Ebbene sì… sono tornata! Con uno dei capitoli più importanti di tutta la mia chilometrica fanfiction
Immagino che vorrete bastonarmi dopo tutte queste settimane d’assenza
Lo so, ho fatto aspettare tanto rispetto agli ultimi standard nei quali avevo iniziato a rientrare, ma il tempo fugge e gli imprevisti sono sempre dietro l’angolo. Posso solo augurarmi di aver fatto un buon lavoro, perché questa parte della storia è importantissima, si può dire che il velo dell’oscurità viene finalmente squarciato
Non so se ho trovato le parole adatte per raccontare le situazioni con cui vi fronteggerete qui di seguito, perciò non escludo un eventuale perfezionamento di questo capitolo 27, non appena avrò buttato giù i prossimi. Spero comunque di aver reso giustizia ai passaggi fondamentali che vedono coinvolti i nostri personaggi… Ora vi lascio alla lettura, un bacio!
Capitolo 27Non è ancora finita
Quando Camel, fuori dalla villa, si accorse che Conan era sparito, si allontanò in fretta dagli alberi, decidendo di ritrovarlo e abbandonando la ricerca di Vermouth. Qualche istante dopo il grido di una donna squarciò il silenzio; l’agente dell’FBI corse allora verso la parte frontale dell’edificio, temendo che fosse successo qualcosa di grave.
“Ma guarda un po’, è arrivato anche l’altro” commentò Gin con un ghigno perfido. Era chiaro che fosse provato dalle ferite e dagli avvenimenti di quella sera, eppure aveva ancora abbastanza forza per reagire; evidentemente, quando Rena Mizunashi lo stava legando, si era ripreso ed era riuscito a strapparle dalla tasca la seconda pistola, quella che non sparava a salve ed era munita di silenziatore. Adesso la puntava contro la ex giornalista, tenendola ferma con un braccio. Davanti a loro Subaru Okiya aveva appena finito di legare Amuro, ancora privo di sensi.
“Niente mosse false o l’ammazzo” avvertì Gin, premendo la pistola contro il collo di Rena. “Dunque anche tu ci hai traditi, Kir… Ma bene! Sei peggio di quel verme schifoso di Bourbon”.
Camel fece un passo avanti. “Lasciala stare!” gridò.
Gin si limitò a sorridere spietatamente. “La vostra amica farà una brutta fine. È quello che si merita chi inganna l’Organizzazione… e lei ci ha ingannati per molto tempo…”
“No!” ruggì Camel stringendo la pistola. Fu allora che Gin cambiò bersaglio, puntando proprio contro di lui… e sparò. Camel cadde a terra, mentre Rena lanciava un altro urlo e Subaru sussultava, colto alla sprovvista… Tutto era avvenuto in un tempo così breve da non concedere a nessuno la possibilità di reagire.
Gin rise, una risata che metteva i brividi, ma non per questo si lasciò sfuggire Rena, che aveva cominciato a divincolarsi selvaggiamente. Le puntò la pistola alla tempia e si rivolse a Subaru: “Credevate di aver vinto, non è vero? Be’, vi siete sbagliati! Non è ancora finita”.
Rena s’immobilizzò, gli occhi azzurri pieni di angoscia; l’espressione di Subaru, invece, era indecifrabile.
“Credo che tu non sappia con chi hai a che fare, Gin” replicò tranquillamente lo studente d’Ingegneria. “E in ogni caso non ti servirà a nulla uccidere Rena e me: il tuo capo è stato rintracciato”.
“Cosa?” sbraitò Gin rabbioso. “Tu menti! Vi ammazzerò tutti!”
Nell’istante in cui terminava la frase, un oggetto lo colpì dritto in viso, schivando Subaru per un pelo. Rena ne approfittò per liberarsi e strappò la pistola a Gin, mentre lui si tamponava il naso sanguinante con il dorso della mano.
“Cosa diavolo…?” mormorò Subaru, voltandosi sconcertato. Dagli alberi a destra dell’edificio spuntò Ai Haibara, con il fiatone, diversi graffi sul viso, un vestitino marrone addosso e un solo mocassino al piede sinistro.
“Ciao, Gin” disse semplicemente.
“Tu… Non ci posso credere… Tu sei…?”
Mentre Ai incrociava le braccia sul petto, senza rispondere, Subaru tornò a guardare Gin, un sorrisetto soddisfatto sulle labbra.
“Non per niente è sua sorella… Ha la sua stessa determinazione quando si mette in gioco. Non è vero, mio carissimo mortale nemico?”
Gin impallidì. “Impossibile!”
Subaru estrasse una pistola stordente. “Non ti toglierò la vita, Gin, ma sarò felice di consegnarti. Fatti un bel sonnellino, intanto”.
“Takinori Miyano: è questo il nome del Boss dell’Organizzazione che tanto a lungo ti ha fatto penare. Un uomo senza scrupoli, che ha molte vite sulla coscienza e non ha mai pagato per i suoi crimini”.
Vermouth parlava con Conan, lentamente, il tono di voce profondo e lo sguardo determinato. Lui aveva tutta l’intenzione di rimanere impassibile, ma udendo quella rivelazione ebbe un sussulto.
“Miyano?” esclamò, sbattendo le palpebre. “Quindi…”
“È il fratello minore di Atsushi Miyano, padre di Sherry… Non che quella sciocchina l’abbia mai saputo” tenne a precisare Vermouth. Fece una breve pausa e sia lei che Conan poterono udire la voce poco rassicurante di Gin, proveniente da fuori. Il piccolo detective era preoccupato, sentiva che poteva succedere qualcosa di brutto da un momento all’altro, ma non riusciva ad andarsene: Vermouth gli stava finalmente raccontando i segreti più importanti dell’Organizzazione, quelli che lui cercava di portare alla luce da una vita… Si augurò con tutto il cuore che Subaru Okiya e Rena Mizunashi fossero in grado di superare, con la loro abilità e il loro sangue freddo, qualsiasi ostacolo avessero davanti.
La donna bionda accennò un sorriso ambiguo, intuendo il dilemma che attanagliava la mente del suo giovane interlocutore, e proseguì come se nulla fosse: “Takinori Miyano aveva commissionato a suo fratello e alla moglie di questi, Elena, il compito di creare una sostanza che prolungasse il periodo della giovinezza. Era il suo grande sogno da anni… e la cosa che ci unì, quando c’incontrammo. Entrambi desideravamo rimanere il più possibile nel pieno delle nostre facoltà mentali e forze fisiche, senza subire eccessivamente il logoramento portato dalla vecchiaia”.
“Perciò l’APTX…” esordì Conan, ma Vermouth lo interruppe: “L’APTX era già in fase di studio ai tempi in cui erano vivi i Miyano. Sherry ha proseguito le ricerche, creando alcuni campioni dopo aver perfezionato l’opera dei genitori; tuttavia, poiché lo scopo della sostanza era segreto e molti topi da laboratorio erano morti durante i test, alcuni membri dell’Organizzazione iniziarono a utilizzare l’APTX per commettere omicidi”.
“Tra cui Gin e Vodka” disse Conan. Avrebbe voluto aggiungere qualcos’altro, ma trasalì: aveva appena udito un tonfo, un secondo urlo di Rena Mizunashi e una risata spietata, che poteva appartenere solo a Gin. Doveva essere accaduto qualcosa… Si girò di scatto, poi tornò a guardare Vermouth, che sorrise di nuovo.
“Non riesci proprio a fidarti, vero? Pensi che io ti stia tenendo lontano per impedirti di aiutare i tuoi amici dell’FBI… o sei semplicemente convinto che nessuno possa cavarsela fino in fondo senza il tuo aiuto? Se così fosse dovresti imparare a essere un po’ meno egocentrico, non trovi?”
Conan serrò la bocca. Cosa doveva fare? Fuori Gin stava urlando che avrebbe ucciso tutti…
“Te lo ripeto, Silver Bullet: hai di fronte l’ultima occasione per interrogarmi. Dopo non ci sarà nessuno disposto a testimoniare… Vuoi ignorare quest’opportunità solo per una questione di arroganza? Sai bene che l’FBI è in vantaggio e che, con ogni probabilità, non ha alcun bisogno di te. A che scopo andare lì fuori?” insistette Vermouth, adottando uno strano tono giudizioso.
Conan continuava a tacere, concentrato sui rumori che venivano dall’esterno. Mentre Vermouth parlava aveva sentito un colpo secco, e subito dopo… No, non poteva essere! La voce di Ai?! Di sicuro la tensione gli stava giocando un brutto tiro, lei era al sicuro nel laboratorio del dottor Agasa, dove non c’era alcun indizio che potesse condurla fino al luogo dello scontro…
“Sai, Takinori desiderava fortemente che Sherry proseguisse le ricerche e portasse a termine il compito assegnato ai suoi genitori…” riprese Vermouth, il volto improvvisamente simile a una maschera imperturbabile. Conan, sebbene ancora combattuto, decise di restare ad ascoltarla almeno per un po’, così le rivolse un brusco cenno del capo, invitandola ad andare avanti col discorso. A dire il vero, lei lo stava già facendo… e non mostrò alcun segno di compiacimento di fronte alla decisione presa dal piccolo detective, quasi non le interessasse se le rimaneva accanto o meno. Come se, in fondo, la faccenda rappresentasse un vero problema soltanto per lui.
“Lo scopo di Sherry” cominciò a spiegare Vermouth “avrebbe dovuto riguardare altri studi. Tuttavia la costrinsero a occuparsi dell’APTX, dicendole giusto il minimo sull’importanza del progetto. Purtroppo, dopo la morte di sua sorella, quella maledetta fuggì… e le ricerche rimasero ferme. Non venne creato il farmaco che voleva Takinori e nessuno scoprì fino a che punto Sherry aveva perfezionato l’APTX”.
“Capisco. Se qualcuno l’avesse saputo, l’avreste trovata quasi subito” osservò Conan, riuscendo finalmente a parlare di nuovo.
Vermouth annuì, una mano ancora premuta sulla ferita al fianco, l’altra che stringeva il polso del piccolo detective. “Non è finita qui. Devi sapere che diciassette anni fa, prima che i Miyano morissero, Elena aveva creato un altro prototipo dell’APTX, molto più vicino alla sostanza desiderata da me e Takinori: un farmaco che rallentava l’invecchiamento cellulare. Era sperimentale, mai provato su una cavia umana, ma i test sugli animali si erano dimostrati incoraggianti, perciò il Boss ordinò a Elena di provarlo su un membro dell’Organizzazione di bassa lega, per verificarne gli effetti. Poco dopo i Miyano persero la vita nell’incidente avvenuto in uno dei nostri laboratori, assieme ad alcuni loro colleghi; perciò la cavia venne affidata a me, che ricevetti l’incarico di tenerla d’occhio. Trascorsero quasi nove anni e la cavia non dava alcun segno d’invecchiamento, così io e Takinori ci convincemmo che il farmaco di Elena funzionasse alla perfezione… Disgraziatamente i dati erano andati persi ed eravamo riusciti a salvare un solo campione della sostanza; decidemmo insieme chi doveva assumerlo e alla fine lo presi io”. Vermouth emise un sospiro, mentre la sua voce si faceva più fioca, riducendosi a un sussurro. Conan ascoltava con le orecchie tese e lo sguardo serio, pronto a captare qualunque altro segnale sospetto potesse venire dall’esterno, ma ormai fuori dalla villa sembrava essere calato il silenzio.
“Eravamo convinti di aver fatto la cosa giusta” ammise Vermouth, “ma qualche mese dopo la cavia si ammalò inspiegabilmente… e morì. Attraverso alcuni esami approfonditi, ci rendemmo conto che il farmaco di Elena poteva generare questo effetto collaterale, perciò chiedemmo ai migliori scienziati dell’Organizzazione di prendere in mano le ricerche. Tuttavia dovemmo rassegnarci a ricominciare dagli studi svolti da Elena assieme al marito, cioè i primi; come ho già detto, i dati relativi al farmaco che io avevo assunto erano andati completamente persi. È per questo che, quando Sherry fu abbastanza grande e preparata, non riuscì a ricreare la sostanza di sua madre ma solo l’APTX che conosciamo adesso… Un risultato ben lontano, ancora, da quello che era il nostro scopo”.
“E gli altri scienziati? Nessuno ce la fece?” chiese Conan.
Vermouth scosse la testa. “No. Il traguardo più importante lo raggiunse proprio Sherry, ma ti ripeto che nessuno riuscì a scoprirlo… almeno finché io non mi misi sulle sue tracce. Da quando ero tornata in Giappone e avevo scoperto che lei era fuggita, desideravo ardentemente trovarla. Trovarla e ucciderla, per vendicarmi di Elena. A causa di quel suo maledetto farmaco, infatti, sono destinata a una morte precoce” confessò Vermouth in un bisbiglio cupo.
“Ma certo. Sono passati circa otto anni da quando l’hai assunto” calcolò Conan. “E la cavia è morta dopo nove…”
“Già”.
“Però Elena non aveva nessuna colpa. Vuoi rendertene conto? Né lei né Shiho ti hanno mai chiesto di testare la sostanza su di te…”
“Non m’importa!” ringhiò Vermouth tossendo. “Se Elena non l’avesse creata… o se fosse stata più attenta, quel giorno dell’incidente nel laboratorio…” Si bloccò, sforzandosi di respirare con calma, e riprese con voce roca: “Quando scoprii cos’era successo a Sherry, ponderai per un attimo la possibilità di lasciarla in vita per ‘studiarla’, ma mi resi conto che volevo eliminarla a tutti i costi. D’altra parte mi restava una seconda opportunità, visto che colui che stava proteggendo Sherry era nelle sue stesse condizioni”.
Conan capì che si stava riferendo a lui e fece per aprir bocca, però decise di restare in silenzio, ansioso di ascoltare il resto. Vermouth abbozzò un altro dei suoi sorrisi difficili da decifrare.
“Takinori avrebbe certamente preferito togliere di mezzo un possibile Silver Bullet piuttosto che lasciarlo in vita… Per questo motivo mi rifiutai di rivelargli il segreto di Sherry. Ero sicura che, dovendo scegliere fa i due, avrebbe optato per tenere in vita lei e io non potevo permetterlo assolutamente”.
“Qual è stata la sua reazione dopo la presunta morte di Sherry sul treno?” volle sapere Conan.
“Ha detto che capiva il mio desiderio di vendetta, anche se avrebbe voluto che la lasciassi viva. Del resto, mi ha sempre concesso parecchia libertà” rispose Vermouth.
“Capisco. E Suguru Itakura, invece? Cosa c’era in quel software che gli avevi commissionato?” domandò Conan improvvisamente.
“Be’, Itakura non era solo un ingegnere programmatore: stava facendo alcuni studi sulla proliferazione delle cellule nel corpo umano. Volevo vedere i progressi delle sue ricerche, così… gli ho chiesto di fornirci un CD con tutti i risultati dei suoi studi. Ho coinvolto Gin e Vodka, su ordine del nostro Boss, ma loro non conoscevano il contenuto di quel disco”. Vermouth abbassò un attimo la testa e tacque, sempre più pallida in volto.
Conan aggrottò la fronte. “Sei sicura che stai per morire? Non sei arrivata al nono anno e non ti hanno sparata in nessun punto vitale… Ti salverai, se vieni curata al più presto”.
La donna scoppiò a ridere sonoramente e la sua risata si mescolò a un altro attacco di tosse. “Tu vuoi salvarmi?” domandò poi, quasi divertita.
“Non sono come voi assassini” replicò il piccolo detective con decisione. “Per questo non ti lascerei mai morire, se potessi evitarlo… Una vita è una vita e tu devi saldare il debito che hai nei confronti della giustizia”.
“Quanta nobiltà d’animo… Be’, non posso dire di essere sorpresa da questa risposta” commentò Vermouth. “Ho sempre saputo che sei una persona molto ostinata, disposta a tutto pur di portare avanti certi ideali; la tua assurda convinzione di preservare qualunque vita, addirittura quella dei tuoi nemici… mi ha colpita sin da quando ti ho incontrato”.
Conan rimase zitto, lo sguardo ancora serio. Non sembrava toccato in alcun modo da quelle affermazioni.
“Sei abile e intelligente, mio caro” lo adulò Vermouth, “tanto da poter arrivare a distruggerci. Nello stesso tempo, però, sei terribilmente ingenuo… e non te ne rendi conto”.
Stavolta Conan parve infastidito. “A che ti riferisci?”
“Ti ho fornito un mucchio d’informazioni e tu hai potuto registrarle con il tuo dispositivo. Ti ho rivelato la mia storia e quella di Takinori Miyano. Eppure… tutto ciò non è stato fatto senza ragione. Ogni azione ha il suo prezzo, non credi?”
“Cosa…?”
“Sei arrivato troppo in là, Silver Bullet”. Vermouth strinse saldamente il polso sinistro di Conan, serrando le dita attorno al suo orologio spara-aghi; una presa davvero troppo solida per una donna che aveva dichiarato di essere in punto di morte. “Il nono anno non è ancora arrivato, proprio come hai detto tu… e senza la tua registrazione la polizia non riuscirà a dimostrare che Takinori ha commesso dei reati. Certo, potrebbe tenerlo in prigione e intanto avviare delle ricerche, ma dubito che verrà a galla qualcosa. L’Organizzazione non lascia mai tracce quando si sporca le mani e lui, già prima di fondarla, conosceva perfettamente questo precetto e sapeva come applicarlo”. Con uno scatto repentino, Vermouth estrasse dallo stivale nero una pistola munita di silenziatore a la puntò al cuore di Conan. “Credevi che io fossi disarmata, Silver Bullet?”
Maledizione! Ero convinto di sì, altrimenti avrebbe cercato di uccidermi prima, pensò il piccolo detective stringendo i denti.
A quanto pare ha previsto i miei ragionamenti e mi ha teso una trappola…“Giocare con te è stata una delle cose più eccitanti che mi siano capitate, ma ora è finita e non c’è più spazio per la pietà né per le frivolezze. Addio… mio caro Silver Bullet”.
“NO!”
Una figura slanciata entrò fulminea dalla porta laterale, i capelli in disordine che svolazzavano attorno al viso, e afferrò Conan per un braccio, cercando di tirarlo via; il proiettile di Vermouth lo colpì all’addome e lui cadde sul fianco destro, sanguinante ma ancora vivo. Per la sorpresa, la donna gli lasciò andare il polso.
“Angel” esordì poi, sollevando lo sguardo. “Sempre al momento sbagliato”.
“Se lo uccidi dovrai uccidere prima me!” gridò Ran parandosi davanti a Conan. “Hai capito?!”
“Spostati subito, prima che io perda la pazienza” ordinò Vermouth imperiosa, alzando la pistola.
Da dietro, Conan si aggrappò all’orlo dei pantaloni di Ran.
Cosa ci fa lei qui? Come ha scoperto dove mi trovavo?!“V-vattene…” mormorò, premendosi una mano sullo stomaco, la parte del corpo perforata dal proiettile che bruciava insopportabilmente.
Vermouth rise. “Tieni molto a lei, non è vero? Angel, ti consiglio di dare retta al tuo amichetto, se non vuoi fare una brutta fine…”
Non posso permettere che la tocchino… Non posso!, si disse Conan disperato. “Ran, allontanati!” urlò con tutto il fiato che aveva in gola, mentre la ferita gli infliggeva una fitta di dolore ancora più forte. Ma Ran non si spostò… e fu in quell’istante che Masumi Sera piombò con gran clamore nella stanza, dalla finestra usata precedentemente dall’agente Camel per entrare e da Amuro per uscire.
“Tu…!” Vermouth fece a stento in tempo a parlare: ricevette un violento colpo allo stomaco da parte di Ran, che subito dopo le strappò la pistola e la lanciò a Masumi.
La giovane investigatrice la afferrò al volo, un enorme sorriso stampato in faccia. “È finita” dichiarò. “Arrenditi”.
“Non avrei saputo dirlo meglio” approvò Subaru Okiya, spalancando la porta principale. Dietro di lui fece capolino Rena Mizunashi ed entrambi si avvicinarono a Vermouth, tirandola in piedi bruscamente.
Ran s’inginocchiò accanto a Conan e gli accarezzò i capelli. “Stai tranquillo, ti porto subito in ospedale” disse, la voce che tremava lievemente.
Masumi, invece, si accostò a Vermouth e la guardò negli occhi con aria di sfida. “Come vedi, è stato un errore cercare di attirarmi nella tua trappola…” sussurrò.
“Taci” sibilò la donna, il volto contratto. “Sei contenta di avermi guastato la festa assieme a Angel, eh? Per quanto riguarda quel ragazzo… Sapevo che avrebbe ordito uno dei suoi piani, senza lasciarsi cogliere totalmente impreparato da Bourbon. Sapevo che sarebbe arrivato fin qui. E credevo di potermene servire… infatti sono stata troppo tenera con lui”.
“Be’, io direi di finirla con le chiacchiere” s’intromise Subaru in tono spiccio. “Portiamola fuori e carichiamo anche lei sull’auto, assieme a Gin, Bourbon e Vodka” soggiunse accennando a Vermouth.
“E che facciamo con Camel?” domandò Rena, mentre usciva dalla porta scortando Subaru. “Non possiamo lasciarlo qui… Merita una degna sepoltura”.
Lo studente d’Ingegneria sospirò. “Certo. È stato impulsivo… ma ci ha aiutati davvero tanto. Quando l’ho portato via dalla casa era mezzo stordito e ho temuto che avesse inalato troppo gas tossico… invece si era ripreso perfettamente. Non mi aspettavo che ci lasciasse poco dopo”.
“È stata colpa mia”. Rena tirò su col naso, afflitta. “Se avessi fatto più attenzione, mentre stavo legando Gin… Non mi ero proprio accorta che avesse ripreso i sensi”.
“Non preoccuparti” tentò di consolarla Subaru. “Camel è morto coraggiosamente sul campo di battaglia, l’FBI non lo dimenticherà. Ah, fra l’altro dobbiamo ringraziare questa signorina”. Sorrise ad Ai, che era a braccia conserte accanto all’ingresso.
“Sherry”. Vermouth sputò per terra con rabbia. “Alla fine sei venuta, eh?”
Ai non rispose. Si limitò a guardare Rena e Subaru che portavano lontano, oltre il vecchio cancello arrugginito della villa, quella donna che tanto a lungo l’aveva terrorizzata.
Masumi era in piedi, la spalla premuta contro la parete adiacente alla porta d’entrata. Seguì con gli occhi Vermouth che veniva trascinata via da Subaru Okiya e dalla sua amica coi capelli scuri, ripensando al giorno in cui si erano incontrate, alle cose che quella criminale le aveva raccontato, al raggiro che aveva cercato di mettere su, ai continui riferimenti a Shuichi. Come si era presa gioco del suo dolore per la scomparsa del fratello! Ma adesso la giustizia avrebbe seguito il proprio corso e quella malefica ingannatrice sarebbe stata punita per tutto ciò che aveva fatto… anche se, probabilmente, la morte di Shuichi era una realtà da accettare, ormai.
Perché te ne sei andato? Perché ti sei lasciato uccidere? È stata davvero lei o no?Le lacrime premevano per uscire, eppure Masumi non voleva piangere, non lì. Non per suo fratello…
“Sera?”
La ragazza trasalì, voltandosi indietro. Ran l’aveva appena chiamata, la voce carica d’ansia e gli occhi lucidi di preoccupazione. Stava armeggiando con la cerniera del giubbotto di Conan, ancora steso sul pavimento dopo il colpo di pistola ricevuto da Vermouth.
“Fa’ vedere” esclamò Masumi rapida, inginocchiandosi a sua volta accanto al ferito. “Forse possiamo intervenire per bloccare temporaneamente l’emorragia…”
“Attenzione” intervenne Conan in un debole bisbiglio. “Ho addosso… un dispositivo d’intercettazione…” Spiegò alle due ragazze come toglierlo senza creare danni e loro eseguirono, maneggiando l’apparecchio con cura.
“Accidenti, che roba! Sei stato fortunato, pensa se la pallottola beccava qualche filo!” commentò Masumi, quasi impressionata. “Adesso però badiamo alla fasciatura, non possiamo portarti all’ospedale senza arrestare un minimo la perdita di sangue… Ce la fai a darmi una mano, Ran?”
“Certo. Tutto quello che sarà necessario” promise l’interpellata con espressione decisa.
“Perfetto”. Dentro di sé, Masumi si augurò che la vista del sangue non rischiasse di sconvolgere l’amica, ma non espresse i propri dubbi sull’autocontrollo di Ran in quella situazione e si affettò a liberarsi della giacca che portava; dopodiché si tolse la camicia e la strappò in diverse strisce di tessuto, rimanendo solo con una canottiera nera.
“Ecco il bendaggio!” annunciò con un sorriso, nonostante si rendesse conto che nessuno aveva voglia di ridere.
“Dammi, faccio io” la sorprese Ran inaspettatamente. “Tu dimmi se va bene… e mettiti la testa di Conan sulle gambe, il pavimento è freddo”.
“Oh… d’accordo” accondiscese Masumi, ubbidendo. Era chiaro che Ran aveva più sangue freddo di quanto si potesse credere… Lei la assistette per tutto il tempo, fornendole giusto qualche dritta, finché la fasciatura non fu pronta.
“Hai due mani d’oro, sei stata bravissima! Adesso telefona a casa Kudo per avvisare che siamo sani e salvi, io intanto prendo in braccio il nostro malato e lo accompagno fino all’auto del professore” propose Masumi alla fine.
Ran annuì. Conan, da parte sua, si rassegnò ad accettare il corso degli eventi, sebbene non amasse affatto essere trattato come un moccioso… e fu così che lui e Masumi s’imbatterono in Ai Haibara, rimasta accanto all’ingresso a fissare l’orizzonte.
“Dunque ci hai seguiti” osservò Masumi in tono serio, rivolgendosi alla piccola scienziata. “Be’, lo immaginavo”.
“Solite brutte abitudini” bofonchiò Conan. “Io non volevo che…”
“Bada a te, ficcanaso” lo ammonì Ai con una smorfia. “Piuttosto, cos’è quel sangue?”
“Ha bisogno di cure, gli hanno sparato” spiegò Masumi. “Lo porto alla macchina e…” Le sue parole vennero coperte per metà dal grido di una ragazza e Conan prese a divincolarsi.
“È Ran! Accidenti…”
“Stai buono! Dove pensi di andare ridotto così?” rimbeccò Masumi. “Caspita, è una bella impresa tenerti fermo…”
“Vado io” si offrì Ai asciutta. “Sono sicura che non le è successo niente di grave, non c’è più nessuno in giro”. Corse verso la direzione da cui era venuto l’urlo, con un’agilità sorprendente per una persona con una scarpa sola, e trovò Ran in ginocchio fra gli alberi che si massaggiava una caviglia.
“A-Ai?! Cosa ci fai qua?” esclamò sbalordita la ragazza.
“Non ha importanza, ora. Che ti è successo, sei caduta?”
“Sì, purtroppo mentre uscivo da lì” – Ran indicò la porta a vetri della villa – “e parlavo al cellulare, sono scivolata e mi sono storta un piede”.
“Pronto, Ran? Va tutto bene?” Una voce femminile concitata proveniva dal telefonino caduto nell’erba. Ai lo raccolse in silenzio e lo consegnò alla sua proprietaria.
“Ran?”
“Signora, sono ancora qui” garantì lei. “La richiamerò per aggiornarla sulle novità, adesso devo andare. Sì, a presto”. Ran riattaccò e scosse la testa, sfinita. “Santo Cielo, che serata! Mi sento come se fossi stata per ore dentro un frullatore…” Si volse verso Ai con un sorriso luminoso. “Come hai fatto a trovarci?”
“Mi sono infilata nel portabagagli del maggiolino del professore” rispose Ai e, quasi suo malgrado, gli angoli della bocca le si piegarono all’insù.
“Mi sa che ti ho dato il cattivo esempio” sospirò Ran. “D’altro canto, se le persone a cui vogliamo bene sono in pericolo, è difficile starsene in disparte”.
Ai scrollò le spalle. “Andiamo? Ti aiuto”. Tese la mano e Ran la afferrò, appoggiandosi con l’altra al terreno per riuscire ad alzarsi. In quel momento provarono entrambe uno straordinario senso di vicinanza, proprio come quella notte al molo, quando erano state a un passo dalla morte e avevano perso conoscenza rimanendo abbracciate.
NB! Mi pare che l’età precisa di Akemi Miyano non venga specificata in DC… Io ho ipotizzato che fosse morta a 23 anni e, dato che si sa per certo che quando era intorno ai sei anni i suoi genitori erano ancora vivi, ho collocato l’incidente nel laboratorio dei Miyano a circa 17 anni di distanza dal rimpicciolimento di Shinichi (cioè quando Shiho aveva solo un anno).
Edited by Neiro Sonoda - 3/8/2015, 11:41