Detective Conan Forum

Reduci, Cos'è successo dopo il Mystery Train?

« Older   Newer »
  Share  
marty shin×ran
view post Posted on 24/4/2015, 00:46     +1   -1




Ciao Neiro, non so perché non mi faceva mandare un messaggio personale, perciò scrivo qui.
Come canzone ti piace anche"Benedetta passione?"^^
 
Top
Neiro Sonoda
view post Posted on 24/4/2015, 22:17     +1   -1




Avevo la casella mp piena, ora sto cercando di svuotarla^^
La canzone di cui parli non mi dispiace, d'altronde Laura riesce bene o male a piacermi sempre... quindi hai il via libera ;) :D

Andando al resto... ho il capitolo 25 pronto, ma sono stanca e credo che lo posterò domattina Ringrazio come sempre le mie fedeli lettrici Non temete, tutte le domande che vi frullano in testa avranno pian piano risposta :)


P.S. Francy, non dovevi cambiare nick! Scherzo... so che Loro sono sempre nel tuo cuore (e nel tuo avatar!...)
Ah, se non sei ancora stata nel topic della mia posta te lo consiglio, perché ho risposto anche alla tua domanda :) e ovviamente puoi ribattermi tutto quello che vuoi, in proposito.
 
Top
Neiro Sonoda
view post Posted on 25/4/2015, 09:08     +1   -1




Doppio aggiornamento stamattina, se tutto va bene… Iniziamo col capitolo 25, dove l’azione e l’adrenalina spadroneggiano :D
A fine pagina c’è una piantina del primo piano della villetta in cui si trovano i personaggi, giusto per farvi un’idea più precisa di com’è costituito il “teatro” dello scontro finale.
Buona lettura!




Capitolo 25
Giù la maschera


“Non è Sherry?” Amuro ripeté l’ultima frase di Gin, poi scoppiò in una risata incredula, che rimbombò nell’intera stanza. “Non sai quello che dici, Gin” accusò. “Io non parlo tanto per parlare… Non mi sarei mai inventato una cosa del genere”.
“Ma davvero? E se ti dicessi che non ti credo, Bourbon?”
“Saresti uno sciocco” ribatté Amuro con decisione. “Non capisci che l’unico motivo per cui nessuno ce l’ha fatta a catturare Sherry è che lei si nascondeva dietro le sembianze di questa mocciosa? Dev’essere così che è riuscita a fuggire, dopo che l’avevate incatenata… altrimenti come avrebbe potuto?”
Gin sogghignò. “Ti credi molto furbo, Bourbon” replicò in tono di derisione. “Purtroppo per te, c’è ancora molto che devi imparare”.
“Ah sì? A me pare che, senza il mio contributo, sareste ancora tutti convinti che Sherry fosse morta”.
Per tutta risposta, Gin s’infilò le mani in tasca. Vodka, ansioso, spostava la testa di qua e di là, fissando alternativamente i presenti, mentre la finta bambina rimaneva immobile, senza osare sottrarsi alla presa di Amuro.
“Sono certo che la situazione si chiarirà” riprese questi con tono saputo. “Non dubiterete più delle mie affermazioni… Comunque immagino che, a questo punto, preferiate aspettare Vermouth e vedere cos’ha da dirci”.
Gin non confermò né smentì, ma Amuro non insistette. Il suo momento di gloria stava per arrivare, ne era convinto… così com’era vicina la disfatta di Vermouth. Non doveva fare altro che attendere.
Finalmente, qualche minuto più tardi, la donna in questione varcò l’ingresso della villa. Portava una tuta nera super attillata, con stivali dello stesso colore alti quasi fino al ginocchio e una pistola appesa alla cintura; la cerniera, tenuta volutamente un po’ abbassata sul davanti, dava vita a una scollatura esagerata, e i lunghi capelli chiari sciolti completavano il quadro, in magnifico contrasto con il colore scuro degli indumenti. L’attraente bionda avanzò nella stanza con passo elegante e sicuro, una mano appoggiata sul fianco e un sorriso stampato sulle labbra vermiglie, seguita da una seconda donna, bruna, a sua volta vestita di scuro e affascinante, ma meno provocante nei modi e nell’abbigliamento.
“Kir, ci sei anche tu” constatò Gin senza scomporsi, mentre Amuro e Vodka si limitavano a un semplice cenno. “Bene”.
“Vermouth mi aveva accompagnata in moto a svolgere un lavoretto ed eravamo insieme quando le è arrivata la telefonata” spiegò la ex presentatrice televisiva, nota con il nome di Rena Mizunashi e rientrata nell’Organizzazione da poco. Le sue iridi azzurro vivo vagarono per la stanza, soffermandosi a lungo su Amuro. “Chi è quella bambina?” domandò, chiudendosi la porta alle spalle.
“È per questo che siamo qui” decretò Amuro, quasi con solennità. “Ho appena catturato Sherry che, riuscendo a ringiovanire di circa dieci anni, ci è sfuggita e ci ha ingannati per tutto il tempo”.
Rena sbarrò gli occhi, presa in contropiede. Vermouth invece non disse nulla, rimanendo impassibile.
“Gin non mi crede” continuò Amuro, “ma come prima cosa basterebbe fare un confronto con una fotografia di qualche anno fa, che ritrae Sherry… Di sicuro risulterà praticamente identica”.
Rena avanzò a grandi passi nel soggiorno-cucina impolverato, mettendosi al fianco di Gin. “È vero quello che dice Bourbon?” gli chiese. “Abbiamo qualche prova sottomano?”
“Come mai siete tutti così diffidenti?” Amuro assunse un’espressione dura. “Credete che sia venuto fin qui con una marmocchia sconosciuta tanto per stuzzicarvi un po’? Questa è Sherry, ve l’assicuro. Ho piazzato delle microspie nella casa dove vive e l’ho sentita parlare chiaramente della sua falsa morte, inscenata sul Bell Tree Express qualche settimana fa”.
“Il ragionamento non fa una grinza” disse Gin beffardo. “Che ne pensate voialtri?”
“Sarete costretti ad accettare che ho ragione, non appena il nostro Boss sarà informato” affermò Amuro. Estrasse una pistola e la puntò contro il suo ostaggio. “Avanti, Sherry, confessa come sei riuscita ad assumere questo aspetto. Immagino che tutti vogliamo saperlo”.
La finta bambina scosse il capo. “Non dirò un bel niente”.
“Stai cercando di fare la coraggiosa, eh?”
“E tu invece stai sprecando il tuo tempo” intervenne Gin, avvicinandosi al ‘collega’.
“Senti un po’, io…” Amuro trasalì e s’interruppe: l’uomo coi capelli lunghi aveva appena estratto la pistola e mirava senza esitazione alla sua testa.
“Metti giù l’arma, Bourbon. O preferisci che ti buchi il cervello con una pallottola?”
Amuro strinse i denti. “Che cos’è questa storia?”
“Hai giusto un paio di secondi per decidere di salvarti la pelle” lo avvisò Gin, usando un tono soave che faceva venire i brividi. Il suo indice era già pronto sul grilletto e nessuno degli altri Uomini in Nero osava fiatare, mentre Amuro si trovava chiaramente in difficoltà. Mollò la pistola sul pavimento con un gesto stizzito e Gin la raccolse con mossa fulminea, soddisfatto.
“Ottima scelta, Bourbon. È arrivato il momento della resa dei conti, direi”.
Kir e Vodka sembravano in attesa di ordini; Vermouth, a braccia conserte, si godeva l’umiliazione di Amuro, che tuttavia non era intenzionato a cedere tanto facilmente. Strinse convulsamente le mani attorno alle spalle della finta bambina davanti a lui e obiettò, fissando Gin con espressione spavalda: “Non puoi uccidermi. Sono un membro dell’Organizzazione da anni e tu non prenderesti mai una decisione così drastica senza il consenso del nostro Boss. Per di più, so tante cose che tu non sai”.
“Veramente?” Le labbra sottili di Gin si incresparono in un ghigno perfido. “Sei convinto di potermi mettere i piedi in testa? Be’, ti sbagli”.
Un attimo solo e il proiettile partì.

Un’esplosione di dolore lancinante alla spalla destra la colse del tutto alla sprovvista e subito capì che le cose si stavano mettendo male: non sarebbe stato facile uscire indenne da quella situazione e rigirarla a proprio favore. L’unica certezza era che Gin non si sarebbe limitato a prendersela con Bourbon e dunque urgeva prepararsi ad altri attacchi… Il sangue intanto colava sgradevolmente dalla ferita, che bruciava in maniera fastidiosa.
“Che significa questo, Gin?” ansimò Vermouth, tenendosi la spalla. A pochi passi da lei, Vodka ricevette un segnale e tirò fuori la sua arma, puntandola contro uno sbalordito Tooru Amuro. Gin, che si era voltato in direzione di Vermouth giusto un secondo prima di spararle a sorpresa, con una delle due pistole che portava, sorrise con malvagità.
“Il gioco è finito, Vermouth” proclamò. “Tu e Bourbon avete i minuti contati: parlate, o sarà peggio per voi”. Mise in tasca la seconda pistola e si rivolse perentorio a Rena Mizunashi: “Kir, prendi la ragazzina”.
“D’accordo, Gin”. La ex giornalista si avvicinò ad Amuro e strappò bruscamente la finta bambina alla sua stretta, intanto che Vodka continuava a tenerlo sotto tiro. “Buona piccola” ammonì con durezza.
Vermouth arretrò fino all’uscita laterale, la mano premuta sulla ferita sanguinante. Non osava cercare di sparare a sua volta: nella situazione in cui si trovava, Gin l’avrebbe certamente preceduta. “Cos’hai intenzione di fare?” sbottò, scoccandogli uno sguardo di sfida.
“Quello che avrei dovuto mettere in atto molto tempo fa” ribatté lui. “A lungo hai fatto quello che hai voluto ed è giunto il momento di darci un taglio”. Prima che la donna potesse agire in qualsiasi maniera, Gin le aveva già sparato un’altra volta. E ancora. Ben presto la tuta aderente di Vermouth fu costellata di macchie rosso scuro e lei crollò a terra, dolorante e semi-incosciente.
“Questo è ciò che si merita chi tenta d’imbrogliarmi” sentenziò Gin spietato. “Ora…” Si voltò di nuovo verso Amuro, avvicinandosi talmente a lui da poter percepire il suo respiro sul volto.
“Che cosa vuoi? Io non sono complice di Vermouth…” tentò il biondo, ma Gin scoppiò a ridere.
“Raccontalo a qualcun altro” lo schernì, assestandogli un colpo in testa con l’impugnatura della pistola. Amuro si afflosciò sul pavimento, privo di sensi.
“Che si fa ora?” domandò Rena, estraendo la propria arma dalla tasca della tuta e trattenendo i movimenti della ragazzina dai capelli biondo-rame.
“È semplice. Vodka, vai in macchina a recuperare il nastro adesivo telato e poi lega Bourbon. Quanto a noi, Kir…” – Gin diede le spalle alla porta d’ingresso e mirò alla fronte della finta bambina, senza smettere di sorridere in maniera inquietante – “ci occuperemo di un certo lavoretto”. Si accinse a premere il grilletto, ma non ci riuscì: un uomo corpulento, coi capelli scuri un po’ lunghi, il naso ricurvo e la mascella pronunciata, piombò agilmente nella stanza attraverso la finestra più grande, e a quel punto Gin si girò verso di lui, rivolgendogli un’occhiata colma di disprezzo.
“L’FBI… Proprio come immaginavo”.
“Gettate le armi!” comandò Andre Camel imperioso, la pistola saldamente stretta in mano.
Gin rise in maniera diabolica. “Suppongo che un tuo compare là fuori abbia catturato Vodka, che è appena uscito” disse a Camel. Si spostò alla sinistra di Rena Mizunashi, continuando a tenere sotto tiro la sua ‘preda’. “Che ne dici, se faccio un trattamento speciale al cervello di questa mocciosa? Sapevo che era soltanto un’esca per metterci l’FBI alle calcagna… Mossa decisamente stupida, anche se di sicuro avrà registrato tutte le nostre conversazioni con qualche dispositivo nascosto sotto il giubbotto”.
“Non le farai del male…” cominciò Camel infervorato, ma le sue parole furono soffocate dal rombo di uno sparo: una pallottola colpì Gin al braccio sinistro, costringendolo a mollare la pistola. Con un ruggito rauco, lui si voltò e vide Amuro, che reggeva un revolver e glielo puntava contro. Senza che nessuno se ne accorgesse, era strisciato verso il corpo esanime di Vermouth e le aveva sottratto l’arma che portava alla cintura; probabilmente aveva solo finto di essere svenuto.
Prima che Gin potesse recuperare la sua pistola, la ragazzina dai capelli biondo-rame l’aveva già fatta volare via con un calcio, spedendola fino alla soglia d’ingresso. Ringhiando, Gin fece per estrarre la seconda; Amuro lo colpì subito alla mano, seppure di striscio. Rena Mizunashi cercò d’intervenire, ma il suo collo venne centrato da un ago narcotizzante e lei si accasciò sul pavimento… Tutti i presenti si voltarono istintivamente nella sua direzione e videro che la presunta Sherry aveva assunto un’espressione fiera e spavalda.
“Che ne pensi delle mie armi, Gin? Non mi sono limitata ad allearmi con l’FBI” affermò, senza mostrare più alcun segno di paura.
Gin non parve minimamente impressionato e sputò per terra, ansimando per il dolore pungente al braccio. “Cos’è, pensi d’ingannarmi? Tu non sei Sherry, lo so bene”.
“C’è soltanto una persona che possa dimostrare la verità” s’intromise Amuro. “Non è così, Gin?”
“Taci!” sbraitò lui. Con mossa fulminea riuscì a estrarre la seconda pistola, usando la mano destra; fece partire un proiettile nello stesso istante in cui l’agente Camel premeva il grilletto. I due spari si unirono in un solo rumore assordante e, in quel momento, una nuvola di gas tossico si sparse per tutta la stanza.
“Cosa diavolo…?” esclamarono Gin e Amuro all’unisono. L’aria divenne irrespirabile in pochi secondi e l’agente Camel crollò a terra con un tonfo, mentre gli altri tossivano copiosamente.
“Maledizione!” imprecò Amuro. Non riusciva a vedere a un palmo dal naso… Trovò la finestra più grande e la scavalcò in tutta fretta, tenendo in bocca il revolver. Gin, sputacchiando saliva, riuscì a uscire poco dopo dalla porta principale, reggendosi il braccio sinistro sanguinante, e si guardò subito attorno in cerca di possibili superstiti. Fu allora che Amuro gli piombò davanti col fiatone, l’arma sottratta a Vermouth stretta in mano.
“Ancora tu!” ringhiò Gin furioso. “Maledetto il giorno in cui ti abbiamo assoldato… Meriti soltanto la morte!”
“Non mi sono alleato con l’FBI, se è questo che credi” sottolineò Amuro. “E quel che è successo è unicamente colpa tua. Avevo catturato Sherry ed ero pronto a consegnartela, per guadagnarmi una posizione più alta nella gerarchia dell’Organizzazione e farvi capire finalmente di che pasta è fatta Vermouth, ma…” Amuro si zittì all’improvviso, il suo atteggiamento arrogante sembrò svanire e il suo volto sbiancò.
Ha ragione Gin! Quella non è Sherry!, pensò, un lampo di comprensione che gli balenava nel cervello. Troppo tardi: Gin ne approfittò per fargli volare via il revolver con un colpo ben assestato del braccio destro, poi gli puntò la pistola alla tempia.
“Addio, Bourbon” ghignò, preparandosi a sparare. Nemmeno stavolta riuscì a premere il grilletto: un pallone da calcio lo centrò sulla nuca, sgonfiandosi subito dopo, e Gin cadde a faccia in giù sulla ghiaia del vialetto, mentre Amuro si scostava appena in tempo.
“Salve”. La ragazzina dai capelli biondo-rame rivolse un cenno all’ex cameriere del Poirot, le scarpe da ginnastica che sprizzavano scintille.
Amuro sorrise, chinandosi a strappare la pistola dalla mano di un Gin ormai privo di sensi. “Come mai questo improvviso salvataggio?”
L’unica replica fu una scrollata di spalle.
“Scambio di favori, eh? Molto carino da parte tua. In effetti, io ti ho dato una mano prima” commentò Amuro accondiscendente, allontanando il corpo di Gin per poi alzarsi in piedi. “E non solo… Vero, Conan Edogawa?”
Nessuna risposta di nessun tipo, stavolta. Il sorriso di Amuro si allargò.
“Sei tu, ragazzino. Di’ la verità. Oh, anche se non la dici… io ormai l’ho capito, sai. Avrei dovuto immaginare che c’eri tu dietro tutta questa storia e che avevi scoperto le mie microspie; purtroppo ci sono arrivato solo poc’anzi”.
Silenzio.
“Sei in debito con me” riprese Amuro con fermezza. “Ho impedito che Gin ti freddasse e settimane fa ho portato in salvo la tua amichetta. A quest’ora è molto probabile che non sarebbe stata più in questo mondo, se non fossi intervenuto io”.
“L’hai salvata solo perché ti faceva comodo” replicò Conan a denti stretti, sempre con la voce di Ai Haibara.
Amuro lo ignorò. “E ti ho aiutato anche durante una certa rapina alla Teito Bank, tempo fa… Magari non te lo ricordi, però è così”.
“Oh, davvero?” ribatté Conan in tono di sfida. “Non so di cosa tu stia parlando”.
“Piantala di fingere”. Amuro alzò la pistola, puntandola alla fronte del piccolo detective. “In ogni caso, mi sono stancato di averti attorno, mio giovane ficcanaso. Ammetto che studiarti è interessante e mi piacerebbe sapere cosa nascondi, ma hai scoperto fin troppe cose ed è giunto il momento che ti faccia da parte”.
“Mmh… e che mi dici di te? Hai attentato alla vita di Gin, uno dei membri più importanti dell’Organizzazione. Come credi che la prenderà il vostro capo?” obiettò Conan.
Amuro si strinse nelle spalle. “Il nostro Boss capirà, gli spiegherò la situazione. Naturalmente lo contatterò solo dopo averti fatto fuori”.
“Tu non lo puoi contattare” lo contraddisse Conan; non sembrava turbato dall’eventualità che Amuro lo uccidesse da un momento all’altro. “Solo i membri più importanti hanno il suo indirizzo e-mail”.
“Oh, mi basterà un po’ d’aiuto da parte di Gin… e del suo cellulare. Puoi dire addio a questo mondo, moccioso”.
“Proprio così”. Rena Mizunashi sbucò dal lato sinistro dell’edificio, reggendo saldamente la propria pistola, un sorriso ambiguo sulle labbra color porpora.
Amuro aggrottò le sopracciglia. “Kir… sei riuscita anche tu a scamparla” osservò, fissandola.
Lei annuì, piazzandosi davanti a lui e dandogli le spalle. “Me ne occupo io” assicurò, indicando Conan. “Dopodiché vedrò come occuparmi di te… Non credo che tu ti sia messo dalla parte dell’FBI, ma non mi piace affatto l’idea che ti sia rivoltato contro Gin”. Senza aggiungere altro, puntò la pistola al petto di Conan e premette il grilletto; il piccolo detective aveva tentato di lanciarle un ago narcotizzante, però non fece in tempo a farlo partire e cadde all’indietro con un grido.Prima che Amuro potesse muovere un passo avanti per controllare se Conan era stato preso dal proiettile, Rena si voltò di scatto e lo colpì allo stomaco con la punta dello stivale, facendogli cadere di mano l’arma sottratta a Gin, per poi calciarla lontano.
“Allora, signor Bourbon: parla chiaro, qual è il tuo obiettivo?” Lo tenne sotto tiro, incombendo sopra di lui, gli occhi azzurri accesi di un luccichio freddo.
Amuro tossì. “Bastarda” rantolò, squadrando la ex giornalista con odio. “Non tradiresti mai il tuo Gin, vero?”
“Non ci si può mettere contro di lui, Bourbon. Dovresti saperlo bene. Ora…” – Rena sorrise, chinandosi su Amuro – “vedremo cosa fare di te. Deciderà il nostro Boss”.
“C-che intenzioni hai?!”
“Voglio chiamarlo, naturalmente. Per informarlo del tuo tradimento. Quanto all’FBI… non vedo veicoli oltre il cancello, a parte la Porsche di Gin, la tua auto e le moto con cui io e Vermouth siamo arrivate qui, perciò è probabile che Vodka sia già stato portato via da qualche agente. E quello che è venuto a guastarci la festa sarà morto per il gas tossico, assieme a Vermouth… Andrò presto a controllare”.
Amuro sbuffò. “Vermouth morta? Non ci contare, Kir. È stata sicuramente lei a lanciare la bomba che ha sprigionato il gas e scommetto che si è salvata”.
“Sì, può darsi” accondiscese Rena, “ma non vedo come questo possa esserti d’aiuto. A nanna, Bourbon”. Colpì Amuro alla tempia con l’impugnatura della pistola, poi si avviò verso il corpo di Gin ed estrasse il suo cellulare dalla tasca del lungo impermeabile che portava. Trovò l’ultima mail del Boss, risalente a quella mattina (tutte le altre erano state cancellate) e gli scrisse un messaggio a proposito del tradimento di Bourbon e della disavventura con l’FBI, aggiungendo che l’agente che aveva cercato di tendere una trappola all’Organizzazione era morto. Poco dopo arrivò la risposta.
‘Elimina Bourbon seduta stante. Piuttosto, che fine ha fatto Vermouth?’
Rena sorrise, inginocchiandosi accanto a Conan. “Ora puoi aprire gli occhi” gli sussurrò. “Il tuo dispositivo d’intercettazione ha compiuto il suo dovere”.
Lui si alzò a sedere, annuendo. “È stata un’ottima idea tenere da parte una pistola coi proiettili a salve. Se non fosse stato per lei, probabilmente me la sarei vista brutta. Adesso dobbiamo solo contattare la polizia”.
“Di questo posso occuparmene io” intervenne una voce.
Subaru Okiya venne fuori alle spalle di Conan assieme all’agente Camel, sorridendo con aria astuta e raggiungendo in un attimo il piccolo detective e la ex giornalista.
“Ho pensato bene di fare un salto qui, dopo aver legato e chiuso Vodka nell’auto di Camel” annunciò, gli occhi che brillavano dietro le lenti. “E meno male, visto che c’è stata quell’esplosione di gas tossico”.
“Quando Subaru ha visto uscire Gin e Bourbon si è nascosto fra gli alberi” aggiunse il corpulento agente dell’FBI.“Poi si è introdotto di soppiatto nella villa, è entrato nel soggiorno-cucina e mi ha aiutato a venire fuori da dove era arrivato… Stavo per morire asfissiato, accidenti”.
“Bisogna legare anche Gin e Bourbon, che sono privi di sensi” si affrettò a dire Rena. “Io intanto manderò una mail di risposta al Boss, continuando a fingermi Gin, per dirgli che sono sulle tracce di Vermouth… Ha chiesto di lei e comunque dobbiamo cercarla, potrebbe benissimo essere ancora viva”.
Subaru annuì e guardò Conan. “Perfetto. Non si può dire che le cose siano andate come previsto, ma… alla fine ce l’abbiamo fatta”.





Quelli in verde e nero sono gli alberi del giardino, poi sono segnate – con trattini e rettangolini :) – l’entrata, l’uscita e le finestre del soggiorno-cucina. A destra ci sono il corridoio, le altre stanze e le scale che portano al piano di sopra (non disegnato, ovviamente).


Edited by Neiro Sonoda - 3/8/2015, 00:51
 
Top
Neiro Sonoda
view post Posted on 25/4/2015, 10:33     +1   -1




Capitolo 26
Giocarsi il tutto per tutto


Conan giunse davanti a casa Kudo col fiatone, la mente affollata di pensieri e il cuore che batteva forte. Aveva appena ricevuto due e-mail molto importanti: una da parte di Ai, che lo informava di aver trovato altre micropsie e che, come previsto, nel sotterraneo non ce n’erano; l’altra da Subaru Okiya, il quale aveva accettato d’incontrarlo e si era premurato di riferirgli che Yukiko Kudo era appena tornata da Los Angeles.
Bene, l’arrivo di mia madre casca a fagiolo, si disse Conan. Ci darà un aiuto notevole…
Non appena fu dentro casa, Yukiko lo salutò calorosamente, prendendolo in braccio nonostante le sue proteste. Subaru, appoggiato alla grande libreria, attese pazientemente che i convenevoli fossero terminati, poi si rivolse a Conan: “Allora, qual è il piano? Mi sono assicurato che qui non ci fossero microspie o telecamere, quindi siamo al sicuro… Decidiamo cosa fare, e in fretta anche”.
“Ha ragione” approvò Conan. “Dunque, la mia idea è questa: mi travestirò da Haibara e uscirò fuori per attirare Bourbon. Lui è sulle sue tracce e certamente vorrà approfittare dell’occasione… Nel frattempo, la vera Haibara rimarrà al sicuro nel laboratorio del dottor Agasa”.
“Io penserò al tuo travestimento” disse Yukiko con un occhiolino.
“Esatto” annuì Conan. “Una volta che Bourbon mi avrà trovato, vorrà certamente consegnarmi ai suoi superiori… e considerate le ultime informazioni che ci ha dato Rena Mizunashi, è probabile che il Boss in persona venga avvisato. Il professor Agasa mi sta già costruendo un dispositivo d’intercettazione collegato a un registratore, così potremo rintracciare l’indirizzo e-mail del Capo degli Uomini in Nero non appena lo contatteranno. A quel punto basterà avvisare la polizia, affinché possa risalire al mittente”.
“Uhm”. Subaru aggrottò la fronte. “Sei sicuro che possa funzionare? Vermouth potrebbe scoprirti, dopotutto hai utilizzato un trucco molto simile con lei, tempo fa”.
“Ho pensato anche a questo. Rena Mizunashi dovrà tenere lontana Vermouth con qualche scusa, in modo che non sia presente al mio arrivo”.
“Mi sembra un po’ troppo rischioso” intervenne Yukiko. Guardò il figlio con apprensione e sospirò. “L’Organizzazione vuole uccidere la piccola Ai, giusto? Tenteranno sicuramente di farti del male”.
“Non prima di aver parlato con il loro Boss” replicò Conan. “Vermouth e Gin sono gli unici che si prenderebbero la libertà di uccidere Sherry su due piedi… Basta pensare a quel che è successo all’
Haido City Hotel o sul Mystery Train. Bourbon, invece, voleva consegnarla viva… Credo che il progetto a cui lei stava lavorando quando era ancora una scienziata della loro équipe fosse molto importante. Come vi ho detto, lo deduco anche dalle informazioni che ci ha passato Rena Mizunashi: secondo quello che è riuscita a carpire, alcuni ricercatori hanno ripreso di recente gli studi sull’APTX e il Boss stesso conta molto su questa cosa. Perciò, non appena Bourbon crederà di aver catturato Sherry, lui verrà sicuramente avvisato”.
“E una volta intercettato questo Boss tu cosa farai?” incalzò Yukiko.
“Dipende da quali saranno gli ordini” rispose Conan. “Se Bourbon o qualcun altro ottiene il permesso di eliminarmi, l’FBI potrà intervenire per salvarmi. Tra un attimo Subaru si occuperà di avvisare la professoressa Jodie e i suoi colleghi e, grazie ai miei occhiali da inseguimento, loro potranno tenere d’occhio i miei spostamenti. Inoltre, per mezzo del registratore che mi sta costruendo il professor Agasa, sentiranno le conversazioni degli Uomini in Nero e quindi potranno venire allo scoperto nel momento più opportuno”.
“Così cercheranno anche di catturarli… geniale!” esclamò Yukiko. “Ma come farai a introdurti nell’abitazione del professore e a uscire fingendoti Ai? Ci sono le microspie…”
“Non nel sotterraneo” precisò Conan. “È per questo che mi intrufolerò da lì, dove si trova l’entrata secondaria: in tal caso nessuno che ascolta attraverso le microspie potrà accorgersene. Dopo che sarò arrivato e mi sarò attrezzato col registratore, io e il prof. saliremo al piano di sopra, lasciando Haibara nascosta nel laboratorio; io, fingendo di essere lei, dirò che devo recarmi in farmacia a comprare qualche medicina per il raffreddore. Infatti dovrò portare un modulatore vocale a forma di mascherina, o Bourbon si accorgerà di chi sono”.
“Sembra un piano ben congegnato, seppure rischioso” constatò Subaru. “Ma che farà il professore non vedendoti tornare? Se rimanesse a casa senza preoccuparsi, la cosa suonerebbe sospetta… Ricordiamoci che, anche se Bourbon sarà impegnato a catturarti, il dottor Agasa è pur sempre sorvegliato dalle microspie”.
“Certo” disse Conan. “Ci occuperemo anche di questo problema”.
“E come?” chiese Yukiko.
“Il professore, non vedendomi tornare, dovrà fingere di preoccuparsi per Haibara… e telefonare a Conan Edogawa, per sapere se ha notizie di lei” affermò Conan con voce ferma. “Qualcuno dovrà tenere il mio cellulare e, grazie al mio farfallino che funge da modulatore vocale, si spaccerà per me, dicendo di essere intenzionato a cercare Haibara e raccomandando al dottor Agasa di rimanere in attesa di novità. Eventualmente lui potrà uscire per farsi un giretto fino alla farmacia, ma poi è meglio che torni a casa: preferisco che la vera Haibara, che deve restare nascosta nel laboratorio, non sia sola” concluse il piccolo detective, mentre un’ombra di preoccupazione attraversava i suoi occhi limpidi.
Altrimenti c’è il rischio che faccia una pazzia, come quella notte dello scontro con Vermouth, pensò.
“Dunque, ricapitolando: io adesso ti preparo il travestimento, poi tu esci da qui con le sembianze di Ai, t’intrufoli in casa del professore e vai in farmacia per farti rapire?” esclamò Yukiko.
“Già. Nel frattempo, Subaru avviserà l’FBI: basterà che dica loro che lo mando io, abbiamo già collaborato in passato”.
“Un momento”. Lo studente d’Ingegneria osservò Conan con una certa attenzione, le sopracciglia inarcate, e il piccolo detective gli rivolse un cenno, invitandolo a esprimere le proprie perplessità. “Se le cose devono andare in tal modo, io non parteciperò all’azione diretta”.
Yukiko parve confusa. “Cosa intende dire?”
“Il piano è abbastanza azzardato e non mi va di stare con le mani in mano… Vorrei essere io ad ascoltare le registrazioni del dispositivo costruito dal professore e controllare gli spostamenti di Bourbon con gli occhiali da inseguimento, una volta che lui avrà abboccato all’amo” dichiarò Subaru con estrema sincerità.
“Capisco” disse Conan senza scomporsi più di tanto. “Se preferisce, possiamo fare così… ma altri agenti dell’FBI vanno avvertiti”.
Altri agenti?” Yukiko sbatté le palpebre. “Perché dici così?”
Subaru sorrise, scoccando uno sguardo d’intesa a Conan. “Perfetto”.
Yukiko si strinse nelle spalle. “A questo punto, che dirvi? Procediamo”.
“Vorrei apportare un’ultima modifica al piano” soggiunse Subaru. “Io adesso andrò ad avvisare Jodie, consegnandole il cellulare e il farfallino affinché, più tardi, possa parlare col professor Agasa fingendosi Conan. La informerò anche del piano, in modo che qualche collega dell’FBI possa accompagnarmi e tenere d’occhio Bourbon assieme a me, ma ritengo che non si debba sapere che io sto a lungo fuori casa”.
“Perché?” chiesero Conan e Yukiko all’unisono.
“C’è la possibilità che Bourbon decida di mandare qui qualche agente dell’Organizzazione, mentre lui è impegnato a portare Sherry al cospetto di Gin e gli altri… Non escludo che possa sospettare l’esistenza di una trappola. È meglio che ci sia più gente possibile nei paraggi, perciò la signora Yukiko dovrà fingere di trovarsi in mia compagnia. Chiederò a un membro dell'FBI di spacciarsi per me e rimanere qui, mentre io sarò altrove, con un secondo agente, in attesa di intervenire durante la riunione indetta da Bourbon”.
“Ottima idea” rispose Conan. “In fondo Bourbon era parecchio interessato a me, oltre che a Sherry; anzi, è stato sicuramente per causa mia che ha piazzato quelle microspie. Potrebbe cercare di farmi catturare, immaginando che andrò a casa del prof. dopo aver tentato di ritrovare Haibara… Secondo il nostro piano, dovrei preoccuparmi venendo informato che lei non è più tornata dalla farmacia”.
“Direi che abbiamo deciso anche i dettagli” concluse Subaru. “Ribadisco che è un piano pericoloso, soprattutto per te, ragazzino… D’altro canto, non abbiamo molta scelta”.
Conan sfoggiò un sorriso sicuro, il genere di reazione che avrebbe avuto Shinichi Kudo di fronte alle affermazioni di un poliziotto durante un’indagine. “Bisogna rischiare il tutto per tutto” replicò, rammentando l’ultima occasione in cui aveva pronunciato quelle parole. Era certo che anche l’uomo di fronte a lui se ne sarebbe ricordato… e la sua espressione glielo confermò.
“Era proprio la risposta che mi aspettavo da te, ragazzino” commentò benevolmente lo studente d’Ingegneria.
“Allora procediamo”. Conan si tolse gli occhiali e il farfallino, poi estrasse il cellulare dalla tasca. “Li prenda, forza”.
Più tardi, quando rimase solo con sua madre, il piccolo detective si preparò a sottoporsi alle varie ‘operazioni’ che gli avrebbero permesso di farsi scambiare per Ai Haibara. La signora Kudo canticchiava allegra, impaziente di dimostrare le proprie doti, e la sua voce risuonava per tutto il bagno.
“Sembra che io abbia un sesto senso, eh, Shin-chan?” chiese strizzando l’occhio al figlio, che si era sistemato davanti allo specchio. “Quando hai bisogno di me mi trovo sempre qui e non serve che tu me lo dica”.
“Coincidenze” si limitò a replicare Conan asciutto. Poco dopo accennò un sorriso. “In effetti, il tuo arrivo è stato una vera fortuna” riconobbe. “Ti occuperai anche di sistemare l’agente dell’FBI che verrà qui e dovrà fingersi Subaru”.
“Già, a proposito… scommetto che pure lui ne fa parte” disse Yukiko con aria scaltra. “Non è così, Shin-chan?”
“Uhm… può darsi”.
“Be’, ho fiducia in te, tesoro. Spero che il tuo piano riesca… Immagino che Ran non ne sappia nulla, vero?”
“Certo che no” ribatté Conan.
E chissà, magari sta progettando di andarsi a divertire con Sonoko e quel Kyosuke, pensò indispettito.
“Shin-chan, tutto bene?” volle sapere Yukiko, notando la sua strana espressione.
“Cosa? Sì, nessun problema” assicurò lui in fretta. “Ran non sa niente ed è giusto così… Vedrò di parlarle dopo, a seconda di come si conclude la questione. Se siamo fortunati, sistemeremo gli Uomini in Nero una volta per sempre”.
“Me lo auguro” rispose Yukiko. “Chissà, magari tornerai finalmente grande… e io non potrò più prenderti in braccio, che peccato” aggiunse divertita.
Conan sbuffò. “Dai, piantala…”
“E tu stai fermo con la testa, signorino! Altrimenti non riuscirò a fare quello che vuoi!” lo rimbeccò la signora Kudo con vivacità. “Comunque vorrei tenere anch’io sotto controllo la situazione… Non potresti almeno lasciarmi i tuoi occhiali da inseguimento di riserva?”
“Chiederò al professore di passare a portarteli, quando uscirà per andare in farmacia e fingere di cercare Haibara” concesse Conan. “Anche se purtroppo la funzione audio si è rotta, quindi non potrai ascoltare ma solo tenere d’occhio la mia posizione… Magari te li mando assieme a una copia delle chiavi di casa del prof., non si sa mai”.


Conan era in compagnia dell’agente Camel e stavano perlustrando i dintorni della villa in cerca di Vermouth, quando si accorse che la porta a vetri del vecchio edificio non era completamente spalancata, come lui l’aveva lasciata quando era uscito fuori assieme a Rena Mizunashi, cercando di non inalare il gas tossico. D’istinto si allontanò da Camel e varcò la soglia silenziosamente; vide una figura scura accasciata a terra, con una massa disordinata di capelli biondo platino che le ricadevano sulle spalle e un cellulare stretto fra le mani. Vermouth.
“Stai cercando di contattare il tuo capo?” disse, facendo sussultare la donna, che si voltò di scatto per guardarlo in faccia.
“Dovresti toglierti quel ridicolo travestimento” replicò lei a fatica, smettendo per un attimo di digitare. Era evidente che aveva perso molto sangue, perché sulla sua tuta nera attillata spiccavano diverse macchie rosso scuro e il bel viso da star di Hollywood, sapientemente truccato, appariva terribilmente pallido.
Conan si strinse nelle spalle e fece qualche passo avanti. “Vedo che il gas si è diradato molto in fretta” osservò con naturalezza, come se stesse chiacchierando con un’amica al tavolino di un bar.
“Attrezzi da specialista” rispose Vermouth con altrettanta disinvoltura. Poi storse le labbra in una smorfia. “Sai, sembri proprio quella dannata ragazzina. O forse no… Lei starebbe tremando come una foglia, se fosse qui”.
Sospirando, Conan si decise a mostrare le sue vere sembianze. “Va bene così?” esclamò, gettando a terra anche la mascherina cambia-voce che aveva sulla bocca, giusto per completare l’opera.
Un sorriso si allargò sul viso di Vermouth, mentre si accingeva a inviare la mail che aveva appena finito di scrivere… Conan, con un gesto repentino, le strappò il cellulare dalle mani.
“Non riuscirai ad avvertire il tuo capo” ribatté con decisione. “Ormai è finita”.
Vermouth fece un’altra smorfia, respirando affannosamente. “Sono praticamente rottamata… È logico che tu sia riuscito a fregarmi”.
“Ho avuto gli aiuti giusti” disse Conan con modestia, “anche se adesso siamo soli tu e io… e mi devi dire un paio di cosette”.
“Quella traditrice di Kir” sbottò Vermouth per tutta risposta. “Ho visto, sai… Dopo aver lanciato la bomba che ha sprigionato il gas, sono uscita dalla porta a vetri e mi sono nascosta fra gli alberi; più tardi ho visto te e lei che venivate fuori esattamente da dove ero sbucata io, perciò ho cominciato a insospettirmi. All’inizio avevo considerato l’ipotesi che lei ti tenesse in ostaggio, ma tu ti sei allontanato all’improvviso… Io ho sentito dei rumori e delle voci, Kir è andata via e l’ho vista parlare con te nel momento in cui sono riuscita ad appostarmi sul lato sinistro della casa. Tu ti eri appena alzato da terra… Quando sono arrivati gli agenti dell’FBI, ero ormai certa che Kir avesse collaborato al tuo piano”.
“È così” annuì Conan, intascando il cellulare della donna. “A quest’ora l’imboscata della polizia al tuo capo sarà stata preparata. Non c’è nulla che tu possa fare”.
Vermouth tossì, premendosi una mano sul fianco sanguinante. “L-lo sapevo” mormorò. “Sapevo che, se qualcuno poteva arrivare al cuore della nostra Organizzazione, eri tu… L’unico Silver Bullet in grado di distruggerla”.
Conan sgranò gli occhi. “Silver bullet? Cioè 'proiettile d’argento'…”
“Esatto”.
“E allora… come mai non mi hai ucciso? Avresti potuto farlo tempo fa… Quella notte, dopo che mi hai caricato sulla tua auto e io ho tentato di metterti con le spalle al muro”.
Vermouth sorrise. “È vero. Avrei potuto farlo…” S’interruppe, mentre un urlo ben poco rassicurante raggiungeva le sue orecchie e quelle di Conan. Lui si voltò istintivamente verso l’uscita, ma Vermouth l’afferrò per il polso.
“Io… sto per morire” sussurrò. “Posso dirti quello che vuoi, prima… Gin e Bourbon avranno cercato di ribaltare la situazione a loro favore, però là fuori c’è gente che può cavarsela benissimo senza di te, lo sai”.
Conan strinse i denti, studiando attentamente il viso di Vermouth. Stava mentendo? Oppure lui poteva fidarsi?
Perché dice che è praticamente a un passo dalla morte? Non è stata colpita in nessun punto vitale, anche se…
“E allora, mio caro Silver Bullet… Non avevi qualcosa da chiedermi? O vuoi sprecare l’ultima occasione che avrai d’interrogarmi?”



Un altro bel flashback che ci svela i retroscena del piano di Conan :)
Ma è il ritorno al presente la cosa più importante… Cos’avrà in mente Vermouth? E chi avrà urlato fuori dalla villa? Dopo questo doppio aggiornamento vi lascio in sospeso per almeno una settimana, quindi cercate di godervi i capitoli postati oggi
Una piccola chicca: in origine il titolo del numero 26 doveva essere “Rischiare il tutto per tutto” (e leggendolo con attenzione si capisce il perché), ma mi sono presa una piccola licenza perché “giocarsi” mi suonava meglio… Anche se forse così perde un po’ il legame con la citazione made-by-Gosho :D

Edited by Neiro Sonoda - 3/8/2015, 00:55
 
Top
marty shin×ran
view post Posted on 25/4/2015, 10:54     +1   -1




Ciao bella come stai?
Avevo appena finito di commentare il primo capitolo quando mi sono accorta del secondo...
Entrambi dei capitoli fantastici.
Amuro deciditi a morire!
Mi è piaciuto molto l'intervento di Camel in extremis e anche Vermouth che cerca di asfissiarli XD.
Il piano del nostro Shin era molto complicato e metterlo in atto sarà stato difficilissimo.
Quando ha fatto il geloso sono morta dal ridere, ma mi sono sentita anche un po' triste.
Baci,
Martina

P.S: per il tuo regalo ho già cominciato a buttare giù qualche idea e oggi scriverò la bozza^^.
 
Top
FrancyTP
view post Posted on 25/4/2015, 22:49     +1   -1




Ciao Neiro! Allora... finalmente frenato alcuni miei interrogativi.... ma cn la fine del 26... con la suspense. .. mi stai facendo morire di curiosità! !!! Cmq, entrambi i capitoli bellissimi, ben fatti e... semplicemente li amo! Ora scappo, baci e bacini...
Francy <3

P.s. ritornando al nick... ho dovuto cambiarlo! Anche se amo la Shin/Ran quel nomignolo mi stava dando fastidio... *gocciolina che le cala dalla fronte * oltre a qua avevo anche un profilo Facebook e di EFP che si kiamava così. .. ma come hai già detto rimangono nel mio cuore, ma soprattutto nel mio avatar! XD Ah, dimenticavo, quando posso ascolterò la risposta alla mia domanda e ti faccio sapere che ne 'penso'.
 
Top
Neiro Sonoda
view post Posted on 2/5/2015, 21:35     +1   -1




Ragazze! Quanto aspettavo le recensioni per questi capitoli!

CITAZIONE (marty shin×ran @ 25/4/2015, 11:54) 
Avevo appena finito di commentare il primo capitolo quando mi sono accorta del secondo...

Questo è il nucleo dello scontro mibbico e andava letto tutto d’un fiato! Ho cercato di concentrare tutta l’adrenalina possibile nel 25 e di rendere il 26 un po’ più “descrittivo” grazie al flashback… inserendo a sorpresa l’uscita di Vermouth nel ritorno al presente ;) Per il capitolo 27 bisognava invece lasciare la suspense… anche perché, detto fra noi, è ancora in lavorazione
Spero di riuscire a soddisfare al più presto le ultime curiosità rimaste… Intanto si sono chiarite tante cosette, no? E mi auguro di aver dato un ruolo di primo piano un po’ a tutti Ho puntato molto sull’ambizione di Amuro di diventare il preferito del Boss, sull’alone di mistero che circonda sempre Vermouth, sulla malvagità di Gin e sulla bravura di Kir nel fare i doppi giochi. Senza dimenticare il caro Shin che cerca di metter su piani elaborati :)
Vi aspetto alla prossima, io attenderò il regalo di Marty… e l’immagine di Francy simile al suo avatar, se vuole inviarmela :)
Ah, di Francy aspetto anche la visita nel topic della posta… e nessun problema per il nick :lol: :D
 
Top
marty shin×ran
view post Posted on 4/5/2015, 16:32     +1   +1   -1




Eccomi tornata dopo 2 settimane.
Come stai?
Eh si, sei riuscita a ricreare tutto alla perfezione.
Ho paura di vedere il prossimo capirolo ora XD.
Ah, il tuo regalo è stato appena pubblicato ^^.
Martina
 
Top
Neiro Sonoda
view post Posted on 24/5/2015, 20:43     +1   -1




Ebbene sì… sono tornata! Con uno dei capitoli più importanti di tutta la mia chilometrica fanfiction
Immagino che vorrete bastonarmi dopo tutte queste settimane d’assenza :P Lo so, ho fatto aspettare tanto rispetto agli ultimi standard nei quali avevo iniziato a rientrare, ma il tempo fugge e gli imprevisti sono sempre dietro l’angolo. Posso solo augurarmi di aver fatto un buon lavoro, perché questa parte della storia è importantissima, si può dire che il velo dell’oscurità viene finalmente squarciato :D Non so se ho trovato le parole adatte per raccontare le situazioni con cui vi fronteggerete qui di seguito, perciò non escludo un eventuale perfezionamento di questo capitolo 27, non appena avrò buttato giù i prossimi. Spero comunque di aver reso giustizia ai passaggi fondamentali che vedono coinvolti i nostri personaggi… Ora vi lascio alla lettura, un bacio!



Capitolo 27
Non è ancora finita


Quando Camel, fuori dalla villa, si accorse che Conan era sparito, si allontanò in fretta dagli alberi, decidendo di ritrovarlo e abbandonando la ricerca di Vermouth. Qualche istante dopo il grido di una donna squarciò il silenzio; l’agente dell’FBI corse allora verso la parte frontale dell’edificio, temendo che fosse successo qualcosa di grave.
“Ma guarda un po’, è arrivato anche l’altro” commentò Gin con un ghigno perfido. Era chiaro che fosse provato dalle ferite e dagli avvenimenti di quella sera, eppure aveva ancora abbastanza forza per reagire; evidentemente, quando Rena Mizunashi lo stava legando, si era ripreso ed era riuscito a strapparle dalla tasca la seconda pistola, quella che non sparava a salve ed era munita di silenziatore. Adesso la puntava contro la ex giornalista, tenendola ferma con un braccio. Davanti a loro Subaru Okiya aveva appena finito di legare Amuro, ancora privo di sensi.
“Niente mosse false o l’ammazzo” avvertì Gin, premendo la pistola contro il collo di Rena. “Dunque anche tu ci hai traditi, Kir… Ma bene! Sei peggio di quel verme schifoso di Bourbon”.
Camel fece un passo avanti. “Lasciala stare!” gridò.
Gin si limitò a sorridere spietatamente. “La vostra amica farà una brutta fine. È quello che si merita chi inganna l’Organizzazione… e lei ci ha ingannati per molto tempo…”
“No!” ruggì Camel stringendo la pistola. Fu allora che Gin cambiò bersaglio, puntando proprio contro di lui… e sparò. Camel cadde a terra, mentre Rena lanciava un altro urlo e Subaru sussultava, colto alla sprovvista… Tutto era avvenuto in un tempo così breve da non concedere a nessuno la possibilità di reagire.
Gin rise, una risata che metteva i brividi, ma non per questo si lasciò sfuggire Rena, che aveva cominciato a divincolarsi selvaggiamente. Le puntò la pistola alla tempia e si rivolse a Subaru: “Credevate di aver vinto, non è vero? Be’, vi siete sbagliati! Non è ancora finita”.
Rena s’immobilizzò, gli occhi azzurri pieni di angoscia; l’espressione di Subaru, invece, era indecifrabile.
“Credo che tu non sappia con chi hai a che fare, Gin” replicò tranquillamente lo studente d’Ingegneria. “E in ogni caso non ti servirà a nulla uccidere Rena e me: il tuo capo è stato rintracciato”.
“Cosa?” sbraitò Gin rabbioso. “Tu menti! Vi ammazzerò tutti!”
Nell’istante in cui terminava la frase, un oggetto lo colpì dritto in viso, schivando Subaru per un pelo. Rena ne approfittò per liberarsi e strappò la pistola a Gin, mentre lui si tamponava il naso sanguinante con il dorso della mano.
“Cosa diavolo…?” mormorò Subaru, voltandosi sconcertato. Dagli alberi a destra dell’edificio spuntò Ai Haibara, con il fiatone, diversi graffi sul viso, un vestitino marrone addosso e un solo mocassino al piede sinistro.
“Ciao, Gin” disse semplicemente.
“Tu… Non ci posso credere… Tu sei…?”
Mentre Ai incrociava le braccia sul petto, senza rispondere, Subaru tornò a guardare Gin, un sorrisetto soddisfatto sulle labbra.
“Non per niente è sua sorella… Ha la sua stessa determinazione quando si mette in gioco. Non è vero, mio carissimo mortale nemico?”
Gin impallidì. “Impossibile!”
Subaru estrasse una pistola stordente. “Non ti toglierò la vita, Gin, ma sarò felice di consegnarti. Fatti un bel sonnellino, intanto”.

“Takinori Miyano: è questo il nome del Boss dell’Organizzazione che tanto a lungo ti ha fatto penare. Un uomo senza scrupoli, che ha molte vite sulla coscienza e non ha mai pagato per i suoi crimini”.
Vermouth parlava con Conan, lentamente, il tono di voce profondo e lo sguardo determinato. Lui aveva tutta l’intenzione di rimanere impassibile, ma udendo quella rivelazione ebbe un sussulto.
“Miyano?” esclamò, sbattendo le palpebre. “Quindi…”
“È il fratello minore di Atsushi Miyano, padre di Sherry… Non che quella sciocchina l’abbia mai saputo” tenne a precisare Vermouth. Fece una breve pausa e sia lei che Conan poterono udire la voce poco rassicurante di Gin, proveniente da fuori. Il piccolo detective era preoccupato, sentiva che poteva succedere qualcosa di brutto da un momento all’altro, ma non riusciva ad andarsene: Vermouth gli stava finalmente raccontando i segreti più importanti dell’Organizzazione, quelli che lui cercava di portare alla luce da una vita… Si augurò con tutto il cuore che Subaru Okiya e Rena Mizunashi fossero in grado di superare, con la loro abilità e il loro sangue freddo, qualsiasi ostacolo avessero davanti.
La donna bionda accennò un sorriso ambiguo, intuendo il dilemma che attanagliava la mente del suo giovane interlocutore, e proseguì come se nulla fosse: “Takinori Miyano aveva commissionato a suo fratello e alla moglie di questi, Elena, il compito di creare una sostanza che prolungasse il periodo della giovinezza. Era il suo grande sogno da anni… e la cosa che ci unì, quando c’incontrammo. Entrambi desideravamo rimanere il più possibile nel pieno delle nostre facoltà mentali e forze fisiche, senza subire eccessivamente il logoramento portato dalla vecchiaia”.
“Perciò l’APTX…” esordì Conan, ma Vermouth lo interruppe: “L’APTX era già in fase di studio ai tempi in cui erano vivi i Miyano. Sherry ha proseguito le ricerche, creando alcuni campioni dopo aver perfezionato l’opera dei genitori; tuttavia, poiché lo scopo della sostanza era segreto e molti topi da laboratorio erano morti durante i test, alcuni membri dell’Organizzazione iniziarono a utilizzare l’APTX per commettere omicidi”.
“Tra cui Gin e Vodka” disse Conan. Avrebbe voluto aggiungere qualcos’altro, ma trasalì: aveva appena udito un tonfo, un secondo urlo di Rena Mizunashi e una risata spietata, che poteva appartenere solo a Gin. Doveva essere accaduto qualcosa… Si girò di scatto, poi tornò a guardare Vermouth, che sorrise di nuovo.
“Non riesci proprio a fidarti, vero? Pensi che io ti stia tenendo lontano per impedirti di aiutare i tuoi amici dell’FBI… o sei semplicemente convinto che nessuno possa cavarsela fino in fondo senza il tuo aiuto? Se così fosse dovresti imparare a essere un po’ meno egocentrico, non trovi?”
Conan serrò la bocca. Cosa doveva fare? Fuori Gin stava urlando che avrebbe ucciso tutti…
“Te lo ripeto, Silver Bullet: hai di fronte l’ultima occasione per interrogarmi. Dopo non ci sarà nessuno disposto a testimoniare… Vuoi ignorare quest’opportunità solo per una questione di arroganza? Sai bene che l’FBI è in vantaggio e che, con ogni probabilità, non ha alcun bisogno di te. A che scopo andare lì fuori?” insistette Vermouth, adottando uno strano tono giudizioso.
Conan continuava a tacere, concentrato sui rumori che venivano dall’esterno. Mentre Vermouth parlava aveva sentito un colpo secco, e subito dopo… No, non poteva essere! La voce di Ai?! Di sicuro la tensione gli stava giocando un brutto tiro, lei era al sicuro nel laboratorio del dottor Agasa, dove non c’era alcun indizio che potesse condurla fino al luogo dello scontro…
“Sai, Takinori desiderava fortemente che Sherry proseguisse le ricerche e portasse a termine il compito assegnato ai suoi genitori…” riprese Vermouth, il volto improvvisamente simile a una maschera imperturbabile. Conan, sebbene ancora combattuto, decise di restare ad ascoltarla almeno per un po’, così le rivolse un brusco cenno del capo, invitandola ad andare avanti col discorso. A dire il vero, lei lo stava già facendo… e non mostrò alcun segno di compiacimento di fronte alla decisione presa dal piccolo detective, quasi non le interessasse se le rimaneva accanto o meno. Come se, in fondo, la faccenda rappresentasse un vero problema soltanto per lui.
“Lo scopo di Sherry” cominciò a spiegare Vermouth “avrebbe dovuto riguardare altri studi. Tuttavia la costrinsero a occuparsi dell’APTX, dicendole giusto il minimo sull’importanza del progetto. Purtroppo, dopo la morte di sua sorella, quella maledetta fuggì… e le ricerche rimasero ferme. Non venne creato il farmaco che voleva Takinori e nessuno scoprì fino a che punto Sherry aveva perfezionato l’APTX”.
“Capisco. Se qualcuno l’avesse saputo, l’avreste trovata quasi subito” osservò Conan, riuscendo finalmente a parlare di nuovo.
Vermouth annuì, una mano ancora premuta sulla ferita al fianco, l’altra che stringeva il polso del piccolo detective. “Non è finita qui. Devi sapere che diciassette anni fa, prima che i Miyano morissero, Elena aveva creato un altro prototipo dell’APTX, molto più vicino alla sostanza desiderata da me e Takinori: un farmaco che rallentava l’invecchiamento cellulare. Era sperimentale, mai provato su una cavia umana, ma i test sugli animali si erano dimostrati incoraggianti, perciò il Boss ordinò a Elena di provarlo su un membro dell’Organizzazione di bassa lega, per verificarne gli effetti. Poco dopo i Miyano persero la vita nell’incidente avvenuto in uno dei nostri laboratori, assieme ad alcuni loro colleghi; perciò la cavia venne affidata a me, che ricevetti l’incarico di tenerla d’occhio. Trascorsero quasi nove anni e la cavia non dava alcun segno d’invecchiamento, così io e Takinori ci convincemmo che il farmaco di Elena funzionasse alla perfezione… Disgraziatamente i dati erano andati persi ed eravamo riusciti a salvare un solo campione della sostanza; decidemmo insieme chi doveva assumerlo e alla fine lo presi io”. Vermouth emise un sospiro, mentre la sua voce si faceva più fioca, riducendosi a un sussurro. Conan ascoltava con le orecchie tese e lo sguardo serio, pronto a captare qualunque altro segnale sospetto potesse venire dall’esterno, ma ormai fuori dalla villa sembrava essere calato il silenzio.
“Eravamo convinti di aver fatto la cosa giusta” ammise Vermouth, “ma qualche mese dopo la cavia si ammalò inspiegabilmente… e morì. Attraverso alcuni esami approfonditi, ci rendemmo conto che il farmaco di Elena poteva generare questo effetto collaterale, perciò chiedemmo ai migliori scienziati dell’Organizzazione di prendere in mano le ricerche. Tuttavia dovemmo rassegnarci a ricominciare dagli studi svolti da Elena assieme al marito, cioè i primi; come ho già detto, i dati relativi al farmaco che io avevo assunto erano andati completamente persi. È per questo che, quando Sherry fu abbastanza grande e preparata, non riuscì a ricreare la sostanza di sua madre ma solo l’APTX che conosciamo adesso… Un risultato ben lontano, ancora, da quello che era il nostro scopo”.
“E gli altri scienziati? Nessuno ce la fece?” chiese Conan.
Vermouth scosse la testa. “No. Il traguardo più importante lo raggiunse proprio Sherry, ma ti ripeto che nessuno riuscì a scoprirlo… almeno finché io non mi misi sulle sue tracce. Da quando ero tornata in Giappone e avevo scoperto che lei era fuggita, desideravo ardentemente trovarla. Trovarla e ucciderla, per vendicarmi di Elena. A causa di quel suo maledetto farmaco, infatti, sono destinata a una morte precoce” confessò Vermouth in un bisbiglio cupo.
“Ma certo. Sono passati circa otto anni da quando l’hai assunto” calcolò Conan. “E la cavia è morta dopo nove…”
“Già”.
“Però Elena non aveva nessuna colpa. Vuoi rendertene conto? Né lei né Shiho ti hanno mai chiesto di testare la sostanza su di te…”
“Non m’importa!” ringhiò Vermouth tossendo. “Se Elena non l’avesse creata… o se fosse stata più attenta, quel giorno dell’incidente nel laboratorio…” Si bloccò, sforzandosi di respirare con calma, e riprese con voce roca: “Quando scoprii cos’era successo a Sherry, ponderai per un attimo la possibilità di lasciarla in vita per ‘studiarla’, ma mi resi conto che volevo eliminarla a tutti i costi. D’altra parte mi restava una seconda opportunità, visto che colui che stava proteggendo Sherry era nelle sue stesse condizioni”.
Conan capì che si stava riferendo a lui e fece per aprir bocca, però decise di restare in silenzio, ansioso di ascoltare il resto. Vermouth abbozzò un altro dei suoi sorrisi difficili da decifrare.
“Takinori avrebbe certamente preferito togliere di mezzo un possibile Silver Bullet piuttosto che lasciarlo in vita… Per questo motivo mi rifiutai di rivelargli il segreto di Sherry. Ero sicura che, dovendo scegliere fa i due, avrebbe optato per tenere in vita lei e io non potevo permetterlo assolutamente”.
“Qual è stata la sua reazione dopo la presunta morte di Sherry sul treno?” volle sapere Conan.
“Ha detto che capiva il mio desiderio di vendetta, anche se avrebbe voluto che la lasciassi viva. Del resto, mi ha sempre concesso parecchia libertà” rispose Vermouth.
“Capisco. E Suguru Itakura, invece? Cosa c’era in quel software che gli avevi commissionato?” domandò Conan improvvisamente.
“Be’, Itakura non era solo un ingegnere programmatore: stava facendo alcuni studi sulla proliferazione delle cellule nel corpo umano. Volevo vedere i progressi delle sue ricerche, così… gli ho chiesto di fornirci un CD con tutti i risultati dei suoi studi. Ho coinvolto Gin e Vodka, su ordine del nostro Boss, ma loro non conoscevano il contenuto di quel disco”. Vermouth abbassò un attimo la testa e tacque, sempre più pallida in volto.
Conan aggrottò la fronte. “Sei sicura che stai per morire? Non sei arrivata al nono anno e non ti hanno sparata in nessun punto vitale… Ti salverai, se vieni curata al più presto”.
La donna scoppiò a ridere sonoramente e la sua risata si mescolò a un altro attacco di tosse. “Tu vuoi salvarmi?” domandò poi, quasi divertita.
“Non sono come voi assassini” replicò il piccolo detective con decisione. “Per questo non ti lascerei mai morire, se potessi evitarlo… Una vita è una vita e tu devi saldare il debito che hai nei confronti della giustizia”.
“Quanta nobiltà d’animo… Be’, non posso dire di essere sorpresa da questa risposta” commentò Vermouth. “Ho sempre saputo che sei una persona molto ostinata, disposta a tutto pur di portare avanti certi ideali; la tua assurda convinzione di preservare qualunque vita, addirittura quella dei tuoi nemici… mi ha colpita sin da quando ti ho incontrato”.
Conan rimase zitto, lo sguardo ancora serio. Non sembrava toccato in alcun modo da quelle affermazioni.
“Sei abile e intelligente, mio caro” lo adulò Vermouth, “tanto da poter arrivare a distruggerci. Nello stesso tempo, però, sei terribilmente ingenuo… e non te ne rendi conto”.
Stavolta Conan parve infastidito. “A che ti riferisci?”
“Ti ho fornito un mucchio d’informazioni e tu hai potuto registrarle con il tuo dispositivo. Ti ho rivelato la mia storia e quella di Takinori Miyano. Eppure… tutto ciò non è stato fatto senza ragione. Ogni azione ha il suo prezzo, non credi?”
“Cosa…?”
“Sei arrivato troppo in là, Silver Bullet”. Vermouth strinse saldamente il polso sinistro di Conan, serrando le dita attorno al suo orologio spara-aghi; una presa davvero troppo solida per una donna che aveva dichiarato di essere in punto di morte. “Il nono anno non è ancora arrivato, proprio come hai detto tu… e senza la tua registrazione la polizia non riuscirà a dimostrare che Takinori ha commesso dei reati. Certo, potrebbe tenerlo in prigione e intanto avviare delle ricerche, ma dubito che verrà a galla qualcosa. L’Organizzazione non lascia mai tracce quando si sporca le mani e lui, già prima di fondarla, conosceva perfettamente questo precetto e sapeva come applicarlo”. Con uno scatto repentino, Vermouth estrasse dallo stivale nero una pistola munita di silenziatore a la puntò al cuore di Conan. “Credevi che io fossi disarmata, Silver Bullet?”
Maledizione! Ero convinto di sì, altrimenti avrebbe cercato di uccidermi prima, pensò il piccolo detective stringendo i denti. A quanto pare ha previsto i miei ragionamenti e mi ha teso una trappola…
“Giocare con te è stata una delle cose più eccitanti che mi siano capitate, ma ora è finita e non c’è più spazio per la pietà né per le frivolezze. Addio… mio caro Silver Bullet”.
“NO!”
Una figura slanciata entrò fulminea dalla porta laterale, i capelli in disordine che svolazzavano attorno al viso, e afferrò Conan per un braccio, cercando di tirarlo via; il proiettile di Vermouth lo colpì all’addome e lui cadde sul fianco destro, sanguinante ma ancora vivo. Per la sorpresa, la donna gli lasciò andare il polso.
“Angel” esordì poi, sollevando lo sguardo. “Sempre al momento sbagliato”.
“Se lo uccidi dovrai uccidere prima me!” gridò Ran parandosi davanti a Conan. “Hai capito?!”
“Spostati subito, prima che io perda la pazienza” ordinò Vermouth imperiosa, alzando la pistola.
Da dietro, Conan si aggrappò all’orlo dei pantaloni di Ran.
Cosa ci fa lei qui? Come ha scoperto dove mi trovavo?!
“V-vattene…” mormorò, premendosi una mano sullo stomaco, la parte del corpo perforata dal proiettile che bruciava insopportabilmente.
Vermouth rise. “Tieni molto a lei, non è vero? Angel, ti consiglio di dare retta al tuo amichetto, se non vuoi fare una brutta fine…”
Non posso permettere che la tocchino… Non posso!, si disse Conan disperato. “Ran, allontanati!” urlò con tutto il fiato che aveva in gola, mentre la ferita gli infliggeva una fitta di dolore ancora più forte. Ma Ran non si spostò… e fu in quell’istante che Masumi Sera piombò con gran clamore nella stanza, dalla finestra usata precedentemente dall’agente Camel per entrare e da Amuro per uscire.
“Tu…!” Vermouth fece a stento in tempo a parlare: ricevette un violento colpo allo stomaco da parte di Ran, che subito dopo le strappò la pistola e la lanciò a Masumi.
La giovane investigatrice la afferrò al volo, un enorme sorriso stampato in faccia. “È finita” dichiarò. “Arrenditi”.
“Non avrei saputo dirlo meglio” approvò Subaru Okiya, spalancando la porta principale. Dietro di lui fece capolino Rena Mizunashi ed entrambi si avvicinarono a Vermouth, tirandola in piedi bruscamente.
Ran s’inginocchiò accanto a Conan e gli accarezzò i capelli. “Stai tranquillo, ti porto subito in ospedale” disse, la voce che tremava lievemente.
Masumi, invece, si accostò a Vermouth e la guardò negli occhi con aria di sfida. “Come vedi, è stato un errore cercare di attirarmi nella tua trappola…” sussurrò.
“Taci” sibilò la donna, il volto contratto. “Sei contenta di avermi guastato la festa assieme a Angel, eh? Per quanto riguarda quel ragazzo… Sapevo che avrebbe ordito uno dei suoi piani, senza lasciarsi cogliere totalmente impreparato da Bourbon. Sapevo che sarebbe arrivato fin qui. E credevo di potermene servire… infatti sono stata troppo tenera con lui”.
“Be’, io direi di finirla con le chiacchiere” s’intromise Subaru in tono spiccio. “Portiamola fuori e carichiamo anche lei sull’auto, assieme a Gin, Bourbon e Vodka” soggiunse accennando a Vermouth.
“E che facciamo con Camel?” domandò Rena, mentre usciva dalla porta scortando Subaru. “Non possiamo lasciarlo qui… Merita una degna sepoltura”.
Lo studente d’Ingegneria sospirò. “Certo. È stato impulsivo… ma ci ha aiutati davvero tanto. Quando l’ho portato via dalla casa era mezzo stordito e ho temuto che avesse inalato troppo gas tossico… invece si era ripreso perfettamente. Non mi aspettavo che ci lasciasse poco dopo”.
“È stata colpa mia”. Rena tirò su col naso, afflitta. “Se avessi fatto più attenzione, mentre stavo legando Gin… Non mi ero proprio accorta che avesse ripreso i sensi”.
“Non preoccuparti” tentò di consolarla Subaru. “Camel è morto coraggiosamente sul campo di battaglia, l’FBI non lo dimenticherà. Ah, fra l’altro dobbiamo ringraziare questa signorina”. Sorrise ad Ai, che era a braccia conserte accanto all’ingresso.
“Sherry”. Vermouth sputò per terra con rabbia. “Alla fine sei venuta, eh?”
Ai non rispose. Si limitò a guardare Rena e Subaru che portavano lontano, oltre il vecchio cancello arrugginito della villa, quella donna che tanto a lungo l’aveva terrorizzata.

Masumi era in piedi, la spalla premuta contro la parete adiacente alla porta d’entrata. Seguì con gli occhi Vermouth che veniva trascinata via da Subaru Okiya e dalla sua amica coi capelli scuri, ripensando al giorno in cui si erano incontrate, alle cose che quella criminale le aveva raccontato, al raggiro che aveva cercato di mettere su, ai continui riferimenti a Shuichi. Come si era presa gioco del suo dolore per la scomparsa del fratello! Ma adesso la giustizia avrebbe seguito il proprio corso e quella malefica ingannatrice sarebbe stata punita per tutto ciò che aveva fatto… anche se, probabilmente, la morte di Shuichi era una realtà da accettare, ormai.
Perché te ne sei andato? Perché ti sei lasciato uccidere? È stata davvero lei o no?
Le lacrime premevano per uscire, eppure Masumi non voleva piangere, non lì. Non per suo fratello…
“Sera?”
La ragazza trasalì, voltandosi indietro. Ran l’aveva appena chiamata, la voce carica d’ansia e gli occhi lucidi di preoccupazione. Stava armeggiando con la cerniera del giubbotto di Conan, ancora steso sul pavimento dopo il colpo di pistola ricevuto da Vermouth.
“Fa’ vedere” esclamò Masumi rapida, inginocchiandosi a sua volta accanto al ferito. “Forse possiamo intervenire per bloccare temporaneamente l’emorragia…”
“Attenzione” intervenne Conan in un debole bisbiglio. “Ho addosso… un dispositivo d’intercettazione…” Spiegò alle due ragazze come toglierlo senza creare danni e loro eseguirono, maneggiando l’apparecchio con cura.
“Accidenti, che roba! Sei stato fortunato, pensa se la pallottola beccava qualche filo!” commentò Masumi, quasi impressionata. “Adesso però badiamo alla fasciatura, non possiamo portarti all’ospedale senza arrestare un minimo la perdita di sangue… Ce la fai a darmi una mano, Ran?”
“Certo. Tutto quello che sarà necessario” promise l’interpellata con espressione decisa.
“Perfetto”. Dentro di sé, Masumi si augurò che la vista del sangue non rischiasse di sconvolgere l’amica, ma non espresse i propri dubbi sull’autocontrollo di Ran in quella situazione e si affettò a liberarsi della giacca che portava; dopodiché si tolse la camicia e la strappò in diverse strisce di tessuto, rimanendo solo con una canottiera nera.
“Ecco il bendaggio!” annunciò con un sorriso, nonostante si rendesse conto che nessuno aveva voglia di ridere.
“Dammi, faccio io” la sorprese Ran inaspettatamente. “Tu dimmi se va bene… e mettiti la testa di Conan sulle gambe, il pavimento è freddo”.
“Oh… d’accordo” accondiscese Masumi, ubbidendo. Era chiaro che Ran aveva più sangue freddo di quanto si potesse credere… Lei la assistette per tutto il tempo, fornendole giusto qualche dritta, finché la fasciatura non fu pronta.
“Hai due mani d’oro, sei stata bravissima! Adesso telefona a casa Kudo per avvisare che siamo sani e salvi, io intanto prendo in braccio il nostro malato e lo accompagno fino all’auto del professore” propose Masumi alla fine.
Ran annuì. Conan, da parte sua, si rassegnò ad accettare il corso degli eventi, sebbene non amasse affatto essere trattato come un moccioso… e fu così che lui e Masumi s’imbatterono in Ai Haibara, rimasta accanto all’ingresso a fissare l’orizzonte.
“Dunque ci hai seguiti” osservò Masumi in tono serio, rivolgendosi alla piccola scienziata. “Be’, lo immaginavo”.
“Solite brutte abitudini” bofonchiò Conan. “Io non volevo che…”
“Bada a te, ficcanaso” lo ammonì Ai con una smorfia. “Piuttosto, cos’è quel sangue?”
“Ha bisogno di cure, gli hanno sparato” spiegò Masumi. “Lo porto alla macchina e…” Le sue parole vennero coperte per metà dal grido di una ragazza e Conan prese a divincolarsi.
“È Ran! Accidenti…”
“Stai buono! Dove pensi di andare ridotto così?” rimbeccò Masumi. “Caspita, è una bella impresa tenerti fermo…”
“Vado io” si offrì Ai asciutta. “Sono sicura che non le è successo niente di grave, non c’è più nessuno in giro”. Corse verso la direzione da cui era venuto l’urlo, con un’agilità sorprendente per una persona con una scarpa sola, e trovò Ran in ginocchio fra gli alberi che si massaggiava una caviglia.
“A-Ai?! Cosa ci fai qua?” esclamò sbalordita la ragazza.
“Non ha importanza, ora. Che ti è successo, sei caduta?”
“Sì, purtroppo mentre uscivo da lì” – Ran indicò la porta a vetri della villa – “e parlavo al cellulare, sono scivolata e mi sono storta un piede”.
“Pronto, Ran? Va tutto bene?” Una voce femminile concitata proveniva dal telefonino caduto nell’erba. Ai lo raccolse in silenzio e lo consegnò alla sua proprietaria.
“Ran?”
“Signora, sono ancora qui” garantì lei. “La richiamerò per aggiornarla sulle novità, adesso devo andare. Sì, a presto”. Ran riattaccò e scosse la testa, sfinita. “Santo Cielo, che serata! Mi sento come se fossi stata per ore dentro un frullatore…” Si volse verso Ai con un sorriso luminoso. “Come hai fatto a trovarci?”
“Mi sono infilata nel portabagagli del maggiolino del professore” rispose Ai e, quasi suo malgrado, gli angoli della bocca le si piegarono all’insù.
“Mi sa che ti ho dato il cattivo esempio” sospirò Ran. “D’altro canto, se le persone a cui vogliamo bene sono in pericolo, è difficile starsene in disparte”.
Ai scrollò le spalle. “Andiamo? Ti aiuto”. Tese la mano e Ran la afferrò, appoggiandosi con l’altra al terreno per riuscire ad alzarsi. In quel momento provarono entrambe uno straordinario senso di vicinanza, proprio come quella notte al molo, quando erano state a un passo dalla morte e avevano perso conoscenza rimanendo abbracciate.





NB! Mi pare che l’età precisa di Akemi Miyano non venga specificata in DC… Io ho ipotizzato che fosse morta a 23 anni e, dato che si sa per certo che quando era intorno ai sei anni i suoi genitori erano ancora vivi, ho collocato l’incidente nel laboratorio dei Miyano a circa 17 anni di distanza dal rimpicciolimento di Shinichi (cioè quando Shiho aveva solo un anno).

Edited by Neiro Sonoda - 3/8/2015, 11:41
 
Top
marty shin×ran
view post Posted on 27/5/2015, 23:25     +1   -1




Ciao bella, come stai?
Settimana infernale e uno dei pochi piaceri che ho avuto è stato leggere questo capitolo.
Per Camel mi è spiaciuto molto e sapere che lo zietto di Ai è il Boss mi ha lasciato un po' di stucco.
Incredibile la mia tendenza a sorprendermi, perché mi attengo molto ai fatti.
Finalmente li hanno presi! Ah, che bellezza!
Vermouth, Amuro e Gin sono stati impacchettati e sono pronti ad essere spediti al fresco.
Ran ricambia il favore e va in soccorso al povero Shin che si è ferito di nuovo XD.
Bravissima come al solito, non vedo l'ora che esca il nuovo capitolo.
Bacioni,
Martina
 
Top
Neiro Sonoda
view post Posted on 30/5/2015, 18:48     +1   -1




CITAZIONE (marty shin×ran @ 28/5/2015, 00:25) 
Per Camel mi è spiaciuto molto e sapere che lo zietto di Ai è il Boss mi ha lasciato un po' di stucco.
Finalmente li hanno presi! Ah, che bellezza!
Vermouth, Amuro e Gin sono stati impacchettati e sono pronti ad essere spediti al fresco.
Ran ricambia il favore e va in soccorso al povero Shin che si è ferito di nuovo XD.
Bravissima come al solito, non vedo l'ora che esca il nuovo capitolo.
Bacioni,
Martina

Marty :)
Che bello sentirti, come al solito aspettavo il tuo commento.
Eh, sì, lo scontro è arrivato alla sua conclusione… e finalmente si è scoperto chi è il Boss e un altro paio di cosette importanti :D
Però mi chiedo come mai tu dici che Ran “ricambia il favore a Shin”… A cosa ti stai riferendo?
Intanto spero che sarai felice di leggere il prossimo capitolo… un’altra faticaccia Anche questa volta non sono molto sicura del mio lavoro, comunque non si tratta di un concentrato di azione, bensì di un capitolo basato sui silenzi e sulle riflessioni. Un tentativo di radunare i fili che costituiscono determinate vicende e una serie di domande che rimangono in sospeso, in attesa che arrivi il momento giusto per le risposte. Un bacio!





Capitolo 28
Un'altra tappa


Ran e Ai percorsero fianco a fianco il tragitto fino all’auto del dottor Agasa, decise a lasciare al più presto la vecchia villa e il suo selvaggio giardino per dirigersi in ospedale. Era stata una serata incredibile per entrambe, piena di imprevisti e difficoltà, ma nessuna delle due poteva definirsi pentita di essere giunta fin là, in quel posto che sembrava dimenticato da tutti, o quasi: sentivano di aver fatto la cosa giusta ed erano disposte a rimettersi in gioco in qualsiasi altra situazione d’emergenza, che Conan lo volesse o meno. Specialmente Ran, che non riusciva a evitare di chiedersi cosa sarebbe successo se lei non fosse intervenuta, cercando di allontanare Conan dalla traiettoria del proiettile sparato dalla donna coi capelli biondi…
Grazie al Cielo io e Sera siamo arrivate in tempo!, ripeteva fra sé. Altrimenti lui sarebbe…
Il termine ‘morto’ continuava a risuonarle nella testa, insistente; allora Ran benediceva il fatto che quella parola terribile non fosse diventata una realtà da affrontare e costituisse invece un’alternativa a come erano andate davvero le cose.
Dal canto suo, Ai era ancora concentrata sull’inspiegabile comportamento di Subaru Okiya nei suoi confronti. Dopo che lei aveva colpito Gin in faccia con il suo mocassino, permettendo a Rena Mizunashi di liberarsi e a Subaru di utilizzare la pistola stordente, le cose si erano svolte nel silenzio pressoché totale: Gin, ormai privo di sensi, era stato portato lontano dalla villa e chiuso in un’auto, dove si trovava già Vodka, e lo stesso destino era toccato a Bourbon, grazie alla perfetta collaborazione tra Subaru e Rena. I due avevano agito con efficienza, senza perdersi in chiacchiere; Ai li aveva accompagnati zitta zitta fino alla macchina, nella speranza di riuscire a carpire qualche dettaglio sulla sorte di Conan, ma non aveva ricavato un granché.
“Devo sbrigarmi a tornare indietro” si era limitato a dire Subaru. “Gin e Bourbon sono sistemati, però la scomparsa di quella donna non mi convince affatto e temo che il ragazzino possa infilarsi in qualche guaio, anche se è un tipo in gamba…”
E in quell’istante uno sparo aveva squarciato la quiete della sera, spingendo sia Subaru che Rena Mizunashi a correre verso la villa. Naturalmente Ai era andata con loro, temendo che Conan fosse in pericolo, o che lo fossero Ran e Masumi Sera… e Subaru le si era rivolto con fermezza, esclamando: “Non ti agitare, vedrai che al tuo amico non sarà successo nulla di grave”. Come se tenesse davvero a rassicurarla.
In cuor suo, Ai si era augurata fortemente che Subaru avesse ragione; nello stesso tempo, non aveva potuto fare a meno di domandarsi perché quell’uomo si fosse premurato di offrirle parole di conforto e, soprattutto, perché in presenza di Gin avesse lasciato intendere di sapere che lei aveva una sorella.
Possibile che lui… non sia chi dice di essere?, si era chiesta ansiosamente la piccola scienziata. Ma era assurdo che Subaru fosse la persona che lei credeva… oppure no?
Ci stava ancora pensando quando salì sul maggiolino del dottor Agasa. Assieme a Ran era finalmente giunta a destinazione, suscitando la reazione sbalordita del suo ‘padre adottivo’, che proprio non si aspettava di vederla lì.
“Ai, ti credevo a casa! Come diamine hai fatto a raggiungerci?!”
“Ci ha seguiti” spiegò Ran in modo vago, intanto che prendeva posto sui sedili di dietro, parzialmente occupati da Conan e Masumi. “E devo ringraziarla, perché mi ha soccorsa dopo che sono caduta” soggiunse, cercando di incrociare lo sguardo di Ai e sorridendole con affetto.
Il dottor Agasa scosse la testa, rassegnato. “Nessuno che mi dia ascolto, qui. Poteva capitare a tutte qualcosa di grave, lo sapete?”
“Ormai è finita” replicò Ai asciutta, chiudendo lo sportello.
“È vero” rincarò Ran. “Gli agenti di polizia stanno discutendo col signor Subaru Okiya, per vedere cosa fare dei criminali coinvolti nello scontro… Ora noi dobbiamo pensare solo a Conan”.
Masumi adocchiò l’espressione agitata dell’amica e le parlò con tono incoraggiante: “Saremo in ospedale fra un attimo, abbi solo un po’ di pazienza… Ne ho individuato uno a circa dieci minuti da qui e ho telefonato per avvisare del nostro arrivo. Inoltre, come vedi, Conan è ancora cosciente. Di sicuro abbiamo tenuto a bada l’emorragia”.
Ran annuì, ma appariva comunque tesa. Conan avrebbe voluto alleviare le sue angosce, dirle che il peggio era passato, che lui sarebbe guarito presto; tuttavia non si sentiva in grado di farlo, qualcosa gli impediva di aprire bocca. E non era colpa soltanto del dolore fisico e della debolezza dovuta alle condizioni in cui si trovava… No, a congelargli la lingua e le corde vocali era il timore di non riuscire a esprimersi nel modo giusto. Perché in quel momento nulla gli sembrava essere andato come doveva andare…
Anche Ai taceva, mentre si rivedeva davanti agli occhi le figure di Subaru e Rena che si precipitavano a vedere chi avesse sparato, poi uscivano dalla villa trascinando Vermouth e le passavano accanto. Lei, infatti, era arrivata con qualche istante di ritardo rispetto alla ex giornalista e allo studente d’Ingegneria, perché durante la corsa aveva dovuto fare attenzione a dove metteva il piede scalzo. Comunque aveva fatto in tempo a ricevere l’occhiata rabbiosa e sprezzante di Vermouth… e i ringraziamenti di Subaru.
’Questa signorina… c’è stata molto d’aiuto’.
Nel ricordare quelle frasi, Ai fu sicura che Subaru l’avesse guardata in modo strano. Del resto lo faceva spesso… Che fosse un’ulteriore prova che poteva avvalorare la sua ipotesi su di lui? Ma forse non aveva importanza. Ran aveva ragione, era fondamentale pensare a Conan, adesso.
“Noto che siete tutti taciturni” commentò Masumi, scrutando con attenzione i suoi compagni di viaggio. “Quasi quasi mi fate venire sonno…”
“Se vuoi schiacciare un pisolino qui in auto, non c’è problema” rispose gentilmente il dottor Agasa. “Immagino che tu sia stanca”.
“Ho avuto giornate più riposanti” ammise Masumi. “In ogni caso, questa serata non la dimenticherò tanto facilmente”.
“Neanch’io” convenne Ran con un sospiro. “Spero solo che chi deve pagare per qualcosa finisca in mano alla giustizia… Hai consegnato agli agenti il dispositivo d’intercettazione, Sera?”
“Ovvio, per chi mi prendi? Avrà registrato un sacco d’informazioni utili, non potevo mica tenerlo io!” replicò Masumi con enfasi. “Piuttosto, hai visto che avevo ragione? L’uomo che abbiamo incontrato a casa Kudo non era il vero Subaru Okiya”.
“Eh, già” mormorò Ran. “Però mi chiedo cosa ci facesse qui… e chi fosse quella donna che stava assieme a lui. Non vi sembra che assomigliasse a Rena Mizunashi?”
“L’ex presentatrice televisiva?” domandò il dottor Agasa.
“Esatto, proprio lei. Quale potrebbe essere il suo ruolo in tutta questa storia?”
“E chi lo sa?” Masumi lanciò un’occhiata penetrante a Conan, poi si affrettò ad aggiungere: “Be’, una certezza ce l’abbiamo, cioè che sia lei sia Subaru hanno agito per il meglio. Ritengo che ci sarà tempo più tardi per eventuali domande”.
Sono d’accordo, pensò Ai, rimanendo però in silenzio. Anche lei aveva un paio di interrogativi che le ronzavano in testa e avrebbe aspettato il momento adatto per porli a Conan, ma adesso voleva soltanto che lui venisse curato e si riprendesse. Il dottor Agasa si stava dirigendo il più velocemente possibile verso l’ospedale vicino, eppure il viaggio sembrava così lungo ad Ai! L’inquietudine le serrava il cuore in una morsa, sebbene il suo volto apparisse calmo e impassibile. Sapeva che si sarebbe sentita meglio solo quando Conan fosse finito al sicuro in mani esperte.
Si abbandonò contro il sedile, chiedendosi cosa provasse Ran. Probabilmente stava come lei, se non peggio… Chissà se era ancora capace di dispensare ottimismo e infondere speranza, o se il timore per la sorte del suo ‘fratellino’ aveva spento la luminosità dei suoi occhi? Ai sapeva che Ran era una persona molto sensibile, che s’interessava al benessere e alla felicità di chi la circondava ed era capace di gioire, nonché di soffrire, assieme al suo prossimo. Ma soffrire… fino a che punto? Fino a che punto la dolce e generosa Ran Mouri era in grado di sopportare il dolore? Ce l’avrebbe fatta, per esempio, a continuare a essere gentile e disponibile con tutti se le fosse morta una persona cara? Avrebbe pensato ancora che il mondo fosse bello, avrebbe regalato sorrisi e parole d’incoraggiamento con spontaneità e naturalezza? Oppure sarebbe crollata, seppellendosi in un mare di lacrime?
Ai non aveva una risposta al problema, in fondo conosceva Ran da meno di un anno e per un po’ aveva evitato di avvicinarsi a lei, rifuggendo dalle sue implicite richieste d’amicizia e dalla sua sollecitudine. Poi, col tempo, si erano ritrovate a condividere esperienze inaspettate… e Ai aveva visto in Ran la somiglianza con la persona a cui probabilmente aveva voluto più bene in assoluto. Non una ma più e più volte, Ran le era apparsa quasi identica alla sua cara sorella maggiore. Anche quella sera, quando l’aveva incontrata all’insaputa di tutti nel laboratorio del dottor Agasa, prima che entrambe si precipitassero in soccorso di Conan…
Erano sole, perché il professore e Masumi avevano appena lasciato il sotterraneo. Ran avrebbe voluto fare altrettanto, ma le era sembrato di scorgere uno strano movimento sotto il tavolo degli esperimenti, perciò si era bloccata. Prima che potesse decidere se era stato tutto uno scherzo della sua immaginazione, Ai era spuntata fuori all’improvviso, sollevando la lunga tovaglia che le aveva permesso di nascondersi sotto il tavolo e fissando Ran con occhi indagatori. L’aveva informata di aver ascoltato il discorso fatto con Masumi e il dottor Agasa, chiedendole se davvero lei e la sua amica fossero intenzionate a raggiungere Conan, e Ran aveva confermato, consigliandole di rimanere dove si trovava.
“Sono convinta che per te sia difficile quanto lo è per noi” aveva aggiunto la ragazza, “ma sei soltanto una bambina ed è folle lasciarti venire. Anche perché non vorrei che finissi di nuovo in qualche brutta situazione… Già una volta hai rischiato di morire; penso che ce lo ricordiamo entrambe, no?”
Ai si era limitata a un cenno d’assenso e Ran l’aveva guardata con tenerezza, appoggiando un attimo sul tavolo gli occhiali da inseguimento di riserva. “Andrà tutto bene, vedrai” aveva detto, permettendosi di accarezzare lievemente i capelli della piccola scienziata. “Ti prometto che torneremo sani e salvi”.
E così Ran se n’era andata e Ai era rimasta immobile a riflettere su quelle parole, che istintivamente aveva collegato a sua sorella. Perché la frase ‘andrà tutto bene’ era uno dei ritornelli di Akemi Miyano… Lei aveva sempre voluto liberare se stessa, ma soprattutto Ai, dal giogo dell’Organizzazione. Per questo le aveva ripetuto innumerevoli volte che un giorno sarebbero state felici, che avrebbero condotto un’esistenza normale… e che tutto sarebbe andato bene, sì. Aveva lottato fino alla fine, pronta a qualsiasi sacrificio, perché credeva in quello che faceva e voleva che anche Ai ci credesse. Era così fiducioso e determinato il suo sguardo, nei frangenti in cui aveva cercato di far sorridere la sorella minore, spronandola a pensare al futuro con un po’ di entusiasmo in più… La sua grazia e il suo coraggio erano la luce più bella che Ai avesse mai conosciuto in un universo fatto di nero e grigio. Era stato il ricordo del sacrificio di Akemi, assieme alle parole e l’espressione di Ran tanto simili alle sue e agli occhiali dimenticati sul tavolo ad aver acceso una scintilla improvvisa dentro la mente di Ai. Era da un po’ che si stava arrovellando il cervello sui possibili rischi del piano di Conan, che peraltro non conosceva neppure nei dettagli, visto che lui si era preso la briga di riferirle soltanto il minimo indispensabile… Aveva trovato estremamente frustrante rimanere tappata in casa. Quando si era resa conto di avere di fronte l’occasione giusta per raggiungere il luogo dello scontro, l’aveva sfruttata subito: nascosti accuratamente gli occhiali da inseguimento in mezzo a un mucchio di provette e fogli scritti, era salita al piano di sopra e si era appostata dietro il divano del soggiorno. Aveva atteso che Ran, fuori insieme a Masumi, fosse rientrata nel laboratorio dopo essersi ricordata degli occhiali; in seguito, approfittando anche dell’assenza del professore, il quale si trovava in un’altra stanza, era sgusciata via dal suo nascondiglio. La porta d’ingresso era aperta, perciò lei aveva scagliato la spilla dei Giovani Detective contro il cofano del maggiolino, attirando così l’attenzione di Masumi, seduta sul sedile del passeggero. La ragazza aveva aperto la portiera e si era alzata, rimanendo china per qualche minuto vicino alla parte anteriore dell’auto; a quel punto, Ai aveva attraversato il tragitto che la separava dal maggiolino e si era infilata lesta nel portabagagli. Appena in tempo, visto che Ran e il dottor Agasa erano arrivati subito dopo, salendo in macchina con Masumi – la quale, probabilmente, aveva deciso di non pensare a cosa poteva aver colpito il cofano e si era concentrata sull’imminente partenza.
Ai sapeva di aver avuto fortuna ad arrivare fino in fondo. Quando il dottor Agasa aveva parcheggiato a una certa distanza dalla villa, Ran e Masumi erano scese di volata dall’auto, giungendo poi in prossimità della recinzione che delimitava l’enorme giardino. Ai era uscita quatta quatta dal portabagagli e aveva pedinato le due liceali, badando a non farsi scoprire e seguendo il loro esempio dopo averle viste scavalcare la recinzione, per addentrarsi tra gli alberi. In effetti, non potevano certo correre il rischio di usare il cancello, di fronte al quale erano parcheggiate due macchine e due moto.
“Accipicchia, qui è un labirinto!” aveva protestato Ran, prima di ricordarsi di tenere la voce bassa. Ai l’aveva udita, seppure in maniera un po’ confusa, e si era augurata di essere stata l’unica, a parte Masumi ovviamente.
Eh, sì, proprio un labirinto…
Attraversare il giardino si era rivelata una vera impresa. Ai era riuscita ad abbandonare il dedalo di tronchi e rami e a intervenire tempestivamente per aiutare Rena Mizunashi, mentre Ran e Masumi erano rimaste bloccate per qualche minuto, in seguito a una caduta della giovane investigatrice, inciampata in una grossa radice. Sicuramente le due amiche erano entrate nella villa mentre Ai si trovava con Subaru e Rena accanto all’auto dell’FBI, poco prima che risuonasse nell’aria il rumore dello sparo. Come fosse stato evitato il peggio, Ai non lo sapeva… e l’avrebbe ignorato ancora per un po’ se, quando la sagoma squadrata dell’ospedale fu finalmente vicina, Masumi non avesse aperto bocca.
“Sia chiaro, io voglio accompagnare degnamente i nostri feriti di guerra in ospedale” sentenziò la ragazza, lanciando a Ran e Conan un’occhiata divertita e scoprendo i suoi canini sporgenti in un sorriso smagliante. “L’eroina che ha strappato il suo amico dalle fauci della morte ha riportato un piccolo danno alla caviglia, quindi immagino che servirà un letto anche per lei…”
“E dai, Sera, piantala!” la rimbrottò Ran arrossendo. “Ho fatto quello che dovevo, punto”.
Masumi assunse un’aria solenne “Dimostrando un gran bel fegato eh, precisiamo” concluse.

Fu una lunga notte.
Sia Ai che il dottor Agasa erano esausti, eppure rimasero svegli per molto tempo, immobili e silenziosi. Così Masumi, la quale andò avanti e indietro per diversi minuti, ripercorrendo continuamente lo stesso breve tragitto e guardandosi intorno furtiva, come se da un momento all’altro potesse sbucare qualcuno pronto ad aggredirla. I suoi tentativi di alleggerire l’atmosfera avevano finito col cedere il posto a un volto serio e rigido e le labbra erano piegate all’ingiù, senza più sorridere.
Ai pensò a tante cose, quella notte. Alla prima volta in cui Conan era rimasto gravemente ferito, all’espressione sconvolta di Ran quando lo stavano portando in sala operatoria, alla determinazione mostrata poi dalla ragazza, nell’istante in cui si era fatta avanti per donare il proprio sangue… Quello era il periodo in cui Ran credeva che Conan potesse essere Shinichi, nonostante lui avesse sempre cercato di tenerla all’oscuro della verità. Di sicuro era stato quel sospetto a spingerla a dichiarare che aveva il gruppo sanguigno uguale a Conan, sebbene il suo ‘fratellino’ non le avesse mai detto niente in proposito. Ran sapeva che lei e Shinichi avevano lo stesso tipo di sangue, così…
All’epoca Conan e Ai avevano collaborato per demolire le convinzioni di Ran, organizzando un piano in occasione della recita scolastica del Liceo Teitan; in seguito si erano adoperati per far sì che Ran non sospettasse più, anche se non era stato sempre facilissimo. E se Conan ogni tanto aveva avuto i suoi dubbi, chiedendosi se fosse giunto o meno il momento di confessare tutto, c’era qualcosa dentro di lui che non aveva mai vacillato: il desiderio di proteggere Ran. Sì, lui desiderava tenere al sicuro ognuno dei suoi amici, dei suoi cari… ma specialmente lei, la persona di cui era innamorato. Non parlava spesso di questa cosa, a causa del suo carattere orgoglioso e riservato; più che altro vi accennava, quando lasciava intendere che Ran non doveva essere coinvolta in situazioni pericolose. Allora gli occhi gli brillavano in maniera particolare e si capiva che stava pensando a colei a cui teneva maggiormente, a colei che per nulla al mondo avrebbe voluto veder soffrire, a colei di cui aveva preso più a cuore la fragilità. Sebbene l’avesse ferita in diverse occasioni, non l’aveva mai fatto volontariamente: ad animarlo c’era costantemente il desiderio di agire per il meglio, cercando di non arrecarle dolore… e questo succedeva anche quando sbagliava, quando si lasciava trasportare eccessivamente dalla passione per le investigazioni e sottoponeva a prove sempre più dure la pazienza di Ran. Perché lui la conosceva bene, eppure in certe situazioni non riusciva proprio a mettersi nei suoi panni. E forse, se qualcuno gli avesse chiesto quanto potesse essere forte Ran, non avrebbe saputo rispondere. Ne vedeva spesso il lato vulnerabile, quello che la portava di tanto in tanto a piangere per lui, a sospirare per la sua assenza con occhi malinconici o a impressionarsi di fronte agli omicidi efferati, ma non sembrava concentrarsi molto sulla risolutezza e sull’intraprendenza che lei tirava fuori per aiutare gli altri. Era quasi come se non si rendesse conto che non solo Ran poteva trovarsi in difficoltà e aver bisogno di protezione, ma anche lui stesso. Infatti lei lo aveva salvato e, per ironia della sorte, proprio durante la battaglia contro l’Organizzazione.
Qualunque cosa fosse successa ora, concluse Ai, sarebbe stato difficile dimenticare quella serata. Per chi si trovava sotto i ferri, per chi aveva riportato lesioni poco gravi e per chi si limitava ad aspettare il proseguimento degli eventi.

Edited by Neiro Sonoda - 3/8/2015, 11:47
 
Top
marty shin×ran
view post Posted on 31/5/2015, 14:42     +1   +1   -1




Ciao bella, come stai?
Con "ricambia il favore" intendevo tutte quelle volte che Shin è diventato Superman pur di salvarla.
Capitolo emotivamente intenso.
Si sono fatti tutti delle domande molto importanti e, quando hai descritto come si sente Shin quando parla di Ran, un sorriso mi è venuto spontaneo.
Al prossimo capitolo ;).
Martina

P. S: c'è un piccolo errore, quando dice "Prima di ricordandosi".
 
Top
FrancyTP
view post Posted on 1/6/2015, 12:32     +1   -1




Ciao Neiro, come va?
Scusami se non ho recensito il cappy precedente, ma in questi giorni posso stare poco al pc, anche ora, infatti faccio una cosa veloce.... Entrambi capitoli molto belli, come ti ho ripetuto tante di quelle volte che ormai ho perso il conto, scrivi benissimo... Scusami ma devo scappare, ci sentiamo al possimo capitolo, baci..
Francy <3
 
Top
Neiro Sonoda
view post Posted on 4/6/2015, 19:36     +1   -1




Apprezzo anche i commenti fatti scappando... e grazie a entrambe, come al solito ^_^
Non sapete quanto vorrei avere già il finale pronto, ma purtroppo non so ancora quando lo potrete leggere :(
L'ultimo capitolo postato, il ventotto, non mi convince al cento per cento (quando mai!)... Volevo ripercorrere alcuni eventi della nottata che non erano stati raccontati in precedenza e focalizzarmi sulla relazione Ai-Ran, ma non so se ci sono riuscita bene. Il fatto è che ero anche stanca di fare flashback e non sapevo come regolarmi, è stato difficile inserire tutte quelle digressioni temporali all'interno dei pensieri di Ai e tornare al presente quando mi conveniva La scena finale, invece, quella dell'attesa, è un po' una sintesi del pensiero di Ai riguardo al rapporto che Shinichi/Conan ha con Ran... Da buona osservatrice, lei è stata in grado di cogliere anche i punti "deboli" del loro rapporto, come il fatto che lui sia così ostinato nel volerla proteggere da tutto da non rendersi bene conto di quanto è forte Ran. In sostanza, è un po' quello che penso anch'io... Mi auguro soltanto di non aver riversato eccessivamente le mie opinioni sulla ShinRan nella testa di Ai :D
Ah, grazie per la tua segnalazione, Marty, appena posso mi rileggo il capitolo^^
 
Top
Neiro Sonoda
view post Posted on 6/6/2015, 20:17     +1   -1




Continuiamo...




Capitolo 29
Visite


Conan sbatté le palpebre, ancora un po’ intontito dal sonno, mettendo gradualmente a fuoco il soffitto bianco di una stanza e, sulla destra, una grande finestra illuminata, con le tendine molto chiare. Nel suo campo visivo era presente anche un sottile palo color grigio perla, con appesa una bottiglia tenuta capovolta; essa era poi collegata a un deflussore, che terminava in un lungo tubicino trasparente, munito di ago. Goccia a goccia, una sostanza liquida e incolore scendeva lungo il tubicino, per finire iniettata in una delle vene dell’esile braccio da ragazzino adagiato fra le lenzuola.
“Ben svegliato”.
Conan distolse lo sguardo dalla flebo e voltò appena il capo, udendo quella familiare voce un po’ burbera: alla sua sinistra c’era Kogoro Mouri, il viso tirato e i capelli scuri in disordine.
“Come sempre, cacciarsi nei guai è il tuo passatempo preferito” commentò l’investigatore con disapprovazione. “Possibile che, appena mi giro dall’altra parte, finisci coinvolto in qualche sparatoria? Forse dovrei chiedere ai tuoi genitori il permesso di segregarti in casa, così te ne staresti buono buono davanti alla televisione e non ti accadrebbe nulla”.
A quelle parole, Conan non poté trattenere un sorriso. “Mi dispiace” disse piano.
“Ti dispiace, già. Questa notte ho perso dieci anni di vita, maledizione” borbottò Kogoro corrucciato. “Quando mi hanno telefonato per dirmi che Ran era in ospedale mi è preso un accidente”.
“Ran…?” Al suono di quel nome, Conan si alzò a sedere di scatto, dimenticando le proprie condizioni. Pessima idea: provò subito un dolore penetrante là dove la pallottola l’aveva colpito e lanciò istintivamente un ‘ahi’.
“Stai buono, per piacere!” rimbeccò Kogoro. “Non ti puoi permettere il lusso di fare questi sforzi, ti hanno operato da poco, caro il mio signorino. Quanto a Ran… lei non ha niente di grave, se è questo che t’interessava sapere. Un medico si è occupato della sua caviglia slogata in un batter d’occhio e pare che entro qualche giorno dovrebbe tornare come nuova”.
“Capisco” rispose Conan. “Sera che fine ha fatto, invece?”
“È rimasta qui in ospedale finché non hanno terminato la tua operazione, poi è andata via… L’hanno accompagnata il professor Agasa e quella tua amichetta bionda” spiegò Kogoro, passandosi una mano sul volto stanco.
“Quindi anche Haibara e il prof. hanno passato una notte insonne” disse Conan.
“Proprio così. Finché i medici non sono usciti dalla sala operatoria, per informarci dell’esito dell’intervento, abbiamo aspettato tutti nel corridoio. Eravamo in preda all’ansia, moccioso… Ci hai proprio fatto preoccupare”.
“Mi dispiace” ripeté Conan sincero. “Io…”
“Tu sei un combinaguai, niente di più e niente di meno” lo interruppe brusco Kogoro. “Ormai ci siamo abituati… Adesso riposati e non ti muovere, io vado a far visita a Ran, di sicuro vorrà avere tue notizie. E ricordati che prima o poi mi dovrai spiegare cosa diavolo sei andato a combinare stanotte… e perché mai mia figlia è rimasta coinvolta nelle tue sciocchezze!” Ciò detto, l’investigatore infilò la porta e se ne andò.
Conan tornò a coricarsi quasi con circospezione, muovendosi pian piano. Aveva aperto gli occhi e cominciato a riprendersi dal torpore del sonno senza prestare attenzione alla ferita, ma adesso che era del tutto sveglio sentiva un dolore notevole, a maggior ragione dopo essersi mosso impulsivamente per mettersi seduto. In ogni caso, non era la prima volta che si verificava un avvenimento del genere; anzi, solo qualche mese addietro lui si era ritrovato proprio in quelle condizioni. Pensò con ironia che i proiettili lo avevano beccato più o meno nello stesso punto e che tutto questo sembrava quasi una maledizione.
Be’, spero che la mia vita sia più tranquilla, d’ora in poi. Se è andato tutto come previsto, l’FBI ha consegnato Gin, Vermouth, Bourbon e Vodka nelle mani della polizia… e il Boss dell’Organizzazione sarà stato rintracciato…
Sospirò: avrebbe voluto ricevere notizie più certe, ma non poteva pretendere nulla, non nello stato in cui si trovava. L’unica cosa che doveva fare era aspettare di rimettersi in forze, dopodiché avrebbe affrontato qualsiasi tipo di evenienza. La notte appena trascorsa non aveva forse dimostrato che era in grado di cavarsela nelle situazioni più difficili e spinose?
Non da solo, però.
Il pensiero prese forma nella sua mente senza che lui potesse evitarlo, provocandogli un lieve sussulto. Sorrise, un sorriso carico di amara consapevolezza che metteva a tacere il suo orgoglio: non poteva mentire a se stesso, il contributo delle altre persone era stato determinante come mai prima. Il suo piano sarebbe potuto finire molto male, anche perché Vermouth aveva previsto efficacemente la maggior parte delle sue mosse. Sapeva che si sarebbe spacciato per Ai e aveva fatto il possibile per sfruttare la cosa a suo vantaggio… arrivando a tentare di ucciderlo, quando la situazione era divenuta tragica. Era stato allora che l’ultima persona che Conan si sarebbe aspettato di vedere si era esposta terribilmente per lui, per salvarlo…
Ancora una volta ti devo la vita, Ran. Sì, proprio a te, che mi sono sempre affannato a cercare di proteggere…
La mano di Conan andò a posarsi sulla maglia del pigiama dell’ospedale, in corrispondenza della ferita. Se Ran non fosse intervenuta tempestivamente, il proiettile di Vermouth lo avrebbe colpito da tutt’altra parte, inutile negarlo. E lui sarebbe morto senza poter tornare a essere Shinichi Kudo, senza nemmeno aver parlato con Ran un’ultima volta con la sua vera voce, per dirle quanto tenesse a lei.
Com’è potuto succedere?, si chiese Conan sgomento. Ran… Ho sempre pensato che fosse mio dovere preservarti da eventuali pericoli, ho sempre cercato di farti soffrire il meno possibile, di lasciarti al sicuro, lontano dai miei guai… Non sei stata certo tu a seguire Gin e Vodka e ad entrare in contatto con l’Organizzazione degli Uomini in Nero! Eppure stanotte eri lì, in quel posto maledetto, a stento consapevole di quanto fosse rischiosa la situazione e ciononostante disposta a qualsiasi sacrificio per me. Che cosa ho sbagliato? Perché non sei rimasta a casa con tuo padre, perché?!
Rimuginò per diversi minuti, il cuore pesante e gli occhi incupiti da un’ombra, sentendosi stranamente debole e indifeso. Alla fine trasse un gran respiro e tentò di calmarsi. Non doveva lasciarsi prendere dai rimorsi proprio in quel momento… Aveva fatto del suo meglio per proteggere le persone che amava e per lottare contro quei criminali che, con le loro malefatte, avevano rovinato la vita a chissà quanta gente. Adesso era molto meglio godersi un meritato riposo dopo la battaglia, senza crogiolarsi nell’autocommiserazione. Non era da lui, accidenti! Perché non riusciva a sorridere di fronte alla sua sorte? Sarebbe stata quella la reazione più sensata…
Gli ci volle un bel po’ per mettere da parte i cattivi pensieri: la sua mente agitata non riusciva a quietarsi e si torturava continuamente a causa dei dettagli del suo piano che non erano andati come previsto. Trascorse una buona mezz’ora prima che il sonno gli intorpidisse le membra e gli facesse chiudere gli occhi, cancellando temporaneamente i suoi tormenti.

Nella tarda mattinata, prima dell’ora di pranzo, Sonoko Suzuki e Masumi Sera decisero di comune accordo di far visita alla loro amica ‘infortunata’. Anche Ran, infatti, aveva trascorso la notte in una camera d’ospedale… e non aveva praticamente chiuso occhio, preoccupata com’era per la sorte di Conan. Mentre lui era stato affidato ai chirurghi che lo poi lo avevano operato, la ragazza era stata lasciata nelle mani di un medico e di un’infermiera, i quali si erano occupati diligentemente della sua caviglia e le avevano consigliato di andare a riposare. Ma Ran non ne aveva voluto sapere e si era precipitata a raggiungere Masumi, Ai e il dottor Agasa, che attendevano la fine dell’intervento di Conan nel corridoio su cui si apriva la sala operatoria. Assieme a loro aveva aspettato, rimanendo seduta su una sedia di plastica, in silenzio… finché non era arrivato Kogoro, avvisato prontamente dall’ospedale che ‘i suoi figli’ si trovavano lì. Dopo aver sbraitato un po’ e constatato che Ran stava abbastanza bene, si era accasciato accanto a lei e aveva detto con un filo di voce: “Grazie al Cielo, grazie al Cielo”. Poi aveva taciuto e i suoi occhi si erano spostati sulla porta chiusa della sala operatoria, impazienti. Quando era arrivata la comunicazione che l’intervento di Conan era andato a buon fine, il professor Agasa, Ai e Masumi avevano potuto lasciare l’ospedale con un certo sollievo. A quel punto, Kogoro era rimasto a vegliare il piccolo detective per tutta la notte, mentre Ran era stata spedita in una camera a dormire e a far riposare la sua povera caviglia fasciata, ma aveva faticato davvero molto a prendere sonno. Sia Masumi che Sonoko se l’aspettavano e non si stupirono affatto di trovarla con le occhiaie.
“Cara Ran, cosa combini senza la tua più vecchia amica? Ti infili nei pasticci per colpa di quel moccioso con gli occhiali?” esclamò Sonoko con aria di disapprovazione, appena la porta della stanza venne accostata e lei si fu avvicinata al letto di Ran.
“Guarda che nei pasticci ci si è messo lui” s’intromise Masumi, prima che l’interpellata potesse rispondere. “Lei ha solo pensato a trarlo in salvo, vero, Ran?”
“Ciò non toglie che abbia commesso una pazzia” obiettò Sonoko. “Sera mi ha raccontato tutto” soggiunse, rivolgendosi di nuovo a Ran. “Conan ha scoperto casualmente i piani di alcuni criminali e loro lo hanno rapito, cercando di ucciderlo… Per fortuna tu sei riuscita a scoprire dove si trovava, sei andata fin lì e hai impedito che succedesse l’irreparabile. Spero che a questo punto lui smetta di ficcare il naso ovunque e impari la lezione”.
“Ehm, già” mormorò Ran a disagio, tentando un sorriso. Chiaramente Masumi non aveva potuto rivelare a Sonoko i segreti di Shinichi, anche perché non aveva un quadro completo della faccenda. Né ce l’aveva Ran, del resto… Esistevano cose che sapeva solo lui, su quegli uomini coi nomi in codice di alcolici e sul modo in cui era finito sulla loro strada. Forse Sonoko avrebbe conosciuto, un giorno, tutti i dettagli dell’avventura notturna vissuta dalle sue due amiche, ma non prima che Shinichi si decidesse a confidarsi con Ran. Perché era Ran la prima persona a cui lui doveva dire ogni cosa e, finché non fosse stato pronto ad aprirsi con lei, non era giusto che mezze verità trapelassero fuori da casa Mouri… Almeno, questo era ciò che pensava Masumi.
“Poteva andarti molto peggio, comunque… Una storta alla caviglia è niente in confronto a uno sparo” riconobbe Sonoko con un sorriso, che non nascondeva il suo sollievo per come se l’era cavata Ran.
“Devo ringraziare Sera… Se non fosse stato per lei non ce l’avrei mai fatta, mi ha aiutato tantissimo” affermò Ran convinta.
Masumi si passò una mano dietro la nuca, un po’ imbarazzata. “Dovere di detective… e di amico”.
“Una volta tanto potresti pure parlare al femminile!” la riprese Sonoko. “Se non ti guardassero con attenzione potrebbero prenderti per il ragazzo di Ran…”
“Be’, che male ci sarebbe?” replicò la giovane investigatrice. “Fra l’altro, qui non c’è nessuno a parte noi…”
“E la scorsa notte Sera si è presa cura di me meglio di qualsiasi ragazzo” aggiunse Ran, ostentando un tono solenne che scatenò uno scroscio di risa.
“A proposito, non pensate che Kyosuke Shibata vorrebbe sapere cos’è successo?” rifletté Sonoko tornando seria. “Fino a ieri pomeriggio eravamo allegramente a spasso con lui, no? Molto allegramente…”
Ran, capendo che quell’ultima frecciatina era diretta a lei, si affrettò a puntualizzare: “A me non interessa rivederlo tanto presto, parlateci voi se volete. In questo momento devo pensare a riprendermi del tutto… e badare a Conan…”
Sonoko alzò gli occhi al cielo. “Lascia il marmocchio alle cure dei medici, è sufficiente”.
“Non fare l’insensibile” la rimproverò Masumi. “Dopo i guai degli ultimi giorni, è normale che Ran desideri stare più vicina a Conan”.
“E vegliare su di lui, magari?” Sonoko storse le labbra in una smorfia. “Dovrebbe preoccuparsi di qualcun altro, invece!”
“E di chi? Di Kyosuke?” mugugnò Ran incrociando le braccia.
“Ma no! Di Shinichi, naturalmente”.
A Masumi scappò un sorrisetto, mentre Ran arrossiva e abbassava lo sguardo.
“Se sapesse che hai rischiato la vita, correrebbe qui tutto trafelato” proseguì Sonoko con l’aria di chi la sa lunga. “Si butterebbe ai tuoi piedi, chiedendo perdono per il fatto che non era accanto a te a proteggerti…”
“Ma dai, non è vero! Ce lo vedi, Kudo, a mettersi in ginocchio come un penitente?” ribatté Masumi, come se per lei la sola idea fosse ridicola.
“Be’, ad ogni modo, ha molto di cui parlare con Ran” osservò Sonoko. “E questa volta non è l’unico a dover fornire delle spiegazioni, mi sa”.
Il rossore sulle guance di Ran si accentuò. “Per favore, Sonoko…”
“Sono sicura che è arrivato il momento giusto” insistette lei. “Non puoi più tacere, ormai… Chiama Shinichi e raccontagli cosa ti è capitato, così lui verrà subito qui”.
“Ma…” iniziò a protestare Ran.
“Non capisci che hai di fronte un’occasione da non perdere? Suvvia, un po’ di intraprendenza…”
“Non ci sarà alcun bisogno di telefonare a Kudo” intervenne Masumi, accorgendosi che l’amica si trovava in difficoltà. “O almeno, non adesso. Ran gli parlerà appena si sentirà pronta”.
“E quando si sentirà pronta?” sbottò Sonoko. “A vent’anni? Trenta, quaranta?”
“Non essere così drastica! Loro sanno quel che fanno, forzare le cose non servirà a nulla”.
Sonoko assunse un’espressione contrariata. “Sì, come no. Vabbè, allora arrangiatevi. Io vado”.
“Aspetta, dove corri?” tentò di fermarla Ran.
“Telefono a Makoto. E se non vi spiace, preferisco farlo fuori di qui”.
“Oh” mormorò Ran. “D’accordo, come vuoi. Però torna appena hai finito”.
Sonoko annuì, rigida. Un attimo dopo era uscita dalla stanza d’ospedale, chiudendosi la porta alle spalle e stringendo in mano il suo cellulare.
“Abbiamo esagerato” constatò Masumi.
Ran si sentiva in colpa per quello che era successo. “E se provassimo a dirle qualcosa? Io non voglio che creda di non essere presa in considerazione da me, è solo che questa volta non posso proprio seguire i suoi consigli…”
“Vedrai che le passerà tutto” garantì Masumi. “È un po’ seccata, capisci… Le sembra che tu non riesca mai a prendere una decisione”.
“Io so quello che devo fare adesso” rispose Ran in un sussurro. “Lui è stato appena operato, non posso pretendere che…”
“Me ne rendo conto, non devi spiegarmi nulla. Ma non appena starà bene… tu ci parlerai, giusto? Gli confesserai che hai scoperto la sua vera identità, no?”
Lentamente, Ran assentì.
“Ah, già, visto che siamo caduti sull’argomento… Mi spieghi come mai non hai avuto sospetti su Conan fino a ieri? Oppure li avevi già da molto tempo e non dicevi nulla?”
“Non è proprio così” rispose Ran. “Io ho iniziato ad avere dei dubbi poco dopo che Conan è venuto a vivere con me, ma li ho accantonati quasi subito”.
“E perché, se posso chiederlo?”
“Fondamentalmente per due ragioni. La prima è che… insomma, la mia era più una sensazione. Lo vedevo comportarsi come Shinichi, dimostrare di sapere cose che nessun bambino della sua età conoscerebbe, fare osservazioni argute, in grado di colpire gli adulti e condurre mio padre o la polizia alla soluzione del caso… Non solo mi domandavo come ciò potesse essere possibile, ma mi accorgevo che c’era dell’altro, qualcosa che non sapevo spiegare bene neppure a me stessa”.
“E cioè?” chiese Masumi.
“Il legame con me” rivelò Ran, abbassando di nuovo lo sguardo. “Il fatto che io avessi provato sin dall’inizio un certo trasporto verso di lui, che riuscissi a confidargli tante cose con semplicità e naturalezza, quasi non avessi fatto altro da sempre, come…”
“… Come succedeva con Kudo quando ancora credevi che foste solo amici?” completò Masumi. “Sì, capisco”.
“Conan è comparso proprio il giorno in cui Shinichi è sparito” riprese Ran, tornando a guardare negli occhi la giovane detective. “Poteva benissimo essere un caso, certo… eppure, in aggiunta a tutte le mie sensazioni e osservazioni, mi portava a ipotizzare che loro potessero essere un’unica persona”. Scosse la testa, con aria di compatimento verso se stessa. “Sono una sciocca, vero?”
“Qual è la seconda ragione per cui hai accantonato i tuoi sospetti?” incalzò Masumi, ignorando quell’ultima uscita.
“Il fatto che lui li abbia sviati” chiarì Ran con un sospiro. “La prima volta mi capitò di essere al telefono con Shinichi mentre Conan era nella stessa stanza in cui mi trovavo io… Un trucco ben organizzato, senza dubbio. Bastò a farmi ricredere, dato che non avevo alcuna prova a sostegno della mia ipotesi. Se fossi stata in gamba, come te magari, avrei cercato di andare a fondo della questione, ma mi accontentai di quella dimostrazione e seppellii la mia idea”.
“Tu sei in gamba” precisò Masumi con forza. “Che un ragazzo di diciassette anni e un bambino di sette siano la stessa persona non è normalmente credibile… Sembra quasi fantascienza. Tu hai notato che c’era qualcosa di strano in Conan e nella sparizione di Shinichi e, sapendo che il professor Agasa è capace di dar vita alle invenzioni più incredibili, hai pensato che potesse aver creato una sostanza che fa ringiovanire. Il ragionamento ha un suo filo logico, credimi, però è comprensibile che tu non fossi sicura del fatto tuo. E cercare di indagare ulteriormente non sarebbe stato facile, visto che Conan ti teneva d’occhio e avrebbe di sicuro anticipato le tue mosse”.
“Sì, probabile. Io comunque non ho fatto più nulla… È solo che, più tempo passava, più vedevo una serie di coincidenze che legavano Shinichi e Conan. Come potevo reagire, se non tornando a sospettare?”
“È un po’ quello che è accaduto a me, direi… Coincidenza dopo coincidenza, mi sono convinto che Conan fosse Kudo, nonostante all’inizio non sapessi spiegarmi perché ero così fissato con un’idea simile. Certi atteggiamenti sulla scena del crimine erano quasi inequivocabili, a mio avviso”.
“Io purtroppo tendo a disinteressarmi a quello che avviene durante i casi, anche perché so che mio padre e la polizia finiscono sempre per risolverli” ammise Ran, “però non posso dire che il comportamento di Conan non mi sia parso strano, durante le poche occasioni in cui mi sono soffermata a guardarlo”.
“Be’, comunque sia, il confronto delle impronte digitali non può ingannare, perciò qualsiasi stratagemma abbia tentato di architettare lui in passato… non regge più” concluse Masumi asciutta.
“No, hai ragione” confermò Ran. “Sarà difficile affrontare l’argomento col diretto interessato… Chissà se si è accorto che ho scoperto il suo segreto?”
“Te lo dirà appena sarà possibile, vedrai. E so che in quel momento non ce l’avrai più con lui”.
Ran scrollò la testa. “Non capisco nemmeno io se ce l’ho con lui oppure no”.
“Un po’ sì, dammi retta. È normale. Ma almeno sai che ti ha mentito per cercare di proteggerti. Non è sparito da un giorno all’altro e basta… come ha fatto mio fratello”.
Ran rimase colpita: sebbene Masumi si sforzasse di mascherare i propri sentimenti, il dolore impregnava le parole che aveva pronunciato come il sangue della ferita di Conan gli aveva impregnato i vestiti. Lei l’aveva visto, tutto quel sangue… e come allora si era sforzata di tamponarlo, adesso doveva cercare di alleviare la sofferenza dell’amica.
“Sera” cominciò, “io sono convinta che anche tuo fratello ti volesse bene quanto tu ne vuoi a lui. Dev’essere colpa di quegli uomini coi nomi in codice se gli è accaduto qualcosa di brutto, altrimenti sarebbe tornato dalla sua famiglia. Tu non sei nemmeno sicura che sia morto, dopotutto. Magari quella donna, Chris Vineyard o come si chiama, ti ha mentito”.
“Me lo sono chiesto più volte anch’io” sospirò Masumi, “ma perché avrebbe dovuto? Certo, dopo il viaggio sul treno ero molto confuso…”
“Quale treno?”
“Il Bell Tree Express. Lì ho visto un uomo identico a mio fratello, però con una strana bruciatura sulla faccia… poi ho perso i sensi”.
“Credi che fosse un inganno?” domandò Ran.
“È possibile. Sharon Vineyard, madre di Chris, era famosa per essere un asso del travestimento, oltre che una grandissima attrice; non mi stupirei se anche la figlia possedesse abilità simili e avesse tentato di raggirarmi, facendomi credere di avere di fronte mio fratello. Ricordo che mi aveva costretto a rivelarle il mio nome, durante il nostro terzo incontro… e l’uomo che c’era sul treno mi ha chiamato apertamente ‘Masumi’”.
“Dunque è tuo fratello la persona che può permettersi di chiamarti per nome e non sai che fine abbia fatto” dedusse Ran, rammentando le strane frasi dell’amica alla festa di Villa Suzuki.
“Già” rispose Masumi stancamente “e io ritengo che Chris Vineyard e compagni volessero uccidere anche me, dopo essersi liberati di lui. Sai, Ran, noi due ci somigliamo e quei delinquenti avranno di sicuro intuito che siamo fratello e sorella, specialmente dopo il viaggio sul treno”.
“Va bene, ma adesso non pensarci più, Sera. Chi doveva pagare per qualcosa è finito in mano alla polizia e tu hai accanto tante persone che tengono a te. Sia io che Conan ti dobbiamo molto e faremo il possibile per starti sempre vicini… Sei un’amica preziosa, non dimenticarlo”.
Masumi ritrovò il sorriso. “Non lo dimenticherò” promise. “Adesso mi auguro solo che tu ti riprenda presto”.
“Oh, non badare a me: il dottore che mi ha curata sostiene che posso andarmene già oggi pomeriggio, devo solo stare attenta a non fare sforzi”.
“Allora non farli! O correrai il rischio di mettere in agitazione una certa persona…”

Nel primo pomeriggio, i medici diedero ufficialmente il via all’orario di visita anche per Conan. Fino a quel momento, era stato stabilito che non potesse entrare nessuno nella stanza del paziente operato da poco… a parte Kogoro, che veniva considerato il suo tutore, e Ran, sua ‘sorella’. Lei avrebbe voluto con tutto il cuore andare da Conan, ma ci aveva rinunciato, accontentandosi di chiedere notizie al padre sul suo stato di salute. Non se l’era sentita di vederlo subito, temeva di lasciarsi prendere dall’emozione e di turbare la sua tranquillità, perciò era rimasta nella propria camera e si era distratta un po’ grazie alla visita delle amiche. Dal canto suo, Conan aveva dormito per la maggior parte del tempo, rilassandosi a dovere; però era pronto a scommettere che presto un sacco di gente sarebbe andata a trovarlo, dai suoi compagni di classe al suo amico e ‘collega’ Heiji Hattori. E verso le quattro, prima che potesse stabilire chi avesse colto per primo o per prima la palla al balzo, entrò nella sua stanza una bella donna trentasettenne, coi riccioli che scendevano fino a metà schiena.
“Tesoro! Dimmi, come ti senti?” esclamò Yukiko Kudo, precipitandosi accanto al letto del figlio.
“Oh… mamma” mormorò Conan. “Che ci fai qui?”
“Ma che domande! E secondo te non venivo a trovarti, dopo quello che ti è successo?” proruppe lei.
“Sto benissimo, dai… Non farla tragica” tagliò corto Conan, che solitamente non era disposto a ricevere coccole da sua madre.
“Benissimo, già. Con un bel buco in pancia” commentò Yukiko, mascherando la propria apprensione con una battuta. “Piuttosto, sai quanto ho dovuto aspettare per vederti? Volevo venire stamattina, ma Ran mi aveva avvisata che non facevano entrare nessuno, esclusi i parenti più stretti… Certo, se si sapesse che sono tua madre, a quest’ora mi sarei risparmiata tutta l’ansia che ho dovuto sopportare”.
Conan assunse un’espressione rassegnata. “Quanto sei esagerata…”
“E tu sei un figlio degenere” ribatté pronta Yukiko. “Lasciarmi con un misero paio di occhiali da inseguimento, che fra l’altro aveva pure la funzione audio rotta, senza farmi avere in alcun modo tue notizie…”
“Mamma, lo sai che il mio piano era organizzato in una certa maniera… Non potevo assolutamente contattarti” replicò Conan con fermezza.
Yukiko sorrise comprensiva e allungò una mano per scompigliargli i capelli. “Lo so, Shin-chan, lo so. Questo non mi ha impedito di stare in ansia, sono una mamma dopotutto. Meno male che mi ha telefonato Ran, la prima volta per avvertirmi che eri rimasto ferito, la seconda per dirmi che l’intervento era andato a buon fine. Sono stata davvero tentata dal precipitarmi qui mentre ti operavano, lo sai? Mi sono trattenuta soltanto perché ho dovuto scambiare quattro chiacchiere con la signorina Jodie, che voleva avere qualche informazione in più dopo aver ricevuto un messaggio in cui le è stata comunicata la sorte degli Uomini in Nero”.
L’espressione di Conan si adombrò. “A proposito… Ran è venuta fino a casa mia, vero? Ha preso gli occhiali da inseguimento ed è riuscita a rintracciarmi grazie a quelli”.
“Eh, già” confermò Yukiko. “Lei e la sua amica coi capelli neri sono state ben poco gentili con me e il falso Subaru Okiya, ma da una parte le capisco pure…”
“Vi hanno massacrati a colpi di karate?” scherzò Conan, sebbene il suo sguardo si mantenesse stranamente cupo.
“Pressappoco. Volevano raggiungerti a tutti i costi, sai… Io ho provato a dissuaderle”.
“Non ci saresti mai riuscita, credimi. Sanno essere parecchio testarde”.
“Be’, a conti fatti credo sia stato meglio così. Sono sicura che ti hanno aiutato, no?”
Conan spostò gli occhi sulla grande finestra della stanza, senza rispondere in alcun modo. Yukiko aggrottò le sopracciglia.
“Per caso ho detto qualcosa di male, Shin-chan?”
“No no” si affrettò a precisare lui, evitando di incrociare lo sguardo della madre. “Anzi”.
“Allora perché sei così pensieroso?” esclamò la signora Kudo.
“Non è nulla… Un po’ di stanchezza, tutto qui”.
Yukiko intuì che c’era qualcosa che angosciava il figlio e trasse un gran respiro. “Tesoro…” esordì.
“Che c’è?” chiese lui, sempre senza guardarla.
“Non ci sarebbe niente di male, sai? Ad ammettere che sei preoccupato per qualcosa”.
“Non sono preoccupato”.
“E io sono tua madre. Piantala di rifilarmi queste sciocchezze, ti conosco. Possibile che, ogni volta che torno qui in Giappone, ti rivolgi a me soltanto per chiedermi favori? Potrei anche offendermi!”
Il principio di un sorriso si dipinse sulle labbra di Conan. “Stai dicendo che non ti tratto da mamma?”
“Più o meno. Il compito di una madre è anche quello di offrire consigli e conforto, ma tu non mi dai mai l’occasione per farlo. Sei sempre sulle tue, sempre convinto che vada universalmente bene quello che va bene a te e che ogni tuo problema non sia affare di nessuno…”
Conan non disse nulla. In altri tempi avrebbe sicuramente provato a smentire; adesso non più. Yukiko aveva ragione, gli costava riconoscerlo, però aveva ragione. E lui non poteva farci un bel niente.
“So che sei un bravo figlio, un ragazzo responsabile e una persona di valore” riprese la signora Kudo con calma. “Mi fido di te. Ma non riesco a capire questa tua tendenza ossessiva ad aprirti con gli altri solo fino a un certo punto. Dovresti cercare di essere te stesso sempre e comunque, anche quando ti senti confuso o insicuro… Non nasconderti”.
Conan aveva ancora lo sguardo fisso sulla finestra. “Non è facile…” gli uscì detto, in un sussurro.
“È naturale che non sia facile. Per questo ci sono io” replicò Yukiko con un occhiolino. “Allora, cosa c’è che non va? È per Ran?”
Conan fece sì con la testa. “Non riesco a capire… come devo comportarmi con lei adesso. Tu sai che ho sempre cercato di sviare i suoi sospetti su di me e che non le ho mai svelato il mio segreto, convinto che fosse la scelta più gusta. Pensavo che fosse da egoisti coinvolgerla, anche minimamente, nei miei problemi… Ran non ha mai fatto nulla per meritarselo, no? Eppure, con tutte le buone intenzioni del mondo, non sono riuscito a preservarla dal pericolo. Prima è stata rapita da un membro dell’Organizzazione che voleva informazioni su di me… ed è stato un miracolo se nessuno l’ha uccisa. Ieri sera si è messa in testa di raggiungermi… e non sapeva nemmeno a cosa andava incontro realmente. Perché? Perché è successo tutto questo? Perché non sono in grado… di proteggerla come si deve?!” I pugni di Conan si serrarono sopra le lenzuola, mentre lui si sfogava apertamente, un po’ vergognoso, un po’ sollevato di riuscire a buttare fuori parte delle brutte sensazioni che avevano attanagliato il suo animo.
Yukiko esitò, come se stesse scegliendo con cura le parole da utilizzare e non volesse peggiorare la situazione. “Dunque è questo il problema… Credevi di aver fatto bene a nasconderle la verità e che lei sarebbe stata completamente al sicuro” disse infine, intrecciando le dita. Conan non si prese nemmeno la briga di annuire e sua madre scosse il capo, l’espressione lievemente malinconica.
“Shin-chan…”
“Cosa c’è?” sbottò lui, più brusco di quanto avrebbe voluto essere.
“Quello che devi capire… è che non spetta a te prendere determinate decisioni al posto di Ran. Né puoi farti carico di tutto. Io comprendo perfettamente il tuo desiderio di proteggerla, di adoperarti affinché sia serena, di esporti per lei; però non puoi portare le cose all’estremo, rischiando di rinchiuderla in una campana di vetro. Ognuno è padrone delle proprie scelte, quindi non colpevolizzarti perché lei ha messo a repentaglio la sua vita. Ha agito così perché sentiva di doverlo fare e guarda caso ti è stata utile, nonostante i tuoi tentativi di lasciarla fuori da questa storia… Io dico che dovresti tenere bene a mente la cosa”.
“Mi è stata utile?” rise amaro Conan. “Lei ha fatto molto di più, mamma… Mi si è parata davanti, facendomi scudo col suo stesso corpo. Se Vermouth non avesse esitato un attimo, sarebbe morta… morta dopo aver impedito che uccidessero me”.
“Questo non me l’aveva spiegato nessuno” disse Yukiko. “Ovvio che sei scosso… però, a maggior ragione, dovresti aver imparato qualcosa dalla faccenda”.
Conan si massaggiò l’addome con lentezza, percependo la consistenza della fasciatura attraverso il pigiama. “Quindi secondo te sarebbe stato giusto dire a Ran chi sono?”
“Non lo so, ma di sicuro i tuoi piani non potevano realizzarsi alla perfezione”.
“Mamma…”
“Shin-chan, te lo ripeto: non puoi caricare solo sulle tue spalle ogni problema. È vero che sei stato tu a imbatterti in quegli uomini, però è altrettanto vero che, nel momento in cui hai deciso di nasconderti e di cambiare identità, hai coinvolto inevitabilmente anche Ran. E questo perché lei è una tua amica, una persona con cui hai condiviso molto… Quando hai scelto di non rivelarle cosa ti era accaduto, l’hai esclusa da una parte della tua vita senza chiedere il suo parere e al tempo stesso l’hai legata alla tua seconda identità, quella di Conan Edogawa. Ti rendi conto che Ran ti era vicina? E che sarebbe stato impossibile pretendere che lei non avesse a che vedere con i tuoi guai, nemmeno un minimo?” Yukiko fissò il figlio con intensità, spronandolo a riflettere su quel breve discorso.
“Stai dicendo che ho preteso un po’ troppo da me stesso?” chiese lui piano.
“Da entrambi” precisò la signora Kudo in tono grave, “perché ti sei costretto a tacere e a mentire in continuazione e hai fatto sì che Ran aspettasse qualcuno che non le dava quasi mai risposte certe. Immagino che anch’io avrei agito come te, ma solo all’inizio, poi credo che mi sarei decisa a sputare fuori la verità. Vedi, il tuo incontro con gli Uomini in Nero non ha sconvolto solo la tua vita… Tutte le persone a te care ne sono state indirettamente toccate nell’istante in cui ti è stata somministrata quella pillola, anche se tu hai voluto condividere fino in fondo la tua esperienza solo con alcuni. E Ran, in particolare…”
“Ran cosa?” ribatté Conan nervosamente.
“Be’, è colei che tu desideri avere al tuo fianco… e lo è stata fino a oggi, imparando a voler bene a Conan e accettando la lontananza da Shinichi, seppur soffrendone. Ritengo che tu debba essere sincero, raccontandole tutto per filo e per segno. E ricorda che, se ieri sera ti fosse successo qualcosa d’irrimediabile, Ran ne sarebbe rimasta segnata per sempre… Ti consiglio di provare a vedere la realtà attraverso i suoi occhi, prima di intavolare un discorso serio con lei” terminò Yukiko con voce vibrante.
“Uff… ricevuto” bofonchiò Conan, fingendosi scocciato. “È finita la predica?”
Yukiko sorrise e gli scostò delicatamente alcuni ciuffi ribelli dalla fronte. “Non voleva essere una predica” rispose con dolcezza. “Ho soltanto cercato di alleviare un po’ la tensione del momento…”
“Sì, sì, d’accordo”.
“Parlo con tutte le buone intenzioni e tu lo sai” insistette Yukiko più decisa. “Il segreto della tua identità è stato a lungo un peso per te e ti sei ostinato a portarlo da solo, o quasi… ma, più tempo passava, più quel peso diventava anche un po’ di Ran, per le ragioni che ti ho esposto prima. Adesso devi raccogliere le conseguenze del tuo gesto e, se davvero vuoi mantenere un certo rapporto con quella ragazza, non dimenticare che dovrete affrontare insieme i problemi che verranno. Come lei ti offre la sua fiducia tu devi essere pronto a darle la tua… anche quando è difficile e doloroso. Capisci cosa intendo, vero?”
Conan rimase in silenzio, ma Yukiko parve accontentarsi così. Gli aveva letto la risposta negli occhi e ora contava sulla sua capacità di sistemare definitivamente le cose con Ran. Gli sorrise ancora una volta e schioccò un bacio sulla sua fronte, per poi salutarlo allegramente: “Purtroppo devo andare… Tu mangia e riguardati, ci vediamo presto”.
“Va bene” si limitò a borbottare Conan. “A presto”. Guardò uscire sua madre dalla stanza, ascoltò il ticchettio delle sue scarpe col tacco sul pavimento dell’ospedale e si sentì il cuore più leggero, nonostante non sapesse ancora bene cosa avrebbe detto a Ran.
Grazie davvero, mamma, pensò rinfrancato.

Edited by Neiro Sonoda - 3/8/2015, 11:54
 
Top
205 replies since 27/3/2014, 21:20   7249 views
  Share