E finalmente arrivano… i miei amatissimi ragazzi di Osaka
Non riesco a immaginare DC senza di loro, perciò ho pensato bene d’inserirli anche nella mia fanfiction
Qui si limitano a entrare in scena, ma non pensate che le sorprese di quest’altro pezzetto di
Reduci si fermino… Buona lettura!
Capitolo 10Il sopralluogo
Heiji Hattori e Kazuha Toyama arrivarono all’aeroporto della città di Tokyo nel pomeriggio di venerdì, intenzionati a dirigersi verso l’Agenzia Investigativa Mouri.
“Povera Ran” commentò Kazuha mentre scendeva dall’autobus assieme a Heiji, per percorrere a piedi l’ultimo tratto di strada. “Ne ha passate di tutti i colori in pochi giorni… Avrei voluto essere con lei”.
“E a cosa sarebbe servito?” obiettò Heiji, aggrottando le sopracciglia folte e scure. “Certo non potevi esserle d’aiuto…”
“Che insensibile” replicò Kazuha contrariata, attorcigliando un dito intorno all’estremità del suo nastro per capelli color arancio. “Almeno le sarei stata accanto, visto che una persona di nostra conoscenza non si degna di farlo”.
“Piantala di dire sciocchezze” rimbeccò Heiji. “Che ne sai tu, dei problemi di Kudo?”
“So come dovrebbe comportarsi un uomo nei confronti della sua ragazza”.
Già… peccato che il suddetto ‘uomo’ si trovi in una situazione alquanto spinosa, una situazione che tu non arrivi nemmeno a immaginare, cara Kazuha, pensò Heiji corrucciato, aggiustandosi il berretto da baseball.
“Comunque, Ran mi ha raccontato molto poco della faccenda… Forse c’è una spiegazione per lo strano comportamento del suo bello” rifletté Kazuha ad alta voce, attraversando le strisce pedonali.
Heiji la seguì, ancora accigliato. “Il suo…
bello?” ripeté.
“Shinichi. O Kudo, come lo vuoi chiamare” rispose Kazuha noncurante.
“E da quando in qua
tu lo chiami per nome?” chiese Heiji, raggiungendo la sua amica d’infanzia e guardandola con gli occhi a fessura. Lei si strinse nelle spalle.
“Che differenza fa, scusa?”
“Ne fa eccome. L’hai visto giusto un paio di volte… Mica avete confidenza” ribatté Heiji in tono sostenuto.
“Ma che importanza ha? Il punto è che Ran rimane sempre da sola, perché quello bada soltanto ai suoi casi… e non è giusto!” protestò Kazuha con voce vibrante.
‘Quello’ va un po’ meglio, non poté fare a meno di pensare Heiji. Poi si disse:
Che cavolo mi passa per la testa? Chi se ne frega di come Kazuha chiama Kudo?!Scrollò il capo, mise da parte quelle riflessioni alquanto illogiche e sconclusionate ed esclamò: “Su, vedrai che Ran sta bene. Sbrighiamoci ad arrivare da lei però, altrimenti si fa notte”.
Kazuha annuì. “D’accordo”.
“Quindi hai scoperto davvero qual è il posto in cui l’avevano rinchiusa?”
“Sì, mi è bastato fare qualche indagine… Adesso non mi resta che darci un’occhiata”.
Sul divano, Heiji e Conan parlavano a bassa voce, lontani dalle orecchie di Ran e Kazuha, che si trovavano in stanza da letto, e di Kogoro, che era troppo impegnato a guardare la televisione.
“Se è così ti accompagno” si offrì immediatamente il detective dell’ovest. “In fondo, sono qui per questo…”
“Come preferisci” rispose Conan neutro.
“Oh, andiamo, Kudo… dimmi la verità, hai aspettato apposta il mio arrivo perché potessimo indagare assieme” replicò Heiji, con l’aria di chi la sa lunga.
“Sciocchezze. Se non sono andato prima a fare un sopralluogo è stato unicamente per cause di forza maggiore” smentì Conan. Ripensò per un momento ai giorni che erano seguiti al rapimento di Ran… Lei aveva deciso di raccontare la sua disavventura a Kogoro, insistendo che Tooru Amuro era implicato nel suo sequestro: “Quella voce che ho sentito apparteneva a lui! Ormai che sono più che sicura”.
“Stupidaggini!” aveva esclamato Kogoro. “Perché mai Amuro dovrebbe far parte di una banda di criminali? Ti sarai confusa, figliola”.
“Non mi sono affatto confusa! Ti dico che era proprio la sua voce!”
“Ran, ascolta”. L’investigatore aveva appoggiato le mani sulle spalle della figlia con fare paterno, poi aveva continuato a parlare, calmo: “Hai subito uno shock… ma adesso non devi più pensarci, l’importante è che sia finito tutto”.
“Io…”
“Pensa a rimetterti, al resto provvedo io. Va bene?”
Il viso di Ran si era adombrato. “D’accordo” aveva mormorato lei, inespressiva. Dopodiché era diventata più taciturna e la questione 'rapimento' non veniva affrontata da allora. Per quanto ne sapeva Conan, Kogoro si era ripromesso di tenere d’occhio Amuro, ma non aveva fatto alcun tipo d’indagine concreta… Il piccolo detective se lo aspettava, perciò a quel punto si era deciso a prendere in mano da solo le redini della faccenda e, dopo qualche sforzo, aveva capito qual era il luogo in cui Ran era stata portata dal misterioso Sakè.
Non aveva parlato delle sue ricerche con la sua amica d’infanzia perché non voleva che si turbasse o si preoccupasse, senza contare che da giovedì sera lei aveva la febbre e cassa Mouri era stata un continuo andirivieni di persone che venivano fin lì per vederla (prima Sonoko e i Giovani Detective, poi Masumi, che ancora adesso si trovava in stanza con Ran, assieme a Kazuha)… Ne aveva discusso solo al telefono con Heiji che, al solito, gli aveva fatto mille pressioni per sapere tutto. Così, ora come ora, era più che logico supporre che il ragazzo di Osaka si sarebbe fatto in quattro pur di accompagnarlo 'in missione' ed era meglio rassegnarsi all’idea.
“Senti, Hattori, puoi venire se ti va… ma non pensare che io abbia bisogno di te, so benissimo fare il mio lavoro” tenne a precisare il piccolo detective, asciutto.
“E piantala di fare l’antipatico” lo rimbrottò Heiji, affondando le mani nelle tasche dei jeans. “Credi che sia venuto fin qui per girarmi i pollici?”
Conan sospirò. “Be’, allora conviene che ci sbrighiamo subito. Diremo a Kogoro che andiamo per un po’ dal professor Agasa… Ci penserà lui a scortarci con il suo maggiolino fino al posto che dobbiamo controllare”.
“Benissimo. Diglielo tu, io avverto Kazuha, o c’è il rischio che non vedendomi faccia un quarantotto”. E Heiji si alzò rapidamente dal divano.
Più tardi, i due investigatori s’incamminarono verso l’abitazione del dottor Agasa, immersi nei propri pensieri. Heiji aveva tentato di fare conversazione, ma si era accorto che Conan non aveva molta voglia di parlare, così aveva deciso di tacere a sua volta.
Immagino sia preoccupato per Ran… Se glielo chiedessi cercherebbe di negare, però sono convinto che sia così… In fondo, lui ha sempre cercato di tenerla fuori dai suoi guai…Suonarono al campanello della casa del prof. (il cancello era aperto). L’anziano scienziato aprì la porta e sorrise affabile a entrambi.
“Venite, vi aspettavo… Ah, Shinichi, Ai mi ha detto che voleva parlarti un attimo, ti attende giù”.
“Non adesso” ribatté Conan. “Dobbiamo andare… Ovviamente Haibara resta qui”.
Heiji ridacchiò, inarcando un sopracciglio. “Fosse per te lasceresti tutti indietro, vero, Kudo?”
“A me non serve aiuto. Tienilo bene a mente, Hattori”.
Il detective dell’ovest storse le labbra e fece una faccia che diceva chiaramente ‘che noioso’; il professor Agasa invece scosse il capo, un po’ contrariato.
“Shinichi, credo che Ai voglia parlarti delle analisi compiute su quella torta…”
“Lo immaginavo, ma ripeto che è meglio rimandare. Dobbiamo raggiungere il luogo del rapimento di Ran, poi penseremo al resto” replicò Conan risoluto.
“E va bene” si arrese lo scienziato. “Andiamo”.
Uscirono in fretta dalla casa e salirono in macchina, Agasa al posto di guida, Conan accanto a lui, sul sedile del passeggero, Heiji sul sedile posteriore.
“L’ultimo tratto, dal vecchio parco alla periferia di Tokyo fino all’edifico che cerchiamo… lo percorreremo a piedi” dichiarò Conan, rivolgendosi al suo ‘collega’. “Il dottor Agasa parcheggerà da qualche parte e attenderà il nostro ritorno”.
Heiji annuì. “Chiaro”.
L’anziano scienziato mise in moto senza parlare. Era evidente che, come al solito, era disposto a offrire il suo contributo con estrema naturalezza, astenendosi dal replicare… Heiji gli scoccò un’occhiata di apprezzamento, rammentando tutti gli aiuti e gli strumenti ingegnosi che aveva fornito a Conan negli ultimi tempi.
“Kudo, cosa pensi di trovare esattamente in quel posto?” chiese poi.
“Non lo so, ma è possibile che ci sia qualche traccia. L’Organizzazione è bravissima a non destare sospetti, però vale comunque la pena di tentare… Mi spiace solo di non essere riuscito ad andarci prima” rispose Conan.
“Non preoccuparti, vedrai che riusciremo a saperne di più su quel Sakè” disse Heiji. “Così gliela farai pagare per aver rapito la tua ragazza” aggiunse, un brillio malizioso negli occhi color acquamarina dal taglio deciso.
Conan arrossì. “Non è la mia ragazza, non parlare a vanvera, Hattori” ribatté indispettito. Al volante il professor Agasa si lasciò sfuggire un sorrisino, però continuò a tacere, mentre Heiji sfoggiava un’espressione divertita e un po’ saccente.
“Piantatela” insorse allora Conan con voce incrinata. “Siamo qui per lavorare, non per ridere”.
“E va bene, amico. Il capo sei tu” commentò Heiji strizzando l’occhio. Il piccolo detective lo guardò torvo, ma scelse di non replicare.
Il resto del viaggio trascorse in maniera abbastanza tranquilla; arrivato fino al luogo dove avrebbe dovuto fermarsi, il dottor Agasa fece scendere Heiji e Conan e si accinse a trovare un posto adatto per parcheggiare.
“Mi raccomando, Shinichi” fu l’unica cosa che disse prima di accomiatarsi. Conan gli rivolse un sorriso sicuro, poi iniziò a camminare assieme a Heiji, diretto alla meta.
“Ehi, Hatttori” lo richiamò a un certo punto, in un bisbiglio. “Te ne sei accorto anche tu, vero?”
“Che una moto ci stava seguendo? Ovvio” rispose Heiji, a voce altrettanto bassa. “Ora però non c’è nessuno… Credi che ci abbiano persi di vista, oppure che si siano nascosti da qualche parte?”
Conan corrugò le sopracciglia. “Non ne ho idea… È strano” mormorò, continuando a camminare. “In ogni caso, non possiamo permetterci alcun errore. Dividiamoci e cerchiamo di confondere le acque, così li semineremo”.
Heiji fece un cenno d’assenso. “D’accordo”.
“Che posto lugubre, eh, amico?”
I due detective attraversavano con circospezione il corridoio dell’edifico abbandonato dov’era stata rinchiusa Ran; Heiji aveva appena parlato per spezzare la tensione ma, come si aspettava, Conan non aveva risposto, troppo impegnato nell’osservazione di ciò che li circondava. Il luogo aveva sicuramente un che di sinistro, vecchio e polveroso com’era: c’erano crepe sui muri, le finestre rotte e sbarrate per metà facevano filtrare appena la luce esterna, un odore pesante aleggiava nell’aria e una miriade di ragnatele infestava gli angoli delle pareti.
Conan si sentiva inquieto. Lui e Heiji si erano appena ritrovati dopo l’operazione ‘seminare-chi-ci-stava-pedinando’, che probabilmente era riuscita… eppure, un senso d’allarme non smetteva di tormentarlo. Come se avvertisse una presenza estranea lì vicino. Sì, era evidente che qualcuno era entrato nell’edifico molto di recente, a giudicare dalla scarsissima quantità di polvere rinvenuta sulla maniglia della porta d’ingresso, ma non era detto che, chiunque fosse, si trovasse ancora lì.
Maledizione… Se soltanto fossi stato un po’ più svelto nelle mie indagini…Accanto al piccolo detective, Heiji scrutava la semioscurità attorno a sé con aria guardinga, tenendo le mani nelle tasche della felpa. Anche lui aveva una brutta sensazione… Non capiva da cosa fosse originata, ma tutti i suoi sensi erano in stato di allerta.
“Ci siamo” bisbigliò Conan, accennando alla porta alla sua destra. Era quella la stanza dove Ran era stata prigioniera, ne aveva la certezza; si trattava dell’unica, infatti, con le finestre completamente ostruite dall’esterno da robuste assi di legno, che impedivano totalmente l’ingresso della luce solare.
Heiji si fice avanti e abbassò la maniglia con circospezione, aprendo la porta pian piano. Fu allora che accadde l’imprevedibile: lui e Conan riuscirono appena in tempo a scorgere la figura di un uomo inginocchiato, che dava le spalle a entrambi, dopodiché un colpo di arma da fuoco partì nella loro direzione, centrando il muro accanto al battente, in basso. Heiji imprecò, balzando all’indietro, mentre il misterioso individuo si alzava in piedi e si calcava sul viso l’ampio cappuccio di una giacca a vento, per poi voltarsi verso i detective e alzare una pistola contro di loro. Doveva averli sentiti e, non appena si erano arrischiati ad aprire la porta, aveva puntato la propria arma dietro di sé, colpendo il muro. Certo che, considerato che non aveva potuto prendere la mira, era andato molto vicino a beccare uno dei due.
“Andiamocene!” intimò Conan a denti stretti. Quell’uomo, chiunque fosse, aveva una pistola, non potevano affrontarlo faccia a faccia. Si girò e prese a correre, imitato da Heiji. Udirono un altro sparo, che mancò di poco il braccio di Conan, provocandogli un sussulto: se non stavano attenti, lui e il suo amico avrebbero potuto seriamente rischiare la vita…
Corsero per il corridoio, inseguiti dall’incappucciato, che non si fece pregare per premere di nuovo il grilletto e questa volta colpì Heiji. Al detective dell’ovest sfuggì un urlo soffocato e lui si bloccò, portandosi una mano al fianco destro, che aveva cominciato a sanguinare imbrattando di rosso il tessuto blu della felpa. D’istinto, anche Conan si fermò, il cuore in gola e i nervi a fior di pelle, il cuore che gli esplodeva nel petto. Si aspettava che il loro assalitore lanciasse un qualche grido di battaglia e si preparasse a freddare entrambi, ma quello rimase zitto… e un attimo dopo la porta d’ingresso si spalancò. Due figure slanciate si profilarono sulla soglia e un oggetto tondo di medie dimensioni fu scagliato contro l’incappucciato, centrandogli il braccio e costringendolo a mollare la pistola con un grugnito. Conan ne approfittò per far partire uno dei suoi dardi narcotizzanti e l’uomo si accasciò sul pavimento, lottando per non sprofondare nell’incoscienza.
Heiji si chinò a recuperare la pistola con un fazzoletto, la bocca serrata in una smorfia di dolore, e puntò gli occhi su color che avevano tratto in salvo lui e il suo ‘collega’: erano le ultime persone che si sarebbe aspettato di vedere.
“A quanto pare... siamo arrivati al momento giusto” disse la prima abbassando la cerniera della giacca a vento, che fino ad allora era tirata su al massimo, tanto che il colletto arrivava all’altezza della bocca. Poi un berretto venne sfilato, rivelando una chioma di capelli neri corti e ribelli, mentre la seconda persona liberava i propri dallo stretto chignon fermato con un nastro color arancio, lasciando che una cascata uniforme di ciocche brune ricadesse sulle spalle e alcuni ciuffi adornassero il suo viso delicato, sul quale spiccavano due occhi verde smeraldo.
“K-Kazuha!” balbettò Heiji.
“E Sera!” aggiunse Conan spiazzato.
Edited by Neiro Sonoda - 26/1/2015, 19:59