In ritardissimo sulla mia tabella di marcia, ma eccomi con il quattordicesimo
E’ uno dei miei preferiti e ho cercato di rendere tutte le sue “scene” molto incisive, fatemi sapere qual è il risultato!
Neiro
Capitolo 14La scomparsa
Heiji guardava fisso davanti a sé, l’espressione vuota e assente, le mani intrecciate in grembo, la ferita al fianco che gli faceva male come se la pallottola bruciasse ancora nel suo corpo. Nella testa gli risuonavano le ultime frasi pronunciate da Kazuha e lui si rivedeva continuamente davanti quel viso pieno d’ansia e acceso dall’ira…
‘Diciamo che in questo caso non ero tranquilla’… ‘Se ti bucano la carcassa con un altro proiettile non sarà affar mio’… ‘La prossima volta ti lascerò al tuo destino’… Tutte parole che avevano colpito molto Heiji, che lo avevano fatto star male. E lui sapeva perché.
L’ho ferita, le ho detto un sacco di cattiverie… È merito suo se mi sono salvato, se non fosse arrivata assieme a quella Masumi Sera chissà che fine avrei fatto… e invece di ringraziare mi sono praticamente messo a sputarle in faccia…TOC-TOC! Qualcuno bussava alla porta bianca della camera dell’ospedale.
Heiji sussultò: immerso com’era nelle sue cupe riflessioni sul litigio con Kazuha, aveva dimenticato che stava aspettando Conan per parlare con lui.
“Avanti” bofonchiò con tono scocciato. Subito dopo la testa di Conan fece capolino oltre l’uscio semiaperto, i ciuffi di capelli bruni spettinati sul davanti, gli occhi incorniciati dalle lenti e un sorriso innocente da bambino stampato sulle labbra.
“Levati quell’aria da mocciosetto ingenuo, Kudo, non ti si addice affatto” lo rimbrottò subito Heiji, corrucciato. Conan entrò a passi lenti nella stanza, chiudendosi il battente alle spalle; mentre la sua espressione mutava in un evidente cipiglio, mise le mani nelle tasche dei pantaloncini che indossava e sentenziò con disapprovazione: “Noto che niente riesce a frenare la tua lingua. Quando smetterai di chiamarmi ‘Kudo’ ogni santa volta che mi vedi?”
“E come dovrei chiamarti? Conan-chan, per caso?” replicò Heiji beffardo.
“Nessuno lo fa e non vedo perché debba iniziare proprio tu… Ti chiedo soltanto di non sbandierare il mio vero nome ai quattro venti”.
“Ai quattro venti? Fino a prova contraria qui non c’è nessuno… Kudo” rispose Heiji, sorridendo malignamente. Conan lo guardò male, ma decise di lasciar cadere l’argomento e cambiò discorso.
“Immagino che tu voglia sapere se ho scoperto chi è il tizio che ci ha aggrediti” esordì calmo. “Be’, mi spiace deluderti, non sono riuscito ad appurarlo: Sera si è intromessa, gli ha permesso di nascondersi e di sfuggirmi”.
“Che cosa?” esclamò Heiji spiazzato. “Perché?”
“Non ne ho idea… Mi sono fatto una teoria al riguardo, nulla di più”.
“E quale sarebbe?”
Conan si sedette ai piedi del letto e guardò Heiji con una certa intensità. “Lei ha avuto a che fare con LORO, in passato. Immagino che abbia perso qualcuno di molto importante per mano di quei criminali, per questo insiste che bisogna starci alla larga”.
“Quando dici ‘loro’… intendi l’Organizzazione, giusto? Credi che anche Sera ne abbia fatto parte?” domandò Heiji, aggrottando nuovamente la fronte.
“No, altrimenti a quest’ora l’avrebbero già eliminata” disse Conan. “Ti ripeto che secondo me una o più persone a cui lei teneva hanno perso la vita per mano dell’Organizzazione, quindi Sera è consapevole della pericolosità di quella gente. Non desidera averci a che fare, né vuole che qualcuno che conosce finisca nelle loro grinfie… Ecco perché oggi mi ha tenuto a distanza”.
“Peccato. Vorrei proprio sapere chi era quel tipo” sospirò Heiji. “In ogni caso, guardiamo il lato positivo: poteva andarci molto peggio, no?”
Conan non si lasciò ingannare dalla finta spensieratezza dell’amico. “Sei deluso, non è vero? Speravi che le nostre indagini ci conducessero a dei risultati concreti… inoltre, il mio fiuto mi dice che qualcos’altro ti turba” affermò con un’aria saccente che innervosì alquanto il suo ‘collega’, spingendolo immediatamente a reagire.
“Io sono venuto da Osaka apposta per te” rimbeccò “e per poco non ci rimettevo la pelle, in quel postaccio. È ovvio che mi aspettassi un buon risultato, non trovi?”
Il piccolo detective si strinse nelle spalle. “Come ho cercato di farti capire altre volte, io non ho bisogno di alcun aiuto. So badare a me stesso, Hattori, e comunque non credevo che chissà a cosa sarei arrivato con questo sopralluogo”.
“Bugiardo” accusò Heiji. “Tu volevi qualche indizio sull’uomo che ha rapito la tua ragazza… ed eri certo che l’avresti trovato”.
L’espressione di Conan era di nuovo torva. Heiji proseguì: “Siamo stati sfortunati… tuttavia non dobbiamo arrenderci. In qualche modo scoveremo una nuova pista e la seguiremo ad ogni costo”.
“Hai intenzione di continuare a starmi col fiato sul collo?” commentò Conan sarcastico.
“Kudo, piantala. Se non ti aiuto io, chi lo fa?”
“Ti ho già detto che non…”
“Una spalla a cui appoggiarti ti serve, fidati. Soprattutto quando si tratta dell’Organizzazione” insistette Heiji cocciuto. “E se quella spalla sono io… meglio per me, ma specialmente per te”.
Conan non rispose. Non gli andava di dire che la presenza di Heiji gli era in qualche modo di sostegno… La lealtà e il senso d’amicizia che il detective di Osaka manifestava nei suoi confronti lo avevano sempre colpito positivamente, sin da quando aveva approfondito la sua conoscenza con lui; eppure gli veniva difficile riconoscerlo. In altre parole, era ben consapevole che poter contare su una persona in gamba come Heiji rappresentava un gran vantaggio, ma non voleva ammetterlo apertamente… perché lui, Shinichi Kudo, era sempre stato abituato ad affidarsi soltanto a se stesso. E basta.
Fino a quel giorno al
Tropical Land.
Sentì lo stomaco contrarsi in maniera quasi dolorosa al ricordo di ciò che era successo dopo il pedinamento di Vodka. Aveva preso una botta in testa, facendosi cogliere alla sprovvista da Gin quasi come un principiante, proprio lui, che si riteneva un grande investigatore. E poi era stato costretto a mandar giù quella maledetta pillola, l’APTX 4869… Da allora la sua vita era cambiata, il suo corpo non era più lo stesso, e un’ennesima testimonianza, notò, gli veniva data dalla visione dei suoi piedi che non toccavano nemmeno terra, una volta che lui aveva preso posto sul letto. Rammentò con amarezza la sensazione di calore insopportabile che, quella prima volta in cui le sue cellule avevano subito una trasformazione inattesa, lo aveva invaso dalla testa ai piedi, mentre era a faccia in giù sull’erba e sentiva il cuore battergli forte, quasi dovesse esplodere da un momento all’altro. E lo sgomento che aveva provato rendendosi conto di quello che gli era successo, la delusione e la frustrazione per non poter riprendere le sue reali sembianze, l’incontro con Ran e tutte quelle bugie…
'Mi chiamo Conan. Conan Edogawa'.
Quante volte, dopo quel momento, era stato sul punto di crollare e rivelare alla sua amica d’infanzia chi era veramente? Quante volte si era illuso che sarebbe rientrato in possesso del suo corpo, benedicendo la sofferenza fisica che lo pervadeva prima di ritornare adulto, per poi essere costretto a subirla nuovamente nel giro di poche ore e rassegnarsi all’idea di continuare a vivere sotto le mentite spoglie di un bambino? Ma soprattutto, quante volte si era rimproverato per essere stato così pieno di sé e imprudente da gettarsi a braccia aperte in mezzo al pericolo, quel pomeriggio al
Tropical Land? Non voleva riconoscerlo con nessuno e nemmeno con se stesso, ma una parte di lui rimpiangeva la propria incoscienza… Essere sempre sicuri di una buona riuscita poteva rivelarsi davvero controproducente, ormai l’aveva capito, anche se faticava ad accettarlo. Adesso l’unica consolazione era rappresentata dalla possibilità di incastrare gli Uomini in Nero… perché non gl’importava quanto tempo ci avrebbe impiegato, era convinto che prima o poi avrebbe messo nel sacco quei delinquenti. Sì, ce l’avrebbe fatta, non poteva tirarsi indietro… ma non poteva neanche sbrigarsela completamente da solo, questo era il punto.
‘Hai bisogno di aiuto, Shinichi’.L’affermazione pronunciata da Ran, quando pochi giorni prima gli aveva raccontato la disavventura del rapimento, risuonò nelle sue orecchie come se lei fosse al suo fianco. Aiuto. Sì, Ran aveva ragione. Lui doveva mettere da parte l’orgoglio e acconsentire alle richieste di Heiji, magari senza dirglielo a chiare lettere, semplicemente concedendogli di collaborare alle sue indagini, cosa che d’altronde era già capitata in alcune occasioni. Emise un profondo sospiro, sotto lo sguardo attento e incuriosito del detective dell’ovest, l’animo che si riempiva di determinazione.
Solo Hattori, il dottor Agasa e gli agenti dell’FBI… Nessun altro dev’essere coinvolto, nemmeno Haibara. Dopo quel che le è accaduto quando Gin è andato all’Haido City Hotel
, non posso certo permettere che si trovi ancora nei guai… e poi ho promesso che l’avrei protetta, anche visto e considerato che non sono riuscito ad arrivare in tempo per salvare sua sorella…“A che cosa stai pensando, Kudo?” chiese Heiji scrutando ansioso l’amico, senza ottenere alcuna risposta. Conan continuò a tacere, scacciando dalla sua mente l’immagine del corpo sanguinante di Akemi Miyano, sorella di Ai. Era morta stringendogli la mano… Deglutì, sentendo un peso gravargli sulla coscienza e ricordando le lacrime di disperazione versate dalla piccola scienziata quando aveva scoperto tutto.
“Kudo?” Heiji parlò con tono più esitante stavolta, quasi temesse di disturbare Conan, ma lui seguitava a non badargli, impegnato nelle proprie riflessioni.
Che a Sera sia successa più o meno la stessa cosa? Avrà pure perso un parente stretto? Se è così, meglio non contare su di lei. Mi sarebbe solo d’intralcio, e comunque sia non mi fido abbastanza, non avrei chiesto il suo sostegno in nessun caso… Non ne ho certo bisogno! Però mi dispiace, chissà quanto deve aver sofferto…Conan trasalì, avvertendo una mano posarsi sulla sua spalla, e il filo dei suoi pensieri si spezzò bruscamente. “Hattori! Che diavolo vuoi?” sbraitò, voltandosi di scatto.
“Sapere che ti passa per quella testa bacata, maledizione!” ansimò Heiji, lasciandosi cadere lungo disteso sul letto ed emettendo un suono soffocato. “Non dovrei muovermi molto nelle mie condizioni, ma tu… nemmeno ci fai caso. Si può sapere come mai non mi hai risposto, visto che ti ho chiamato ben due volte?”
“Uff, quante storie!” si lamentò Conan con aria di sufficienza. “Non era niente d’importante, io stavo solo…”
“… Fantasticando sulla tua ragazza?” insinuò Heiji. “Non si direbbe, a giudicare dalla faccia…”
“E smettila! Lei non…”
“Sei forse preoccupato per la sua sorte? Be', se è così non ti do torto, Kudo” continuò imperterrito il ragazzo di Osaka. “Tu hai sempre cercato di lasciarla fuori e guarda che è successo!”
“Cosa fai ora, parli come la tua amichetta?” sbottò Conan innervosito. Evidentemente Heiji non si era reso conto che stava toccando un tasto sensibile… e meno male che si vantava tanto di essere una spalla a cui appoggiarsi!
“Be’, io… Un momento, come sarebbe a dire ‘la mia amichetta’? A chi ti riferisci?” esclamò perplesso il detective dell’ovest.
“A Kazuha naturalmente. Prima che ci dessero il permesso di vederti, mi ha fatto un discorsetto… A quanto pare, ritiene sciocco escludere sempre le persone a cui si tiene da eventuali pericoli: sostiene che non sia una vera garanzia per tenerle al sicuro”.
Heiji spalancò gli occhi. “Lei ha detto questo… a te?!”
“Si riferiva a me come Shinichi Kudo… Ovviamente non sapeva che ce l’aveva proprio davanti agli occhi, altrimenti non so se si sarebbe presa questa confidenza” commentò Conan a voce bassa.
Heiji rise, gli occhi accesi d’ironia. “Non la conosci” ribatté poi. “Può sembrare che faccia la timida, ma non lo è per niente… Da sempre è molto schietta, sarebbe stata capace di parlarti in quel modo anche se avesse avuto di fronte a sé Shinichi Kudo a tutti gli effetti”.
“Sarà. Questo non cambia le carte in tavola… Mi ha sorpreso, col suo discorso”.
“Non ti sarai fatto venire dei complessi, spero!”
Conan rimase in silenzio. Heiji trasse un respiro profondo.
“Ascolta, Kudo: non devi minimamente far caso alle parole di Kazuha, lei non sa nulla di quello che stai passando! Capisco che voglia bene a Ran e che provi a mettersi nei suoi panni, ma anche così non può certo comprendere la tua situazione. Io, invece, sono dalla tua parte…”
Conan arricciò il naso. “Che ne sai di quello che io penso e provo, Hattori?” si lasciò sfuggire.
“Lo immagino. Sono il tuo migliore amico, no? Inoltre… anche se spesso ti ho consigliato di dire la verità a Ran, mi rendo conto di quanto possa essere pericoloso. Già abiti da lei e questo è un bel rischio… Non è bello mentirle, d’accordo, soprattutto visto che si tratta della persona che ami, però…”
“Insomma, ma che vai blaterando?!” intervenne Conan stizzito, arrossendo suo malgrado. Heiji lo ignorò.
“… Però credo sia necessario. Se tu hai deciso di lasciarla fuori dall’intera storia, dev’essere giusto così… perciò, Kudo, non badare a Kazuha. D’altro canto, io le ho già parlato e sono sicuro che non ci infastidirà più” concluse il ragazzo di Osaka.
“Non
ci infastidirà?” Conan aggrottò le sopracciglia. “Allora avete litigato, ecco perché lei aveva quella faccia quando è venuta a chiamarmi!”
Heiji sentì una fitta al cuore. “Be’, in realtà…”
“Ha fatto anche a te lo stesso discorso, vero? Ma non si riferiva più a me e a Ran… bensì a voi due”.
Nessuna risposta. Conan proseguì: “Prima stavi pensando a questo, eh? Ti dispiace che abbiate discusso?”
“La pianti con queste sciocchezze, Kudo?” protestò Heiji seccato. “Quel che è successo tra me e Kazuha sono cavoli miei… e comunque sia, noi non siamo legati come te e Ran”.
Conan emise uno sbuffo scettico.
“È inutile che fai quella faccia, è così! E adesso lasciami dormire, sono stanco. A differenza tua, non sono uscito illeso dalla nostra avventura!”
Il piccolo detective annuì rassegnato, saltando giù dal letto. Ormai sapeva da un pezzo che la testardaggine di Heiji Hattori si manifestava anche nell’ostinazione a negare i veri sentimenti che provava verso la sua amica… Del resto, lui stesso ci aveva messo un po’ a capire quanto volesse realmente bene a Ran.
“Un’ultima cosa, Kudo” lo richiamò Heiji.
“Sì?”
“La pistola che abbiamo recuperato… dov’è?”
“L’ho messa da parte nella mia stanza. Vedrò a chi consegnarla, se alla polizia o all’FBI” rispose Conan tranquillo.
“Di sicuro sopra non ci saranno impronte, visto che quel tizio aveva i guanti… ma forse può portarci a qualcosa, che ne dici?” incalzò Heiji.
“Vedremo” si limitò a rispondere Conan. “Fatti un bel sonnellino, tra poco arrivano i tuoi. A presto”. E con un lieve sorriso sulle labbra, aprì la porta e uscì dalla camera.
“Hanno sparato al tuo amico di Osaka, vero? È inutile che cerchi di negare, il professore me l’ha confidato ieri sera”.
Ai conversava con Conan seduta sul divano del dottor Agasa, un’espressione gelida e determinata negli occhi. Era sabato e loro erano rientrati da poco da una passeggiata con Ayumi, Genta e Mitsuhiko; rimasti soli a casa del professore, potevano finalmente parlare indisturbati di certi argomenti.
“Come al solito, sembra che quel che ti succede non sia affar mio” proseguì Ai in tono glaciale. “Credevo che non avresti corso alcun pericolo, andando sul luogo del rapimento dopo tutto questo tempo, ma a quanto pare mi sbagliavo… Ti sei imbattuto in un membro dell’Organizzazione, non è così?”
Conan sbuffò spazientito. “Senti, Haibara, non cominciare anche tu, per favore… Io e Hattori non avevamo la minima idea che saremmo rimasti coinvolti in una sparatoria e comunque non sono tenuto a informarti sugli sviluppi delle mie indagini”.
“Ah no?” ribatté Ai contrariata. “Se ti fai scoprire, credi forse che la cosa non nuocerà anche a me?”
“Io sono perfettamente in grado…”
“Di fare che, di badare agli affari tuoi? Naturalmente, io devo soltanto pensare al tuo stupido antidoto, non è vero?” sbottò risentita la piccola scienziata.
Conan incrociò le braccia sul petto e replicò: “A proposto, che risultato hanno dato le analisi sulla torta?”
“Niente di nuovo, come immaginavo” rispose Ai, senza curarsi di approfondire il discorso.
Conan le lanciò un’occhiata torva. “Potresti essere più precisa?” domandò.
“Ti chiederei la stessa cosa, se non sapessi che sei troppo testardo per darmi retta e illuminarmi su quello che è successo veramente ieri pomeriggio” commentò Ai, un sorrisetto con un che di perfido stampato sul volto
“E va bene” si arrese Conan. “Siamo andati davvero sul luogo del rapimento di Ran… Nella stanza in cui lei è stata rinchiusa abbiamo incontrato un uomo incappucciato, che si è messo a sparare. Poi sono arrivate Sera e Kazuha, l’amica di Hattori: ci hanno dato una mano e quel tizio è fuggito”.
“Come sarebbe a dire che è fuggito?” esclamò Ai. “Nessuno è riuscito a inseguirlo?”
Conan scosse la testa. “Lo avevo narcotizzato, ma… Sera mi ha impedito di scoprirgli il volto” confessò. “Siamo dovuti andare ad avvertire l’ambulanza per far portare via Hattori e, dopo essere rientrati, abbiamo visto che l’incappucciato non c’era più”.
Ai aggrottò le sopracciglia. “Kudo… questa storia non mi piace affatto”.
“Non piace molto nemmeno a me… purtroppo non ho potuto fare nulla. Comunque sia, abbiamo sottratto la pistola a quell’uomo e adesso ce l’ha in custodia la polizia”.
“Figuriamoci. Sono certa che non riporta alcuna traccia, né impronte digitali né altro” disse Ai. “Avete fatto un buco nell’acqua, eh?”
Conan strinse i pugni. “Non potevo prevedere che Sera ci mettesse i bastoni fra le ruote… Voglio dire, ci ha aiutati, però…”
“Quella ragazza nasconde qualcosa, Kudo. Forse in realtà è una spia e sta cercando…”
“No, io non la penso così. Secondo me, Sera ha avuto a che fare con gli Uomini in Nero in maniera indiretta… e tanto le è bastato per capire quanto siano pericolosi. Avresti dovuto sentire il discorso che mi ha fatto! Mi sembrava quasi di sentire te”.
“Non capisco” obiettò Ai sospettosa. “Che intendi?”
“Mi ha detto che sono forti e ben organizzati, che non si faranno mai fregare da noi” spiegò Conan, rammentando le parole di Masumi. “E poi ha aggiunto… ‘stanne fuori prima che ti ammazzino’. O qualcosa del genere”.
“Allora… forse hanno ucciso qualcuno che conosce”.
“È proprio la conclusione a cui sono arrivato io. Sera ha paura, capisci? Per se stessa… e per tutti noi”.
Conan tacque e anche Ai restò a lungo in silenzio. Entrambi ascoltarono piccoli rumori della casa del professore, amplificati dalla quiete pesante seguita alle loro affermazioni; dopodiché il piccolo detective si decise a parlare di nuovo. “Cosa mi dici dei tuoi esperimenti?” esordì. “Sii più esaustiva, per favore”.
Sembrò che Ai si stesse risvegliando da una specie di sogno. “Ah, sì, la torta… Dunque, dalle mie analisi risulta che contenesse un liquore con una composizione chimica molto simile a quella del Paikal” dichiarò.
“Quindi…?” la sollecitò Conan impaziente.
“Se ben ricordi, il Paikal ha funzionato quando tu avevi il raffreddore” continuò Ai, “così come il mio antidoto. D’altronde, l’ho creato proprio studiando in laboratorio i componenti di quel liquore cinese… Ciò significa che tra le due cose c’è un legame”.
“Sarebbe a dire?”
“Sia il Paikal, sia il mio antidoto, sia l’alcolico che c’era nella torta riescono a contrastare l’effetto dell’APTX se le difese immunitarie del soggetto che li assume sono indebolite. E, già dopo il primo test, perdono la loro efficacia a causa dello sviluppo di anticorpi. In altre parole, siamo ben lontani dalla creazione di un rimedio vero e proprio”.
L’espressione di Conan divenne pensierosa. “Il tuo antidoto però ha funzionato più di una volta” osservò. “L’ho preso in tre occasioni…”
“Lo so… ma questo significa soltanto che, rispetto al Paikal, ha una marcia in più, per così dire. Gli anticorpi che contrastano la sua azione sulle cellule ci mettono più tempo a svilupparsi… e questo dipende anche dalla persona che lo assume” concluse Ai asciutta.
“E per quanto riguarda l’alcolico contenuto della torta?”
“Per quello vale lo stesso discorso del Paikal… Come ti dicevo, la composizione chimica è molto simile, quasi uguale, a eccezione di alcuni principi attivi. Perciò, visto che il Paikal ha funzionato una volta sola, dubito che con quest’altro liquore si possa ottenere un risultato differente”.
Conan si lasciò andare contro lo schienale del divano. “Fantastico” borbottò.
“Be’, c’era da aspettarselo” rispose Ai stringendosi nelle spalle. “D’altro canto, è troppo rischioso che ritorni a essere Shinichi Kudo proprio adesso che quel Sakè si è messo in testa di fare ricerche su di te. A proposito, credi che quell’incappucciato potesse essere lui?”
Conan fece un cenno di diniego. “Secondo me Sakè è morto, te l’ho già detto. Forse quell’uomo era Bourbon”.
“O qualcun altro” ipotizzò allora Ai. “In fondo, nessuno ci garantisce che non sia stato coinvolto un terzo membro dell’Organizzazione”.
“Uhm… possibile. Senti, Haibara, un’ultima domanda: cosa pensi che succederebbe se io assumessi il tuo antidoto senza essere raffreddato o roba del genere?”
“Non lo so. Tutte le volte in cui l’hai preso avevi sintomi influenzali, anche lievi… e questo ne ha assicurato l’efficacia. Se ingerissi una capsula in un momento in cui sei perfettamente in forma, potrebbe non funzionare… oppure reggere per circa un’ora, non di più”.
“Buono a sapersi” disse Conan. “Prima o poi dovrò provare”.
“Non adesso” replicò Ai brusca. “È troppo rischioso, lo sai”.
“Guarda che non c’è bisogno che me lo ricordi, Haibara”.
“Oh, non ne sarei così sicura” ribatté lei.
Conan fece una smorfia. “Ora sarà meglio che io vada a casa. Ci si vede in questi giorni, eh”.
Ai lo salutò distrattamente e Conan si diresse verso l’ingresso.
Fuori dalla finestra dell’ultimo piano si vedeva chiaramente il cielo azzurro di Tokyo, che faceva da sfondo agli alti edifici della città, disseminato di soffici nubi bianche. Era una bella giornata di sole, una di quelle che riempiono il cuore di vitalità e calore… ma il ragazzo dagli occhi chiari e i capelli bruni, imprigionato nel corpo di un bambino di sette anni, non riusciva a provare alcuna gioia. Avrebbe voluto catturare gli Uomini in Nero seduta stante, tornare se stesso e smettere di mentire e di preoccuparsi. Avrebbe voluto sapere perché diavolo gli andava tutto storto, negli ultimi tempi… Con un sospiro malinconico, si aggiustò gli occhiali sul naso, cercando di non pensare alle parole di Ai Haibara.
Quanto tempo ci sarebbe voluto per creare un antidoto definitivo? Nessuno era in grado di dirlo e, per la prima volta, la possibilità sembrò a Conan più lontana che mai. Per quanti mesi ancora avrebbe dovuto fingersi un ragazzino, camminare arrivando a stento all’altezza del gomito di Ran, parlare con una voce dal timbro infantile, frequentare una scuola in cui era già stato per anni e fingere di essere soltanto un curiosone anziché un detective, almeno di fronte alle persone adulte?
“Conan?”
La voce di Ran lo fece sussultare; si voltò di scatto e vide la sua amica d’infanzia entrare a passi lenti nella stanza da letto che lui condivideva con Kogoro.
“Che ci fai qui?” proseguì Ran guardandolo. “Va tutto bene? Perché non sei con i tuoi compagni?”
“Siamo già usciti insieme stamattina e non mi andava di rivederli” ammise Conan sincero. “Dov’è Kazuha?” aggiunse, tanto per fare conversazione. Dopo quel che era successo a Heiji, la ragazza di Osaka aveva chiesto gentilmente a Kogoro di farsi ospitare per il resto del finesettimana, al contrario dei signori Hattori, che erano dovuti andar via quella mattina. Conan sospettava che Kazuha volesse stare più tempo possibile vicina a Heiji ma, a quanto gli risultava, non era più andata a trovarlo dopo il litigio di venerdì… Dovevano aver proprio discusso alla grande.
“Kazuha sta riposando nella mia stanza. È un po’ stressata, poverina… e non è l’unica” commentò Ran con espressione seria.
Conan corrugò la fronte. A chi si riferiva Ran con quelle allusioni? A lui? O forse a se stessa? La scrutò come se volesse leggerle dentro; in genere era un libro aperto, nei momenti di seria difficoltà… Lui riusciva facilmente a intuire cosa la turbasse. Stranamente non funzionava così nelle situazioni ‘normali’, durante le quali gli risultava davvero complicato interpretare i moti del suo animo. Come quando, mesi prima, aveva confessato allegramente che Shinichi le piaceva da morire: l’ultima cosa che lui, appena tornato bambino, si sarebbe aspettato di sentire…
Percepì l’imbarazzo infiammargli le guance a quel pensiero, ma si sforzò di ignorare la cosa e di capire cosa passava per la testa di Ran. Lei si limitava a fissarlo, i grandi occhi limpidi incupiti da un’ombra, le sopracciglia scure inarcate, il volto pallido. Perché non riusciva a comprendere il suo stato d’animo? Era come se una barriera invisibile si fosse frapposta tra loro, impedendo la comunicazione… Da cosa dipendeva?
“Ran…” cominciò, a voce bassa. Lei si preparò ad ascoltare, ma in quell’istante arrivò Kogoro tutto trafelato.
“Che succede, papà?” domandò sua figlia, assumendo un’espressione perplessa.
“Mi hanno appena chiamato dalla Questura di Tokyo! Si erano messi sulle tracce di Amuro, però…”
“Cosa?” Conan drizzò la schiena, quasi volesse mettersi sull’attenti.
“È scomparso. Tooru Amuro sembra svanito nel nulla”.
Edited by Neiro Sonoda - 2/8/2015, 21:01