2012, 18:09     +1   +1   -1
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"Homo sum, humani nihil a me alienum puto"

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Lo so. Questo testo non c'entra nulla con le canoniche Fanfiction. Tuttavia, volevo comunque avere la soddisfazione di pubblicarlo, e mi è stata consigliata questa sezione.
Premetto che è la prima volta che pubblico un testo scritto da me sul forum, o più in generale in rete. Ma questo è fondamentalmente irrilevante.
Di cosa si tratta? Non saprei dare una definizione a ciò che ho scritto. Può essere considerata una sorta di breve e lacunosa biografia, una recensione sui generis, un commento personale. Ma forse la descrizione del topic, nella sua limpida sintesi, è la definizione più adatta: un'analisi.
Ma ho già parlato troppo. Ecco il testo:



Un eroe singolare

Chi é Sherlock Holmes? Certo, mi rendo conto che come esordio é piuttosto banale: la domanda é scontata come l'incipit di una fiaba. Tutti sanno che è il più celebre detective che la storia conosca, molti – ma non tutti – sanno che è il prodotto della fantasia di Arthur Conan Doyle, uno dei tanti prolifici (almeno letterariamente) figli dell’Inghilterra vittoriana. Tuttavia, non è a questo che mi riferisco. Chi era davvero Sherlock Holmes? Un cocainomane, sociopatico e misogino, freddamente razionalista e rigidamente calcolatore, che indossava un ridicolo cappello da cacciatore con la visiera davanti e dietro, non sapeva che la Terra gira intorno al Sole, e non ha mai pronunciato, almeno nella sua celeberrima forma, la famosa frase “Elementare, Watson!”.

Ecco, visto da questa prospettiva sembra quasi la requisitoria di un criminale piuttosto che un ritratto, pur insolito, del detective – o consulente investigativo, come lui stesso soleva definirsi. Ma forse è proprio questa l’impressione che Conan Doyle ha voluto darci della sua creazione. Ovvio, non voglio dire che Sherlock Holmes sia nato per essere deriso e infangato dal suo stesso autore, ma è noto che, con il passare del tempo e delle storie che lo vedevano come protagonista, l'investigatore sia diventato a tutti gli effetti un incomodo per il suo creatore. Per questo forse Doyle aveva iniziato a prenderci gusto a rimarcare e accrescere i difetti del segugio, invece di sottolineare le qualità. Altrimenti, non si spiegherebbe il motivo per cui questo personaggio, eroe per antonomasia dei fan del genere poliziesco, ad una visione complessiva mostri più lati negativi che positivi.

E forse è proprio questo l’aspetto più interessante di Sherlock Holmes, un eroe singolare, fuori dagli schemi, eppure mai così tanto apprezzato dal pubblico. Basti pensare che, all’epoca in cui le avventure di Holmes e Watson erano pubblicate – stiamo parlando del periodo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, quindi più di un secolo fa – molti di coloro che le leggevano confondevano l’autore con il personaggio, il creatore con la creazione. Arthur Conan Doyle riceveva valanghe di lettere da parte di ammiratori, i quali, spesso e volentieri, invece di chiedere un autografo o una dedica, esponevano i loro piccoli "arcani" come se si rivolgessero ad Holmes in persona. La stessa madre di Doyle, addirittura, soleva vantarsi pubblicamente affermando di essere la madre dell'onnipotente Sherlock Holmes.

Così, fu una conseguenza naturale se nel 1893 Arthur Conan Doyle decise di chiudere per sempre nella tomba la sua celeberrima creatura. Considerando che gli aveva garantito un successo in continua crescita sin dal 1887 (anno della pubblicazione del primo romanzo, Uno studio in rosso) e lo aveva reso uno delle personalità più ricche e apprezzate del paese, può effettivamente sembrare un gesto da ingrati. Resta da dire, in sua difesa, che quantomeno Doyle ha fatto morire Holmes in grande stile: non tutti gli eroi degni di questo nome, infatti, hanno la fortuna di morire cadendo dalle cascate di Reichenbach. Sì, proprio una bella fortuna.

Ma fu solo un bluff. Sherlock Holmes ricomparve, otto anni dopo, in un nuovo romanzo, il terzo del Canone e forse il più famoso in assoluto: Il mastino dei Baskerville (1901). In realtà, non è un vero ritorno, almeno non dal punto di vista della finzione letteraria. L’avventura narrata nel Mastino dei Baskerville, infatti, risale ad un periodo anteriore alla tragica e mai abbastanza compianta morte del segugio. La sua ufficiale e definitiva ricomparsa si avrà solo nell’Avventura della casa vuota (1903), a tre anni di distanza dalla battaglia contro il professor Moriarty a Reichenbach. Alla fine, si scopre che il villain, come in ogni saga di eroi, era deceduto, mentre il protagonista era riuscito miracolosamente a scampare alla morte. Sì, Sherlock Holmes non era mai morto, anzi aveva viaggiato da un capo all’altro del mondo, dall’Italia al Tibet, per tre silenziosi anni. Intanto, l'acerrimo rivale della situazione era uscito di scena una volta per tutte. Certo, non è una soluzione tragica come sembrava in principio, e forse è pure meno originale, ma in fondo è quello che i lettori volevano.

Arthur Conan Doyle, infatti, si era illuso che il suo pubblico affamato di cadaveri e impronte si sarebbe accontentato di un ultimo romanzo. Il caso del cane demoniaco (Il mastino dei Baskerville) doveva essere l’ultima avventura del detective, e questa volta per davvero. Invece, i lettori si infuriarono ancora di più, perché avevano capito che quella soluzione era precaria e non avrebbe previsto un concreto ritorno. Serviva solo da contentino per sistemarli definitivamente. E così, nel 1903 Sherlock dovette necessariamente risorgere, una volta per tutte. E questa volta non sarebbe più morto.

Ora, la mia insegnante di storia mi ha sempre spiegato che dietro ad un effetto c’è sempre una causa. Come dire, se uno muore e poi risorge c’è sempre un motivo. Il problema – perché per gli studiosi e i fan è un problema – è che non si sa quale sia l’esatto motivo che ha spinto Arthur Conan Doyle a riportare in vita l’unico progetto della sua carriera letteraria e professionale che avesse concretamente avuto successo, senza nemmeno ricorrere alle sfere del drago. Io, col tempo, ho formulato due ipotesi:

1) Conan Doyle aveva architettato tutto fin dal principio, quel lontano 1893 in cui aveva spudoratamente messo fuori gioco Holmes nell’Ultima Avventura, al solo scopo di creare una sorta di (discutibile) analogia con un altro celebre personaggio, anch’egli morto e risorto, ma circa 1900 anni prima.

2) Conan Doyle, cedendo alle pressioni dei suoi ammiratori – o meglio, degli ammiratori di Sherlock Holmes – e del suo editore, visto e considerato che il pubblico, invece di dimenticare una volta per tutte il suo beniamino, glielo riportava puntualmente alla memoria proprio quando lui stesso stava per dimenticarsene, decise di tornare sui suoi passi e immergersi nuovamente nella letteratura d’appendice, come lui la chiamava. C’aveva provato, a scrivere qualcosa di diverso, di più impegnato. Aveva persino trovato il suo genere (le storie di guerra), ma non c’era niente da fare: Sherlock Holmes, sistematicamente, rispuntava fuori quando meno se l’aspettava. E dato che doveva comunque conviverci, anche dopo averlo ucciso, tanto valeva resuscitarlo. D'altra parte, è sempre più piacevole avere a che fare con i vivi.

La seconda ipotesi è ufficialmente quella più accreditata dagli studiosi e dagli esperti di tutto il mondo. Tuttavia, io la prima non la scarterei a priori.

Ad ogni modo, le avventure di Sherlock Holmes andarono avanti per svariati anni dopo la sua ufficiale ricomparsa. C’era sempre l’ispettore Lestrade, c’erano nuovi criminali, c’erano nuovi cadaveri. E poi, c’era John Watson. Per fortuna, bisogna aggiungere. Perché non si può parlare di Sherlock Holmes senza menzionare anche il suo fedele aiutante. Non si può immaginare Sherlock Holmes senza mettergli accanto Watson. Forse è una frase azzardata, ma Watson potrebbe essere ragionevolmente considerato il vero, principale motivo del successo di Sherlock Holmes, la sua salvezza.

La caratteristica più interessante di Watson è che racchiude in sé tre “personaggi" diversi: da un lato, è il dottore zoppicante che ha partecipato alla guerra in Afghanistan, coinquilino del nostro segugio, ma dall’altro rappresenta anche la personificazione del lettore. Watson è l’uomo medio, intelligente quanto basta, mondano quanto basta, intraprendente quanto basta, donnaiolo quanto basta, perfettamente borghese e moralista. E poi, è una sorta di alter ego di Doyle (il terzo personaggio), con il quale condivide la stessa professione ufficiale, l’età, la cultura e la provenienza sociale. È un uomo normale, il necessario tramite tra l’anticonvenzionale Holmes (l’outsider) e il lettore (l’individuo ordinario). Senza di lui, Sherlock Holmes rimarrebbe forse un mistero per chi legge, impenetrabile ed inarrivabile. Per questo la sua figura è tanto indispensabile.

Ed è proprio in questo che Watson, capostipite di tutti gli aiutanti del genere poliziesco, si distingue dai suoi analoghi successori. Un esempio su tutti: il capitano Arthur Hastings. Spalla di Poirot in molti racconti e diversi romanzi, Hastings è del tutto simile a Watson. Tuttavia, nelle storie in cui la Christie lascia il suo metodico investigatore da solo, spedendo Hastings in Argentina o dandogli un'altra pretestuosa sistemazione, non si avverte troppo la sua mancanza. O meglio, la sua assenza non compromette irrimediabilmente le sorti del romanzo. Senza nulla togliere ad Hastings, Poirot è, a differenza di Holmes, un personaggio che può esistere ed agire anche senza un aiutante specifico, perché, per quanto buffo e sorprendente possa essere, rimane sempre alla portata del lettore. L'investigatore creato da Conan Doyle, al contrario, ha sempre bisogno di un compagno, non solo per mettere in risalto il proprio acume, ma anche e soprattutto per comunicare con ciò che sta al di là del suo mondo. Holmes e Watson sono, pur nella loro estrema diversità, complementari.

Resta comunque un fatto che Sherlock Holmes sia uno dei primi detective a fare la sua comparsa nella letteratura poliziesca moderna – viene solo dopo Auguste Dupin, il personaggio nato dalla penna di Edgar Allan Poe, che tra l’altro ha ispirato Conan Doyle e tutte le successive generazioni di giallisti; per cui, tutti i fan del giallo e dell’horror dovrebbero essergli un po’ più riconoscenti – e nonostante tutto ancora oggi è il più famoso. Non esistono ometti dalle “celluline grigie”, vecchiette finte tonte, investigatori-gastronomi, minidetective giapponesi con gli occhiali o commissari passionali dal forte accento siculo in grado di rivaleggiare con lui in quanto a fama.

Disgraziatamente, non si può dire altrettanto di sir Arthur Conan Doyle, che, se già aveva perso una propria concreta identità per colpa del suo segugio, oggi è ormai sempre più un'identità sconosciuta. Come ho detto sopra, tutti sanno chi è Sherlock Holmes, non tutti da chi è stato inventato. Evidentemente, il destino voleva che Doyle rimanesse perennemente all'ombra della sua creazione, oggi come allora. Forse, se avesse potuto prevedere che un simile personaggio lo avrebbe eclissato diventando persino più famoso di lui, non si sarebbe mai permesso di concretizzare su carta il suo progetto. E Conan Doyle non se ne abbia troppo a male, se a nome di tutti gli appassionati del giallo ringrazio che il suo studio medico non abbia mai avuto tanto successo.

Gianluca Taddei
 
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